Per il secondo anniversario del potere sovietico avevo pensato di scrivere un opuscolo sull'argomento indicato nel titolo. Ma nel fervore del lavoro quotidiano non sono riuscito a spingermi oltre la preparazione preliminare di singole sue parti. Ho quindi deciso di esporre brevemente, in compendio, le idee, che, secondo me, sono essenziali su questo argomento. S'intende che un'esposizione succinta presenta molti inconvenienti e difetti. Ma forse a un breve articolo di rivista sarà possibile raggiungere lo scopo modesto di dare l'impostazione della questione ed il canovaccio sul quale i comunisti di tutti i paesi potranno fondare le loro discussioni.
*****
I. Teoricamente è fuori di dubbio che tra il capitalismo e
il comunismo vi è un determinato periodo di transizione. Esso non può non
racchiudere in sé i tratti o le particolarità di ambedue queste forme di
economia sociale. Questo periodo di transizione non può non essere un periodo
di lotta tra il capitalismo agonizzante e il comunismo nascente, o in altre
parole: tra il capitalismo vinto ma non distrutto, e il comunismo che è nato ma
è ancora debolissimo.
Non soltanto per un marxista, ma per ogni persona colta che conosca più o meno
la teoria dell'evoluzione, deve essere ovvia la necessità di un'intera epoca
storica che si distingua per i tratti propri dei periodi di transazione.
Purtuttavia tutte le considerazioni sul passaggio al socialismo che ci vien
fatto di sentire dai rappresentanti contemporanei della democrazia
piccolo-borghese (e tali sono, nonostante la loro etichetta pseudosocialista,
tutti i rappresentanti della II Internazionale inclusi uomini come MacDonald, Jean Longuet, Kautsky e Friedrich Adler), si distinguono
appunto per l'oblio completo di questa verità apodittica. Il tratto proprio dei
democratici piccolo-borghesi è la ripugnanza per la lotta di classe, il sogno di
farne a meno, l'aspirazione a spianare e a conciliare, a smussare gli angoli
acuti. Perciò questi democratici non vogliono a nessun costo riconoscere la
necessità di un intero periodo storico di transizione dal capitalismo al
comunismo, oppure considerano loro compito escogitare dei piani per conciliare
le due forze in lotta, invece di dirigere la lotta di una di queste due forze.
II. La dittatura del proletariato in Russia, in confronto ai
paesi avanzati, deve inevitabilmente distinguersi per certe sue particolarità,
in conseguenza del carattere molto arretrato e piccolo-borghese del nostro
paese. Ma le forze fondamentali – e le forme fondamentali dell'economia sociale
– sono in Russia le stesse che in qualsiasi altro paese capitalistico, cosicché
queste particolarità possono riferirsi soltanto a ciò che non è essenziale.
Queste forme fondamentali dell'economia sociale sono: il capitalismo, la
piccola produzione mercantile, il comunismo. Queste forze essenziali sono la
borghesia, la piccola borghesia (specialmente i contadini), il proletariato.
Nell'epoca della dittatura del proletariato l'economia in Russia rappresenta la
lotta del lavoro organizzato in modo comunista ai suoi primi passi, nell'ambito
di un immenso Stato, contro la piccola produzione mercantile e contro il
capitalismo che si è conservato e che rinasce sulla base della piccola
produzione mercantile.
In Russia il lavoro è organizzato in modo comunista in quanto, anzitutto, è
abolita la proprietà privata sui mezzi di produzione e, secondariamente, in
quanto il potere statale proletario organizza su scala nazionale la grande
produzione sulla terra dello Stato e nelle imprese statali, ripartisce la mano
d'opera tra i diversi rami dell'economia e tra le imprese, distribuisce tra i
lavoratori una grande quantità di generi di consumo appartenenti allo Stato.
Noi parliamo dei «primi passi» del comunismo in Russia (come vien detto nel
programma del nostro partito, approvato nel marzo 1919) perché tutte queste
condizioni da noi sono realizzate soltanto parzialmente, o, in altre parole, la
realizzazione di queste condizioni si trova allo stadio iniziale.
Immediatamente, con un colpo rivoluzionario, è stato fatto ciò che in generale
è possibile fare subito: per esempio, sin dal primo giorno della dittatura del
proletariato, il 26 ottobre 1917 (8 novembre 1917), fu abolita la proprietà
privata della terra, senza alcuna indennità ai grandi proprietari; furono
espropriati i grandi proprietari terrieri. In qualche mese furono egualmente
espropriati, pure senza alcuna indennità, quasi tutti i grandi capitalisti, i
proprietari delle fabbriche, delle officine, delle società per azioni, delle
banche, ferrovie, ecc. L'organizzazione della grande produzione industriale da
parte dello Stato, il passaggio dal «controllo operaio» alla «direzione
operaia» delle fabbriche, delle officine, delle ferrovie, tutto ciò, nei suoi
tratti essenziali e fondamentali, già è stato realizzato, ma circa l'economia
agricola siamo appena agli inizi («aziende sovietiche», grandi aziende organizzate
dallo Stato operaio sulla terra dello Stato). Cos ì è appena incominciata
l'organizzazione di diverse forme di cooperative di piccoli agricoltori, come
transizione dalla piccola agricoltura mercantile a quella comunista
[*1]. Bisogna dire la stessa cosa dell'organizzazione statale
della distribuzione dei viveri, la quale sostituisce il commercio privato, vale
a dire la compera del grano da parte dello Stato e il suo trasporto nelle
città, e il trasporto dei prodotti industriali nei villaggi. Citeremo in
proposito più sotto i dati statistici esistenti.
L'azienda contadina continua a essere piccola produzione mercantile. Qui
abbiamo una base per il capitalismo straordinariamente vasta e con radici molto
profonde, molto solide. Su questa base il capitalismo si conserva e rinasce in
una lotta accanita contro il comunismo. Forme di questa lotta: la piccola e la
grande speculazione contro l'acquisto del grano (e di altri prodotti) da parte
dello Stato, e in generale contro la distribuzione dei generi alimentari fatta
dallo Stato.
III. Per lumeggiare queste tesi teoriche astratte citerò dei
dati concreti.
Secondo i dati del Commissariato del popolo per gli approvvigionamenti, dal 1°
agosto 1917 al 1°agosto 1918, in Russia, gli acquisti di grano da parte dello
Stato sono ammontati a circa 30 milioni di pud. Nell'anno successivo a circa
110 milioni. Durante i primi tre mesi della successiva campagna per la compera
del grano (1919-1920) verosimilmente si raggiungerà la cifra di circa 45 milioni
di pud contro 37 negli stessi mesi (agosto-ottobre) del 1918.
Questi dati ci dicono in modo chiaro che il miglioramento nel senso della
vittoria del comunismo sul capitalismo, è lento ma sicuro. Questo miglioramento
è conseguito nonostante le difficoltà inaudite causate dalla guerra civile
organizzata dai capitalisti russi e stranieri, i quali costringono tutte le
nazioni più potenti del mondo a tendere tutte le loro forze.
Quindi, nonostante le menzogne e le calunnie dei borghesi di tutti i paesi e dei
loro complici aperti e mascherati (i «socialisti» della II Internazionale), una
cosa rimane certa: dal punto di vista del problema economico fondamentale, da
noi, alla dittatura del proletariato è assicurata la vittoria del comunismo sul
capitalismo. E per questa ragione appunto, la borghesia di tutto il mondo
infuria e infierisce contro il Bolscevismo, organizza invasioni militari,
congiure, ecc. contro i bolscevichi, perché comprende benissimo che noi
riporteremo inevitabilmente la vittoria nella riedificazione dell'economia
sociale, se non saremo schiacciati dalla forza militare. Ma essa non riuscirà a
schiacciarci in tal modo.
Le seguenti cifre complessive mostrano precisamente sino a qual punto, nel
breve periodo di tempo che ci era dato e tra le difficoltà inaudite nelle quali
siamo stati costretti ad agire, abbiamo già vinto il capitalismo. L'Ufficio
centrale di statistica ha appena finito di preparare per la stampa i dati sulla
produzione e il consumo del grano non per tutta la Russia sovietica, ma
soltanto per 26 governatorati.
Le cifre complessive sono le seguenti:
|
|
Produ-zione del grano (sementi e foraggi esclusi) (milioni di pud) |
grano consegnato |
quantità totale di grano di cui dispone la popolaz. (milioni di pud) |
consumo medio di grano per ogni abitante (in pud) |
|
26 Governatorati della Russia Sovietica |
popolazione (in milioni) |
da commis-sariato degli approv- vigiona-menti |
dai piccoli specu-latori |
|||
(in milioni di pud) |
||||||
Governatorati produttori di grano |
Città 4,4 |
|
20,9 |
20,6 |
41,5 |
9,5 |
Campagna 28,6 |
625,4 |
|
|
481,8 |
16,9 |
|
Governatorati consumatori di grano |
Città 5,9 |
|
20 |
20 |
40 |
6,8 |
Campagna 13,8 |
114 |
12,1 |
27,8 |
151,4 |
11 |
|
|
Totale (26 gov.) 52,7 |
739,4 |
53 |
68,4 |
714,7 |
13,6 |
Quasi la metà del grano viene quindi fornita alle città dal Commissariato degli approvvigionamenti e l'altra metà dai piccoli speculatori. Nel 1918, un'inchiesta minuziosa sull'alimentazione degli operai delle città ha dato precisamente questa proporzione. Inoltre l'operaio paga per il grano procuratogli dallo Stato nove volte meno che ai piccoli speculatori. Il prezzo di speculazione del grano è dieci volte più alto dei prezzi di Stato. Ciò è dimostrato dallo studio minuzioso dei bilanci operai.
IV. Le cifre sopraccitate, se vengono studiate attentamente,
son una documentazione precisa di tutti i tratti essenziali dell'economia
attuale in Russia.
I lavoratori sono stati liberati dal loro secolari oppressori e sfruttatori, i
proprietari fondiari e i capitalisti. Questo passo in avanti verso la vera
libertà e la vera uguaglianza, passo che non ha precedenti nel mondo per la sua
grandiosità, la sua ampiezza e la sua rapidità, non è tenuto in nessun conto
dai fautori della borghesia (compresi i democratici piccolo-borghesi), i quali
parlano della libertà e dell'eguaglianza dal punto di vista della democrazia
borghese parlamentare, chiamandola falsamente «democrazia» in generale o
«democrazia pura» (Kautsky).
Ma per i lavoratori quello che conta sono appunto la vera eguaglianza, la vera
libertà (la liberazione dai proprietari fondiari e dai capitalisti), e perciò
essi difendono con tanta fermezza il potere sovietico.
In un paese agricolo i primi a trar vantaggio – a trarre il massimo vantaggio,
un vantaggio immediato – dalla dittatura del proletariato sono stati i
contadini in generale. Sotto i proprietari fondiari e i capitalisti il
contadino in Russia soffriva la fame. Per lunghi secoli della nostra storia il
contadino non ebbe la possibilità di lavorare per sé: egli soffriva la fame
mentre forniva ai capitalisti, alla città e all'estero centinaia di milioni di
pud di grano. Per la prima volta, in regime di dittatura del proletariato, il
contadino ha cominciato a lavorare per sé e nutrirsi meglio dell'abitante della
città. Per la prima volta, egli ha conosciuto la libertà nei fatti; è libero di
mangiare il proprio pane, è libero dalla fame. Com'è noto, nella spartizione
della terra è stato stabilito il massimo di uguaglianza: nella stragrande
maggioranza dei casi i contadini dividono la terra proporzionalmente «alle
bocche».
Il socialismo è la soppressione delle classi.
Per abolire le classi è necessario innanzi tutto abbattere i proprietari
fondiari e i capitalisti. Questa parte del compito l'abbiamo adempiuta, ma essa
è soltanto una parte, e inoltre non è la più difficile. Per abolire le classi è
necessario in secondo luogo distruggere la differenza che esiste tra l'operaio
e il contadino, fare di tutti dei lavoratori. E' impossibile fare ciò di punto
in bianco. Questo problema è molto più complesso e, per forza di cose, la sua
soluzione richiede un lungo periodo di tempo. E' impossibile risolverlo
abbattendo una classe qualsiasi. Esso può essere risolto soltanto
riorganizzando tutta l'economia sociale, mediante il passaggio dalla piccola
economia mercantile, individuale, isolata, alla grande economia sociale. Tale
passaggio si compie necessariamente con molta lentezza. Decretare provvedimenti
amministrativi affrettati e mal ponderati non servirebbe che a rendere più
lento e più difficile questo passaggio. E' possibile affrettarlo soltanto
offrendo al contadino un aiuto tale che gli dia la possibilità di migliorare in
grandissima misura tutta la tecnica agricola, di trasformarla radicalmente.
Per risolvere la seconda parte di questo compito – la parte
più difficile – il proletariato, dopo aver vinto la borghesia, nella sua
politica deve seguire costantemente, nei riguardi dei contadini, la seguente
linea fondamentale: deve separare, fare una netta distinzione tra il contadino
lavoratore e il contadino proprietario, tra il contadino lavoratore e il
contadino mercante, tra il contadino lavoratore e il contadino speculatore.
Tutta la sostanza del socialismo sta in questa distinzione.
Nulla di strano quindi che i socialisti a parole, e di fatto democratici
piccolo-borghesi (i Martov, i Cernov, i Kautsky e consorti), non
comprendano questa sostanza del socialismo.
E' molto difficile stabilire la delimitazione qui indicata, perché nella vita
pratica tutti questi tratti particolari del «contadino», per quanto differenti,
per quanto contraddittori, sono fusi in un tutto. Eppure è possibile fare
questa delimitazione, e non solo è possibile, ma essa sgorga inevitabilmente
dalle condizioni dell'economia contadina e della vita contadina. Il contadino
lavoratore anche nelle repubbliche borghesi più democratiche è stato oppresso
per secoli e secoli dal proprietario fondiario, dal capitalista, dal mercante,
dallo speculatore e dal loro Stato. Il contadino lavoratore ha nutrito durante
secoli nel suo intimo l'odio e l'ostilità verso questi oppressori e
sfruttatori, e questa «educazione», datagli dalla vita, lo costringe a cercare
l'alleanza con l'operaio contro il capitalista, contro lo speculatore, contro
il mercante. E al tempo stesso l'ambiente economico, ambiente di economia
mercantile, rende inevitabilmente il contadino (non sempre, ma nella immensa
maggioranza dei casi) mercante e speculatore.
I dati statistici da noi citati più sopra dimostrano in modo evidente la
differenza che passa tra il contadino lavoratore e il contadino speculatore. Il
contadino, il quale ha dato nel 1918-1919, a prezzi fissi, a prezzi di Stato,
40 milioni di pud di grano agli operai affamati delle città, consegnandoli agli
organismi statali, nonostante tutti i difetti di questi organismi, difetti di
cui si rende perfettamente conto il governo operaio, ma che non si possono
eliminare nel primo periodo del passaggio al socialismo – quel contadino è il
contadino lavoratore, è effettivamente un degno compagno dell'operaio
socialista, il suo più sicuro alleato, è suo fratello nella lotta contro il
giogo del capitale. Mentre il contadino il quale ha venduto sottomano 40
milioni di pud di grano a prezzi dieci volte superiori ai prezzi di Stato,
approfittando della miseria e della fame dell'operaio urbano, truffando lo
Stato, incoraggiando e provocando dappertutto l'inganno, il ladrocinio, la
frode, quel contadino è uno speculatore, un alleato del capitalista, è un nemico
di classe dell'operaio, è uno sfruttatore. Poiché possedere eccedenze di grano,
raccolto sulla terra appartenente allo Stato, mediante strumenti nei quali è
incorporato in un modo o in un altro il lavoro dell'operaio, ecc., e non
soltanto quello del contadino, possedere eccedenze di grano e speculare su di
esse, significa essere uno sfruttatore dell'operaio affamato.
Voi violate la libertà, l'uguaglianza, la democrazia, ci si grida da tutte le
parti alludendo all'ineguaglianza tra l'operaio e il contadino, fissata nella
nostra Costituzione, allo scioglimento dell'Assemblea costituente, alla
confisca delle eccedenze di grano, ecc. Noi rispondiamo: non è esistito nel
mondo uno Stato il quale abbia fatto tanto quanto noi per eliminare
quell'effettiva ineguaglianza, quell'effettiva mancanza di libertà, di cui per
secoli e secoli ha sofferto il contadino lavoratore. Ma non riconosceremo mai
l'uguaglianza col contadino speculatore, come non riconosciamo l'«uguaglianza»
tra lo sfruttatore e lo sfruttato, tra il sazio e l'affamato, la «libertà» del
primo di derubare il secondo. E tratteremo alla stessa stregua delle guardie
bianche le persone colte che non vogliono comprendere questa differenza, anche
se costoro si chiamano democratici, socialisti, internazionalisti, i Kautsky, i
Cernov e i Martov.
V. Il socialismo è la soppressione delle classi. La
dittatura del proletariato ha fatto tutto quanto ha potuto per sopprimerle. Ma
non è possibile eliminare le classi di colpo.
E le classi sono rimaste e rimarranno durante l'epoca della
dittatura del proletariato. Il giorno in cui le classi spariranno la dittatura
sarà inutile. Esse non spariranno senza la dittatura del proletariato.
Sono rimaste le classi, ma nell'epoca della dittatura del
proletariato il carattere di ogni classe si è mutato, e si sono mutati anche i
rapporti reciproci fra le classi. Durante l'epoca della dittatura del
proletariato la lotta di classe non sparisce, ma assume unicamente altre forme.
Sotto il capitalismo il proletariato era una classe oppressa,
una classe privata della proprietà dei mezzi di produzione, era l'unica classe
che si contrapponeva direttamente e interamente alla borghesia, e perciò era
l'unica classe capace di essere rivoluzionaria sino in fondo. Il proletariato,
abbattuta la borghesia e conquistato il potere politico, è diventato la classe
dominante: esso ha nelle sue mani il potere statale, dispone dei mezzi di
produzione già socializzati, dirige le classi e gli elementi esitanti,
intermedi, reprime la cresciuta forza di resistenza degli sfruttatori. Questi
sono compiti specifici della lotta di classe, compiti che prima non erano posti
e non potevano essere posti dal proletariato.
Sotto la dittatura del proletariato la classe degli
sfruttatori, dei proprietari fondiari e dei capitalisti non è sparita e non può
sparire ad un tratto. Gli sfruttatori sono stati sconfitti, ma non soppressi.
E' rimasta loro la base internazionale, il capitale internazionale, del quale
essi sono una sezione. In parte sono rimasti loro alcuni mezzi di produzione;
sono rimaste loro somme di denaro; sono loro rimasti larghissimi legami
sociali. La loro forza di resistenza è aumentata, precisamente in conseguenza
della loro sconfitta, centinaia e migliaia di volte. L'«arte», da loro
posseduta, dell'amministrazione statale, militare ed economica dà loro una
grandissima superiorità e la loro importanza è quindi incomparabilmente
maggiore di quella che dovrebbe essere, data la loro proporzione rispetto al
numero complessivo della popolazione. La lotta di classe degli sfruttatori
abbattuti contro l'avanguardia vittoriosa degli sfruttati, cioè contro il
proletariato, è diventata infinitamente più accanita. E non può essere
altrimenti se si parla della rivoluzione, se non si sostituisce questa
concezione con illusioni riformiste (come fanno tutti gli eroi della Il
Internazionale).
Infine, i contadini come, in generale, tutta la piccola
borghesia, occupano, anche nella dittatura del proletariato, una posizione di
mezzo, intermedia: da un lato, si tratta di una massa di lavoratori abbastanza
numerosa (immensa nella Russia arretrata), tenuta insieme dall'interesse comune
dei lavoratori di liberarsi dal giogo del proprietario fondiario e del
capitalista; dall'altro lato, si tratta di piccoli padroni isolati, proprietari
e mercanti. Questa situazione economica causa inevitabilmente delle
oscillazioni tra il proletariato e la borghesia. E data l'aspra lotta tra
questi due ultimi, dato lo sconvolgimento violento di tutti i rapporti sociali,
data l'inveterata abitudine - precisamente dei contadini e dei piccoli borghesi
in generale - a quel che è vecchio, consueto, immutevole, è naturale che noi
osserveremo inevitabilmente tra di essi dei passaggi da una parte all'altra,
delle oscillazioni, dei voltafaccia, delle esitazioni, ecc.
Nei riguardi di questa classe – o nei riguardi di questi
elementi sociali – il compito del proletariato consiste nel dirigerla, nel
lottare per avere un'influenza su di essa. Ecco quello che deve fare il
proletariato: condurre al suo seguito gli elementi esitanti, indecisi.
Se mettiamo a confronto tutte le forze o classi fondamentali
e i loro rapporti reciproci, mutati dalla dittatura del proletariato, vedremo
quale enorme assurdità teorica, quale ottusità rappresenta la concezione
corrente piccolo-borghese sul passaggio al socialismo «attraverso la
democrazia» in generale, concezione che riscontriamo in tutti i rappresentanti
della II Internazionale. La base di quest'errore sta nel pregiudizio, ereditato
dalla borghesia, circa il contenuto assoluto, non classista della «democrazia».
Ma in realtà sotto la dittatura del proletariato anche la democrazia passa ad
una fase del tutto nuova, e la lotta di classe sale a un gradino superiore,
sottomettendo a sé ogni e qualsiasi forma.
Le frasi generiche sulla libertà, l'uguaglianza, la
democrazia equivalgono di fatto a una ripetizione cieca di concezioni che sono
una copia conforme dei rapporti della produzione mercantile. Voler risolvere i
compiti concreti della dittatura del proletariato mediante queste frasi generiche,
significa passare su tutta la linea alla posizione teorica e di principio della
borghesia. Dal punto di vista del proletariato la questione si pone in un modo
solo: liberarsi dall'oppressione di quale classe? eguaglianza di quale classe
con quale altra classe? democrazia sul terreno della proprietà privata oppure
sulla base della lotta per l'abolizione della proprietà privata? ecc,
Molto tempo fa Engels
ha spiegato nell'Anti-Dühring
che la nozione di uguaglianza, essendo una copia conforme dei rapporti
della produzione mercantile, si trasforma in un pregiudizio se non concepisce
l'uguaglianza nel senso della soppressione delle classi. Questa verità
elementare sulla differenza tra il concetto democratico borghese e quello
socialista dell'eguaglianza viene sempre dimenticata. Ma se non si dimentica
questa differenza, appare in modo evidente che il proletariato, il quale ha
abbattuto la borghesia, fa con ciò stesso un passo decisivo verso la
soppressione delle classi, e che per portare a compimento questa soppressione
esso deve continuare la sua lotta di classe, utilizzando l'apparato del potere
statale e applicando differenti metodi per lottare contro la borghesia, che è
stata rovesciata, e contro la piccola borghesia esitante, per influire e agire
su di essa.
NOTE
*1. Nella Russia sovietica il numero delle aziende sovietiche e delle comuni agricole è pressappoco rispettivamente di 3.536 e di 1.961; il numero delle cooperative agricole di 3.696. Il nostro Ufficio centrale di statistica sta eseguendo il censimento esatto di tutte le aziende sovietiche e di tutte le comuni. I risultati saranno noti nel novembre 1919.
Ultima modifica 24.12.2003