La situazione della classe operaia in Inghilterra

Friedrich Engels (1845)


Tradotto da Vittorio Piva (†1907) in: La condizione della classe operaia in Inghilterra secondo un'inchiesta diretta e fonti autentiche : 1845 / Federico Engels. - Roma : L. Mongini, 1899. - XXI, 238 p., [1] c. di tav. ; 25 cm.

Libro fornito dapprima dalla Biblioteca Francesco Domenico Guerrazzi e dopo il suo smarrimento dalla Biblioteca Franco Serantini che ne ha salvato una copia da un incendio.

Testo trascritto da Leonardo Maria Battisti.


Dedica e Prefazioni [Versione alternativa: ]
I - Introduzione
II - Il proletariato industriale
III - Le grandi città
IV - La concorrenza
V - L'immigrazione irlandese
VI - Risultati

VII - I singoli settori di lavoro. Gli operai di fabbrica in senso stretto
VIII - Gli altri settori di lavoro

IX - Movimenti operai
X - Il proletariato minerario
XI - Il proletariato agricolo

XII- L'atteggiamento della borghesia verso il proletariato

Argomento e analisi del testo di Eric J. Hobsbawm (traduzione di Elsa Fubini)

Il volume comincia con una breve descrizione di quella rivoluzione industriale che trasformò la società inglese e creò, come suo principale prodotto, il proletariato (capitoli I-II). È questo il primo fra i risultati pionieristici conseguiti da Engels, giacché la Situazione è probabilmente il primo lavoro di una certa mole la cui analisi si basi sistematicamente sul concetto di rivoluzione industriale, che era allora di fresca data e ancora in fase sperimentale, essendo stato creato nei dibattiti dei socialisti inglesi e francesi negli anni venti. Il resoconto storico che fa Engels di questa trasformazione non pretende ad alcuna originalità storica. Benché ancora utile, è stato superato da opere più tarde e più complete.

Socialmente, Engels vede le trasformazioni arrecate dalla rivoluzione industriale come un gigantesco processo di concentrazione e di polarizzazione che tende a creare un proletariato sempre più numeroso e una borghesia sempre più ristretta, entrambi in una società sempre più urbanizzata. Il sorgere del capitalismo industriale distrugge i piccoli produttori di merci, i contadini e la piccola borghesia, mentre il declino di questi strati intermedi, privando il lavoratore della possibilità di diventare un piccolo maestro artigiano, lo confina nei ranghi del proletariato, che in tal modo diventa

«una classe reale e stabile della popolazione, mentre prima rappresentava soltanto uno stadio di passaggio verso la borghesia».

Gli operai perciò sviluppano una coscienza di classe — il termine non è usato da Engels — e un movimento operaio. Questo è un altro degli importanti risultati conseguiti da Engels. Per dirla con le parole di Lenin, Engels

«per primo affermò che il proletariato non è soltanto una classe che soffre; sostenne che appunto la vergognosa situazione economica nella quale si trova lo spinge irresistibilmente in avanti e lo incita a lottare per la sua emancipazione definitiva»1.

Tuttavia, questo processo di concentrazione, polarizzazione e urbanizzazione non è fortuito. L’industria meccanizzata che lavora su larga scala esige investimenti di capitale sempre maggiori, la sua divisione del lavoro richiede l’accumularsi di gruppi molto numerosi di proletari. Queste grandi unità di produzione, anche quando sono edificate nella campagna, attraggono intorno a sé delle collettività che produrranno un surplus di forza-lavoro, cosicché i salari cadranno e altri industriali saranno a loro volta attratti. Così i villaggi industriali si trasformano in città che continuano ad espandersi a causa dei vantaggi economici che presentano per gli industriali. Benché l’industria tenda a spostarsi dai salari urbani più alti, a quelli rurali più bassi, ciò a sua volta fa sí che nella campagna vengano gettati i semi dell’urbanizzazione.

Per Engels le grandi città sono perciò le sedi più tipiche del capitalismo, ed egli le discute nel capitolo III. Lo sfruttamento e la concorrenza sfrenata appaiono nella loro forma più nuda:

«Dovunque barbara indifferenza, duro egoismo da un lato, e una miseria indicibile dall’altro, dappertutto la guerra sodale, la casa di ogni singolo in stato d’assedio, dappertutto rapine reciproche sotto la protezione della legge».

In questa anarchia coloro che non hanno mezzi di sussistenza e di produzione sono sconfitti e costretti a faticare per un pezzo di pane o a morire di inedia quando sono disoccupati. E, quel che è peggio, sono condannati ad una vita di profonda insicurezza, nella quale il futuro dell’operaio è del tutto ignoto e instabile. In realtà esso è governato dalle leggi della concorrenza capitalistica che Engels discute nel capitolo IV.

Il salario dell’operaio fluttua tra un minimo situato al livello di sussistenza, — benché questo non sia un concetto rigido per Engels, — che è stabilito dalla concorrenza reciproca tra gli operai, ma limitato dalla loro impossibilità di lavorare al di sotto di tale livello di sussistenza, ed un massimo, stabilito dalla concorrenza reciproca tra i capitalisti nei periodi di scarsità di manodopera. Il salario medio è leggermente superiore al minimo, la misura dipende dal livello di vita, abituale o acquisito, degli operai. Ma certi tipi di lavoro, soprattutto nell'industria, richiedono operai più qualificati, e il livello salariale medio di questi ultimi è perciò superiore a quello degli altri, anche se in parte questo livello più elevato riflette il più elevato costo della vita nelle città. (Il livello più alto del salario concorre anche ad espandere la classe operaia attirando immigranti dalle campagne e dai paesi stranieri, in questo caso dall'Irlanda.) Tuttavia la concorrenza tra gli operai crea una «popolazione eccedente» permanente, — ciò che Marx chiamerà in seguito «esercito industriale di riserva», — che serve a mantenere basso il livello di vita di tutti.

Ciò accade nonostante l’espansione di tutta l'economia, grazie al minor costo dei beni dovuto al progresso tecnologico, che aumenta la domanda e riassorbe molti degli operai spostandoli nelle nuove industrie. Ciò è anche dovuto al monopolio mondiale della Gran Bretagna. In sostanza, cresce la popolazione, aumenta la produzione, e lo stesso accade per la domanda di manodopera. Tuttavia la «popolazione eccedente» permane per l'azione del ciclo periodico di prosperità e crisi, che Engels fu tra i primi a riconoscere come parte integrante del capitalismo, e per il quale fu anche tra i primi a suggerire una precisa periodicità2. L’aver compreso che l’esercito di riserva e parte essenziale e permanente del capitalismo e l’aver compreso l’esistenza del ciclo commerciale, sono due altri aspetti importanti di quest’opera di pionierismo teorico. Il capitalismo opera attraverso fluttuazioni, deve avere una riserva permanente di operai, eccettuato il momento più alto del boom. La riserva è composta in parte da proletari, in parte da proletari potenziali: abitanti della campagna, immigrati irlandesi, gente proveniente da occupazioni economicamente meno dinamiche.

Quale tipo di classe operaia produce il capitalismo? Quali sono le sue condizioni di vita, quale sorta di comportamento individuale e collettivo creano queste condizioni materiali? Engels dedica la maggior parte della sua opera (capitoli III, V-XI) alla descrizione e alla analisi di questi problemi, e così facendo dà il suo contributo più maturo alla scienza sociale: una analisi ancora oggi insuperata dell’industrializzazione e urbanizzazione capitalistiche nel loro impatto con la società. Il capitalismo scaraventa il nuovo proletariato, spesso composto di immigrati provenienti da un ambiente preindustriale, in un inferno sociale che li maciulla, mal pagati e affamati, e li lascia morire negli slums, negletti disprezzati e coartati non solo dalla forza impersonale della concorrenza, ma dalla borghesia come classe, che li considera oggetti e non uomini, «lavoro», «mani», non essere umani (capitolo XII). Il capitalista, sostenuto dalla legge borghese, impone la sua disciplina di fabbrica, li multa, li fa buttare in prigione, impone la propria volontà arbitraria. La borghesia come classe li discrimina, sviluppa contro di essi la teoria malthusiana della popolazione e impone loro le crudeltà della malthusiana «nuova legge dei poveri» del 1834. Tuttavia questa disumanizzazione sistematica serve anche a tenere gli operai lontani dall'ideologia e dalle illusioni borghesi, per esempio dall'egoismo, dalla religione e dalla moralità borghesi. La progressiva industrializzazione e urbanizzazione li obbliga ad apprendere quale sia il loro collocamento nella società e, concentrandoli, li rende consapevoli della propria forza.

«Quanto più strettamente gli operai sono associati all'industria, tanto più sono progrediti».

(Tuttavia Engels osserva anche l'effetto radicalizzante delle immigrazioni di massa, ad esempio tra gli irlandesi.)

Gli operai affrontano la loro situazione in modi diversi. Alcuni soccombono, cadendo vittime della degradazione morale: ma l'aumento dell’alcolismo, del vizio, del crimine e del modo irrazionale di spendere sono un fenomeno sociale, creato dal capitalismo, e non possono essere spiegati con la debolezza e volubilità degli individui. Altri accettano il loro destino passivamente e vegetano come meglio possono da cittadini ligi alle leggi, non si interessano degli affari della collettività e in tal modo finiscono coll'aiutare la borghesia a ribadire le catene che avvincono gli operai. Vera umanità e dignità possono trovarsi soltanto nella lotta contro la borghesia, nel movimento operaio che le condizioni di vita degli operai produce inevitabilmente.

Il movimento passa attraverso varie fasi. Una può essere la rivolta individuale, — il delitto, — un'altra la distruzione di macchine, benché né l'una né l'altra si trovino dappertutto. Il tradunionismo e gli scioperi sono le prime forme generali che assume il movimento. Sono importanti non per la loro efficacia, ma per le lezioni di solidarietà e di coscienza di classe che essi impartiscono. Il movimento politico del cartismo segna un livello ancora più alto di sviluppo. Accanto a questi movimenti si hanno le teorie socialiste elaborate da pensatori che, dice Engels, fino al 1844 erano restati in larga misura fuori del movimento operaio, pur attirando una piccola minoranza degli operai migliori. Il movimento tuttavia dovrà accostarsi al socialismo man mano che avanza la crisi del capitalismo.

Secondo Engels nel 1844 questa crisi si trovava a un bivio obbligato: o la concorrenza americana (e forse quella tedesca) avrebbe posto fine al monopolio industriale inglese, facendo così precipitare una situazione rivoluzionaria, oppure la polarizzazione della società sarebbe continuata finché gli operai, ormai diventati la grande maggioranza della popolazione, avrebbero preso coscienza della loro forza e si sarebbero impadroniti del potere. (È interessante osservare che nel ragionamento di Engels non viene sottolineata la pauperizzazione a lunga scadenza del proletariato.) Tuttavia, date le intollerabili condizioni degli operai e la crisi dell'economia, si profilava possibile lo scoppio di una rivoluzione prima che queste tendenze si rivelassero appieno. Engels pensava che ciò sarebbe avvenuto tra le due successive depressioni economiche, cioè tra il 1846-1847 e la metà degli anni cinquanta.

Per quanto si tratti di un'opera immatura, i risultati scientifici conseguiti da Engels sono tuttavia notevoli. I difetti sono soprattutto difetti di gioventù e in una certa misura di angolazione storica. Per alcuni errori si può dare una fondata spiegazione storica. Quando Engels scriveva, il capitalismo inglese si trovava nella fase più acuta del primo dei suoi grandi periodi di crisi secolari, ed egli giunse in Inghilterra forse nel periodo peggiore del più catastrofico crollo del diciannovesimo secolo, quello del 1841-1842. Non era affatto fuori della realtà pensare che il periodo di crisi degli anni quaranta fosse l’agonia finale del capitalismo e il preludio della rivoluzione. Engels non fu l’unico a pensarlo.

Ora, si sa che quella non fu la crisi finale del capitalismo, ma il preludio di un più importante periodo di espansione, basata sul massiccio sviluppo delle principali industrie di base, — ferrovie, ferro e acciaio di contro alle industrie tessili della fase precedente, — sulla conquista di sfere di attività capitalistica ancora più ampie in paesi fino allora sottosviluppati, sulla sconfitta degli interessi agrari costituiti, e infine sulla scoperta di metodi nuovi e più efficaci di sfruttamento delle classi lavoratrici, attraverso i quali, sia detto per inciso, si rese possibile un aumento sostanziale dei loro redditi reali. Si sa anche che la crisi rivoluzionaria del 1848, da Engels prevista con notevole esattezza, non toccò la Gran Bretagna. Ciò fu dovuto soprattutto a un fenomeno di sviluppo ineguale che egli non aveva la possibilità di prevedere. Infatti, mentre sul continente la fase acuta della crisi economica si ebbe nel 1846-1848, in Inghilterra il punto equivalente era stato toccato nel 1841-1842. Mentre nel 1848 il nuovo periodo di espansione, il cui primo sintomo fu il vasto «boom delle ferrovie» del 1844-1847, era già in atto. L’equivalente britannico della rivoluzione del 1848 fu lo sciopero generale cartista del 1842. La crisi, che fece precipitare le rivoluzioni sul continente, in Inghilterra si limitò a interrompere un periodo di rapida ripresa. A Engels toccò la sfortuna di scrivere in un momento in cui tutto ciò non poteva essere chiaro. Ancora oggi gli studiosi di statistica discutono sul punto in cui collocare esattamente, tra il 1842 e il 1848, il segno di demarcazione tra gli «anni neri» e quelli d'oro del boom vittoriano del capitalismo inglese. È difficile biasimare Engels per non aver saputo vedere più chiaro.

Il lettore imparziale può comunque giudicare secondarie le deficienze del libro, e non può invece non essere assai più colpito dai risultati raggiunti, dovuti non solo all'innegabile talento personale di Engels, ma anche al suo comunismo. È questo che gli diede, per i fatti economici, sociali e storici, una perspicacia tanto superiore a quella dei contemporanei campioni del capitalismo. Buon scienziato sociale, come Engels mostrava, poteva essere solo chi fosse libero dalle illusioni della società borghese.


Note

1. Cfr. Lenin: Friedrich Engels (1895)

2. Su questo punto Engels può forse essere debitore di qualcosa a e ancora di più a John Wade, autore della History of the Middle and Working Classes (1833), opera di cui si servi nella preparazione del presente libro, Wade suggeriva un ciclo di 5-7 anni, che Engels accetto, per abbandonarlo più tardi in favore di un ciclo decennale.


Ultima modifica 2021.07.01