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Giovedì 8 novembre. Il giorno si levò su una città al colmo dell'eccitazione e dello smarrimento, su una nazione tutta sollevata in una formidabile tempesta.
In apparenza tutto era calmo; centinaia di migliaia di persone rincasavano prudentemente, si alzavano di buon'ora, si recavano al loro lavoro. A Pietrogrado i tranvai correvano, i magazzini ed i ristoranti erano aperti, nei teatri si recitava, un'esposizione di pittura era annunciata; la vita quotidiana proseguiva in tutta la sua complessità abituale, che la stessa guerra non interrompe. Nulla di più stupefacente della vitalità dell'organismo sociale, che continua a nutrirsi, a distrarsi durante le peggiori calamità...
Mille voci circolavano a proposito di Kerenski, che, si diceva, aveva sollevato il fronte e dirigeva un grande esercito sulla capitale. La Volia Naroda pubblicò il seguente manifesto, che egli aveva lanciato da Pskov:
In risposta sui muri venne affisso il manifesto seguente:
Gli ex ministri
Konovalov, Kisckin, Teresetscenko, Maliantovic, Nikitin, ed alcuni altri sono
stati arrestati dal Comitato militare rivoluzionario. Kerenski è in fuga.
Si ordina a tutte le
organizzazioni militari di prendere tutti i provvedimenti necessari per
l'arresto immediato di Kerenski e per il suo invio a Pietrogrado.
Qualunque aiuto dato
a Kerenski sarà punito come un grave delitto contro lo Stato.
Il Comitato militare rivoluzionario era lanciato a corsa sfrenata. Sul suo cammino sprizzavano, come scintille, gli ordini, gli appelli, i decreti... Fu dato ordine di condurre Kornilov a Pietrogrado. I membri dei Comitati agrari, imprigionati dal governo provvisorio, furono messi in libertà. La pena di morte nell'esercito fu abolita. I funzionari ricevettero l'ordine di continuare il loro lavoro, con la minaccia di severe punizioni. Ogni saccheggio, ogni disordine, ogni speculazione fu proibita sotto pena di morte. Ai diversi ministeri furono nominati come Commissari provvisori: Uritski e Trotsky per gli Affari Esteri, Rikov per gli Interni e per la Giustizia, Scliapnikov per il Lavoro, Menjinski per le Finanze, la Kollontai per l'Assistenza Pubblica, Riazanov per il Commercio, l'Industria e le Comunicazioni, il marinaio Korbir per la Marina, Spiro per le Poste e Telegrafi, Muraviov per i Teatri, Derbiscev per la Stamperia Nazionale, il luogotenente Nesterov per la città di Pietrogrado, Pozern per il Fronte Nord...
L'esercito fu invitato a nominare i propri Comitati militari rivoluzionari, i ferrovieri a mantenere l'ordine e soprattutto a non ritardare i trasporti dei viveri destinati alle città ed al fronte. In compenso si prometteva loro la rappresentanza nel ministero delle Strade e Comunicazioni.
Un proclama fu rivolto ai cosacchi.
L'altra parte rispondeva con una tempesta di proclami che si abbatteva su tutti i muri, distribuiva a profusione fogli volanti e giornali, gettava gli strilli più acuti, malediceva, profetizzava le peggiori disgrazie. Si batteva a colpi di caratteri tipografici, adesso che tutte le altre armi erano nelle mani dei Soviet.
Ecco, per esempio, l'appello del Comitato per la Salute del paese e della rivoluzione di cui furono inondati la Russia e l'Europa:
II 7 Novembre i bolscevichi di Pietrogrado, contro la volontà delle masse rivoluzionarie, hanno, in modo criminoso, arrestato una parte del governo provvisorio, disperso il Consiglio della Repubblica e proclamato un potere illegale. Una tale violenza compiuta contro il governo della Russia rivoluzionaria, nel momento in cui è massimo il pericolo esterno, è un delitto inqualificabile contro la Patria.
L'insurrezione dei bolscevichi da un colpo mortale alla causa della difesa nazionale e ritarda la pace ardentemente desiderata da tutti.
La guerra civile, cominciata dai bolscevichi, rischia di gettare il paese negli orrori dell'anarchia e della controrivoluzione e di provocare il fallimento dell'Assemblea Costituente, che deve consolidare il regime repubblicano e consegnare, per sempre, le terre al popolo.
Assicurando la continuità del solo potere governativo legale, il Comitato per la salute del paese e della rivoluzione, istituito nella notte del 7 novembre, prende l'iniziativa di formare un nuovo governo provvisorio. Questo governo, appoggiandosi sulle forze della democrazia, condurrà il paese all'Assemblea Costituente e lo salverà dall'anarchia e dalla controrivoluzione. Il Comitato per la Salute del paese e della rivoluzione fa appello a voi, cittadini.
Rifiutatevi di
riconoscere l'autorità dei sovversivi!
Non ubbidite ai loro
ordini!
Levatevi per la
difesa del paese e della rivoluzione!
Sostenete il Comitato
per la Salute del paese e della rivoluzione!
Firmato:
il consiglio della repubblica russa.
LA DUMA MUNICIPALE DI
PIETROGRADO.
IL COMITATO ESECUTIVO
DEI SOVIET CONTADINI.
I GRUPPI S.R., MENSCEVICO,
SOCIALISTA-POPOLARE, SOCIALDEMOCRATICO UNIFICATO, IL GRUPPO «EDINSTVO» DEL
I
CONGRESSO.
Vi erano anche i manifesti del partito S.R., dei menscevichi guerrafondai, dei Soviet contadini, del comitato centrale dell'esercito, quello della flotta ecc. Tutti erano sul medesimo tono.
I giornali non erano meno violenti.
L'Izvestia, scrivendo per l'ultima volta a nome del vecchio Zik, annunciava terribili repressioni:
La Novaia Jizn, sostenendo la necessità della formazione di un nuovo governo che comprendesse tutti i partiti socialisti, criticava severamente l'abbandono del Congresso da parte dei S.R. e dei menscevichi e notava che l'insurrezione bolscevica aveva un significato molto chiaro: cioè che d'ora innanzi nessuna illusione era più permessa sulle possibilità di coalizione con la borghesia.
Il Raboci Put prese il nome di Pravda, il giornale di Lenin che era stato soppresso in luglio. Esso gridava fiero e minaccioso:
Pochi giornali cadetti venivano pubblicati ed in generale la borghesia adottava un atteggiamento altero ed ironico verso gli avvenimenti, una specie di perpetuo e sdegnoso: ve l'avevo ben detto io, rivolto agli altri partiti.
Alcuni cadetti influenti bazzicavano i corridoi della Duma municipale e del Comitato di Salute. La borghesia stava a vedere, attendendo la sua ora... che evidentemente non poteva essere molto lontana! Nessuno credeva che i bolscevichi potessero rimanere al potere più di tre giorni... eccetto Lenin, Trotsky, gli operai e i soldati di Pietrogrado...
Nel pomeriggio di quello stesso giorno mi recai alla sala Nicola, un anfiteatro dal soffitto molto alto, dove la Duma sedeva in permanenza, agitata, riunendo tutte le forze dell'opposizione. Il vecchio sindaco, Screider, maestoso con i capelli e con la barba bianchi, raccontava la sua visita della notte precedente a Smolni per protestare a nome del governo municipale autonomo.
— La Duma, il solo potere legale esistente nella capitale, eletta col suffragio eguale, diretto e segreto, non riconosce il nuovo potere — aveva dichiarato a Trotsky.
Trotsky gli aveva risposto:
— La
costituzione stessa fornisce il rimedio: sciogliere la Duma e fare delle nuove
elezioni.
Esclamazioni furibonde.
— Se si vuole
riconoscere un governo di baionette — continuò
il vegliardo, rivolto alla Duma, — ebbene, noi l'abbiamo! Ma io
considero legittimo solamente un governo riconosciuto dal popolo,
dalla maggioranza e non quello creato da una minoranza usurpatrice!
Applausi frenetici su tutti i banchi, eccetto su quelli dei bolscevichi. In mezzo al tumulto il sindaco annunciò ancora che i bolscevichi avevano già violata l'autonomia municipale nominando i loro commissari a vari dipartimenti.
L'oratore del gruppo bolscevico gridò, cercando di dominare il tumulto, che la decisione del Congresso dei Soviet significava l'approvazione dell'azione dei bolscevichi da parte di tutta la Russia.
— Voi — aggiunse, — non siete i veri rappresentanti del popolo di Pietrogrado! (Grida: È un insulto!).
II vecchio sindaco, dignitoso, gli ricordò che la Duma era stata eletta dal voto popolare il più libero possibile.
— Già — gli si rispose, — ma è orinai passato troppo tempo
precisamente come per lo Zik e per i Comitati dell'esercito.
— Non vi è stato un nuovo Congresso dei Soviet! — gli si
urlò dalla sala.
— Il gruppo bolscevico rifiuta di restare più a lungo in
questo
nido della controrivoluzione (Tumulto). Noi domandiamo delle
nuove elezioni per la Duma...
I bolscevichi abbandonarono la sala fra le grida di «agenti della Germania! abbasso i traditori!».
Scingariov, un cadetto, reclamò la destinazione ed il deferimento ai tribunali di tutti i funzionari municipali che avevano accettato di essere commissari del Comitato militare rivoluzionario. Screider si alzò e propose una mozione di protesta contro la minaccia di scioglimento fatta dai bolscevichi. Vi si diceva che la Duma, rappresentando legalmente la popolazione, si rifiutava di abbandonare il suo posto.
La sala Alessandro, dove si teneva il comizio del Comitato di Salute, era colma. Parlava di nuovo Skobelev:
— Mai come oggi — diceva, — la sorte della rivoluzione fu così dubbia, mai la questione dell'esistenza dello Stato russo aveva sollevato tante inquietudini, mai la storia aveva posto così brutalmente e così categoricamente per la Russia la questione di essere o di non essere! L'ora decisiva della salvezza della rivoluzione è suonata e, pienamente coscienti della gravita del momento, noi vediamo unirsi strettamente tutte le forze vive della democrazia rivoluzionaria. La loro volontà organizzata ha già creato un centro per la salvezza del paese e della rivoluzione... Noi morremo piuttosto che abbandonare il nostro posto!
La notizia che il sindacato dei ferrovieri aderiva al Comitato di Salute fu accolta con applausi clamorosi. Alcuni momenti dopo giunsero i rappresentanti degli impiegati delle Poste e Telegrafi, ed infine alcuni menscevichi internazionalisti che furono salutati con degli evviva. I ferrovieri dichiararono che essi non riconoscevano i bolscevichi, e che avevano preso nelle loro mani la direzione delle ferrovie, rifiutandosi di consegnarla a un qualsiasi potere usurpatore. Il delegato dei telegrafisti disse che gli operatori avevano categoricamente rifiutato di lavorare fino a che rimanesse negli uffici il commissario bolscevico. Gli impiegati postali rifiutavano di avviare la corrispondenza verso Smolni... Tutte le linee telegrafiche di Smolni erano tagliate. L'assemblea, con grande gioia, udì raccontare come Uritski si era recato al ministero degli Affari Esteri per domandare comunicazione dei trattati segreti e se ne era tornato scornato, per opera di Neratov. Tutti i funzionari abbandonavano il lavoro.
Era la guerra, la guerra deliberatamente risoluta, alla russa, la guerra per mezzo dello sciopero e del sabotaggio. Il presidente lesse una lista di nomi e di incarichi; uno doveva fare il giro dei ministeri, un altro quello delle Banche; una dozzina erano incaricati di far propaganda tra i soldati nelle caserme e di ottenere la loro neutralità, («soldati russi, non versate il sangue dei vostri fratelli!»). Una commissione doveva andare a conferire con Kerenski, ed altre fondare nelle città di provincia delle sezioni del Comitato di Salute e riunirvi tutti gli elementi antibolscevichi.
L'assemblea lavorava con molto slancio. «Ah! questi bolscevichi vogliono dettare legge all'intellighenzia! li conceremo noi!». Nulla colpiva più che il contrasto tra quella assemblea eterogenea ed il Congresso dei Soviet. Laggiù la massa dei soldati stracciati, degli operai con le mani nere, dei contadini, tutti poveri, curvati e malconci dalla lotta brutale per l'esistenza. Qui i capi menscevichi e S.R., gli Avxentiev, i Dan, i Liber, gli ex-ministri socialisti, gli Skobelev, i Cernov, stavano gomito a gomito con cadetti, come l'untuoso Sciatski, l'impomatato Vinaver e con giornalisti, studenti, intellettuali quasi di ogni campo. Questa gente della Duma era ben nutrita, ben vestita; non vidi fra di loro più di tre proletari...
Arrivarono delle notizie. I fedeli tekintsi di Kornilov avevano sgozzato le sue guardie del corpo a Bykov; lui era scappato. Kaledin avanzava verso il nord... Il Soviet di Mosca aveva formato un Comitato militare rivoluzionario e trattava con il Comandante della piazza il possesso dell'Arsenale per poter armare gli operai. Insieme con questi fatti circolava uno strano miscuglio di voci, di deformazioni, di menzogne pure e semplici. Così un giovane cadetto, intelligente, ex-segretario particolare di Miliukov e di Teresctscenko, ci prese da parte per raccontarci i particolari della presa del Palazzo d'Inverno.
— I bolscevichi
erano guidati da ufficiali tedeschi ed austriaci,
— affermò.
— Davvero? — facemmo noi cortesemente. — Da che fonte lo
sapete?
— Un mio amico era là e li ha visti.
— Come ha potuto sapere che erano degli ufficiale tedeschi?
— Ma, portavano l'uniforme tedesca.
Dicerie assurde di questo genere circolavano a centinaia. Non solo la stampa antibolscevica accordava loro il massimo spazio, ma vi credevano anche persone intelligenti, per esempio alcuni S.R. ed alcuni menscevichi conosciuti per la loro obiettività e per il loro acume.
Maggiore importanza avevano le notizie fantastiche sulla violenza e sul terrorismo bolscevico. Si diceva così, e lo si stampava, che le guardie rosse avevano anzitutto saccheggiato da cima a fondo il Palazzo d'Inverno; poi avevano massacrato gli junker, dopo averli disarmati, ed infine avevano anche assassinato, a sangue freddo, alcuni ministri. Quanto alle donne-soldati, quasi tutte erano state violentate, molte si erano suicidate per mettere fine alle torture che venivano loro inflitte... La Duma municipale beveva tutte queste menzogne senza discussioni: ma, ciò che è peggio, i padri e le madri degli studenti e delle donne lesserò sui giornali questi orribili particolari, spesso accompagnati da nomi, dimodoché la Duma fu assediata da una folla di cittadini terrorizzati e ansiosi sulla sorte dei loro cari.
Un caso tipico è quello del principe Tumanov: il suo corpo, secondo alcuni giornali, era stato trovato galleggiante sulla Moika.
Alcune ore dopo la famiglia del principe faceva smentire la notizia aggiungendo che egli si trovava in stato di arresto. Poiché era necessario assolutamente identificare quel cadavere, la stampa decise che era quello del generale Denissov. Ma anche il generale era vivo. Noi facemmo un'inchiesta e ci fu impossibile trovare una traccia qualsiasi di un cadavere ripescato nella città. Quando uscimmo dalla Duma due boy-scouts distribuivano dei fogli all'enorme folla che ostruiva la Nevski, in faccia all'entrata e che era composta quasi interamente di uomini d'affari, di piccoli commercianti, di funzionari, di impiegati. Uno di quei fogli diceva:
All'angolo della Liteinv cinque o sei guardie rosse e due o tre marinai circondavano un rivenditore di giornali e volevano le copie del giornale menscevico Rabociaia Gazeta (Gazzetta operaia). Il giornalaio si infuriò. Urlava gesticolando come un forsennato, quando uno dei marinai finì per strappargli a viva forza i giornali. Si era formata una folla minacciosa ed ostile ai marinai. Un piccolo operaio si sforzava di persuadere la gente ed il rivenditore:
— Questo giornale contiene il proclama di Kerenski. Egli dice che noi abbiamo ucciso dei russi; questo farà spargere del sangue...
Smolni lavorava più di prima, se fosse stato possibile. Sempre lo stesso andirivieni nei corridoi oscuri, gruppi di operai armati di fucili, capi politici con le borse ricolme, che discutevano, che davano delle spiegazioni o degli ordini, correndo, circondati da amici e da collaboratori. Erano uomini letteralmente fuori di sé, prodigi viventi di veglia e di lavoro, barbuti, sporchi, gli occhi brucianti di febbre, che marciavano direttamente allo scopo prefìssosi, mossi da una esaltazione irresistibile. Vi era tanto, tanto da fare! Impadronirsi degli organi del governo, organizzare la città, garantirsi la fedeltà della guarnigione, lottare contro la Duma e contro il Comitato di Salute, fermare gli eserciti tedeschi, preparare la lotta contro Kerenski, informare la provincia, fare la propaganda da Arcangelo a Vladivostok... I funzionari dello Stato e della città rifiutavano di obbedire ai commissari, le Poste ed i Telegrafi rifiutavano di assicurare le comunicazioni, le ferrovie non rispondevano alle domande di treni; Kerenski si avvicinava, la guarnigione non era del tutto sicura, i cosacchi si preparavano all'attacco... Essi avevano contro non solo la borghesia organizzata, ma tutti i partiti socialisti, eccetto la sinistra S.R., alcuni menscevichi internazionalisti ed i socialdemocratici internazionalisti, i quali del resto non s'erano ancora nettamente decisi. Con loro era però la massa degli operai e dei soldati, dei contadini in numero sconosciuto, ma non avevano molti uomini di cultura o di esperienza...
Riazanov, pur salendo la scala principale, spiegava con un imbarazzo pieno di buon umore che, lui, commissario al commercio, non capiva nulla degli affari. Nella sala del caffè del primo piano, solo in un angolo, avviluppato in una pelliccia di capra — stavo per dire: che non lasciava nemmeno quando andava a dormire, ma, evidentemente, non dormiva da molto tempo, — con una barba di tre giorni, un uomo scriveva nervosamente, cifre su cifre, su una busta sporca, masticando ogni tanto la matita. Era Menjinski, commissario alle Finanze; funzione alla quale lo aveva designato il solo titolo di ex-impiegato di una banca francese... E questi altri quattro che discendevano dal Comitato militare rivoluzionario correndo e scarabocchiando su pezzi di carta, erano dei commissari che stavano per partire verso i quattro angoli della Russia, per portarvi notizie ed argomenti, per combattere con tutte le armi che sarebbero loro capitate nelle mani...
Il Congresso doveva riunirsi all'una e la grande sala per le riunioni era piena da lungo tempo. Malgrado ciò, alle sette, la presidenza non era ancora comparsa... I bolscevichi e la sinistra S.R. erano riuniti nelle loro sale. Durante tutto il pomeriggio Lenin e Trotsky avevano dovuto combatter le tendenze al compromesso. Una notevole parte dei bolscevichi era dell'opinione di fare le concessioni necessarie per costituire un governo di coalizione socialista:
— Noi non potremo resistere — gridavano.— Sono troppi i nostri nemici. Non abbiamo gli uomini necessari. Saremo isolati e crollerà tutto.
Così parlavano Kamenev, Riazanov ed altri. Ma Lenin, con Trotsky al fianco, restava fermo come una roccia.
— Quelli che vogliono un compromesso accettino il nostro programma e noi li accoglieremo. Noi non cederemo di un centimetro. Se vi sono qui dei compagni che non hanno il coraggio e la volontà di osare quello che, noi, osiamo, se ne vadano a raggiungere i poltroni ed i conciliatori. Con l'appoggio degli operai e dei soldati, noi andremo avanti!
Alle sette e cinque, i S.R. di sinistra fecero sapere che rimanevano nel Comitato militare rivoluzionario.
Un poco più tardi, al tavolo della stampa, nella grande sala, ove avevamo preso posto, un anarchico, che collaborava a giornali borghesi, mi propose di andare a vedere dove si trovava il Presidium. La stanza riservata allo Zik era vuota, così pure quella del Soviet di Pietrogrado. Di sala in sala, noi percorremmo tutto Smolni. Nessuno sembrava sapere dove si trovava l'organo dirigente il Congresso. Camminando, il mio compagno mi raccontava il suo passato di rivoluzionario, il suo lungo e piacevole esilio in Francia. Circa i bolscevichi mi confidò che erano uomini comuni, grossolani, ignoranti e sprovvisti di sensibilità estetica. Era un campione tipico dell''intellighenzia russa... Giunti alla stanza 17, ufficio del Comitato militare rivoluzionario, ci trovammo presi nel più travolgente andirivieni. Si aprì la porta e ne uscì un uomo tarchiato, dal viso piatto, con un'uniforme senza distintivi. Sembrava sorridere, ma ci accorgemmo tosto che quel sorriso era una smorfia permanente per l'estrema fatica. Era Krilenko.
Il mio compagno, un giovanotto brioso e di modi eccellenti,
ebbe un'esclamazione di piacere e si avanzò:
— Nicola Vassilievic! — disse tendendo la mano. — Non mi
riconoscete, compagno? Siamo stati in prigione insieme.
Krilenko fece uno sforzo per concentrare la attenzione e gli
sguardi:
— Ma sì, — finì per rispondere, guardando l'altro con una
espressione di grande amicizia, — siete voi S.?... Come va?
Si abbracciarono,
— Che fate qui?
— Oh, sono solo venuto a vedere... Sembra che le vostre faccende
vadano bene.
— Sì! — rispose Krilenko, con accento particolarmente
energico. — La rivoluzione proletaria è un grande successo!
Poi aggiunse ridendo:
— Eppure può darsi che ci incontreremo di nuovo in prigione!
Tornammo nel corridoio ed il mio amico riprese le sue spiegazioni.
— Vedete, io sono un discepolo di Kropotkin. Per noi, la rivoluzione
è un grande errore: essa non ha eccitato il patriottismo delle masse.
Evidentemente questo prova che il popolo non
è ancora maturo per la rivoluzione.
Erano esattamente le otto e quaranta quando una tempesta di applausi annunciò l'entrata della presidenza, con Lenin, il grande Lenin. Piccolo di statura, raccolto, la grande testa rotonda e calva infossata nelle spalle, gli occhi piccoli, il naso camuso, la bocca larga e generosa, il mento pesante. Era completamente sbarbato, ma la barba, così conosciuta prima e che d'ora innanzi sarebbe sempre rimasta, cominciava già a rispuntargli sul viso. Il vestito era consunto, i pantaloni troppo lunghi. Poco fatto, fisicamente, per essere l'idolo della folla, egli fu amato e venerato come pochi capi nella storia. Uno strano capo popolare, capo per la sola forza della intelligenza. Egli non era brillante, non aveva spirito, era intransigente e appartato, senza alcuna particolarità pittoresca, ma aveva il potere di spiegare le idee profonde in termini semplici, di analizzare concretamente le situazioni e possedeva la più grande audacia intellettuale.
Kamenev diede lettura del rapporto sull'attività del Comitato militare rivoluzionario: abolizione della pena di morte nell'esercito, ristabilimento della libertà di propaganda, liberazione degli ufficiali e dei soldati arrestati per reati politici, ordine di arrestare Kerenski e confisca delle provviste di viveri dei magazzini privati. Applausi frenetici.
In seguito la parola fu data all’oratore del Bund (Partito socialista ebraico): l'atteggiamento intransigente dei bolscevichi significava la morte della rivoluzione e perciò i delegati del Bund erano costretti a non partecipare più ai lavori del Congresso. Grida nella sala: «Credevamo che ve ne foste già andati ieri. Quante volte pensate di andarvene?».
Seguì il rappresentante dei menscevichi internazionalisti. «come, ancora voi?». L'oratore spiegò che solo una parte dei menscevichi internazionalisti aveva lasciato il congresso; gli altri avevano deciso di rimanere.
— Noi crediamo dannoso, forse fatale per la rivoluzione, il passaggio del potere ai Soviet. (Interruzioni). Ma crediamo che è nostro dovere rimanere al Congresso e manifestare qui la nostra opinione contraria.
Altri oratori seguirono, disordinatamente. Un delegato dei minatori del bacino del Donez domandò al Congresso di prendere provvedimenti contro Kaledin che poteva impedire l'approvvigionamento di carbone e di viveri della capitale. Parecchi soldati, arrivati dal fronte, portarono il saluto entusiasta dei loro reggimenti... Infine si levò Lenin. Tenendosi al parapetto della tribuna, egli posò sugli astanti i piccoli occhi socchiusi, insensibile in apparenza all'immensa ovazione, che si prolungò parecchi minuti. Quando l'ovazione fu finita, disse semplicemente:
— Adesso passiamo all'edificazione dell'ordine socialista.
Di nuovo la sala si scatenò.
— Bisogna prima di tutto prendere dei provvedimenti pratici per realizzare la pace... Noi offriremo la pace a tutti i popoli dei paesi belligeranti sulla base delle condizioni sovietiche: nessuna annessione, nessun'indennità, diritto dei popoli a disporre di se stessi. Nello stesso tempo, secondo la nostra promessa, pubblicheremo e ripudieremo tutti i trattati segreti... La questione della guerra e della pace è così chiara che credo di potervi leggere, senz'altro preambolo, un progetto di proclama ai popoli di tutti i paesi belligeranti...
La bocca larga, che sembrava sorridere, si apriva tutta quando egli parlava: la voce rauca, ma non spiacevole, era come indurita da anni ed anni di discorsi: scorreva monotona ed eguale, e si aveva l'impressione che potesse non fermarsi mai... Quando voleva sottolineare un'idea si curvava leggermente in avanti. Nessun gesto. Ai suoi piedi un migliaio di visi semplici era teso verso di lui in una specie di adorazione intensa.
II governo operaio e
contadino, governo uscito dalla rivoluzione del 6-7 novembre e che si appoggia
sui Soviet dei deputati operai, soldati e contadini, propone a tutti i popoli
belligeranti ed ai loro governi di cominciare immediatamente le trattative per
una pace democratica e giusta.
Per pace democratica
e giusta, pace ardentemente desiderata dall'immensa maggioranza degli operai e
delle classi lavoratrici, spossate dalla guerra, pace che gli operai ed i
contadini russi, dopo aver rovesciato l'autocrazia zarista, non hanno cessato
di esigere, il governo intende una pace immediata senza annessioni (cioè senza
confisca di territori stranieri e senza unioni violente di popolazioni
straniere) e senza indennità.
Il governo della
Russia propone a tutti i popoli belligeranti di concludere immediatamente una
tale pace e si dichiara pronto a prendere, senza il minimo ritardo, tutti i
provvedimenti decisivi necessari, nell'attesa della ratifica di tutte le
condizioni di tale pace da parte delle assemblee autorizzate delle diverse
nazioni e popoli.
Per annessione o
conquista di territori stranieri, il governo intende, secondo la concezione
del diritto della democrazia in genere e della classe
operaia in particolare, ogni unione ad uno
Stato grande e potente di un popolo poco numeroso o debole, senza la
manifestazione chiara, precisa e libera del consenso e del desiderio di questo
popolo, qualunque sia il grado di civiltà del popolo annesso o tenuto con la
forza nelle frontiere di un altro Stato, viva questo popolo in Europa o nei
lontani paesi d'oltremare.
Se un popolo è tenuto
con la forza entro le frontiere di uno Stato, se, malgrado il desiderio da esso
manifestato per mezzo della stampa, dei comizi popolari, delle deliberazioni
dei partiti politici, o per mezzo di sommosse e di sollevazioni contro
l'oppressione nazionalista, se questo popolo non ottiene il diritto di
scegliere la forma di governo con un libero voto — cioè senza la minima
coercizione e dopo il ritiro di tutte le forze militari dello Stato che ha
operata la unione o che è il più forte — una tale unione costituisce
un'annessione, cioè una conquista e un atto di violenza.
Il governo considera
che continuare questa guerra per risolvere la questione della spartizione, tra
nazioni potenti e ricche, di nazioni deboli, conquistate da quelle, è il
delitto più grande che possa essere commesso contro l'umanità: esso proclama
perciò solennemente la sua risoluzione di firmare immediatamente la pace che
metterà fine a questa guerra, alle condizioni enunciate prima, che sono
ugualmente giuste per tutte le nazioni, senza eccezioni.
Il governo dichiara,
d'altra parte, di non dare a queste condizioni di pace un carattere di
ultimatum, di essere cioè pronto ad esaminare tutte le proposte che potranno
essere fatte, ma insiste affinché le proposte siano presentate con la massima
rapidità e siano di una perfetta chiarezza, senza alcuna ambiguità e senza
alcun segreto.
Il governo abolisce
la diplomazia segreta ed esprime la sua ferma decisione di condurre tutte le
trattative apertamente, sotto gli occhi del popolo intero; esso procederà
immediatamente alla pubblicazione integrale di tutti i trattati segreti
ratificati o conclusi dal governo dei grandi proprietari e dei capitalisti,
dopo il marzo, fino al 7 novembre 1917. Tutte le clausole di questi trattati
segreti, che hanno per scopo di procurare vantaggi e privilegi agli agrari ed
ai capitalisti russi, di mantenere o di aumentare le annessioni fatte
dall'imperialismo grande-russo, sono denunciate dal governo immediatamente e
senza riserve.
Proponendo a tutti i
governi e a tutti i popoli di cominciare le trattative pubbliche per la pace,
il governo si dichiara pronto a trattare sia telegraficamente che per
iscritto, sia in conversazioni tra rappresentanti dei diversi paesi, sia in
una conferenza che riunisca questi rappresentanti. Per facilitare queste
trattative il governo manda i suoi plenipotenziari in paesi neutrali.
Il governo propone a
tutti i governi ed ai popoli di tutti i paesi belligeranti di concludere un
armistizio immediato. Esso è d'opinione che questo armistizio non debba avere
una durata inferiore a tre mesi, cioè ad un periodo che è largamente
sufficiente per permettere non solo la conclusione delle trattative tra i
rappresentanti di tutti, senza eccezioni, i popoli travolti dalla guerra o
costretti a prendervi parte, ma che permette egualmente la convocazione delle
assemblee competenti dei diversi paesi per la ratifica definitiva delle
condizioni di pace.
Rivolgendo questa
offerta di pace ai governi ed ai popoli di tutti i paesi belligeranti, il
governo provvisorio operaio e contadino di Russia si rivolge in particolare
agli operai coscienti delle tre nazioni più progredite dell'umanità ed ai tre
Stati maggiori impegnati nella presente guerra, all'Inghilterra, alla Francia,
alla Germania. Sono stati gli operai di questi paesi a rendere i più grandi
servizi alla causa del progresso e del socialismo.
I
magnifici esempi del movimento cartista in
Inghilterra, la serie delle rivoluzioni di importanza mondiale fatte dal
proletariato francese ed infine, in Germania, la lotta eroica contro le leggi
eccezionali, e così pure la lenta creazione delle organizzazioni di massa del
proletariato tedesco, con uno sforzo costante e disciplinato, che può servire
di esempio ai lavoratori di tutto il mondo — tutti questi esempi dell'eroismo
proletario, questi monumenti della evoluzione storica costituiscono una sicura
garanzia che gli operai di questi paesi comprenderanno che il loro dovere è di
liberare l'umanità dagli orrori e dalle conseguenze della guerra, una garanzia
che questi operai, con una azione generale, decisiva ed irresistibilmente
energica, ci aiuteranno a condurre la causa del popolo felicemente alla
vittoria e nello stesso tempo a liberare le masse sfruttate da ogni schiavitù e
da ogni sfruttamento.
Quando la tempesta di applausi si calmò, Lenin riprese:
— Noi proponiamo al Congresso di ratificare questa dichiarazione.
La rivolgiamo ai governi come ai popoli, perché rivolgendola solamente ai
popoli dei paesi belligeranti, noi potremmo ritardare la conclusione della
pace. Le condizioni di pace, elaborate durante l'armistizio, saranno ratificate
dall'Assemblea Costituente. Fissando la durata dell'armistizio a tre mesi, noi
desideriamo dare ai popoli una tregua più lunga possibile, dopo questo
sanguinoso sterminio, ed un tempo sufficiente perché essi possano eleggere i
loro rappresentanti. Questa proposta di pace urterà contro l'opposizione dei
governi imperialisti. Non ci facciamo illusioni in proposito. Ma noi speriamo
che la rivoluzione scoppierà ben presto in tutti i paesi belligeranti, ed è
per questo che ci rivolgiamo particolarmente agli operai di Francia,
d'Inghilterra e di Germania...
La rivoluzione del 6 e 7 novembre — terminò Lenin, —
ha aperto l'era della rivoluzione sociale... Il movimento operaio,
nel nome della pace e del socialismo, vincerà e compirà i suoi
destini...
Vi era in tutto ciò qualcosa di calmo e di potente che scuoteva le anime. Si comprendeva perché la folla credeva quando Lenin parlava...
Si deliberò rapidamente, per alzata di mano, che si sarebbero pronunciati sul progetto solo i rappresentanti dei gruppi politici e che ciascuno di essi avrebbe avuto quindici minuti di tempo.
Il primo oratore fu Karelin a nome dei S.R. di sinistra.
— Il nostro gruppo non ha avuto modo di proporre degli emendamenti al testo del proclama, che è opera del solo partito bolscevico, ma noi voteremo per questo testo perché ne approviamo la sostanza.
A nome dei socialdemocratici-internazionalisti, parlò Kramarov, alto, curvo e miope, che doveva procacciarsi qualche celebrità come clown dell'opposizione. Solo un governo composto da lutti i partiti socialisti, disse, possederebbe l'autorità necessaria per cominciare un'opera di tanta importanza. Se una coalizione socialista si formasse, il suo gruppo ne sosterrebbe l'intero programma; altrimenti, rimarrà favorevole con riserva. Quanto al proclama, gli internazionalisti ne approvavano i concetti essenziali...
Gli uni dopo gli altri, in mezzo all'entusiasmo crescente, diedero la loro approvazione i socialdemocratici ucraini, i socialdemocratici lituani, i socialisti popolari, i socialdemocratici polacchi, i socialisti polacchi, — questi sottolineando le loro preferenze per una coalizione socialista — i socialdemocratici lettoni...
Qualcosa si era bruscamente risvegliato in tutti quegli uomini. L'uno parlava della «rivoluzione mondiale in marcia, di cui noi siamo l'avanguardia», un altro della «era novella di fraternità, nella quale tutti i popoli non saranno più che una grande famiglia...».
Un delegato fece questa osservazione personale:
— Vi è una contraddizione. Dapprima voi offrite una pace senza annessione e senza indennità, e poi dite che prendete in considerazione tutte le offerte di pace. Prendere in considerazione significa accettare...
Lenin scattò:
— Noi vogliamo una pace giusta, ma non temiamo una guerra
rivoluzionaria. È molto probabile che i governi imperialisti
non rispondano al nostro appello, ma noi eviteremo di lanciare
un ultimatum al quale sarebbe troppo facile rispondere di no.
Se il proletariato tedesco comprenderà che noi siamo pronti
a prendere in considerazione tutte le offerte di pace, forse questo sarà la
goccia d'acqua che farà traboccare il vaso e la rivoluzione scoppierà in
Germania...
Noi acconsentiamo ad esaminare tutte le condizioni di pace,
ma questo non significa che noi le accetteremo... Vi sono alcune nostre
condizioni per le quali noi combatteremo fino alla fine; ve ne sono delle altre
per le quali forse stimeremo inutile di continuare la guerra... Noi vogliamo
prima di tutto finirla con la guerra...
Erano esattamente le dieci e trentacinque quando Kamenev domandò a tutti quelli che approvavano il proclama di levare in alto le loro tessere. Un solo delegato osò levare la mano contro, ma la violenza delle proteste che gli scoppiarono intorno gliela fece prontamente abbassare... Era l'unanimità.
Mossi da un comune impulso, ci trovammo improvvisamente tutti in piedi, unendo le nostre voci all'unisono, nel lento crescendo dell'Internazionale. Un vecchio soldato, brizzolato, singhiozzava come un fanciullo. Alessandra Kollontai tratteneva le lacrime. Il canto si slanciava possente attraverso la sala, scuotendo le finestre e le porte e perdendosi nella calma del cielo. «La guerra è finita! la guerra è finita!» gridò accanto a me un giovane operaio, il viso raggiante. Poi quando il canto fini mentre restavamo in piedi, in un silenzio imbarazzante, qualcuno gridò:
— Compagni! Ricordatevi di quelli che sono morti per la libertà!
Intonammo allora la Marcia Funebre, quel canto maestoso, malinconico e trionfale insieme, così russo, così commovente. L'Internazionale era una musica straniera. La Marcia Funebre sembrava essere l'anima stessa delle vaste masse, i cui delegati, riuniti in quella sala, costruivano con le loro imprecise visioni una nuova Russia, e forse molto di più.
Siete
caduti nella lotta fatale,
Vittime del vostro
santo amore per il popolo.
Tutto voi deste
per esso,
Per il suo onore,
la vostra vita e la vostra libertà...
Soffriste nelle
prigioni umide
Condannati da
carnefici implacabili;
Conosceste
l'esilio e le pesanti catene...
Addio, fratelli;
voi seguiste una degna strada,
L'ora si avvicina
in cui il popolo si desterà,
Grande, potente e
libero...
Addio, fratelli...
Per questa grande causa i martiri della primavera riposavano nella fredda Tomba Fraterna del Campo di Marte, per essa migliaia e decine di migliaia di uomini erano morti nelle prigioni, in esilio, nelle miniere, in Siberia. Non tutto era forse accaduto come essi speravano e neppure come la intellighentia desiderava, ma i fatti erano avvenuti brutali, irresistibili, sdegnosi delle formule e di ogni sentimentalismo, nella loro realtà...
Lenin lesse il decreto sulla terra:
— Questo non è — spiegò Lenin, — un progetto come quello
dell'ex ministro Cernov, che parlava di «costruire un'armatura»
e voleva realizzare delle riforme dall'alto. È dal basso e sul posto
che sarà risolta la questione della spartizione della terra. La
quantità di terra che riceverà ciascun contadino varierà secondo
la località...
Sotto il governo provvisorio, gli agrari rifiutavano puramente
e semplicemente di obbedire agli ordini dei Comitati agrari, di quei Comitati
agrari che erano stati concepiti da Lvov, realizzati da Scingariov ed
amministrati da Kerenski!
Prima che la discussione fosse aperta, un uomo si aprì violentemente il passaggio attraverso l'assemblea e salì la tribuna. Era Pianyk, membro del Comitato esecutivo dei Soviet contadini; egli era furibondo.
— Il Comitato esecutivo del Congresso panrusso dei deputati contadini protesta contro l'arresto di nostri compagni, i ministri Salazkin e Maslov — lanciò brutalmente sull'assemblea. — Noi reclamiamo la loro liberazione immediata! Si trovano nella fortezza Pietro e Paolo. Si deve agire immediatamente. Non vi è tempo da perdere.
Un soldato, dalla barba in disordine e dagli occhi fiammeggianti, gli succedette:
— Voi siete qui seduti e parlate di dare la terra ai contadini, ma voi stessi agite come tiranni e come usurpatori contro i rappresentanti eletti dai contadini. Vi avverto — aggiunse, levando il pugno, — che se voi torcerete loro un capello, sarà la rivolta.
L'assemblea cominciava ad agitarsi.
Allora Trotsky si levò, calmo, velenoso, cosciente della sua forza, salutato dalle acclamazioni.
Ieri il Comitato militare rivoluzionario ha deciso di
mettere in libertà i ministri S.R. e menscevichi Maslov, Salazkin,
Gvozdiov e Maliantovic. Se essi sono ancora a Pietro e Paolo
è a causa del nostro enorme lavoro. Ma, in ogni caso, essi resteranno agli
arresti in casa, fino a che non avremo esaminato la loro
complicità negli atti di tradimento di Kerenski, durante l'affare Kornilov!
— Mai, in nessuna rivoluzione — strillò Pianyk, — si è agito
così!
Vi sbagliate — replicò Trotsky,— si è agito così durante
questa stessa rivoluzione. Centinaia di nostri compagni, sono stati
arrestati durante le giornate di luglio... Quando la compagna
Kollontai fu messa in libertà per ordine del medico, Avxentiev
fece mettere alla sua porta due vecchi agenti della polizia zarista.
I contadini batterono in ritirata, mormorando, accompagnati da esclamazioni ironiche.
In seguito il rappresentante dei S.R. di sinistra parlò del Decreto sulla terra.
Pur approvando i principi, il suo gruppo non accettava di votarlo senza una discussione preventiva. Conveniva di consultare i Soviet contadini...
I menscevichi internazionalisti avrebbero voluto riunire, prima, il loro gruppo.
Il leader dei massimalisti, l'ala anarchica dei contadini,
si
espresse così:
— Noi dobbiamo inchinarci dinanzi al partito che sa prendere
un tale provvedimento il primo giorno e senza tante frasi.
Poi un contadino, dai lunghi capelli, in stivali e in blusa,
comparve alla tribuna. Dopo essersi inchinato verso i quattro angoli della
sala, disse:
— Vi saluto, compagni cittadini! Qui intorno c'è ancora
qualche cadetto. Voi avete arrestati i nostri contadini socialisti.
Perché non arrestate questi altri?
Cominciò così una viva discussione tra contadini, che assomigliava molto a quella avvenuta la vigilia tra i soldati. Apparivano così i veri proletari della terra.
— Questi membri del nostro Comitato esecutivo, Avxentiev e gli altri che noi credevamo i protettori dei contadini, anch'essi sono soltanto dei cadetti! Arrestateli! Arrestateli!
E un altro:
— Chi sono questi Pianyk? Questi Avxentiev? Non sono dei
contadini; sono buoni soltanto a chiacchierare.
L'assemblea, riconoscendo i suoi fratelli, li applaudì.
I S.R. di sinistra proposero
mezz'ora di sospensione. Mentre i delegati uscivano, Lenin si alzò e dal suo
posto:
— Non abbiamo tempo da perdere, compagni. Nella stampa
di domani mattina dovranno comparire delle notizie di enorme importanza per la
Russia. Nessun ritardo dunque.
Sopra il rumore delle discussioni appassionate e dei
calpestii risuonò la voce di un emissario del Comitato militare rivoluzionario:
— Quindici agitatori alla stanza 17. Subito! È per il
fronte!
Solamente quasi due ore e mezzo dopo, i delegati cominciarono a tornare. Il Presidium riprese il suo posto e la seduta ricominciò con la lettura di telegrammi, annuncianti l'adesione di vari reggimenti al Comitato militare rivoluzionario.
L'assemblea ritrovò poco a poco il suo movimento e la sua
atmosfera. Un delegato delle truppe russe del fronte macedone fece una amara
descrizione della situazione:
— Noi soffriamo più per l'amicizia dei nostri «alleati»
che
per colpa dei nostri nemici — disse.
I rappresentanti
della X e della XIL Armata, arrivati
in quel momento, dichiararono:
— Noi siamo con voi e mettiamo tutte le nostre forze a vostra
disposizione.
Un contadino soldato protestò contro la liberazione dei «socialtraditori Maslov e Salazkin»; quanto al Comitato esecutivo dei Soviet
contadini, aggiunse, bisogna arrestarlo in massa. Si parlava adesso il vero
linguaggio rivoluzionario... Un deputato delle truppe russe di Persia dichiarò
che era stato incaricato di reclamare il passaggio di tutto il potere al
Soviet. Un ufficiale ucraino, esprimendosi nella sua lingua natale, proclamò:
— Il nazionalismo non c'entra in questa crisi... Viva la dittatura
proletaria in tutti i paesi!
Era un vero diluvio delle idee più nobili e più ardenti; mai più, dopo tutto ciò, sarebbe stato possibile di imporre il silenzio alla Russia!
Kamenev, osservando che tutte le forze antibolsceviche cercavano di fomentare ovunque dei disordini, lesse un appello del Congresso a tutti i Soviet di Russia:
Alle due il Decreto sulla terra fu posto in votazione; non vi fu che un solo voto contro, ed i delegati contadini erano pazzi di gioia. I bolscevichi si lanciavano così nell'azione, irresistibili, rovesciando tutte le esitazioni e tutte le opposizioni, soli in Russia ad avere un programma definito, mentre gli altri non facevano che chiacchiere da otto mesi.
Un soldato scarno, vestito di stracci, protestò eloquentemente contro l'articolo dell'«Istruzione per i contadini» che escludeva i disertori militari dalla spartizione delle terre nel villaggio. Fu accolto dapprima da urla e da fischi, ma la sua parola semplice e commovente impose il silenzio:
— Gettato, contro la sua volontà, nel macello delle trincee,
di cui voi stessi avete riconosciuto l'assurdità e l'abbominio nel
Decreto sulla pace, il soldato ha salutato nella rivoluzione una
speranza di pace e di libertà.
Di pace? Il governo di Kerenski l'ha rimandato in Galizia a
massacrare ed a farsi massacrare, e Teresctscenko sapeva solamente ridere
quando un soldato implorava la pace!... Di libertà? Sotto Kerenski si sono
soppressi i suoi Comitati, proibiti i suoi giornali, imprigionati gli oratori
del suo partito... Al villaggio i grandi proprietari ignoravano i Comitati
agrari, imprigionavano i suoi compagni... A Pietrogrado la borghesia, alleata
ai tedeschi, sabotava i rifornimenti dell'esercito in viveri e munizioni,
mentre lui mancava di scarpe e di vestiti. Chi l'ha spinto alla diserzione? Il
governo di Kerenski che voi avete rovesciato!
Alla fine l'oratore riuscì a strappare gli applausi, ma un altro soldato lo confutò con passione.
— Il governo di Kerenski — disse — non può servire di scusa per atti così sporchi come la diserzione. I disertori sono delle canaglie che se ne tornano a casa e lasciano i loro compagni soli nelle trincee! Qualunque disertore è un traditore e merita di essere punito... (Tumulto, grida: Basta! Silenzio!)
Kamenev si affrettò a proporre di rimettere la questione al governo.
Alle due e mezzo del mattino, si fece un silenzio solenne. Kamenev cominciò la lettura del Decreto sulla formazione del governo:
Il silenzio continuò a regnare, ma quando cominciò la lettura della lista dei commissari, gli applausi crepitarono dopo ciascun nome, soprattutto dopo quelli di Lenin e di Trotsky:
La sala era irta di baionette. Il Comitato militare rivoluzionario armava tutti; il bolscevismo si armava per la lotta decisiva contro Kerenski, delle cui trombe il vento del sud-ovest portava gli echi... Nessuno pensava a rincasare; al contrario centinaia di nuovi arrivati entravano nella vasta sala; visi rudi di soldati e di operai che, in piedi per ore ed ore, ascoltavano instancabilmente i discorsi. L'aria era pesante per il fumo delle sigarette, per il respiro degli uomini, per l'odore dei vestiti grossolani e del sudore.
Avilov, redattore della Novaia Jizn, parlò a nome dei
socialdemocratici internazionalisti e dei menscevichi internazionalisti
rimasti al Congresso; il suo viso giovane ed intelligente, la sua rendigote
elegante spiccava nell'ambiente.
— Bisogna domandarci dove andiamo... La facilità con la quale il governo di coalizione fu rovesciato non si spiega con la forza
dell'ala sinistra della democrazia, ma con l'incapacità di quel
governo a dare al popolo la pace ed il pane. L'ala sinistra riuscirà a
mantenersi al potere solo se saprà risolvere questi problemi...
Potrà dare il pane al popolo? Il grano è scarso. La maggioranza
dei contadini non sarà con voi, perché voi non potete fornire loro le macchine
di cui essi hanno bisogno. È quasi impossibile procurarsi il combustibile e le
altre materie di prima necessità...
Quanto alla pace, la difficoltà è ancora maggiore. Gli alleati
si sono rifiutati di trattare con Skobelev. Essi non accetteranno mai una
proposta di conferenza per la pace fatta da voi. Voi non sarete riconosciuti né
a Londra, né a Parigi, né a Berlino...
Voi non potete contare sull'aiuto efficace del proletariato
dei paesi alleati, perché, nella maggioranza dei paesi, esso è ancora molto
lontano dalla lotta rivoluzionaria. Ricordatevi che la democrazia alleata non
è riuscita neppure a condurre in porto la Conferenza alleata di Stoccolma.
Circa i socialdemocratici tedeschi, ho parlato poco fa col compagno
Goldemberg, uno dei nostri delegati a Stoccolma: i rappresentanti dell'estrema
sinistra gli hanno detto che la rivoluzione in Germania è impossibile fino a
quando durerà la guerra...
Cominciarono le interruzioni, ma Avilov tenne duro.
— L'isolamento della Russia avrà fatalmente come risultato o la disfatta dell'esercito russo da parte della Germania, e
una pace fatta a spese della Russia fra la coalizione austro-tedesca e la
coalizione franco-inglese, od una pace con la Germania.
Ho saputo adesso che gli ambasciatori si preparano a partire
e che dei Comitati per la salvezza del paese e della rivoluzione si
costituiscono in tutte le città della Russia...
Nessun partito ha le forze per vincere queste enormi difficoltà.
Solo un governo di coalizione socialista, appoggiato sulla maggioranza del popolo,
può condurre a fine la rivoluzione.
Alla fine lesse la risoluzione votata dai due gruppi:
Malgrado l'esaltazione rivoluzionaria di quella assemblea vittoriosa, il ragionamento calmo, obbiettivo di Avilov era stato efficace. Verso la fine le acclamazioni ed i fischi cessarono e si sentì anche qualche applauso.
Gli seguì Karelin, giovane anche lui, intrepido, di una
sincerità riconosciuta da tutti. Parlava a nome dei S.R. di sinistra, il
partito di Maria Spiridonova, quasi il solo che seguisse i bolscevichi, il
partito che rappresentava i contadini rivoluzionari.
— Il nostro partito ha rifiutato di entrare nel Consiglio
dei Commissari del popolo, perché noi non vogliamo separarci per sempre da
quella parte dell'esercito rivoluzionario che ha abbandonato il Congresso;
tale separazione non ci permetterebbe più di servire da intermediari tra i
bolscevichi e gli altri gruppi della democrazia... Ora questo è il nostro
principale compito per il momento. Noi possiamo sostenere solo un governo di
coalizione socialista.
Noi protestiamo contro la condotta tirannica dei bolscevichi.
I nostri commissari
sono stati cacciati dai loro posti. Il nostro solo giornale, lo Znamia Truda
(La bandiera del lavoro), è stato proibito ieri...
La Duma Centrale sta formando contro di voi un potente
Comitato per la salvezza del paese e della rivoluzione. Voi siete già isolati
ed il vostro governo non ha l'appoggio di alcun altro gruppo democratico...
Trotsky salì allora alla tribuna, pieno di fiducia,
l'aspetto di dominatore, con una espressione sarcastica all'angolo delle labbra
che era quasi un sogghigno. Egli parlò con voce sonante, e la folla si levò per
acclamarlo.
— Le considerazioni sul pericolo del nostro partito di trovarsi
isolato non sono nuove. Anche alla vigilia della insurrezione si era predetto
che la nostra sconfitta era fatale. Tutti erano contro di noi, eccetto il
gruppo dei S.R. di sinistra, che entrò con noi nel Comitato militare
rivoluzionario. Come abbiamo potuto allora rovesciare il governo, quasi senza
spargimento di sangue? Questo fatto è la prova più evidente che noi non
eravamo isolati. In realtà, isolato era il governo provvisorio; isolati e staccati
per sempre dal proletariato erano e sono i partiti democratici che marciano
contro di noi.
Si parla della necessità di una coalizione. Vi è una sola
coalizione possibile, quella degli operai, dei soldati e dei contadini
poveri... Di che razza di coalizione vuoi parlare Avilov? Di una coalizione con
coloro che hanno sostenuto il governo traditore del popolo? Non sempre
coalizione vuoi dire forza. Per esempio, avremmo potuto noi organizzare
l'insurrezione se avessimo avuto tra di noi Dan o Avxentiev? (Tempesta di
risate).
Avxentiev non ha dato molto pane. Una coalizione con i
guerrafondai ce ne darà di più? Tra i contadini e Avxentiev, che ha fatto
arrestare i Comitati agrari, noi scegliamo i contadini!
La nostra rivoluzione rimarrà la rivoluzione classica
dell'avvenire...
Ci si accusa di respingere una intesa con gli altri partiti
democratici. Ma siamo proprio noi quelli che devono essere biasimati? Oppure
bisogna, come vuole Karelin, dare la colpa ad un «malinteso»? No, compagni.
Quando un partito, in piena lotta rivoluzionaria, ancora avviluppato nel fumo
della polvere, viene a dire: «ecco il potere, prendetelo» e coloro cui è
offerto passano al nemico, questo non si chiama un «malinteso», è una
dichiarazione di guerra a fondo. E non siamo noi che abbiamo dichiarato la
guerra.
Avilov ci annuncia che, se noi rimarremo isolati, non
riusciremo a concludere la pace. Ripeto che non vedo come una coalizione con
Skobelev od anche con Teresctscenko potrebbe aiutarci a fare la pace. Avilov
tenta di spaventarci con la prospettiva minacciosa di una pace fatta a nostre
spese. Rispondo che, in tutti i casi, la Russia rivoluzionaria sarà
inevitabilmente perduta se l'Europa continuerà ad essere governata dalla
borghesia imperialista...
Vi sono due sole alternative: o la rivoluzione russa scatenerà
un movimento rivoluzionario in Europa o le potenze europee schiacceranno la
rivoluzione russa.
Questo discorso fu salutato da immense acclamazioni e da entusiastiche approvazioni; quegli uomini si sentivano i campioni dell'umanità. E da quel momento vi fu in tutti gli atti delle masse insorte un sentimento di coscienza ed una decisione che non le abbandoneranno più.
Ma anche nell'altro campo si organizzava la lotta.
Kamenev diede la parola ad un delegato del sindacato dei
ferrovieri, un uomo tarchiato, dal viso rude e marcato da una implacabile
ostilità. Le sue parole caddero come un fulmine su tutta l'assemblea.
— A nome dell'organizzazione più potente della Russia, reclamo
il diritto di parlare e vi dico: il Vikjel mi incarica di portare a
vostra conoscenza la decisione del sindacato circa la formazione del governo.
Il Comitato centrale rifiuterà ogni appoggio ai bolscevichi se essi persistono
nell'isolarsi dall'insieme della democrazia russa! (Grande tumulto in tutta
la sala).
Nel 1905 e durante le giornate di Kornilov i ferrovieri sono
stati i migliori difensori della rivoluzione. Malgrado questo, non ci avete
invitati al vostro congresso...
— È stato il vecchio Zik che non vi ha invitati! L'oratore non si lasciò smontare.
— Noi non riconosciamo la legalità di questo Congresso, perché, dopo l'allontanamento dei menscevichi e dei S.R., non c'è
più il numero legale...
Il sindacato è per il vecchio Zik e dichiara che il
Congresso non ha diritto di eleggere un nuovo Comitato...
Il potere deve appartenere ad un governo socialista rivoluzionario,
responsabile davanti agli organi della intera democrazia rivoluzionaria. Fino
alla costituzione di un tale potere, il sindacato dei ferrovieri, che rifiuta
di trasportare a Pietrogrado le truppe controrivoluzionarie, rifiuterà
egualmente di eseguire qualsiasi altro ordine senza l'approvazione del suo
Comitato esecutivo. Il Vikjel ha anche deciso di assumere tutta la
direzione delle ferrovie russe.
Alla fine la sua voce fu quasi coperta dalla furiosa tempesta di ingiurie che si abbatté contro di lui. Ma il colpo era stato rude; lo si vedeva dai visi pensierosi dei membri della presidenza. Tuttavia Kamenev rispose semplicemente che la legalità del Congresso non poteva essere messa in dubbio, poiché era rimasto un numero di delegati superiore ad numero legale fissato dal vecchio Zik, anche dopo la partenza dei menscevichi e dei S.R.
Si passò alla votazione. Il Consiglio dei Commissari del popolo fu sanzionato con una maggioranza enorme...
L'elezione del nuovo Zik, il nuovo Parlamento della Repubblica russa, durò esattamente quindici minuti. Trotsky annunciò la sua composizione: 100 membri, di cui 70 bolscevichi: quanto ai contadini ed ai gruppi dissidenti venivano loro riservati dei posti.
— Noi accoglieremo nel governo tutti i partiti e tutti i gruppi che accetteranno il nostro programma — terminò Trotsky.
Su queste parole, il II Congresso panrusso dei Soviet si separò e subito i suoi membri si slanciarono ai quattro angoli della Russia, per portarvi la notizia dei grandi avvenimenti...
Erano quasi le sette quando svegliammo i conduttori dei tranvai che il sindacato dei tranvieri teneva sempre pronti a Smolni per ricondurre a casa i delegati. Nelle vetture ricolme si manifestava minor gaiezza che durante la notte precedente. Molti apparivano preoccupati; forse pensavano: «Eccoci padroni, ma come faremo a far eseguire le nostre decisioni?».
Giunti a casa fummo fermati nell'oscurità da una pattuglia di cittadini armati che ci perquisì accuratamente. Il proclama della Duma era in funzione...
La padrona di casa, sentendoci arrivare, ci venne incontro in una vestaglia di seta rosa.
— Il Comitato di caseggiato ha di nuovo insistito affinché
voi
assumiate il vostro turno di guardia come gli altri uomini della
casa, — disse.
— Perché questa guardia?
— Per proteggere la casa, le donne, i fanciulli.
— Contro di chi?
— Contro i ladri e gli assassini.
— Ma se si trattasse di un Commissario del Comitato militare
rivoluzionario che viene a perquisire per vedere se vi sono
delle armi?
— Oh! dicono tutti che sono Commissari... Poi in fondo,
che differenza c'è?
Replicai energicamente che il console aveva proibito a tutti i cittadini americani di prender le armi, soprattutto accanto all'intellighentia russa...
NOTE
1. Si noti che, nell’accezione
staliniana, questo può essere definito come un “governo
controrivoluzionario”. Se si eccettua Stalin, infatti, dei 13 membri che lo
componevano, 4 sono morti prima delle purghe (Lunaciarski, Stepanov, Noguin,
Lenin – gli ultimi due sono morti prima ancora che nascesse lo “stalinismo”, ovvero che venisse concepita la teoria del “socialismo in un paese solo”), 8
sono stati eliminati dalle purghe come traditori della rivoluzione, ed uno solo
(Gliebov) è sopravvissuto, dimostrandosi “vero rivoluzionario”.
Inizio pagina Ultima modifica 11.1.2004
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