Intervento pronunciato il 29 giugno 1921
Non si tratta per me di analizzare il Partito Socialista Italiano, di cui si è parlato abbastanza.
Il fatto principale è la grande crisi del settembre dell'anno passato [1] che ha creato questa situazione. Se si esamina anche da lontano la situazione politica si ha l'impressione, anzi la certezza, che il proletariato italiano ha preso, nel corso degli anni che hanno seguito la guerra, un orientamento nettamente rivoluzionario. Quello che diceva l'Avanti!, quello che dicevano gli oratori del Partito Socialista, era compreso dalla grande massa operaia come un appello alla rivoluzione proletaria; questa propaganda è penetrata nella coscienza, nella volontà della classe operaia e l'azione del settembre ne è stata la prova.
Se si giudica il partito politicamente, bisogna supporre -perché è la sola spiegazione che se ne possa dare- che il Partito Socialista Italiano, falsando la sua politica verbalmente rivoluzionaria, non ha mai tenuto conto delle conseguenze che tale politica poteva avere. Perché tutti sanno che l'organizzazione che fu la più spaventata e la più paralizzata dagli avvenimenti del settembre non era altra che il Partito Socialista che li aveva preparati. Ed ecco, tali fatti ci provano che l'organizzazione italiana era cattiva, perché il Partito non è soltanto una corrente d'idee, uno scopo, un programma, è anche una macchina, un'organizzazione che crea con la sua opera costante le garanzie della vittoria. Il mese di settembre è stato il teatro di una grande crisi per il proletariato e per il Partito socialista italiano. Quali sono le conseguenze che il proletariato italiano ha tratto da questi avvenimenti? È molto difficile rendersene conto adesso, dato che la coscienza di una classe, quando tale classe rompe col suo partito, è subito disorientata. Ma il Partito, quale conclusione ha tratto dalla sua esperienza? Durante i tre anni che hanno seguito la guerra, tutti i compagni che venivano dall'Italia ci dicevano: "Noi siamo pronti, arcipronti per la rivoluzione". Si sapeva di essere alla vigilia della rivoluzione; scatenata la rivoluzione, il partito ha fallito. Quale conclusione si è tratta da questo avvenimento? Che si è fatto? Si è forse detto: "Non eravamo preparati poiché il nostro organismo aveva nel suo seno degli elementi in disaccordo completo che si paralizzavano scambievolmente. Per creare delle condizioni, per quanto queste condizioni dipendono dalla nostra volontà, bisogna volerle". Questa, compagno Lazzari, è la condizione essenziale, bisogna volere la vittoria rivoluzionaria. Si può dopo di ciò discutere, si può analizzare, perché ci vuole strategia, e non si ottiene la vittoria con la volontà pura. Turati e i suoi amici sono onesti in questo senso, che ripetono ogni giorno con assoluta chiarezza che non vogliono la rivoluzione. Non la vogliono, e tuttavia restano nel Partito socialista, di cui anzi sono l'elemento essenziale.
Voi avete fatto l'esperienza di settembre, e dopo quel mese così tragico che avete fatto? Un movimento a destra. Nella vostra nuova frazione parlamentare, i riformisti, cioè quelli che non vogliono la rivoluzione, sono la maggioranza. Il vostro organo centrale, l'Avanti!, ha dato un colpo di timone a destra. Ecco la situazione. Non si può richiamarsi al passato, quando si ha oggi una situazione così chiara e così convincente. C'è contraddizione fra il rivoluzionarismo verbale e le esigenze brutali della situazione rivoluzionaria che si osservava da voi nel mese di settembre. Da questa contraddizione si possono trarre due conclusioni: o respingere quella parte del vostro passato che era soltanto verbalmente rivoluzionaria, e diventate rivoluzionari (ossia vi separate dai riformisti che ostacolano l'azione rivoluzionaria), o dovete dire: "Poiché non volevamo gli avvenimenti di settembre, dobbiamo respingere i metodi che li hanno provocati".
Turati non mancherà di trarre profitto dalle lezioni di settembre e saprà dimostrare la contraddizione evidente che se ne sprigiona. Quanto a voi, come il vostro Partito e il vostro Comitato Centrale, non fate che mantenere la confusione che ha preparato, determinato, predestinato, il fallimento di settembre, lasciando il Partito socialista italiano svilupparsi a destra. L'idea di Serrati era la concentrazione delle forze, egli ha voluto conservare i comunisti, i centristi e i riformisti in uno stesso partito. A un dato momento, quest'idea di concentrazione di forze ha potuto essere motivata dalla speranza di serbare in seno al Partito il massimo possibile di forze rivoluzionarie. Ha voluto farlo, ha voluto associare questi tre gruppi per dire in seguito: "Ecco i veri contorni del nostro Partito, e ciò che resta al di fuori è nocivo".
Voi avete fatte le più dure esperienze, le più chiare e le più tragiche. E solo in seguito l'idea della concentrazione, che era un'idea un po' astratta, ha preso una forma politica delle più nette. Essa è divenuta profondamente riformista, perché lo sviluppo del Partito è ora orientato nettamente verso destra.
Turati ha detto: "Nel mese di settembre, il proletariato non era maturo". Non era maturo, ma avete forse spiegato al proletariato perché il Partito non lo era? Avete forse detto al proletariato: "Si, Turati ha ragione in questo senso, che voi, operai italiani, non eravate abbastanza maturi per purificare il vostro Partito, prima di lanciarvi in un'azione decisiva, dagli elementi che paralizzano l'azione. Turati ha ragione in questo senso, che, dato che il proletariato italiano non lo aveva respinto dal suo seno, dimostrava con ciò che non era abbastanza maturo in settembre per un'azione decisiva". Qual è dunque la situazione attuale del proletariato italiano? Esso è diventato, ne sono certo, molto più prudente, dato che il Partito nel quale aveva la più intera fiducia l'ha ingannato senza saperlo. Il compagno Lazzari è incline a comprendere delle espressioni simili; moralmente e individualmente il compagno Lazzari dice: "Ma se ci accusano di tradimento, che abbiamo ricevuto per il nostro tradimento?". Ora, non si tratta di un tradimento individuale e interessato: si tratta del fallimento di un Partito, ciò che politicamente altro non è che il tradimento degli interessi del proletariato. Io mi chiedo cosa deve ora pensare il proletariato. Il Partito è certo molto compromesso ai suoi occhi. È sorto un nuovo piccolo Partito: il Partito comunista. Noi siamo sicuri che questo partito si svilupperà, anche se resterà isolato come lo è oggi. Questo Partito si rivolge al proletariato e gli espone il suo programma rivoluzionario comunista. Non temete che prestando orecchio il proletariato faccia questa riflessione: "Ho già sentito queste arie, e tuttavia mi hanno ingannato nel mese di settembre"? Ecco la situazione molto difficile che avete creato e vi dovrete tenere per un certo periodo, che spero brevissimo, in Italia.
Il giovane Partito italiano deve ora riconquistare con lavoro energico e coraggioso la fiducia verbalmente rivoluzionaria, fiducia che è necessaria, non solo per un'azione parlamentare -ciò che è già un'altra cosa, ma per un nuovo attacco contro la società capitalista. Bisogna riconquistare la fiducia rivoluzionaria che il partito ha persa con la sua azione, o per meglio dire con la sua inazione, nel mese di settembre. Voi ci dite che i turatiani si sottomisero alla disciplina del Partito. Ah, veramente qui si è detto che si faceva la difesa di Turati, e una difesa concepita in forma del tutto giuridica. Che si intende per disciplina di partito? C'è la disciplina di forma, c'è quella di sostanza. Quando non posso fare altrimenti, o quando faccio una cosa volentieri, mi pare che ci sia differenza. Noi ci sottomettiamo alla disciplina dello Stato capitalista, alla legalità capitalista, ma come? Solo in quanto vi siamo forzati. Ma in pari tempo, mettiamo in ridicolo la legalità borghese, creiamo degli organi illegali per annientarla, e usiamo ogni mezzo per rompere o allargare la legalità borghese. E che fa Turati con la vostra disciplina? Fa lo stesso, compagno Lazzari. Si sottomette alla vostra disciplina come noi ci sottomettiamo alla legalità borghese. Crea i suoi organi illegali, la sua frazione nel vostro Partito, complotta col Governo, naturalmente clandestinamente, illegalmente. Fa di tutto per allagare questa disciplina, per romperla, e specialmente fa di tutto per metterla in ridicolo in tutti i suoi discorsi e nel suo giornale. Egli è dunque il nostro nemico cosciente, metodico, sistematico, come noi siamo i nemici della società borghese e della sua legalità. Ecco la verità.
Voi dite: "Ma Turati non ci ha dato dei fatti per escluderlo. Sono i fatti che ci mancano". Ora io vi dico, anche se aspettiamo ancora una piccola eternità, questi fatti ci mancheranno sempre, perché Turati sa benissimo ciò che vuole. Turati non è un'arrivista banale che voglia diventare Ministro nello Stato capitalista. Per quanto lo comprendo, egli fa la sua politica che vuol veder riuscire e non tiene ad avere un portafoglio ministeriale. Ora, io mi figuro benissimo una piccola conversazione fra Turati e Giolitti;
Giolitti gli dice: "Ecco il portafoglio che vi spetta"
E Turati risponde: "Non avete sentito, caro collega, i discorsi eloquentissimi di Lazzari? Dal momento che accetto un portafoglio, io gli do il motivo che aspetta, io sono escluso dal Partito, ed essendo escluso perdo ogni valore politico per voi e per la conservazione dello Stato capitalista. Ora, poiché si tratta non di fare un ministro socialista in più, ma di sostenere la democrazia, vale a dire, di sostenere la società capitalista, io non voglio saperne del vostro portafoglio, perché non tengo a dare dei fatti al mio severissimo collega Lazzari. Lasciamo dunque le cose come sono ora per il maggior vantaggio della società borghese".
Voi dite: "Ma si fa troppa attenzione a Turati, ai suoi discorsi, ai suoi libri, alle sue prefazioni: è piuttosto un caso personale, una quantità trascurabile".
Ma se è così, se non si tratta per voi che di perdere un individuo, o alcuni individui, o una quantità trascurabile, perché siete tanto ostinati? Immaginatevi, cari compagni italiani, che mentre noi siamo qui, Giolitti domandi per telefono a Turati: "Non vi è il pericolo che Lazzari sia andato a Mosca per prendere degli impegni?". E Turati gli risponda: "Niente affatto, è un caso individuale". Ora, come sapete, vi è nella società capitalista la divisione del lavoro, e rompendola con l'Internazionale Comunista per serbare Turati, voi gli siete stati molto utili. Voi dite di avere i sentimenti più entusiastici per il Partito comunista russo, e per la Russia dei soviet. Permettetemi di parlarne un po' francamente, non solo per i compagni italiani, ma per tutti i partiti. Ora, si parla molto spesso di noi su un tono delicato, come per non urtarci, per averci riguardo. La nostra situazione è molto difficile, lo sapete tutti, voi eravate sulla Piazza Rossa, avete visto non solo i nostri soldati, i nostri comunisti armati, che sono pronti a difendere la III Internazionale. Avete visto pure i nostri adolescenti, i nostri bimbi, una gran parte dei quali sono senza zoccoli e molto magri. Ognuno di voi che visiterà le nostre officine, vedrà la nostra miseria economica e la miseria materiale che oltrepassa ogni altra miseria.
Ora, quello che viene qui coll'idea di trovare un paradiso comunista deve essere ben deluso, quello che viene coll'idea di raccogliere impressioni per fare l'elogio della Russia, non è un vero comunista, ma quello che viene per raccogliere i fatti della nostra miseria e per servirsene di argomento contro il comunismo è un nemico dichiarato.
(applausi)
Ma, compagni, ecco ciò che Turati, che è membro del vostro Partito, dice della Russia: "I russi hanno inventato per loro profitto, per loro interesse nazionale, i soviet e l'Internazionale comunista". Ecco cosa dice all'operaio italiano che è stato trascinato nella guerra per dei pretesi interessi nazionali ed è stato ingannato come tutti gli altri. Adesso, gli si profila un altro pericolo nazionale. È la Russia sovietica che vuole, attraverso l'intermediazione della Internazionale Comunista, servire i propri interessi nazionali. Se prendete la stampa tedesca durante l'azione di marzo, troverete la stessa idea sulla situazione dei soviet che, a lor dire, in quel momento era molto compromessa, e i quali per salvarsi hanno, attraverso l'intermediazione della Internazionale Comunista, ordinato in Germania lo scatenarsi dell'azione rivoluzionaria. Ora i nostri nemici più perfidi e più intelligenti diffondono la leggenda -della quale un propagandista accanito è pure il vostro Turati- che noi esigiamo dagli altri Partiti per aiutarci nella nostra situazione interna, delle azioni rivoluzionarie che non hanno alcun rapporto con l'evoluzione interna politica e sociale, del paese in causa. Se serbiamo in questa Internazionale dei propagandisti di tale idea, ciò può creare per essa una situazione ben difficile.
Ora, compagni, noi abbiamo piantato nel nostro paese un pilastro. Il nostro paese è ben indietro, ben barbaro; è un paese che vi offre il quadro della miseria. Ma questo pilastro della rivoluzione mondiale, noi lo difendiamo, perché per il momento non ve ne sono altri. Quando ce ne sarà uno in Francia o in Germania, il pilastro russo perderà i nove decimi della sua importanza, e noi siamo tutti pronti a venire da voi in Europa a difendere un altro pilastro più importante. Ed ora, compagni, credere che noi consideriamo questo pilastro russo come il centro del mondo, e che abbiamo il diritto di esigere da voi di fare la rivoluzione in Francia, in Germania, in Italia, nel momento in cui è necessario per la nostra politica interna, è un'assurdità. Se fossimo capaci di un tale tradimento, bisognerebbe metterci tutti contro il muro e fucilarci tutti, l'uno dopo l'altro.
In che modo, compagno Lazzari, potremmo restare nella stessa Internazionale di Turati, che è membro del vostro partito, e che chiama la nostra Internazionale l'"Internazionale fantastica"? È la sua espressione. Carlo Liebknecht e Rosa Luxemburg sono morti, ma sono sempre vivi per questa Internazionale. Ora, come potremmo riunire nei quadri della nostra Internazionale Carlo Liebknecht e Rosa Luxemburg con Turati? Turati ha detto che la nostra organizzazione era fantastica; quando penso che ieri ancora ne era membro! Ecco certo della fantasmagoria della III Internazionale!
Intervento pronunciato al terzo congresso del Comintern il 2 luglio 1921
(...) Siamo costretti naturalmente ad occuparci anche di statistiche, pur avendo il compagno Brand affermato che sono gli opportunisti a perdere tempo con esse. In uno dei suoi discorsi lo abbiamo sentito mettere sullo stesso piano la spada e le statistiche, mentre in un altro siamo stati accusati di opportunismo. Una tale posizione è pericolosa per i nostri compagni italiani che hanno ancora molto da fare con le statistiche. Se avessi avuto l'occasione di fare riferimento all'Italia come hanno fatto Hackerl e Thalheimer, avrei potuto dire: "Ecco un paese rovinato dalla guerra, dove i lavoratori hanno occupato le fabbriche, dove i seguaci di Serrati hanno preparato un tradimento, dove i fascisti stanno saccheggiando le tipografie del movimento operaio e incendiando le sue sedi. E se questo partito non leva alto il grido "Con tutte le nostre forze avanti contro il nemico", allora è un partito codardo che sarà condannato dalla storia".
Se tuttavia giudichiamo le cose, non sul piano di una simile fraseologia, ma valutando lucidamente la situazione, dovremmo dire ciò che ha detto il compagno Zinov'ev [9]. Essi devono conquistarsi nuovamente la fiducia della classe operaia, dal momento che i lavoratori sono diventati molto più cauti, proprio a causa di questo tradimento. Essi si ripetono: "Abbiamo sentito le stesse frasi pronunciate da Serrati. Egli ha detto praticamente le stesse cose e poi ci ha tradito. Che garanzie abbiamo che anche il nuovo partito non ci tradisca a sua volta?". La classe operaia, prima di intraprendere la battaglia decisiva sotto la sua direzione, vuole vedere il partito agire.
In questo congresso abbiamo tre tendenze espresse più o meno chiaramente. Tre gruppi che si sono temporaneamente trasformati in tendenze e che devono essere tenuti a mente per una valutazione corretta dei rapporti tra le varie forze presenti in questo congresso. In primo luogo abbiamo la delegazione tedesca che si è da poco lasciata alle spalle gli scontri dell'Azione di marzo e che esprime molto chiaramente il suo atteggiamento nei confronti della teoria dell'offensiva. La quale, naturalmente, è stata rifiutata da altri compagni tedeschi [10].
Poi ci sono i compagni italiani, che stanno seguendo la stessa strada [11]. Ciò è del tutto comprensibile se si pensa che il loro partito ha rotto con i centristi. I compagni italiani dicono: "Ora abbiamo finalmente le mani libere; ora possiamo fare il nostro dovere, partecipare alle azioni rivoluzionarie di massa e vendicarci del tradimento di Serrati". Voi sapete compagni, che oggi viene detto -non solo da Levi [12], ma anche dalla stampa capitalista e da quella "indipendente"- che l'Azione di marzo era stata ordinata dal Comitato Esecutivo dell'IC e che Levi è stato espulso per essersi rifiutato di obbedire a quest'ordine. Alcuni compagni dei partiti francese e cecoslovacco hanno cominciato a chiedersi -e ciò dimostra quanto poco mai abbiano assimilato lo spirito del CE dell'IC- "Forse anch'io, se un giorno dovessi ricevere un ordine del genere da parte del CE e se non lo assolvessi, sarei espulso dal partito?". Entrambi questi due stati d'animo sono presenti al Congresso (...).
Dalla "relazione di bilancio sul terzo congresso dell'IC" fatta il 14 luglio 1921
(...) Con questo voglio dire semplicemente che il compito di rovesciare la borghesia davanti al quale si trova la classe operaia non è meccanico. È un compito che per la sua attuazione richiede energia rivoluzionaria, intelligenza politica, esperienza, larghezza di vedute, risolutezza, ardore, ma allo stesso tempo una mente lucida. È un compito politico, rivoluzionario, strategico. Proprio nel corso dell'ultimo anno un partito ci ha dato una lezione molto istruttiva in questo senso. Mi riferisco al Partito socialista italiano, il cui organo di stampa ufficiale si chiama Avanti!.
Senza analizzare l'intero complesso delle questioni tattiche relative alla lotta e alla vittoria, senza alcuna visione chiara delle circostanze concrete di questa lotta, il patito italiano si è gettato in un intenso lavoro di agitazione rivoluzionaria, spingendo i lavoratori appunto in Avanti!. La classe operaia italiana ha dimostrato che il sangue che circola nelle sue vene è abbastanza caldo. Tutti gli slogan del Partito sono stati fatti propri dai lavoratori, i quali si sono spinti oltre, hanno occupato le fabbriche, gli stabilimenti, le miniere e così via. Ma subito dopo sono stati costretti ad operare una terribile ritirata, a causa della quale si sono staccati completamente dal Partito per tutta una fase.
Il partito li aveva traditi -non nel senso che nel partito socialista italiano si nascondevano de traditori coscienti- no, nessuno può affermare una cosa del genere. Ma c'erano dei riformisti nascosti, i quali per la loro formazione teorica complessiva sono ostili ai reali interessi della classe operaia. Nascosti c'erano anche i centristi [13] che non hanno capito e non capiscono alcunché delle esigenze reali di un vero movimento operaio rivoluzionario. Grazie ad essi, l'intero Partito si è cominciato a trasformare in uno strumento di agitazione rivoluzionaria completamente astratta e superficiale. La classe operaia, però, a causa della sua posizione, si è trovata ad appoggiare seriamente questo tipo di agitazione. Ne ha tratte tutte le estreme conclusioni rivoluzionarie, ed il risultato è stato una dura sconfitta. Ciò significa che qui è stata dimostrata una totale assenza di tattica nel senso più ampio del termine, o, volendo esprimere lo stesso concetto in termini militari, una totale assenza di strategia. Ed ora si può immaginare -tutto ciò è naturalmente pura teoria e non un tentativo di suggerire una simile idea al nostro splendido giovane Partito Comunista d'Italia- è possibile immaginare, dicevo, che questo partito proclami: "Dopo una sconfitta così grave, dopo un simile tradimento da parte del vecchio Partito socialista, noi comunisti, che siamo realmente preparati a trarre le più estreme conclusioni, dobbiamo immediatamente procedere a mettere in atto una vendetta rivoluzionaria; oggi stesso dobbiamo trascinare la classe operaia in un'offensiva contro le roccaforti della società capitalista".
Il III Congresso ha posto questo problema da un punto di vista sia teorico che pratico e ha detto: "Se oggi, immediatamente dopo la sconfitta conseguente al tradimento del PSI, il Comintern affidasse al partito italiano il compito di passare immediatamente all'offensiva, commetterebbe un fatale errore strategico, poiché la battaglia decisiva richiede un'adeguata preparazione. Questa preparazione, compagni, non consiste nel raccoglier fondi per le casse del partito per decine d'anni, e neppure nel pubblicare elenchi dei sottoscrittori della venerabile stampa socialdemocratica, e così via. No, la preparazione (specialmente in un'epoca come la nostra in cui lo stato d'animo delle masse muta e sale rapidamente) richiede non decine d'anni, e forse neppure anni, ma solo pochi mesi. Prevedere gli intervalli di tempo è, in genere, un'occupazione molto piacevole, ma in ogni caso una cosa è chiara: quando noi parliamo oggi di preparazione, questa assume un significato completamente diverso da quello avuto nell'epoca dello sviluppo economico graduale. Preparazione significa per noi la creazione di condizioni tali da assicurarci la simpatia della gran maggioranza delle masse. Noi non possiamo rinunciare a questo fattore a nessun prezzo. L'idea di sostituire la volontà delle masse con la decisone della cosiddetta avanguardia è assolutamente da rifiutare e non marxista. Attraverso la coscienza e la volontà dell'avanguardia è possibile esercitare un'influenza sulle masse, è possibile conquistare la loro fiducia, ma è impossibile sostituire le masse con questa avanguardia. E, per questa ragione, il III Congresso ha posto di fronte a tutti i partiti (come compito prioritario e improrogabile) l'esigenza che la maggioranza delle masse lavoratrici sia attratta dalla nostra parte. (...)
Intervento conclusivo al secondo congresso dell'Internazionale giovanile, luglio 1921
Al III Congresso le critiche più dure sono state lanciate dai compagni italiani [14]. Queste critiche erano dirette soprattutto contro la risoluzione congressuale sul Partito socialista italiano[15]. I compagni Tranquilli e Polano sono partiti dal presupposto che questa risoluzione è poco chiara sull'analisi della situazione italiana, che provocherà confusione nella testa dei lavoratori italiani senza aver alcun risultato pratico sul futuro. Secondo il compagno Tranquilli, non ci si può aspettare niente dal partito socialista, dato che non solo i suoi dirigenti (che sono pacifisti e riformisti) ma anche le masse che seguono questi dirigenti, non sono rivoluzionarie. Io credo che questo atteggiamento verso il PSI sia completamente sbagliato. Questo partito, fino a ieri unito, si è scisso, come sapete, in tre partiti: i riformisti [18] che assommano circa a 14.000, l'ala "unitaria" [19] che comprende approssimativamente 100.000 militanti e i comunisti, 50.000. Il compagno Tranquilli afferma che circa 40.000 membri sono usciti dal Partito socialista, il quale attualmente conta nelle sue file non più di 60.000 persone, una metà delle quali fanno parte dei consigli comunali. Io non so quanto queste cifre siano vere; l'ultima mi sembra poco attendibile.
Io mi domando: perché questo Partito ha mandato una sua delegazione a Mosca? [20] I suoi dirigenti sono opportunisti, le masse che lo seguono anche. È vero che il Partito già aveva fatto parte dell'IC, ma lo scorso settembre ha preso una posizione riformista e il CE dell'IC ha stabilito che in Italia solo il PCd'I rappresenta una sezione della III Internazionale. Quindi il PSI si è autoescluso dalle file del Comintern. Serrati e i suoi amici non avevano dubbi sul fatto che il III Congresso avrebbe ratificato la decisione del CE, eppure hanno inviato dei delegati a questo Congresso. A tutto questo si deve aggiungere il fatto che nella direzione del PSI i riformisti svolgono attualmente un ruolo ancor più importante di quello avuto prima della scissione. I dirigenti riformisti, Turati e Treves, stanno conquistando una grossa influenza nel Partito socialista. Essi stanno negoziando con Giolitti. In questo periodo il PSI ha subito una chiara evoluzione verso destra. La sua frazione parlamentare sta diventando più riformista di quanto non fosse prima delle ultime elezioni. Turati, il vero dirigente e ispiratore del Partito, comincia a lanciare accuse e calunnie contro l'IC.
Come spiegare allora la presenza a Mosca di una delegazione di questo partito? La risposta data dai nostri compagni italiani non mi soddisfa. Se le masse senza partito guardano all'IC con lo stesso entusiasmo che ha spinto i socialisti a Mosca, perché allora queste masse non aderiscono all'Internazionale?
Io non riesco a comprendere un atteggiamento politico così contraddittorio da parte dei lavoratori italiani. Io credo che voi stiate sbagliando. La classe operaia italiana è rivoluzionaria, ma i suoi settori senza partito non hanno le idee molto chiare, ed è proprio per questa ragione che non aderiscono al PCd'I. Per questa stessa ragione essi non esercitano una adeguata pressione sul Partito Socialista. La distanza tra Roma e Mosca è enorme. E se i dirigenti del Partito vogliono dimostrare che sono schierati con Mosca, se ritengono necessario profondersi in elogi su Mosca (dove, per inciso, non hanno avuto un'accoglienza molto calorosa), se fanno tutto questo, come voi dite, al fine di ingannare le masse, allora non resta altro che provare che le masse stesse hanno costretto questi dirigenti ad assumere un atteggiamento tanto ipocrita. Non le masse che sono schierate con il Partito comunista, e nemmeno quelle senza partito, ma le masse che costituiscono la base del Partito socialista stesso.
Voi citate le statistiche e dite che tra 100.000 aderenti a questo Partito, ci sono solo 60.000 lavoratori, di cui circa 30.000 sono membri di giunte comunali o impiegati e così via. Se quest'ultima cifra corrisponde al vero, si dovrebbe ammettere che questi lavoratori che spingono Lazzari e Maffi a venire a Mosca, non sono della peggior specie, e che dovremmo cercare di conquistarli alle nostre posizioni.
In questa sede è già stata ripetuta più volte la considerazione sulle porte lasciate aperte al PSI. Ovviamente l'impressione è che le porte siano spalancate per chiunque voglia entrare. In realtà la situazione è un po' più complessa. Noi abbiamo deciso d chiudere le porte per due o tre mesi, durante i quali il PSI dovrà convocare un congresso del Partito e discutere pubblicamente un certo numero di questioni. Prima di tutto deve espellere i riformisti dalle sue file. Ci si può chiedere: quali? Ma è evidente. Quelli che non si dichiarano apertamente comunisti, quelli che hanno organizzato la conferenza di Reggio Emilia [23]. Questa condizione è determinante. Sapete meglio di me quanto sia grande l'influenza di Turati e di Treves nel PSI. Se la nostra risoluzione obbligasse gli elementi centristi e pacifisti del Partito a dissociarsi da Turati e Treves, ciò significherebbe la capitolazione completa di tutto il Partito. Gli elementi centristi hanno dimostrato di non avere alcuna linea politica determinata. Essi possono solo essere strumentalizzati -sia dai comunisti che dai riformisti. La loro principale caratteristica è la mancanza di carattere. E ciò è tipico dell'Italia in particolare, dove il movimento rivoluzionario ha una natura molto spontaneista.
Quando i partiti espulsi dalla III Internazionale vengono da noi e ci dicono: "Desideriamo tornare con voi", noi replichiamo: "Se siete pronti ad accettare la nostra piattaforma e ad eliminare al vostro interno i sabotatori politici, non ci rifiuteremo di accogliervi fra noi". È questo che realmente vi preoccupa, compagni? Citatemi un esempio, ditemi un modo diverso in cui possiamo conquistare i lavoratori che ancora seguono questi dirigenti. Voi dite che dovremmo aspettare la prossima occasione, il momento in cui il Partito socialista rivelerà ancora la sua natura traditrice, e allora le masse verranno verso di noi. Voi presupponete, quindi, che il partito italiano sia incapace di trarre delle lezioni dalle esperienze fatte. Non c'è bisogno di aspettare il prossimo tradimento per liberarsi di questi individui. Noi abbiamo creato l'Internazionale proprio per proteggere il proletariato italiano dalle trame di un nuovo Settembre, di nuove illusioni e sacrifici. Questo, compagni, è il vero significato della risoluzione del III Congresso del Comintern. Noi dobbiamo ampliare le basi della nostra azione, della nostra attività.
Il compagno Schueller ha detto che abbiamo bisogno solo di azioni dinamiche, che solo attraverso queste conquisteremo le masse. Ha detto che le masse hanno creato l'apparato della rivoluzione. Ciò è vero, ma in Italia ci sono state molte azioni di massa; gli ultimi anni sono stati caratterizzati da scioperi politici, rivolte nelle città, nei villaggi, nell'esercito ecc. L'intera nazione era in fermento. Ma non basta ripetere indefinitamente le parole "azione dinamica". È necessario utilizzare queste azioni per creare l'organizzazione rivoluzionaria, selezionare gli elementi più decisi. È necessario concentrare tutti gli sforzi nel lavoro di preparazione. Che è proprio quello che non è stato fatto. Le azioni di massa ci sono state, ma è mancata la preparazione. Questo è ciò che i compagni si rifiutano di capire.
Il compagno Polano ha detto che è necessario rompere completamente con i partiti riformisti. Ma voi, compagno Polano, proprio voi ci avete che di 100.000 membri del Partito socialista, ne sono rimasti solo 60.000. Chiedetevi perché questi 40.000 che hanno abbandonato il loro Partito, non hanno raggiunto il vostro. La scissione verificatasi nel Partito li ha indotti ad un atteggiamento di scetticismo; essi stanno osservando, in attesa. E coloro che sono rimasti nel Partito, hanno delegato Lazzari, Maffi e Riboldi a venire a Mosca. Se oggi dicessimo loro: "Non vogliamo avere rapporti con voi", che impressione ne trarrebbero i vecchi membri del Partito, quei 40.000 che sono diventati scettici? Essi ci comunicano il loro desiderio di aderire all'Internazionale, ma noi diciamo loro: "No, non vogliamo avere rapporti con voi". Tutto ciò faciliterà il vostro compito di conquistare le masse lavoratrici alla causa dell'Internazionale? Niente affatto! Questo atteggiamento rafforzerebbe solo il conservatorismo delle masse operaie, e proprio quei membri delle giunte municipali formerebbero un blocco contro di noi, contro Mosca. Infatti rifiutarsi di accettare nell'Internazionale quei lavoratori che desiderano entrarvi, equivarrebbe a far loro il peggiore degli affronti. È una caratteristica della classe operaia in generale, e del Partito socialista italiano in particolare, il fatto che un lavoratore acquisti fiducia nell'organizzazione che gli ha fatto prender coscienza e lo ha formato. Questo conservatorismo organizzativo ha i suoi effetti negativi e positivi. Se noi respingiamo un operaio, rafforzeremo l'aspetto negativo del suo conservatorismo organizzativo. No, con una linea politica simile, non conquisterete mai la maggioranza del proletariato italiano. Mai! Voi state parlando qui nello spirito del settarismo, non in quello della rivoluzione.
Sempre il compagno Schueller ha detto: "Abbiamo di fronte a noi le tesi sulla tattica; noi le accettiamo come soldati disciplinati dell'esercito proletario; ma sono state accettate anche da Lazzari e Serrati, e potrà esserne soddisfatto lo stesso Levi". Ma compagni, ciò cosa dimostra? Noi non possiamo respingere queste o altre tesi semplicemente perché sono piaciute a questo o a quell'individuo. Se queste sono tesi buone, non resta altro che congratularci con noi stessi per il fatto che vengono accettate anche da Lazzari. E se sono errate, allora è necessario in primo logo dimostrarlo. Il compagno Schueller ha detto che abbiamo bisogno in primo luogo di azioni, ma se leggerete queste tesi, vi convincerete che in esse è espresso lo stesso concetto, con una chiarezza di pensiero non inferiore a quella del compagno Schueller, pur essendosi egli espresso magnificamente. Ma il compagno Schueller commette un errore. Non ci sono mancate le azioni, ma la preparazione ad esse.
Lo ripeto, perché siete così preoccupati che Lazzari e Smeral trovano ottime le nostre tesi? Ci possono essere due alternative: o oggi Smeral si è avvicinato alle nostre posizioni, oppure è un'ipocrita. Non credo nella seconda ipotesi, penso che stia agendo sinceramente. Ma ammettiamo per un momento che egli abbia approvato le nostre tesi per ipocrisia; se è questo il caso, perché l'avrebbe fatto? Perché presume che le masse che lo seguono stiano gravitando verso Mosca. In realtà, supponiamo che Smeral sia un Machiavelli quanto Serrati (non posso dire questo di Lazzari, ma di Serrati si, perché si tratta di un vero Machiavelli) e così supponiamo che questi Machiavelli dicano: "Finora abbiamo ripetuto che la III Internazionale stava commettendo gravi errori, ma oggi dobbiamo riconoscere che sta agendo correttamente". Che cosa significa questo? Significa che le masse che li seguono, attualmente ci sono favorevoli. Significa che essi non hanno più argomenti contro di noi, che non possono impedire ulteriormente alla loro base di entrare nelle nostre file. Voi dite che li abbiamo privati di tutte le loro armi. Forse, ma essi restano. Resta Serrati. Smeral sta venendo verso di noi. E non rimaniamo noi stessi nell'Internazionale? Se Smeral non dimostrerà di conformarsi alla tattica della III Internazionale, non avremo certo paura di rompere con lui dopo aver rotto con i partiti centristi e riformisti. Non riesco veramente a capire di che cosa vi preoccupiate.
Leporte -Dato che Smeral è d'accordo con le tesi [28], ne consegue che le tesi non sono buone.
Trotsky -Caro compagno Leporte, questo è proprio ciò che dovete dimostrare. Dovete provare che la tattica da noi proposta è sbagliata.
Leporte -Lo dimostrerei se mi fosse concesso il tempo di farlo.
Trotsky -Sarei lieto di ascoltarvi su questo problema. Ma se è vero che noi, vale a dire l'intero Partito comunista, abbiamo avanzato queste tesi permeate di spirito opportunistico, lo stesso spirito di Smeral, allora in questo caso è inammissibile parlare del nostro aver lasciato le porte aperte agli Smeral e ai Serrati. Dopo tutto, Smeral e Serrati non sono soli, ma stanno in nostra compagnia. E se noi siamo dei cattivi comunisti, significa che l'intera famiglia comunista è malata, e allora non c'è nessun motivo di preoccuparsi di questi due.
Una voce dalla platea -Le tesi non sono sufficientemente chiare.
Trotsky -Sarebbe certamente molto più semplice gettare dalla finestra tutti gli elementi incerti e dire: "Rimarremo una piccola setta, ma in questo modo saremo totalmente puri". Da un lato, voi insistete sempre sulle azioni rivoluzionarie; ma dall'altro voi volete che il Partito sia formato solo da elementi chimicamente puri. Ciò è indiscutibile. Le masse sono favorevoli all'azione rivoluzionaria, ma non hanno ancora perso fiducia in Smeral. Se esse stiano sbagliando o meno è un altro problema, ma il fatto è che esse continuano a credere in Smeral. Di conseguenza abbiamo di fronte l'alternativa seguente: o rifiutare Smeral insieme alle masse, o accettarlo insieme ad esse. E dal momento che Smeral accetta le tesi del III Congresso, presumo, compagno Leporte, che chi ha torto in questa controversia, non sia Smeral, ma voi. Voi non state tentando di allargare la vostra base di massa. Una tattica non può essere unilaterale, deve tener conto dei mezzi per conquistare le masse. È un compito molto difficile. Ma voi dite: "No, io rimarrò con la mia famiglia, le masse non sono sufficientemente pure per me, aspetterò che le masse entrino gradualmente nel Partito in piccole dosi omeopatiche".
Per quanto mi è dato di capire, la vostra tendenza desidera una linea politica più dinamica. Se vivessimo in un'epoca di lento e graduale sviluppo, potrei forse essere d'accordo sul fatto che la vostra tattica corrisponda al carattere dell'epoca stessa. Ma al giorno d'oggi, con i grandi eventi che si stanno verificando, le masse sono educate dagli eventi stessi. E noi dobbiamo uniformarci alla situazione, poiché ad un certo punto in Italia si può verificare, forse domani, che il Partito comunista sia costretto ad agire come un partito di massa. Serrati e Lazzari che hanno rotto con i riformisti non avranno alcuna influenza sia personale sia di partito ed entreranno nel Partito comunista con le masse che li hanno costretti a venire con noi. E se allora dovessero mostrare tendenze anticonformiste, voi sarete in grado di espellerli dal Partito.
Mi sembra che ciò esaurisca tutte le obiezioni che sono state fatte in questa sede da certi compagni. No, essi hanno accettato le nostre tesi non solo in quanto soldati disciplinati dell'esercito proletario, ma anche per un'intima convinzione. Questo è vero soprattutto per i compagni italiani. Gli ultimi avvenimenti di Roma [29] dimostrano che il proletariato italiano non è completamente disilluso, che ha ancora un élan [slancio] rivoluzionario. Per queste ragioni, possiamo permetterci una tattica più audace, una tattica che non si rifiuti di rivolgersi a masse più ampie di lavoratori. Inoltre, non vi dovreste dimenticare, compagni, che il Partito italiano non è isolato, che esiste il CE dell'IC il quale prende in considerazione le esperienze di tutti i partiti. Se qualche gruppo socialista entrato nel Partito cominciasse a rivelarsi una minaccia, anche se doveste trovarvi in minoranza (cosa che, tra parentesi, è del tutto da escludersi) potrete sempre fare appello al CE dell'IC.
Rispetto agli sviluppi della situazione italiana nell'immediato futuro, io penso che la nostra tattica verso il PSI non lo farà entrare al completo nelle nostre file, essa tuttavia non sarà infruttuosa, ma provocherà una scissione. Una cosa è certa, in particolare: all'interno del PSI l'ala di sinistra si cristallizzerà inevitabilmente e richiederà l'espulsione dei riformisti. L'ala destra del Partito solleverà delle obiezioni e il risultato sarà una scissione del Partito stesso. Voi potete dire che gli elementi che usciranno dal PSI non saranno abbastanza puri per voi. Ma in questo caso potremmo sollevare ancora una volta nel CE la questione della loro ammissione nella III Internazionale. Voi insistete che tra voi e loro non c'è niente in comune. Ma non saremmo mai diventati un Partito comunista se avessimo contato solo su quei lavoratori che volevano seguirci a titolo individuale. No, con simili metodi, non conquisterete mai la maggioranza della classe proletaria in Italia. Il CE dell'IC vi aiuterà a conquistare un ampio settore del Partito socialista. Così forse avremo nelle nostre file anche alcuni membri delle giunte municipali. Ma essi potranno esservi utili solo quando, una volta conquistato i potere, avrete bisogno di loro per organizzare i rifornimenti di viveri e così via. Io spero fra pochi mesi di potermi rallegrare con voi per aver conquistato varie decine di migliaia di lavoratori e varie centinaia di validi consiglieri comunali.
Le tendenze centriste nel socialismo italiano
Le necessità della lotta contro gli elementi centristi o semicentristi emerge in modo evidente nella questione del Partito socialista italiano. La storia di questa questione è nota. Il Partito socialista italiano fu attraversato già prima della guerra imperialistica da una significativa lotta interna e subì una scissione. Attraverso queste vicende venne epurato dai peggiori sciovinisti [30]. Inoltre l'Italia entrò in guerra nove mesi più tardi degli altri paesi, e ciò facilitò la politica contro la guerra del Partito socialista italiano. Il Partito non sprofondò nel patriottismo e mantenne la sua posizione critica nei confronti della guerra e del governo. Aderì quindi alla conferenza antimilitarista di Zimmerwald, sebbene il suo internazionalismo fosse di natura piuttosto informe. In seguito, l'avanguardia del partito operaio italiano spinse ancora più a sinistra i circoli dirigenti, e il Partito entrò nella III Internazionale [31] -insieme con Turati che nei suoi articoli e nei suoi discorsi cercava di dimostrare che la III Internazionale non era altro che un'arma diplomatica nelle mani della potenza sovietica, e che sotto la copertura dell'internazionalismo lottava per gli interessi nazionali del popolo russo. Non è mostruoso sentire giudizi del genere da parte di un "compagno" -se mi è consentito chiamarlo così- della Terza internazionale? Il carattere innaturale dell'ingresso del PSI, nella sua vecchia forma, nell'Internazionale comunista si dimostrò nel modo più clamoroso, durante l'azione di massa nel settembre dell'anno scorso. Non si può fare a meno di dire che il Partito durante questo movimento ha tradito la classe operaia. Se ci si chiede come e perché il Partito nell'autunno dello scorso anno ha battuto in ritirata ed ha capitolato, mentre era in corso lo sciopero di massa, mentre i lavoratori occupavano le fabbriche, le terre, ecc., se ci si chiede cosa ha avuto la parte maggiore in questo tradimento (cinico riformismo, indecisione, stupidità politica o altro) sarebbe difficile dare una risposta. Il PSI ha subito dopo la guerra l'influenza dell'IC, consentendo alla sua ala sinistra (corrispondente all'orientamento delle masse operaie) di farsi avanti in modo più aperto dell'ala destra, ma l'apparato organizzativo è rimasto essenzialmente nelle mani del centro e dell'ala destra. L'agitazione veniva condotta in nome della dittatura del proletariato, del potere dei soviet, per la falce e il martello, per la Russia sovietica e via dicendo. La classe italiana prese sul serio queste parole d'ordine e intraprese la via della lotta rivoluzionaria aperta. Nel settembre dello scorso anno si arrivò all'occupazione di fabbriche, miniere, latifondi ecc. Ma proprio nel momento in cui il Partito avrebbe dovuto trarre tutte le conseguenze pratiche, politiche e organizzative, che scaturivano dalla sua agitazione, arretrò spaventato davanti alle sue responsabilità scoprendo il fianco al proletariato, e le masse operaie vennero lasciate in balia delle bande fasciste.
La classe operaia aveva sperato che il Partito, dal quale era stata chiamata alla lotta, avrebbe assicurato il successo del suo assalto. E questo successo poteva davvero essere assicurato, la speranza di una vittoria era pienamente fondata, perché il governo borghese era allora demoralizzato e paralizzato e non poteva fare affidamento né sull'esercito né sull'apparato di polizia. Naturalmente, come abbiamo detto, la classe operaia credette che il Partito, restando alla sua testa, avrebbe condotto fino in fondo la lotta intrapresa. Ma, al contrario, al momento decisivo il partito si tirò indietro, privò di direzione e disarmò le masse. Allora divenne definitivamente e completamente chiaro che nelle file dell'Internazionale non poteva esserci posto per politici di tal fatta. L'Esecutivo dell'Internazionale agì in modo assolutamente corretto quando, in seguito alla scissione che si verificò poco dopo nel partito italiano, dichiarò che solo l'ala di sinistra comunista apparteneva all'IC. Così il partito di Serrati, cioè la maggioranza del vecchio PSI, fu espulso dall'IC. Purtroppo (e ciò trova una spiegazione nelle circostanze particolarmente sfavorevoli, ma forse anche in errori da parte nostra) il Partito comunista d'Italia potè contare al momento della sua fondazione su meno di 50.000 iscritti, mentre il Partito di Serrati ne conservò almeno 100.000, tra cui 14.000 riformisti dichiarati (che in precedenza avevano tenuto una loro conferenza a Reggio Emilia). Certo i 100.000 lavoratori del PSI non sono in alcun modo nostri avversari. Se finora non ci è riuscito di attrarli tutti nelle nostre file non è stato certo per colpa nostra.
La giustezza di questa valutazione viene dimostrata dal fatto che il PSI, espulso dall'Internazionale, ha mandato tre rappresentanti al nostro Congresso. Che cosa significa questo? I circoli dirigenti si sono messi con la loro politica fuori dall'Internazionale, ma la massa operaia li costringe ancora a bussare alle nostre porte. In questo modo gli operai socialisti hanno manifestato il loro orientamento rivoluzionario e la loro volontà di stare con noi. Ma hanno mandato degli uomini che hanno dimostrato di non aver assimilato il modo di pensare e i metodi comunisti. Così gli operai italiani che appartengono al partito di Serrati hanno mostrato ti essere sì in maggioranza di orientamento rivoluzionario, ma di non avere ancora la necessaria chiarezza politica. Al nostro Congresso c'era il vecchio Lazzari. Personalmente è una figura assai simpatica, un vecchio combattente assolutamente sincero, un uomo irreprensibile, ma in nessun modo un comunista. Egli è completamente in balia di concezioni democratiche, umanitarie e pacifiste, e al congresso si è espresso così: "Voi sopravvalutate il significato di Turati. Voi sopravvalutate il significato dei nostri riformisti in generale. Voi esigete che noi li espelliamo. Ma come potremmo espellerli se ubbidiscono alla disciplina di partito? Se ci avessero dato motivo di farlo anche con un solo caso di ribellione al partito, se fossero entrati al governo contro i nostri deliberati, se avessero approvato contro le nostre decisioni il bilancio militare, allora avremmo potuto espellerli. Ma altrimenti no".
Gli abbiamo citato gli articoli di Turati, che vanno del tutto contro l'ABC del socialismo rivoluzionario. Ma Lazzari sosteneva che questi articoli non sono fatti, che nel suo partito c'era il diritto alla libertà d'opinione, ecc. ecc. Allora gli abbiamo risposto: "Ma scusi, se lei per l'espulsione di Turati ha bisogno che lui commetta un 'fatto', cioè che ottenga un portafoglio da Giolitti, allora non c'è dubbio che Turati, che è un politico intelligente, non farà mai un passo simile, perché Turati non è affatto un volgare carrierista che aspira ad una poltrona ministeriale. Turati è un opportunista provato, un nemico inconciliabile della rivoluzione, ma, a suo modo, è un politico idealista che vuole, costi quel che costi, salvare la 'civiltà' democratico-borghese, e che perciò vuole battere le correnti rivoluzionarie nella classe operaia". Se Giolitti gli offrisse un portafoglio (e ciò nel prossimo periodo avverrà verosimilmente più di una volta) Turati gli risponderebbe pressappoco: "Se io accettassi il portafoglio commetterei uno di quei 'fatti' di cui parla Lazzari. Non appena lo avessi accettato verrei subito colto sul 'fatto' ed espulso dal partito. E non appena fossi espulso dal partito, anche tu, caro cuginetto Giolitti, potresti fare a meno di me, perché tu hai bisogno di me solo fin quando sono legato ad un grosso partito operaio; dopo la cacciata dal partito anche tu mi cacceresti dal ministero. Perciò non accetterò il portafoglio, non regalerò a Lazzari il 'fatto' e rimarrò il leader 'di fatto' del partito socialista". Questa è, più o meno, l'argomentazione di Turati. Ed ha ragione, è molto più lungimirante dell'idealista e del pacifista Lazzari. "Voi sopravvalutate il gruppo Turati" replica Lazzari, "si tratta di un piccolo gruppo, come si direbbe in francese: una quantité négligeable". Allora gli abbiamo obiettato: "Ma si rende conto che mentre lei si presenta qui all'Internazionale di Mosca per chiedere di accettarvi, Giolitti sta già telefonando: "Lo sai, caro amico, che Lazzari è andato a Mosca e magari farà qualche promessa pericolosa ai bolscevichi in nome del tuo partito?". E lo sa che cosa risponde Turati? Gli dice sicuramente: "Stai tranquillo, caro Giolitti, è una quantité négligeable". ed ha incomparabilmente più ragione di Lazzari".
Questo è stato il nostro dialogo con gli oscillanti rappresentanti di una gran parte degli operai italiani. Alla fine si decise di porre un ultimatum ai socialisti italiani: convocare un congresso entro tre mesi, espellere a questo congresso tutti i riformisti (tutti quelli che si sono autodefiniti tali alla conferenza di Reggio Emilia), e unirsi ai comunisti sulla base dei deliberati dl III Congresso. Quali saranno le conseguenze dirette di questa risoluzione non si può dire con precisione. Che tutti i serratiani vengano da noi? Io lo dubito. E del resto non è neanche auspicabile. Tra loro c'è gente di cui non sappiamo che farcene. Ma il passo intrapreso dal congresso è stato giusto. È stato concepito per riconquistare gli operai innescando una scissione tra i leader oscillanti.
Il comunismo italiano, le sue difficoltà, i suoi compiti
Tra i delegati del partito comunista italiano [32], così come tra i rappresentanti dei giovani, ci sono stati tuttavia aspri critici di questa decisione. Soprattutto i comunisti italiani, e particolarmente quelli orientati a sinistra, hanno criticato il Congresso per aver "spalancato tutte le porte" ai serratiani, agli opportunisti e ai centristi. Questa espressione: "Voi avete spalancato le porte dell'Internazionale comunista" è stata ripetuta dozzine di volte. Noi abbiamo detto: "Compagni, voi avete per il momento qualcosa come 50.000 lavoratori, ma i serratiani ne hanno con loro più o meno 100.000: non ci si può accontentare di questo risultato". Essi hanno contestato un po' queste cifre [33] replicando che si erano verificate uscite in massa dal Partito socialista, cosa senz'altro possibile, ma il loro argomento principale era: "L'intera base del PSI, non solo i suoi capi, è riformista, opportunista". Abbiamo chiesto loro: "Allora perché e a che scopo hanno mandato qui a Mosca Lazzari , Maffi e Riboldi?". E i giovani comunisti italiani mi hanno dato una risposta assolutamente incongruente: "Si, tutta la classe italiana tenderebbe già verso Mosca e spingerebbe in questa direzione il partito opportunista di Serrati. Questa è evidentemente una spiegazione artificiosa. Se le cose stessero così, se tutta la classe operaia tendesse verso Mosca, troverebbe la porta aperta: c'è già il Partito comunista italiano che appartiene all'Internazionale. Perché gli operai italiani dovrebbero prendere una via così contorta per avvicinarsi a Mosca, spingendovi il partito di Serrati, invece di entrare semplicemente nel Partito comunista d'Italia?"
È evidente l'incongruenza di questi argomenti che scaturiscono da un'insufficiente comprensione del nostro compito principale, vale a dire della necessità di conquistare l'avanguardia della classe operaia e innanzitutto quegli operai, nient'affatto peggiori, che rimangono nel PSI. Proprio questi operai hanno portato a Mosca Lazzari. L'errore dei "sinistri" deriva da un'autentica impazienza rivoluzionaria che impedisce di prendere in considerazione gli importanti compiti preparatori, provocando continuamente gravi danni. Alcuni "sinistri" pensano: se il compito immediato sta nel rovesciare la borghesia, che senso ha sostare lungo il cammino, condurre trattative con i serratiani, aprire le porte ai lavoratori che seguono Serrati? Eppure proprio questo è ora il compito principale. E non è affatto un compito semplice: richiede trattative, lotte, momenti di riflessione e nuove riunificazioni, e, verosimilmente, nuove scissioni. Ma alcuni compagni impazienti vorrebbero semplicemente voltare le spalle a questo compito e, quindi, anche agli operai socialisti. Chi è per la terza internazionale dovrebbe entrare direttamente nel nostro Partito comunista.
A prima vista sembrerebbe una soluzione assai semplice del problema, ma in realtà lo aggira, perché la questione è proprio come, con quali metodi, dovranno essere conquistati al Partito comunista gli operai socialisti. Questo compito non si risolve certo con l'automatica "chiusura delle porte" dell'Internazionale. Gli operai italiani sanno bene che anche il Partito socialista è stato nell'IC. I capi di quel partito fanno discorsi rivoluzionari, chiamano alla lotta e si dichiarano per il potere dei soviet, e nello sciopero di settembre condussero all'occupazione delle fabbriche. Poi capitolarono, senza dare battaglia, mentre gli operai si battevano. Oggi l'avanguardia del proletariato italiano sta prendendo coscienza di questo fatto. Gli operai vedono che dal PSI si è separata una minoranza comunista che si rivolge loro con discorsi esattamente uguali o quasi uguali a quelli con cui ieri gli si rivolgeva il partito di Serrati. Gli operai si dicono: "Bisogna aspettare, vogliamo veder cosa significa tutto questo, bisogna prima metterli alla prova...".
In altre parole essi esigono, forse non del tutto consapevolmente e senza formularlo con chiarezza, ma comunque con molta insistenza, che il nuovo partito, quello comunista, si faccia conoscere coi fatti, che i suoi capi dimostrino nella pratica di essere fatti di una pasta diversa di quella dei capi del loro vecchio partito, che essi siano legati inseparabilmente alle masse nelle loro lotte, per quanto difficili possano essere le condizioni in cui si svolgono. Bisogna con fatti e con parole, con parole e con fatti, conquistare la fiducia di migliaia di operai che per il momento si trovano ancora al bivio, ma che si unirebbero volentieri a noi. Se si voltassero semplicemente loro le spalle, magari in nome di un immediato rovesciamento della borghesia, la rivoluzione subirebbe un danno non lieve, mentre proprio in Italia si profilano già per il prossimo futuro condizioni molto favorevoli per una vittoriosa rivoluzione del proletariato.
Si provi ad immaginare per un attimo, solo a mo' d'esempio, che i comunisti italiani, diciamo a maggio di quest'anno, avessero spinto la classe operaia italiana ad un nuovo sciopero generale e all'insurrezione. Se avessero detto: "Poiché il Partito socialista, dal quale siete usciti, a settembre ha fatto bancarotta, noi comunisti dobbiamo ora cancellare ad ogni costo questa macchia e condurre senza indugi la classe operaia alla lotta finale". Considerando la cosa superficialmente si potrebbe credere che proprio questo avrebbe dovuto essere il dovere dei comunisti. Ma in realtà non è così. L'elementare strategia rivoluzionaria ci dice che tale appello, nelle condizioni date, sarebbe stato un'idiozia e un crimine perché la classe operaia, che in settembre ha subito un'amara delusione sotto la guida del PSI, non crederebbe di poter ripetere con successo questa esperienza a maggio sotto la direzione del Partito comunista, che ancora non ha avuto il tempo di conoscere a dovere.
La peggior colpa del Partito socialista consiste nel "fare appello" alla rivoluzione senza trarne le conseguenze necessarie. Cioè in realtà senza preparasi alla rivoluzione, senza aver chiarito agli operai avanzati i problemi connessi alla presa del potere, senza epurare le proprie fila da coloro che la rifiutano, senza selezionare e formare quadri di combattimento fidati, senza formare gruppi di assalto in grado di usare e di impugnare le armi al momento necessario... In breve, il partito socialista fece appello alla rivoluzione, ma non vi si preparò.
Se i comunisti avessero subito fatto appello alla rivoluzione, avrebbero ripetuto l'errore dei socialisti, per giunta in condizioni incomparabilmente più difficili. Il compito del nostro partito fratello italiano sta nel preparare la rivoluzione, cioè anzitutto nel guadagnare la maggioranza della classe operaia e nell'organizzare correttamente la sua avanguardia [34]. Chi avesse trattenuto la parte impaziente dei comunisti italiani dicendogli: "Prima di chiamare all'insurrezione conquistate i lavoratori socialisti, epurate i sindacati affidando i posti di responsabilità ai comunisti invece che agli opportunisti", chi avesse parlato così, chi avesse apparentemente colpito i comunisti alle spalle, in realtà avrebbe indicato la vera via per la vittoria della rivoluzione.
26 febbraio 1922
Compagni, ieri non ho assistito alla seduta; ho letto, però, con attenzione i due discorsi che sono, fondamentalmente, contrari alla tattica dell'Esecutivo; i discorsi dei nostri compagni Terracini e Daniel Renoult.
Sono d'accordo con il compagno Radek, quando dice che il discorso del compagno Terracini non è che una nuova edizione e neppure molto migliorata, devo ammetterlo, delle obiezioni che egli aveva presentato ad alcune nostre tesi nel III Congresso.
Adesso la situazione è cambiata.
Al III Congresso ci trovavamo di fronte al pericolo che il Partito comunista italiano o altri si impegnassero in azioni che avrebbero potuto essere molto nocive. Ora, piuttosto, esiste un pericolo negativo: il pericolo che essi si astengano dal partecipare ad azioni che possono e devono essere molto vantaggiose per il movimento operaio.
Si può sempre dire che questo pericolo negativo non è così grave come il pericolo positivo. Si, però il momento è un fattore importante in politica e, se lo si lascia sfuggire, questo momento, viene sempre utilizzato da altri contro di noi.
Il compagno Terracini dice: "Naturalmente, noi siamo per l'azione delle masse e per la conquista delle masse". È quanto ripete sempre nel suo discorso. D'altra parte, però: "Noi siamo per la lotta generale del proletariato, e contro il fronte unico, nel senso precisato dall'Esecutivo".
Il fatto stesso, compagni, che un rappresentante del partito proletario affermi e ripeta sempre: "Noi siamo per la conquista della maggioranza del proletariato, noi siamo per questa parola d'ordine: Alle masse!", appare come un'eco un po' tardiva delle discussioni del III Congresso, quando si credeva imminente la rivoluzione, quando i sentimenti del proletariato, sentimenti nati dalla guerra e molto generici (per la Rivoluzione russa come per la rivoluzione in generale) sembravano sufficienti per condurre ala rivoluzione. Ma gli eventi hanno dimostrato che questo giudizio non era esatto. Al tempo del III Congresso avevamo discusso, avevamo detto: "No, adesso comincia una nuova tappa: la borghesia, attualmente, è, se non completamente stabile, almeno abbastanza stabile sulle sue gambe per obbligarci, noi, comunisti, a conquistare anzitutto la coscienza della maggioranza dei lavoratori".
Oggi il compagno Terracini continua a ripetere: "Noi siamo per l'azione che deve conquistare le masse". Naturalmente, però, siamo già collocati ad un livello più elevato e ora discutiamo sui metodi per conquistare queste masse durante l'azione. A proposito di questo problema -come conquistare le masse?- i partiti comunisti si trovano raggruppati, del tutto naturalmente, logicamente, in tre grandi categorie: i partiti che sono appena all'inizio dei loro successi e che, come organizzazioni, non possono ancora assumere un ruolo importante nell'azione immediata delle masse. Naturalmente questi partiti hanno un grande avvenire, come tutti gli altri partiti comunisti; oggi, però, essi non possono contare molto nell'azione della massa proletaria, perché non hanno molto militanti. Allora questi partiti devono, per il momento, lottare per conquistarsi una base, una possibilità per influenzare il proletariato durante l'azione (da questa situazione esce con un successo sempre crescente il nostro partito inglese).
D'altra parte, ci sono dei patiti che controllano completamente il proletariato. Credo che il compagno Kolarov [37] abbia ragione quando dice che è il caso della Bulgaria. Che cosa significa questo? Significa che la Bulgaria è maturata per la rivoluzione proletaria, ma che le condizioni internazionali gliela impediscono. Allora, naturalmente, per una situazione simile, la questione sul fronte unico non si presenta affatto o quasi.
In Belgio, invece, e in Inghilterra, essa si presenta come una lotta per conquistare una posizione nel fronte proletario, per influenzare il proletariato, per non venire esclusi dal suo movimento.
Fra questi due estremi, ci sono i partiti che rappresentano una forza, non solo una forza d'idee, ma una forza numerica, una forza in quanto organizzazione. Ed è già il caso della maggior parte dei partiti comunisti. La loro forza può essere un terzo dell'avanguardia organizzata, un quarto, anche la metà, un po' più della metà, questo non cambia la situazione, in generale.
Qual è il loro compito? Conquistare la maggioranza schiacciante del proletariato. A qual fine? Per condurre il proletariato alla conquista del potere, alla rivoluzione. Quando verrà questo momento, non lo sappiamo. Supponiamo fra sei mesi, supponiamo fra sei anni, forse su questa scala: fra i sei mesi e i sei anni, nei differenti paesi. Teoricamente, però, non è escluso che questo periodo preparatorio possa durare ancora più a lungo. Allora, domando: che cosa facciamo noi in questo periodo? Lottiamo sempre per conquistare la maggioranza, la coscienza della totalità del proletariato. Ma non è il caso, né oggi e neppure domani; per il momento, noi siamo il partito dell'avanguardia del proletariato. Ebbene, è necessario che la lotta di classe si arresti, per attendere il momento in cui avremo conquistato la totalità del proletariato? Ecco la domanda che pongo al compagno Terracini, e anche al compagno Renoult. La lotta proletaria per il pane cessa, aspettando il momento in cui il partito comunista, sostenuto dalla totalità della classe operaia, possa conquistare il potere? No, essa non cessa, continua. Gli operai che sono nel nostro Partito, oppure quelli che ne stanno fuori, come gli operai che stanno nel Partito socialdemocratico o al di fuori di esso sono più o meno disponibili (ciò dipende dal momento e dalla situazione del proletariato) ma sono in grado di lottare per i loro interessi immediati e la lotta per i loro interessi immediati, in quest'epoca di grande crisi imperialistica, è sempre l'inizio di una lotta rivoluzionaria. Questo è molto importante, ma qui è solo una parentesi.
Ebbene, gli operai che non entrano nel nostro Partito e che non comprendono il nostro Partito (ed è il motivo per cui non vi entrano) vogliono avere la possibilità di lottare per il pezzo di pane, per il pezzo di carne. Essi vedono il Partito comunista e il Partito socialista, e non comprendono perché essi si siano separati. Essi aderiscono alla CGT riformista, al PSI, ecc., oppure essi sono al di fuori del partito. Ed ecco, essi dicono che queste organizzazioni, o meglio queste sette (non so come le chiamino nel loro linguaggio questi operai semicoscienti) essi dicono: "Ci si dia la possibilità di lottare per l'oggi!". Non possiamo rispondere loro: "Ma noi ci siamo separati per preparare il vostro futuro, il vostro grande dopodomani". Essi non comprenderebbero, perché sono completamente assorbiti dal loro "oggi", perché se potessero comprendere questo argomento, per essi del tutto teorico, sarebbero entrati nel Partito. Trovandosi in questo stato d'animo e vedendosi davanti a sé differenti organizzazioni sindacali e politiche, essi sono disorientati; si trovano nell'impossibilità di preparare un'azione immediata, per quanto parziale, per quanto piccola essa sia. Allora arriva il Partito comunista che dice loro: "Amici miei, ci siamo separati. Voi credete che sia uno sbaglio; posso spiegarvene le ragioni. Voi non le comprendete? Mi dispiace per questo, noi però adesso esistiamo, noi, comunisti e socialisti, e accanto a noi ci sono i sindacalisti riformisti e i sindacalisti rivoluzionari; esistiamo come organizzazioni indipendenti per delle ragioni che noi, comunisti, troviamo completamente legittime; malgrado tutto, noi, però, comunisti, vi proponiamo un'azione immediata per il vostro pezzo di pane: noi ve la proponiamo, a voi e ai vostri dirigenti, a ogni organizzazione che rappresenti una parte del proletariato". È completamente interno alla psicologia delle masse, alla psicologia del proletariato, ed io affermo che i compagni i quali, con passione (il che si spiega benissimo con l'importanza, con la gravità del problema) protestano contro questo, esprimono molto più il processo doloroso della loro recente separazione con i riformisti, con gli opportunisti, che la mentalità della grande classe proletaria. Perché io comprendo benissimo che per un giornalista che si trovava nella stessa redazione dell'Humanitè (mettiamo un Longuet), che si è separato da lui con grandi difficoltà, rivolgersi nuovamente a Longuet dopo questo fatto, proporgli di dialogare con lui, è una difficoltà psicologica, è una difficoltà morale. Quanto alla classe proletaria, però, quanto alla massa francese, ai milioni di operai francesi, essi non si curano affatto di queste cose (disgraziatamente, forse) perché essi non appartengono al Partito. Quando, però, si dice loro: "Noi, comunisti, prendiamo adesso l'iniziativa dell'azione di massa per il vostro pezzo di pane", chi condanneranno gli operai in questo caso? L'Internazionale comunista, il PCF? No, mai.
Per dimostrarvi, compagni, che questa mentalità che si fa strada in Francia, soprattutto in Francia, non è il riflesso della mentalità della massa proletaria, ma rappresenta un'eco tardiva di un avvenimento del vecchio Partito, da una parte, e il penoso processo di separazione, dall'altra, per dimostrarvi questo vi citerò alcuni articoli... Me ne scuso: i compagni francesi ironizzano un poco sulla nostra mania per le citazioni; uno di essi ha fatto delle osservazioni molto spiritose sulla vastità della nostra documentazione, ma non ci resta altro, naturalmente; le citazioni sono i fiori appassiti del movimento operaio, ma se si conosce un poco la botanica e se inoltre si sono visti dei fiori nei campi, sotto il sole, si ha, anche dinanzi ad esemplari appassiti, un'idea del movimento.
Vi citerò un compagno molto conosciuto in Francia: è il compagno Victor Méric. Egli rappresenta, più o meno, l'opposizione contro il fronte unico, in una forma comprensibile per tutti; egli la volgarizza nella sua maniera umoristica. Ecco quello che dice -sembra una facezia, e secondo me una facezia di cattivo gusto; ma bisogna prenderla per quello che è:
"Se facessimo fronte unico con Briand? Dopotutto, Briand non è che un dissidente della prima ora, un dissidente precursore: egli però fa pur sempre parte della grande famiglia" (Journal du peuple, 13 gennaio 1922).
Così, nel momento in cui l'Esecutivo dice: "Voi, partito francese, non rappresentate che una parte della classe operaia; bisogna cercare le occasioni di un'azione comune delle masse", la voce di Parigi risponde: "Ma se facessimo fronte unico con Briand?"
Si può dire: si fa dell'ironia, e la si fa su di un giornale specializzato in questo genere di facezie: il Journal du peuple. Ma ho una citazione del medesimo autore sull'Internationale, ed è infinitamente più grave, in cui egli dice testualmente:
"Che mi si permetta di porre un'unica domanda -oh, senza la minima ironia"... (È Victor Méric in persona che precisa: "senza la minima ironia").
Interruzioni: "Per una volta!... Non accade spesso".
"Che mi si permetta di porre un'unica domanda -oh, senza la minima ironia! Se questa tesi viene accettata in Francia e se domani il ministro Poincaré-la-Guerra, rovesciato, farà posto a un gabinetto Briand-Viviani, fautore risoluto della pace, del disarmo, dell'accordo fra i popoli e del riconoscimento dei soviet, non sarà necessario che i nostri eletti al Parlamento consolidino, con il loro voto, la posizione di questo governo borghese? E se (tutto accade!) venisse pure offerto un portafoglio a uno dei nostri, egli dovrebbe rifiutarlo" (L'Internationale, 22 gennaio 1922).
Sta scritto (oh, senza la minima ironia!), non sul Journal du peuple, bensì sull'Internationale, il giornale del nostro partito. Così, per Victor Méric, non si tratta dell'unità d'azione del proletariato, ma delle relazioni di Victor Méric con questo o quel dissidente, dissidente della vigilia o dell'antivigilia. Come si vede è un argomento preso nell'ambito della politica internazionale. Nel caso in cui un governo Briand fosse disposto a riconoscere i soviet, l'Internazionale di Mosca ci imporrà la collaborazione con questo governo?
Il compagno Terracini non ha parlato proprio come il compagno Méric; anch'egli però ha evocato lo spettro di un'alleanza fra tre potenze: le potenze numero tre, due e due e mezzo [44] -la Germania, l'Austria e la Russia; è un po' sullo stesso piano.
Il compagni Zinov'ev ha detto nel suo discorso alla seduta plenaria, e io l'ho detto anche alla commissione: ci sono dei compagni che cercano nelle nostre opinioni o "deviazioni", delle "ragioni di Stato". Non sarebbero i nostri errori di comunisti, sarebbero i nostri interessi di uomini di Stato russi che ci spingerebbero a ricorrere a questa o a quella tattica. È semplicemente l'accusa sottintesa di Victor Méric.
Bisogna ricordarsi dei nostri dibattiti al III Congresso. È stato ricordato che in Germania gli avvenimenti di marzo venivano interpretati dalla destra, e soprattutto dai lacché della destra, come il risultato di un suggerimento di Mosca, per salvare la posizione compromessa dei soviet. Ora, al III Congresso, quando si sono condannati alcuni metodi utilizzati nel corso di quegli eventi, è l'estrema sinistra (KAPD) che ha preteso che il Governo dei soviet si dichiarasse contro questo movimento rivoluzionario, è stato ciò che ha provocato l'accusa mossaci di voler rinviare, per un certo periodo, la rivoluzione mondiale, al fine di poter allacciare i rapporti commerciali con la borghesia occidentale.
Adesso si ripete la stessa cosa a proposito del fronte unico.
Compagni, l'interesse della Repubblica dei soviet non può essere altro che l'interesse del movimento rivoluzionario mondiale. Se questa tattica è nociva per voi, fratelli francesi, o per voi, fratelli italiani, essa è assolutamente nociva per noi. Se credete che noi siamo talmente assorbiti o ipnotizzati dalla nostra posizione di uomini di Stato da non poter più comprendere le necessità del movimento operaio, allora bisogna introdurre negli statuti dell'Internazionale un paragrafo il quale dica che il partito che è giunto alla misera posizione di aver conquistato il potere, dev'essere escluso dall'Internazionale operaia.
(Risate)
A questo proposito, vorrei invece che al posto di simili accuse, che non sono accuse formali bensì insinuazioni affiancate agli elogi più o meno ufficiali e rituali della Rivoluzione russa, ci si criticasse un po' di più. Se il comitato direttivo del partito francese ci indirizzasse una lettera dicendo: "Adesso state conducendo una nuova politica economica. State in guardia! Attenti a non rompervi il collo! State andando troppo lontano sul terreno delle relazioni capitalistiche". Oppure se la delegazione francese ci dicesse: "Abbiamo assistito alla parata. Avete copiato troppo fedelmente i vecchi metodi dell'esercito: ciò può influenzare negativamente la gioventù operaia". Oppure se, per esempio, diceste: "La vostra diplomazia è troppo "diplomatica"; essa rilascia interviste, commenti che possono esserci di ostacolo in Francia". Che voi ci critichiate apertamente, mettendo i puntini sulle i: ecco le vere relazioni che desideriamo vedere stabilirsi tra di noi. Ma non in questa maniera detestabile, che procede per allusioni. Tutto questo sta fra parentesi.
In Victor Méric, oltre all'argomento di politica internazionale, è presente l'argomento di ordine sentimentale: "Così, il prossimo 15 gennaio, quando ricorderemo i due martiri [46], non sarà decente venirci a parlare dell'unità di fronte con gli amici degli Scheidemann, dei Noske, degli Ebert e degli assassini dei socialisti e dei lavoratori" (L'Internationale, 8 gennaio 1922).
Naturalmente, è un argomento che può influenzare moltissimo dei lavoratori molto semplici, dotati di un sentimento rivoluzionario, ma senza un'educazione politica sufficiente, senza un'educazione rivoluzionaria sufficiente. Il compagno Zinov'ev ne fa cenno nel suo discorso. E il compagno Thalheimer ha detto: "Compagni, se si hanno delle ragioni sentimentali per non sedersi allo stesso tavolo con uomini della II Internazionale e dell'Internazionale due e mezzo, queste ragioni sono valide soprattutto per noi tedeschi. Ma com'è possibile che un comunista francese esprima un'affermazione la quale significa che i comunisti tedeschi non possiedono questo sentimento rivoluzionario, quest'odio contro i traditori e gli assassini della Seconda Internazionale?".
Io credo che il loro odio non sia minore dell'odio letterario, giornalistico di Victor Méric. Ma, per essi, la tattica del fronte unico è un'azione politica e non una riconciliazione morale con i dirigenti socialdemocratici.
Il terzo argomento è il seguente, ed è più meno decisivo. Lo troviamo in un articolo del medesimo autore: "La Federazione della Senna ha appena preso una decisione su questi gravi problemi: essa respinge, a grande maggioranza, il fronte unico. Ciò significa, semplicemente, che ad un anno di distanza essa non intende contraddirsi. Ciò vuol dire che, dopo aver acconsentito a quella dolorosa operazione che fu la scissione di Tours, essa si guarda bene dal voler rimettere tutto in discussione, si rifiuta di rivolgersi alle persone da cui ci siamo separati" (L'Internationale, 22 gennaio 1922).
Ecco come viene presentato il fronte unico. Come il ritorno alla situazione prima di Tours [47]. E Fabre, l'ospitale Fabre, dichiara di essere completamente d'accordo con la tattica del fronte unico, con una sola osservazione: "Perché, allora, aver distrutto a colpi di revolver l'unità socialista operaia?".
Così viene intesa la questione. Presentato così il fronte unico significa ritorno alla situazione prima di Tours, in concreto è la tregua, l'union sacrée con i dissidenti, con i riformisti. Dopo aver constatato questo fatto fondamentale, si discute sulla tattica da seguire: accettare e rifiutare. Méric esclama: "Mi oppongo, insieme alla Federazione della Senna". E Febre: "No, accetto, accetto".
Compagni, anche in Frossard, che naturalmente è un uomo politico di grande valore, che tutti conosciamo e che non vede le cose solo sotto il loro aspetto anedottico, anche in lui non troviamo argomenti più solidi. No, è sempre l'idea della riconciliazione con i dissidenti, non si tratta dell'unità del fronte. Ora, ve lo domando, questo problema esiste in Francia oppure no?
Il PCF ha 130.000 membri; il partito dei dissidenti ha un effettivo debolissimo, e attiro la vostra attenzione sul fatto che i compagni francesi hanno definito i riformisti: i "dissidenti". Perché? Per denunciarli davanti al proletariato come sabotatori del fronte unico (i dissidenti, cioè i socialtraditori), come la CGT rivoluzionaria si chiama unitaria per dimostrare che uno dei suoi fini, il suo fine principale, è di garantire al proletariato l'unità d'azione.
Potrei dire che i vostri metodi e le vostre azioni sono superiori agli argomenti che avete usato contro la tattica definita dal CE dell'IC. Il partito ha 130.000 membri e i dissidenti ne hanno 30.000, 40.000 o 50.000. Non importa...
Interruzioni: "15.000! presso i dissidenti le cifre non sono sempre esatte! È molto difficile conoscerle".
È una minoranza, ma una minoranza niente affatto trascurabile.
Ci sono poi i sindacati. I sindacati, dal canto loro, hanno avuto, anni fa, due milioni di membri. L'hanno affermato loro stessi (e la statistica dei sindacati francesi è al di sopra del loro slancio rivoluzionario), e ora ci sono (ricavo le cifre dal discorso del compagno Renoult) 300.000 aderenti alla CGT unitaria. L'insieme degli iscritti ai sindacati era di 500.000 operai prima della scissione.
Ora, la classe operaia si conta a milioni.
Il Partito ha 130.000 membri. I sindacati rivoluzionari ne hanno 300.000. I sindacati riformisti un po' più o un po' meno di 200.000. I dissidenti sono 15.000. Ecco la situazione.
Naturalmente il partito si trova in una posizione molto favorevole, perché è l'organizzazione politica preponderante, ma nient'affatto dominante. Che cosa rappresenta oggi il partito francese? Il partito francese è il risultato, la cristallizzazione di quella grande spinta rivoluzionaria del proletariato che è nata dalla guerra, grazie all'azione coraggiosa dei compagni che a quell'epoca erano alla testa del movimento. Essi hanno utilizzato questo slancio, questa spinta della massa, questo sentimento piuttosto generico, ma rivoluzionario, elementarmente rivoluzionario, essi l'hanno utilizzato per trasformare il vecchio partito e per farne un partito comunista.
Con tutto ciò la rivoluzione non è arrivata. La massa, che aveva la sensazione che la rivoluzione stesse per esplodere dall'oggi al domani, vede che essa non scoppia. Allora, come conseguenza, si ha un certo riflusso, e nel partito rimane l'élite proletaria. Ma la grande massa, dal canto suo, prova un sentimento di ritirata psicologica e rifluisce. Ciò si concretizza nell'uscita in massa dai sindacati. I sindacati perdono i loro membri. Essi avevano milioni d'iscritti che non hanno più, uomini e donne che sono entrati per alcune settimane, per alcuni mesi, e che ne sono usciti. La grande massa proletaria conserva in sé, naturalmente, l'ideale della rivoluzione, ma esso è diventato qualcosa di più vago, di meno realizzabile. Il partito comunista rimane, con la sua dottrina e la sua tattica. C'è un piccolo gruppo dissidente che ha perduto, in quest'epoca tumultuosa della rivoluzione, ogni autorità. Ma supponiamo che questa situazione transitoria si mantenga per un anno, per due, per tre anni; ammettiamolo. Noi non lo vogliamo, ma, per raffiguraci la situazione, supponiamo che si abbia un'azione generale in Francia. Come si raggrupperanno gli operai? Gli operai francesi, come si comporteranno? Se prendiamo il partito comunista e il partito dei dissidenti, il rapporto è di 4 a 1 e, nella classe operaia, i sentimenti per la rivoluzione, seppur vaghi, sono forse in rapporto di 99 a 1.
Ecco però che la situazione si trascina senza stabilizzarsi e arriva il momento delle nuove elezioni. Che penserà l'operaio francese? Egli dice a se stesso che il partito comunista è forse un buon partito, che i comunisti sono dei bravi rivoluzionari; oggi, però, non c'è rivoluzione, si tratta delle elezioni; si tratta di Poincaré [50], dell'ultimo grande tentativo del nazionalismo revanscista, della pace pericolosa, dell'ultimo sussulto della lampada che sta per spegnersi.
Dopodiché, che cosa resterà alla borghesia? Il blocco delle sinistre. Ma perché questa combinazione politica abbia successo, bisogna disporre di uno strumento nel seno stesso della classe operaia. Questo strumento è il partito dei dissidenti.
Da parte nostra, disponiamo di un eccellente terreno per la propaganda con l'Humanité, con tutta la nostra stampa, con tutti i nostri organi.
Ma ci sono altri mezzi e noi tentiamo, inoltre, di raggiungere le grandi masse con meeting, con gli eccellenti discorsi dei nostri amici francesi che, lo sapete, non difettano di eloquenza. Arrivano le elezioni. Allora una grande massa degli operai francesi ragionerà, verosimilmente, nella seguente maniera: "In fin dei conti, un Parlamento del blocco delle sinistre è senz'altro preferibile a un Parlamento di Poincaré, del blocco nazionale". Sarà questo il momento per i dissidenti di giocare un ruolo politico. Non sono numerosi come organizzazione politica. Certamente. Ma i riformisti, soprattutto in Francia, non hanno bisogno di avere una grande organizzazione. Essi hanno giornali che non sono molto letti, perché la massa più passiva, più disillusa del proletariato non legge; essa è disincantata, attende gli eventi; fiuta quel che è nell'aria, senza leggere. Sono gli operai completamente guadagnati alla rivoluzione che vogliono leggere. Dunque, questo piccolo strumento della borghesia, quest'organizzazione dei dissidenti, può, in queste condizioni, assumere una grande importanza politica. È nostro compito, allora, combattere in anticipo l'idea del blocco delle sinistre nel proletariato francese. Questo è un problema importantissimo per il PCF. Non dico che questo blocco delle sinistre sarebbe per noi una disgrazia. Anzi, per noi sarebbe un vantaggio, a condizione però che il proletariato non vi collabori.
E voi, in queste condizioni, dovete precisare meglio i metodi, la forma della lettera aperta o chiusa che bisogna spedire al Comitato esecutivo, se esiste, dei dissidenti; se, senza precisare le forme, li provocate, se smascherate questi alleati della borghesia che attendono, che non vogliono compromettersi troppo, che attendono nel rifugio delle loro redazioni, dei loro club parlamentari, voi avrete ottenuto un grande vantaggio, perché, al momento delle elezioni, questi gruppi dissidenti diventeranno attivissimi, faranno agli operai ogni sorta di promesse. Noi abbiamo ogni sorta di interesse a farli uscire dalla loro tana, dal loro rifugio e a metterli di fronte al proletariato, sulla base dell'azione delle masse. Ecco il problema. Non si tratta affatto di una riconciliazione con Longuet.
Veramente, compagni, è una situazione un po' comica. Quindici o sedici mesi fa abbiamo discusso a lungo con i compagni francesi, abbiamo dimostrato loro che era necessario espellere Jean Longuet. I compagni, che a quel tempo restavano esitanti davanti alle 21 condizioni, ci dicono oggi: "Voi ci imponete una riconciliazione con Jean Longuet!". Capisco perfettamente che un operaio parigino, dopo aver letto l'articolo di Victor Méric, ne ricavi un'idea tanto folle. Bisogna spiegargli con pazienza il suo errore, dimostrargli che non si tratta di questo, ma innanzitutto di non lasciare che i dissidenti preparino tranquillamente, nel loro rifugio, un nuovo tradimento, che bisogna prenderli per il collo e metterli, con la violenza, sotto la pressione popolare, davanti al proletariato e obbligarli, questi signori, a rispondere alle domande precise che noi poniamo.
Quando sentiamo Terracini dire che noi abbiamo altri metodi d'azione, che noi siamo la rivoluzione e che essi sono, dal canto loro, contro la rivoluzione, noi siamo completamente d'accordo con Terracini.
Ma se questo fosse chiaro a tutti gli operai, non sarebbe neppure il caso di discutere del fronte unico. Certo che noi siamo per la rivoluzione e che essi sono contro: il proletariato, però, non ha capito questa differenza; bisogna dimostrargliela.
Il compagno Terracini risponde: "Ma lo facciamo, ci sono dei nuclei comunisti nei sindacati; i sindacati hanno una grandissima importanza. Noi lo dimostriamo attraverso la propaganda" [51].
La propaganda non verrà vietata da questo discorso: la propaganda è sempre eccellente, essa è la base d tutto. Ma si tratta d combinarla e di adattarla alle nuove condizioni e all'importanza del partito come organizzazione.
Ecco un piccolo incidente che è molto significativo. Il compagno Terracini dice: "Quando abbiamo lanciato il nostro appello per un'azione generale del proletariato, abbiano conquistato la maggioranza nelle organizzazioni, con la nostra propaganda",
"La maggioranza"... in seguito, la mano delicata dell'autore ha fatto una correzione: "la quasi-maggioranza". Ancora un punto in cui ci trocìviamo d'accordo. Ma "la quasi-maggioranza" in francese vuol dire, mi sembra, la minoranza, e anche in russo.
Compagni, anche la maggioranza non è totalità.
"Abbiamo la maggioranza, abbiamo con noi i quattro settimi del proletariato". Ma i quattro settimi del proletariato non è la totalità, e i tre settimi che restano possono benissimo sabotare un'azione di massa. E la quasi-maggioranza è soltanto i tre settimi della classe operaia. Grazie alla propaganda abbiamo i tre settimi, ma bisogna conquistare i quattro settimi. Non è cosa facile, compagno Terracini, e se si crede che riprendendo i metodi che si sono sempre impiegati per conquistare i tre settimi si conquisteranno i rimanenti quattro settimi, ci s'inganna, perché quando il partito diventa più grande questi metodi devono cambiare. All'inizio, quando il proletariato vede questo piccolo gruppo di rivoluzionari intransigenti che dicono: "Al diavolo i riformisti! Al diavolo lo Stato borghese!", esso applaude e dice: "Benissimo!". Quando però vede che questi tre settimi dell'avanguardia sono organizzati presso i comunisti, e che non c'è un grande cambiamento sul piano delle discussioni, dei meeting, allora si stanca, il proletariato, si stanca e sono necessari metodi nuovi per dimostrare a esso che, siccome siamo un grande partito, possiamo partecipare alla lotta immediata.
E, per dimostrare questo, è necessaria l'azione unitaria del proletariato; bisogna garantirla e non lasciare ad altri l'iniziativa.
Quando gli operai dicono: "Poco ci importa della vostra rivoluzione di domani! Vogliamo dare battaglia oggi per conservare le nostre otto ore di lavoro!", siamo noi che dobbiamo prendere l'iniziativa della battaglia di oggi.
Il compagno Terracini dice: "Non bisogna fare grande attenzione ai socialisti. Non abbiamo nulla a che fare con essi. Bisogna però fare attenzione ai sindacati". E aggiunge: "Non è una novità. Già al II Congresso dell'IC è stato detto, forse inconsciamente: la scissione nei partiti politici, ma l'unità nei sindacati". Non capisco affatto. Ho sottolineato questo passaggio del suo discorso con la matita rossa, poi con la matita blu, per esprimere il mio stupore: "Abbiamo detto, al II Congresso, forse inconsciamente"...
Terracini: "Era nella polemica con Zinov'ev... era ironico; voi non eravate in sala quando ho parlato".
...Mettiamo dunque da parte: lo spediremo in una busta a Victor Méric, l'ironia è suo monopolio.
Interruzioni: "Se ne fa anche in Italia, vedete... E anche a Mosca...".
Disgraziatamente, poiché ciò mi ha indotto in errore. Non fare la scissione nei sindacati? Che cosa significa? La cosa più pericolosa del discorso del compagno Renoult, che ho letto con grande interesse, ed in cui ho trovato cose molto istruttive per comprendere lo stato d'animo del PCF, è la sua affermazione che, in questo momento, noi non abbiamo nulla a che vedere non solo con i dissidenti del partito, ma neppure con la CGT riformista. Ecco chi è che fornisce un appoggio inatteso agli anarchici più maldestri, mi permetto di dirlo, della CGT unitaria. Voi, nel movimento sindacale, avete applicato precisamente la teoria del fronte unico, l'avete applicata con successo, e se adesso avete 300.000 aderenti a paragone dei 200.000 di Jouhaux [52] e, ne sono sicuro, per metà grazie alla tattica del fronte unico, è perché nel movimento sindacale, dove si tratta di riunire gli operai di tutte le opinioni e di tutte le tendenze, c'è la possibilità di lottare per gli interessi immediati. Se volessimo fare una scissione nei sindacati in base alle tendenze, sarebbe un suicidio.
Abbiamo detto: "No, questo terreno non fa per noi. Poiché siamo indipendenti in quanto comunisti, abbiamo tutta la possibilità di manovrare, di dire apertamente ciò che pensiamo, di criticare gli altri; entriamo nei sindacati con questa consapevolezza e siamo sicuri che la maggioranza sarà con noi, entro uno spazio di tempo determinato".
Jouhaux ha visto che il terreno gli sfuggiva. Il nostro pronostico era interamente esatto. È necessaria unità d'azione. Era la nostra tattica. Voi l'avete spiegato dicendo: "Quando Jouhaux ha cominciato la sua manovra di scissione, i rivoluzionari lo hanno denunciato davanti alle masse come il distruttore dell'unità sindacale". Naturalmente, è il senso della teoria del fronte unico. Lottando contro i riformisti, i dissidenti, come voi li avete chiamati, i sindacalisti riformisti e i patriottardi ecc., è necessario gettare su di essi la responsabilità della scissione, è necessario spingerli sempre, obbligarli a pronunciarsi sempre sulla possibilità di un'azione di lotta di classe, è necessario metterli nell'obbligo di dire apertamente "no" davanti alla classe operaia. Se la situazione è favorevole a un movimento all'interno della classe operaia, bisogna spingerli in avanti. Oggi abbiamo una situazione, fra due anni avremo forse la rivoluzione. Nell'intervallo avremo un movimento sempre più profondo della classe operaia. Voi credete che i Jouhaux e i Merrheim resteranno dove sono? No, essi faranno un passo, due passi in avanti e, poiché ci saranno operai che non avranno voluto seguirli, ciò provocherà una nuova scissione in mezzo ad essi. Noi ne approfitteremo. È una tattica, naturalmente, una tattica di movimento, molto flessibile, ma al tempo stesso assolutamente energica, perché la direzione resta la stessa. Se voi credete, come il compagno Terracini, che quando arriveranno dei grandi eventi, l'unità d'azione si realizzerà di per se stessa, noi non l'impediremo. Attualmente, però, non ci sono grandi eventi, e non c'è motivo per cui se ne tenga conto nelle nostre discussioni sul fronte unico...
Terracini: "Non ho mai detto questo".
Può darsi che mi sbagli, forse non siete voi che l'avete detto; questo argomento, però, è stato avanzato qui: l'ho letto negli stenogrammi. Si dice: se gli eventi si sviluppano... Ma se non ci sono grandi eventi? Ora, io affermo, io credo che sia un assioma che uno degli ostacoli psicologici per il proletariato sia il fatto che esistono molte organizzazioni politiche e sindacali e che esso non ne comprende le ragioni: non vede come potrebbe effettuarsi la sua azione. Questo ostacolo psicologico ha una grande importanza, negativa naturalmente; è il risultato di una situazione che non è stata creata da noi, ma noi dobbiamo dare al proletariato la possibilità di comprendere questa situazione. Proponiamo ad un'organizzazione questa o quella azione immediata; è assolutamente nella logica delle cose. E affermo che, se la CGT unitaria adotta la tattica consistente nel trascurare la CGT jouhaussista, questo sarà l'errore più grande che, attualmente, si possa commettere in Francia. Se il partito commette quest'errore, esso resterà schiacciato sotto il suo peso, perché 300.000 operai rivoluzionari nei sindacati sono, compagni, un minimo: 300.000 operai sono all'incirca il vostro partito, appena raddoppiato con elementi diversi; è tutto. Dov'è il proletariato francese? Voi direte: "Ma non sta neppure con Jouhaux". È vero. Ma io dico che gli operai che non sono nelle organizzazioni, gli operai più disincantati o più inattivi, possono benissimo essere attratti da noi, al momento di una crisi rivoluzionaria acuta; ma, in un'epoca di ristagno, essi staranno piuttosto dalla parte di Jouhaux, perché che cosa rappresenta Jouhaux? L'apatia della classe operaia. Ecco cosa rappresenta. Il fatto che voi abbiate soltanto 300.000 operai dimostra che resta ancora non poca apatia nella classe operaia francese.
Inoltre c'è un altro pericolo. Se la CGT unitaria volta semplicemente le spalle alla confederazione riformista e se tenta di conquistare le masse con la propaganda rivoluzionaria, essa rischia di commettere errori come ha già commessi la minoranza rivoluzionaria. Sapete benissimo che il movimento sindacale e le azioni sindacali sono cose difficilissime da manovrare; bisogna pensare sempre alle grandi riserve delle masse arretrate, che sono rappresentate da Jouhaux, e se trascuriamo Jouhaux ciò significa che trascuriamo le masse di operai arretrati.
C'è un problema urgente, quello della conferenza delle tre Internazionali [54]. Compagni, si dice: "Non siamo preparati a questa idea di collaborazione internazionale con coloro che abbiamo denunciato, con quelli della due e della due e mezzo".
Si, sarebbe opportuno preparare gli animi ad un avvenimento di tale portata. È giusto. Questo problema ha provocato una viva agitazione. Ma quale ne è la causa? È la conferenza di Genova [55], che è giunta, anch'essa, molto inaspettatamente. Quando abbiamo ricevuto quest'invito personale per il compagno Lenin, esso era assolutamente inatteso. Se questa conferenza verrà convocata veramente, se avrà luogo la conferenza di Genova o di Roma, allora essa stabilirà più o meno il destino del mondo, per quanto la borghesia è in grado di farlo. Si avvertirà nel proletariato la necessità di fare qualcosa. Naturalmente noi, comunisti, solleciteremo ogni azione possibile, con la propaganda, con meeting, con dimostrazioni; ma c'è, non solo in noi comunisti, ma anche negli operai, nell'intera classe proletaria, in Germania, in Francia, dappertutto, la sensazione, vaga forse, dell'obbligo, della necessità di fare qualcosa per orientare un poco i lavori di questa conferenza, secondo gli interessi del proletariato.
L'Internazionale due e mezzo prende l'iniziativa di una conferenza e ci invita a parteciparvi. Bisogna pronunciarsi: si oppure no. Se diciamo: "Siete dei traditori" (questo è già stato detto e ripetuto mille volte, ed è sempre esatto), essi ci dicono: "Noi, quelli della due e della due e mezzo, oggi, vogliamo esercitare una pressione sulla conferenza diplomatica borghese, attraverso la voce del proletariato mondiale: e invitiamo voi, i comunisti". E noi rispondiamo: "Siete dei traditori, delle canaglie (baderemo che questa parola venga cancellata dagli stenogrammi) e non verremo". Naturalmente il nostro uditorio comunista sarà completamente convinto -perché lo è già. Dunque non abbiamo bisogno di convincerlo di nuovo. Gli altri, però, gli aderenti alle Internazionali due e due e mezzo? Ci sono operai fra di essi? È il solo problema che abbia importanza. Se dite: "No, i menscevichi hanno perduto ogni influenza, dappertutto", allora io non mi preoccupo della conferenza delle Internazionali due e due e mezzo. Ma ditelo. Nei fatti, gli operai che sostengono le Internazionali due e due e mezzo sono, disgraziatamente, più numerosi di quelli che sostengono la Terza Internazionale.
Il solo fatto cui si debba prestare attenzione è che Friedrich Adler abbia detto, rivolgendosi a noi: "Vi invitiamo a partecipare ad una conferenza che si propone di far pressione sulla borghesia, sulla sua diplomazia". Allo stesso modo, essi invitano gli operai del mondo intero. Se noi, per tutta risposta ci limitiamo a ripetere: "Siete dei socialtraditori", questa sarà una risposta maldestra. Gli Scheidemann, i Friedrich Adler e tutti gli altri si rivolgeranno alla classe operaia e diranno: "Ecco: i comunisti pretendono che noi siamo dei traditori; quando, però, ci rivolgiamo ad essi e li invitiamo a collaborare con noi per un breve periodo di tempo e per un obiettivo preciso, essi rifiutano". Lo sapete, tengo in riserva la definizione di traditori e di canaglie per dopo e anche durante la conferenza. Ma non è adesso, non è nella lettera di risposta che possiamo dire: "Rifiutiamo, perché siete delle canaglie e dei traditori". Questa conferenza è assolutamente certa? Lo ignoro. Ci sono dei compagni che sono ottimisti a questo proposito, ce ne sono altri che lo sono meno. Ma se la conferenza non dovesse aver luogo, questo accadrà perché gli scheidemanniani non l'avranno voluta. Allora, noi trarremo insegnamento dagli eventi. "Ecco compagni -diremo- le vostre due e due e mezzo; esse sono incapaci di fare ciò che ci hanno proposto". E non solo noi, comunisti, saremo applauditi dai nostri compagni, ma anche una parte dei scheidemanniani avrà prestato ascolto e dirà: "C'è qualcosa che non va; è stato proposto un accordo, ma i socialdemocratici tedeschi non l'hanno voluto". Allora la lotta fra noi e gli scheidemanniani riprenderà. Noi l'avremo condotta su di un terreno più vasto e più favorevole a noi.
Non so, compagni, se si possa rimandare la conferenza; ed è certo che questo non dipende dai nostri desideri. Per preparare l'adesione operaia, un rinvio sarebbe molto importante. Ma questa conferenza ci viene proposta adesso, prima della conferenza di Genova, e noi dobbiamo dare risposta.
Se nella Federazione della Senna ci sarà un operaio che esclamerà: "Il mio partito vuole riconciliarsi con Jouhaux! No! Strappo la mia tessera!", noi gli diremo: "Caro compagno, sei in collera, adesso. Abbi un po' di pazienza". E se egli sbatte la porta, noi saremo molto dispiaciuti per la sua partenza, ma l'errore sarà suo. Fra alcune settimane, poi, quando leggerà le notizie della conferenza di Berlino, quando vedrà che Cachin e i delegati degli altri partiti comunisti vi partecipano, che essi parlano e agiscono da comunisti; che, dopo la conferenza, continua la medesima lotta, ma che i nostri avversari sono più smascherati che prima della conferenza, allora l'avremo convinto, lui e tutti gli altri comunisti, e al tempo stesso il nostro fine verrà raggiunto. Ecco perché credo che dobbiamo rispondere all'unanimità, non con le solite formule rituali, senza mutare nulla, ma rispondere: "Si, siamo pronti, come rappresentanti degli interessi rivoluzionari del proletariato mondiale, a cercare, davanti a questo nuovo tentativo delle Internazionali due e due e mezzo di ingannare ancora una volta il proletariato, di cercare di aprirgli gli occhi sulla politica criminale di queste due Internazionali".
marzo 1922
Al Comitato Centrale del Partito comunista italiano
Cari compagni,
l'Esecutivo (dell'IC) si è occupato del progetto di programma pubblicato sul giornale Il Comunista del 21 dicembre dell'anno scorso [59] ed il Presidium dell'Esecutivo ritiene necessario di rivolgersi a voi con le considerazioni che seguono:
2. Questione della conquista della maggioranza
Nelle tesi sulla tattica, accettate dal III Congresso, si dice: "La conquista dell'influenza decisiva sulla maggioranza della classe operaia, il condurre alla lotta la parte più progredita di essa, è il compito principale dell'IC". Questo punto è stato accettato dopo una lotta contro i rappresentanti della minoranza di sinistra fra i quali furono anche i vostri delegati. Le vostre tesi ritornano nell'errore che fu respinto dal Congresso.
Nel paragrafo 16 delle vostre tesi voi dite:
"D'altra parte non si può esigere che ad una data epoca o alla vigilia di intraprendere azioni generali il Partito debba aver realizzato la condizione di inquadrare sotto la sua direzione o addirittura nelle proprie file la maggioranza del proletariato. Un simile risultato non può essere aprioristicamente affacciato prescindendo dal reale svolgimento dialettico del processo di sviluppo del partito e non ha alcun senso nemmeno astratto il confrontare il numero dei proletari inquadrati nella organizzazione disciplinata e unitaria al seguito del partito, col numero di quelli disorganizzati e dispersi o accodati ad organismi corporativi non capaci di collegamento organico".
Queste argomentazioni non hanno che un solo scopo: esse diminuiscono, rendono meno importante la necessità della lotta per la conquista della maggioranza della classe operaia, cioè celano il compito più importante che si impone ad un partito così giovane come il PCI. Invece di dire al partito: lotta per ognuno degli operai, cerca di conquistarlo, cerca di conquistare la maggioranza della classe operaia, le tesi avanzano obiezioni dottrinarie che mirano a dimostrare che non si tratta di un affare molto urgente. Vi è in ciò un pericolo così grave che l'Esecutivo non rinuncerà a nessuno sforzo per mettere in guardia il partito da questo pericolo.
3. Situazioni e necessità di lotta
La seconda importante rivendicazione che il III Congresso ha stabilito per i partiti comunisti (e si tratta di un insegnamento tratto in prima linea dalle esperienze dell'Azione di marzo) era la ponderazione più attenta delle possibilità di lotta, la considerazione dei fatti e degli argomenti che mettono in rilievo le difficoltà dell'azione. Tutto il senso delle nostre tesi, per quanto esse si riferiscono alle azioni, può essere riassunto nel pensiero che il PC può entrare in lotta solo in una situazione nella quale le larghe masse considerano questa lotta come una necessità. In contrasto con questa dottrina, le tesi del CC del PCI dichiaravano nei paragrafi 24 e 25:
"24... l'attendere le situazioni per subirne in modo eclettico e discontinuo le indicazioni e le suggestioni è metodo caratteristico dell'opportunismo socialdemocratico. Se i partiti comunisti dovessero essere costretti ad adattarsi a questo, sottoscriverebbero la rovina della costruzione ideologica e militante del comunismo".
"25. Il partito comunista intanto riesce a possedere il suo carattere di unità e di tendenza a realizzare tutto un processo programmatico in quanto raggruppa nelle sue file quella parte del proletariato che ha superato nell'organizzarsi la tendenza a muoversi soltanto per gli impulsi immediati di ristrette situazioni economiche. L'influenza della situazione sui movimenti d'insieme del partito cessa di essere immediata e deterministica per divenire una dipendenza razionale e volontaria, in quanto la coscienza critica e l'iniziativa della volontà che hanno limitatissimo valore per gli individui sono organizzate nell'attività organica del partito...".
Che cosa significano queste argomentazioni, se si tenta (il che certamente non è facile) di capire il senso delle parole che si avvicinano di più alle frasi vuote della sociologia borghese che al marxismo? Esse significano questo: sfruttare per la lotta le situazioni che si creano storicamente, sarebbe opportunismo. La coscienza critica può non aspettare situazioni favorevoli, essa non dipende da loro. Essa può scegliere liberamente l'iniziativa per la lotta. Che altro è questo se non una rifrittura della teoria dell'offensiva, la quale fu respinta dal III Congresso?
È vero che il punto seguente delle tesi cerca di nascondere questo fatto e di mascherare con poche parole questa teoria d'avventurismo, ma essa rimane come elemento pericoloso delle tesi, come un elemento il quale (se esistesse non solo sulla carta ma anche nella testa dei membri del partito) rappresenterebbe il più grande pericolo per il partito stesso.
4. Il fronte unico
Il III Congresso dell'IC ha caratterizzato nelle sue tesi sulla tattica le nostre aspirazioni di creare il fronte unico, dicendo come segue: "Dove l'aspirazione della classe operaia diviene sempre più insopportabile, i partiti comunisti hanno il dovere di fare tutti i tentativi per condurre le masse operaie alla lotta per i loro interessi. Visto che in Europa occidentale e in America, dove le masse operaie sono organizzate in sindacati ed in partiti politici, si può contare in movimenti spontanei solo in casi rari, i partiti comunisti hanno il dovere di provocare (impiegando tutta la loro influenza nei sindacati e aumentando la pressione sugli altri partiti operai) una comune tendenza alla lotta per gli interessi immediati del proletariato; se i partiti non comunisti sono portati in questa lotta, il compito dei partiti comunisti consiste nel preparare le masse operaie fin da principio alla possibilità di tradimento da parte dei partiti non comunisti in una fase successiva della lotta, nell'inasprire e nello spingere avanti la situazione per essere poi capaci di dirigere eventualmente la lotta indipendentemente da altri partiti (si veda la lettera aperta [60] del Partito Comunista Unificato di Germania, la quale può servire da esempio come punto di partenza per azioni)".
Contro queste tesi si dirige coscientemente il CC del PCd'I nel paragrafo 36, difendendo il fronte unico sindacale ed opponendosi alla formazione di comitati dirigenti di lotta e di propaganda [61], nei quali siano rappresentati insieme coi partiti comunisti i partiti socialdemocratici. Contro tutti gli argomenti che le tesi del PCI avanzano, si trovano contro-argomenti nelle tesi del III Congresso, le quali nel capitolo sulle lotte e rivendicazioni parziali, dicono quanto segue:
"Gli operai che lottano per le loro rivendicazioni parziali, sono automaticamente costretti a lottare contro tutta la borghesia ed il suo apparecchio statale. Nella misura in cui le lotte per rivendicazioni parziali, le lotte parziali dei singoli gruppi operai crescono e tendono a diventare lotte comuni della classe operaia contro il capitalismo -nella stessa misura anche il PC deve elevare le sue parole d'ordine e renderle più generali fino alla parola d'ordine del rovesciamento dell'avversario".
Se il CC del PCI avesse studiato più attentamente questa questione, esso avrebbe capito che il voler limitare il fronte unico ai sindacati non è altro che un punto di vista sindacalista, perché solo se si ammette che i più importanti problemi di classe del proletariato possono essere risolti per mezzo della lotta sindacale, solo in questo caso si può tentare di eliminare i partiti politici. Se non è così, se ogni più grande lotta economica diventa una lotta politica, allora il partito comunista ha il dovere di tentare la lotta per gli interessi del proletariato insieme con gli altri partiti operai, costringendoli ad inquadrarsi nel fronte comune. Solo in questo modo il PC ottiene la possibilità di smascherare questi partiti -nel caso che questi, temendo la lotta, si rifiutino di aderire al fronte unico.
Questa questione è ormai risolta dalla disciplina dell'Esecutivo allargato. Se il PCI non vuole mancare alla disciplina internazionale (e noi siamo convinti che non lo vorrà) esso deve cambiare il suo punto di vista in questa questione praticamente decisiva e mettersi d'accordo con l'Esecutivo dell'IC per l'applicazione della lotta per il fronte unico in Italia.
5. La parola d'ordine del governo operaio
Il fronte unico in questo momento in Italia ha più che mai importanza. I partiti borghesi si dimostrano sempre meno capaci di organizzare un regime stabile. Il governo non riesce a superare le crisi. Il partito socialista non ha né il coraggio di staccarsi dalla borghesia e di iniziare la lotta contro il governo, né il coraggio di entrare apertamente al governo. In una situazione tale il PC non può accontentarsi di lanciare la parola d'ordine del governo dei soviet. Esso ha il compito di dire alle masse: voi temete la lotta per la dittatura, voi volete rimanere sul terreno della democrazia. Ebbene, questo terreno non basterà neanche per la soddisfazione dei più piccoli bisogni della classe operaia. Voi sarete costretti a tentare la lotta, la quale è necessaria per instaurare la dittatura del proletariato. Ma guardate la storditezza, il caos completo che regna in Italia, e del quale voi soffrite più di tutti. Se non volete staccarvi dai mezzi democratici di lotta, perché non approfittate di questi mezzi, almeno per fare il tentativo di uscire dalla situazione di anarchia?
Noi invitiamo il PCI a lottare per lo scioglimento della Camera allo scopo di instaurare un governo operaio.
Fissando un programma minimo per le rivendicazioni da realizzare dal governo operaio, i comunisti devono dichiararsi pronti a formare un blocco col Partito socialdemocratico ed appoggiarlo, per quanto esso difende gli interessi della classe operaia. Se il PSI accetterà, incominceranno lotte, le quali saranno trasportate dal terreno parlamentare in altri campi. Con ciò è data la risposta all'obiezione che la parola d'ordine del governo operaio non significhi altro che una combinazione parlamentare.
Se il PSI respinge la nostra proposta, allora le masse si persuaderanno che noi abbiamo mostrato loro una via concreta, che il PS invece non sa cosa fare. Tutte le preoccupazioni dei compagni di sinistra, che una tale tattica potrebbe far dimenticare le differenze che esistono fra comunisti e serratiani, sono semplicemente ridicole.
O non è vero che il PSI ad ogni passo tradisca gli interessi del proletariato, e sarebbe allora ridicolo il tentativo di affermarlo e di farlo credere agli operai, perché il PC non può basare la sua esistenza su una menzogna di propaganda, oppure è vero che solo noi difendiamo gli interessi vitali del proletariato italiano, ed in questo caso ogni tentativo riuscito o non riuscito di formare il fronte unico servirà a smascherare il partito socialista ed a rafforzare il partito comunista.
Noi speriamo che il PCI si sottometterà alle versioni dell'Esecutivo allargato non solo esteriormente; che invece la discussione, la quale ha avuto luogo in questa seduta, contribuirà ad una chiarificazione delle questioni e ad una vera accettazione del punto di vista dell'Esecutivo dell'IC da parte del Partito comunista italiano.
Non riusciamo a scrivere qui minuziosamente ora tutte le affermazioni e formulazioni false che abbiamo trovate nelle tesi del CC italiano, perché ci pare che il già esposto basti per dimostrare come sono errate le tesi nella loro direzione di principio.
Il paragrafo 49 delle tesi italiane dice:
"49 - Il Partito, perciò, libero dalle sue cure inerenti ad ogni periodo di incominciamento deve dedicarsi completamente al suo lavoro di penetrazione sempre più ampia tra le masse costruendo e moltiplicando gli organi di collegamento tra esse e se stesso".
L'Esecutivo dell'IC sarebbe felice se potrebbe aderire a questa opinione del partito italiano; purtroppo non è così. Le tesi della Direzione del Partito dimostrano che essa non ha superato l'infantilismo, la malattia di un giovane sterile radicalismo, del radicalismo il quale si risolve in una paura settaria del contatto con la vita reale, in una mancanza di fiducia nelle proprie forze e nelle tendenze rivoluzionarie della classe operaia quando questa entra in lotta. Se anche solo per scopi transitori.
L'Esecutivo ha fiducia che il CC del partito capirà queste debolezze e farà tutto il possibile per superarle. Questo si deve incominciare col cambiare le tesi del Partito. Sarà meglio per il partito di contentarsi delle tesi del III Congresso e di quelle dell'Esecutivo allargato, rinunciando all'elaborazione di proprie tesi, le quali costringeranno l'Esecutivo dell'IC a polemizzare pubblicamente e nel modo più aspro contro le concezioni del CC italiano.
20 ottobre 1922
(...) Vi ricordate il 1919? Fu l'anno in cui l'intera struttura dell'imperialismo europeo barcollò sotto l'impatto della più grande lotta di massa del proletariato verificatasi nella storia, e in cui quotidianamente aspettavamo la notizia della proclamazione della Repubblica dei soviet in Germania, Francia, Inghilterra, Italia. Il termine "soviet" divenne popolarissimo, i soviet venivano organizzati ovunque. La borghesia era sconvolta. Il 1919 fu l'anno più critico nella storia della borghesia europea. Nel 1920 i sommovimenti (possiamo affermarlo oggi retrospettivamente) diminuirono considerevolmente, pur rimanendo estremamente pericolosi, tanto da far sperare di poter giungere ad una rapida liquidazione della borghesia, in poche settimane o mesi. Quali erano le premesse della rivoluzione proletaria? Le forze produttive erano pienamente mature, come i rapporti di classe; il ruolo sociale oggettivo del proletariato rendeva quest'ultimo pienamente capace di conquistare il potere e di assolvere il necessario ruolo dirigente. Che cosa mancava? Mancava la premessa politica, la premessa soggettiva, vale a dire la piena coscienza della situazione da parte del proletariato. Mancava un'organizzazione alla testa del proletariato, capace di sfruttare la situazione per la preparazione tecnica ed organizzativa diretta dell'insurrezione, del rovesciamento, della presa del potere e così via. Questo è ciò che è mancato.
Tutto ciò è diventato tragicamente chiaro nel settembre del 1920 in Italia. Tra i lavoratori italiani, lavoratori di un paese che aveva sofferto più duramente durante la guerra, un proletariato giovane privo delle capacità di un vecchio proletariato, ma anche delle caratteristiche negative di quest'ultimo (conservatorismo, tradizionalismo ecc.), tra questo proletariato le idee e i metodi della rivoluzione russa avevano trovato un enorme favore. Il PSI, tuttavia, non aveva tenuto sufficientemente conto della natura di queste concezioni e di questi slogan. Nel settembre 1920 la classe operaia italiana, in effetti, aveva assunto il controllo dello Stato, della società, delle fabbriche, degli impianti, delle imprese. Che cosa mancava? Mancava un'inezia, mancava un partito, che puntando sul proletariato rivoluzionario, ingaggiasse una lotta aperta con la borghesia per distruggere i residui delle forze materiali ancora nelle mani di quest'ultima, prendere il potere e arrivare alla vittoria della classe operaia. In realtà, la classe operaia aveva conquistato il potere, ma non c'era alcuna organizzazione in grado di consolidare definitivamente la vittoria, e così la classe operaia venne ricacciata indietro. Il partito si scisse in varie direzioni, il proletariato fu sconfitto; e da quel momento, per tutto il 1921-22, abbiamo assistito ad un terribile arretramento politico della classe operaia italiana sotto i colpi della borghesia ormai consolidatasi e dalle squadracce piccolo-borghesi, meglio note sotto il nome di fascisti.
Il fascismo è la rivincita, la vendetta attuata dalla borghesia per il panico vissuto nel settembre del 1920, e nello stesso tempo è una lezione tragica per il proletariato italiano, una lezione su ciò che deve essere un partito politico, centralizzato, unito e con le idee chiare. Un partito che deve essere cauto nella scelta delle condizioni, ma anche risolutamente deciso nell'applicazione dei metodi necessari nell'ora decisiva. Paragonare eventi come quelli delle giornate del '20 in Italia con quelli del nostro paese deve e dovrebbe servirci a riflettere sul nostro Partito, che deve funzionare in condizioni incomparabilmente più difficili, cioè in condizioni di basso e arretrato livello culturale, in un ambiente in cui predominano i contadini (...)
In Italia la situazione è anche più grave. Dopo i fatti del settembre 1920, l'ala comunista, approssimativamente un terzo del vecchio PSI, è uscita dall'organizzazione, mentre il vecchio partito socialista, formato da un'ala di destra ed una di centro, continua la sua esistenza. Sotto l'attacco della borghesia, che ha affidato il potere esecutivo nelle mani dei fascisti, i riformisti sono scivolati sempre più a destra, tentando di entrare al governo [62], il cui organo esecutivo era ed è costituito da squadre fasciste. Ciò ha portato ad una rottura [63] nel partito socialista tra l'ala destra e il cosiddetto gruppo di Serrati, che ha annunciato alla Conferenza del Partito la sua adesione al Comintern. Al nostro Congresso avremo due partiti: il nostro partito comunista italiano ed il partito di Serrati, il quale (dopo aver compiuto un lungo giro) oggi vuole raggiungere le file dell'IC. La maggioranza di questo partito sta indubbiamente cercando di praticare una vera attività rivoluzionaria. In questo senso esiste una certa analogia col caso francese. In Francia la prospettiva è di arrivare ad un'unificazione tra l'ala sinistra e il centro, pur appartenendo entrambi allo stesso partito. I due gruppi sono soprattutto due tendenze, piuttosto che due frazioni, mentre in Italia si tratta di due partiti diversi.
Naturalmente non sarà semplice omogeneizzarli tra loro, dato che il compito consiste nell'amalgamare la gran massa proletaria di questi due partiti e allo stesso tempo assicurare una direzione comunista rivoluzionaria decisa. Ne consegue dunque che, sia nel caso dell'Italia che della Francia, il lavoro da fare oggi è soprattutto interno, organizzativo, di preparazione e di educazione, mentre il Partito comunista tedesco può e deve ormai superare questo stadio, come sta facendo, verso un'attività agitatoria offensiva, avvantaggiandosi del fatto che gli Indipendenti e i Socialdemocratici sono uniti [64] e che esso è oggi l'unico partito all'opposizione. (...)
15 novembre 1922
Chiede quali siano i mandati dati alla delegazione, cioè se ogni delegato è libero di votare secondo il proprio pensiero. Chiede spiegazioni sul voto dato dalla delegazione italiana al Congresso sul rapporto di Zinov'ev [66]. Interpreta questo fatto come il massimo di divergenza tra il PCI e l'IC. Più in là vi è la rottura. Egli dice che Gramsci vuole un privilegio di intransigenza per l'Italia [67]. Sulla questione del fronte unico voi avete fatto blocco con la Francia e con la Spagna [68]. Gli altri hanno già riconosciuto il loro torto, voi no. Gli argomenti che voi portate contro la fusione non ci convincono. Dopo la scissione nel PSI si è verificato un cambiamento di psicologia. Voi guardate al PC come cosa a sé. Voi ripetete in ogni questione lo stesso errore. Fra indipendenti tedeschi [69] e massimalisti italiani vi è differenza. Quelli si allontanavano dall'Internazionale, questi tendono ad avvicinarsi.
Io sono sicuro che fra i massimalisti ci sono elementi contrari all'Internazionale e di cui bisognerà sbarazzarsi. Ma col sistema dell'adesione individuale a ciò non si riuscirà. I migliori elementi sono attaccati al proprio partito e non lo abbandoneranno facilmente. L'adesione individuale porterebbe a noi solo rifiuti. Noi vi proponiamo di accettare l'adesione collettiva prima, dopo farete la selezione individuale. I fascisti hanno schiacciato le due organizzazioni. Se voi non avrete le simpatie delle grandi masse, voi non potrete agire illegalmente. Se voi volete restringere la vostra base, rimarrete senza base e sarete considerati come una setta.
23 novembre 1922
Cari amici,
la situazione della questione italiana al Congresso è tale che noi crediamo nostro dovere dirvi apertamente e da buoni compagni ciò che segue. La grande Commissione del Congresso si è dichiarata all'unanimità di essere per principio alla fusione del PCI e del PSI. Non c'è dubbio che anche il Congresso approverà all'unanimità questa decisione. Questo è un fatto del quale non potete non tener conto. Le vostre opposizioni sono già state sentite. Ma il Congresso desidera -e questo è del tutto chiaro- altrimenti.
Ora la questione consiste in ciò: come passerà questa questione al Plenum del Congresso e se a parte vostra non saranno commessi tali errori che potrebbero fiaccare le posizioni dei comunisti italiani verso gli elementi massimalisti. Questo sarebbe molto triste. Se gli oratori della vostra maggioranza anche al Plenum vorranno ostinatamente parlare contro la fusione, questo solo rafforzerà la posizione di quei massimalisti i quali meno di tutti si dovrebbero rinforzare. Lo spettacolo sarà assolutamente indesiderabile.
Al CE dell'IC sarà reso difficile l'appoggio del PCI durante e dopo la fusione. Il PCI sarà del tutto isolato. Il danno politico sarà enorme. L'errore sarà irreparabile. Il nostro consiglio: voi potete al Congresso fare una breve dichiarazione che la maggioranza della vostra delegazione era contro la fusione e ha già portato le ragioni, ma dovete contemporaneamente dichiarare che, siccome la Commissione ha deciso altrimenti, voi accettate questa decisione e l'attuate completamente [71]. Se farete questo ci darete la possibilità di rivolgere tutta la polemica contro la direzione del PSI e la prospettiva non sarà invertita.
Il nostro dovere è di avvertirvi contro un enorme errore politico.
Aspettiamo una vostra sollecita risposta.
Per incarico del CC del PCR.
Lenin, Zinov'ev, Trotsky, Radek, Bucharin
25 dicembre 1922
Per mettere bene in luce fin dall'inizio tutto ciò che ha di meccanico la concezione di Friedländer [72], prendiamo l'esempio dell'Italia, dove la controrivoluzione è al suo apogeo. Qual è la diagnosi politica che si può fare per l'Italia? Supponendo che Mussolini mantenga il potere [73] per un periodo di tempo sufficiente a permettere che i lavoratori di città e di campagna si raggruppino contro di lui, riprendano la fiducia perduta nella loro forza di classe e si uniscano intorno al Partito comunista, non è impossibile che il regime di Mussolini sia direttamente spazzato dalla dittatura del proletariato. Ma vi è un'altra eventualità probabile quanto la prima. Se il regime di Mussolini si infrange contro le contraddizioni interne della sua stessa base sociale e contro le difficoltà della situazione interna ed internazionale, prima che il proletariato arrivi alla situazione in cui si è trovato nel settembre 1920 (ma questa volta sotto una direzione rivoluzionaria forte e risoluta) è evidente che si assisterà di nuovo in Italia all'instaurazione di un regime intermediario, un regime di fraseologia e d'impotenza, d'un ministero Nitti o Turati, o anche Nitti-Turati, in una parola, di un regime analogo a quello di Kerenski e che, per il suo inevitabile e pietoso fallimento, spianerà la via al proletariato rivoluzionario. Questa seconda ipotesi, non meno verosimile della prima, implica forse la revisione del programma e della tattica dei comunisti italiani? Affatto.
Domani, come oggi, i comunisti italiani condurranno la lotta nel quadro del regime creato dalla vittoria di Mussolini. Lo spezzettamento del proletariato italiano non permette ai nostri compagni d'Italia di assegnarsi oggi come compito immediato il rovesciamento del fascismo con la forza armata. I comunisti italiani devono preparare con cura gli elementi della prossima lotta armata e sviluppare in primo luogo la lotta con larghi metodi politici. Il loro compito immediato (compito d'immensa importanza) è d'introdurre la disgregazione nei settori popolari e soprattutto in quelli operai, negli elementi che sostengono il fascismo e riunire masse proletarie sempre più numerose sotto parole d'ordine particolari e generali, difensive ed offensive. Mediante una politica agile e dinamica, i comunisti italiani possono accelerare considerevolmente la caduta dei fascisti, e perciò stesso costringere la borghesia italiana a cercare la sua salvezza, davanti alla rivoluzione, nei suoi santi di sinistra. Nitti e, forse anche di primo colpo, Turati. Che significherà per noi un tale mutamento?
Niente altro che la continuazione della disgregazione dello Stato borghese, l'accrescimento delle forze offensive del proletariato, lo sviluppo della nostra organizzazione di lotta, la creazione delle condizioni necessarie alla presa del potere (...)
28 dicembre 1922
(...) Un mese dopo, nel settembre del 1920, abbiamo vissuto il grande movimento di classe in Italia. Proprio in quell'autunno del '20 il proletariato italiano raggiunse l'apice massimo di mobilitazione del dopoguerra. Fabbriche, impianti, ferrovie, miniere vengono occupate. Lo Stato è sconvolto, la borghesia praticamente in ginocchio, la sua spina dorsale quasi spezzata. Sembra che ormai manchi solo un altro passo in avanti perché la classe operaia italiana conquisti il potere. Ma a questo punto il suo Partito, quello stesso Partito socialista che si era formato nell'epoca precedente e che, sebbene formalmente aderente alla III Internazionale, aveva ancora lo spirito e le radici nel passato, cioè nella II Internazionale -questo partito indietreggia terrorizzato di fronte alla possibilità della presa del potere, della guerra civile, lasciando il proletariato indifeso. Contro il proletariato viene sferrato un attacco da parte dell'ala più decisa della borghesia che utilizza il fascismo e tutte le forze residue della polizia e dell'esercito. Il proletariato viene annientato.
Dopo la sconfitta del proletariato verificatasi a settembre, in Italia si osserva a un mutamento ancor più drastico dei rapporti di forza tra le classi. La borghesia si è detta: "Dunque, voi siete gente di questo tipo. Mandate avanti il proletariato ma non avete il coraggio di prendere il potere". E ha mandato avanti le squadre fasciste. (...)
Dopo il IV Congresso, l'IC si trova ad affrontare due compiti intimamente legati fra loro. Il primo è quello di continuare la lotta contro le tendenze centriste, che esprimono i ripetuti e persistenti tentativi della borghesia (attraverso la mediazione della sua ala sinistra) di utilizzare il carattere prolungato dello sviluppo rivoluzionario per mettere radici nell'IC. La lotta contro il centrismo all'interno dell'IC e l'ulteriore epurazione di questo partito mondiale -questo è il primo compito. Il secondo è la lotta per riuscire ad influenzare la stragrande maggioranza della classe operaia.
Questi due problemi erano stati posti con forza al III Congresso soprattutto in rapporto al nostro partito francese, che era venuto al Congresso rappresentato da due fazioni: il centro e la sinistra. In seguito agli avvenimenti del '20, la nostra sezione italiana si era scissa dal partito socialista. Nell'estate del '21 il centro italiano, i cosiddetti massimalisti, guidati da Serrati, non presero parte al nostro Congresso (il III) e furono espulsi dall'Internazionale [75]. Nella sezione francese due tendenze analoghe si erano venute delineando alla vigilia del IV Congresso. Il parallelismo sotto molteplici aspetti tra i movimenti francese e italiano è stato già precedentemente sottolineato. E qui si verifica un fatto di generale valore emblematico: malgrado il trionfo della controrivoluzione in Italia e in generale anche in Europa, alla quale ho già fatto riferimento, proprio in Italia (dove il comunismo ha sofferto la sua sconfitta più grave) si osserva non la disgregazione, non il ripiegamento, ma al contrario un nuovo impulso verso l'IC. I massimalisti guidati da Serrati che noi avevamo espulso (giustamente, per la sua condotta assolutamente vile), questi massimalisti, entrati in conflitto con i riformisti durante il movimento del settembre del 1920, cominciarono a bussare alle porte dell'Internazionale alla vigilia del IV Congresso. Che cosa significa tutto ciò? Significa un nuovo impulso rivoluzionario a sinistra da parte di un settore dell'avanguardia del proletariato. (...)
1. Gli scioperi operai del settembre 1920 che segnarono il culmine dell'ondata di lotte e di mobilitazione popolare che seguirono la fine della guerra.
9. Gregorij Zinov'ev era allora presidente del Comintern e si occupò in quegli anni a più riprese del problema italiano. Egli intervenne, sia personalmente sia a livello ufficiale, in un primo momento per favorire la riunificazione tra il PSI e il PCd'I sul problema del fronte unico. Fece parte della Commissione ristretta che al IV Congresso si occupò specificamente della questione italiana.
10. Tra il febbraio e il marzo del '21 il VKPD, il Partito comunista tedesco, fu scosso da una forte crisi a livello di direzione. Uno dei motivi della spaccatura che dividerà in due la direzione del partito è il comportamento dell'IC sul problema italiano. Paul Levi, uno dei dirigenti tedeschi più noti, partecipando al Congresso di Livorno, si batterà per il mantenimento dell'unità del PSI, accusando il Comintern (rappresentato da Kabakciev) di aver favorito la scissione facendo "una cosa che le masse non comprenderanno". Con Levi si schierarono Clara Zetkin, Adolf Hoffman e Otto Brass. La crisi si acuirà con gli avvenimenti di marzo: la maggioranza del VKPD, capeggiata da Talheimer, Brandler, Stöcker e Ruth Fischer lancia lo sciopero generale e si impegna nel tentativo insurrezionale (che coinvolge centomila operai della Ruhr, ma fallisce nel più totale isolamento) nutrendo gravi illusioni sulle sue possibilità di riuscita. Queste illusioni erano state avallate anche dal rappresentante dell'IC, Rakosi, presente in quel periodo in Germania, difendendo la cosiddetta "teoria dell'offensiva" che caratterizzava in quella fase l'analisi e la linea politica dei settori estremisti dell'IC: tra questi il partito comunista tedesco e quello italiano.
11. Tra gli italiani, al III Congresso, sarà Terracini a farsi sostenitore della "teoria dell'offensiva". Affermerà: "Noi pensiamo che per "teoria dell'offensiva" si intenda la tendenza dei partiti comunisti ad una maggiore attività. Con essa si sottolinea la tendenza dinamica che deve sostituire quella statica, finora dominante nella maggior parte dei partiti comunisti della III Internazionale. Pensiamo che la formula della teoria dell'offensiva segni il passaggio dal periodo passivo al periodo attivo (...)".
12. Paul Levi, già dimissionario dalla direzione del VKPD per divergenze sulla questione italiana, si oppose violentemente all'Azione di marzo che definì "il più grande putsch bakuninista della storia contemporanea" e scrisse un opuscolo per motivare il suo dissenso dalla maggioranza della direzione. Nell'aprile del '21 fu espulso dal partito con l'accusa di aver violato la disciplina rendendo pubbliche queste critiche all'insaputa del partito stesso.
13. Si allude all'ala massimalista del PSI. In quelle giornate di settembre, l'atteggiamento della direzione fu quello di appoggiare la mobilitazione, chiamando all'occupazione delle fabbriche, senza però alcuna preparazione rivoluzionaria concreta, senza obiettivi intermedi, senza disciplina organizzativa. Le centrali sindacali, invece, controllate dai riformisti, si adoperarono per il contenimento dell'agitazione. Il 9-10 settembre, a Milano, durante una riunione tra il Consiglio generale della Confederazione del lavoro e la direzione del PSI, quest'ultima propose di estender l'occupazione delle fabbriche, di coinvolgere anche le campagne. L'assemblea, in cui erano maggioritari i funzionari sindacali, si dichiarò contraria, e il partito, non ritenendo di potersi assumere da solo la responsabilità di una possibile insurrezione, ritirò la proposta.
14. Al III Congresso dell'IC la delegazione del PCd'I era costituita da Misiano, Terracini, Gennari e Mario Montagnana. Per l'organizzazione giovanile erano presenti Polano e Tranquilli.
15. L'Internazionale aveva accettato la scissione di Livorno, motivandone la correttezza con il rifiuto da parte del PSI di espellere l'ala riformista del Partito, misura che era stata posta come pregiudiziale, al II Congresso, per l'adesione all'IC. In quell'occasione, forti erano state le pressioni di vari dirigenti bolscevichi nei confronti di Serrati perché accelerasse questo processo. Il III Congresso aveva ribadito la correttezza della lotta contro l'opportunismo serratiano, ma aveva espresso anche la necessità, da parte del giovane Partito comunista, della conquista della maggioranza della classe operaia; una scelta tattica che apriva la strada all'indicazione del fronte unico politico con i socialisti, come obiettivo centrale nella situazione italiana del dopoguerra. Le critiche dei delegati italiani erano rivolte soprattutto contro quest'ultima ipotesi tattica: secondo la direzione del giovane PCd'I, compito centrale in quella fase era lo smascheramento della politica collaborazionista e traditrice dei socialisti, e quindi il rifiuto di qualsiasi tipo di collaborazione con essi.
18. L'ala moderata guidata da Turati, Modigliani, Treves che nel '22 si staccherà per dar vita al PSUI.
19. I settori centristi del PSI avevano costituito, subito dopo il II Congresso dell'IC, una frazione detta "comunista unitaria" che avevano mantenuto in vita anche dopo il congresso nazionale, quello livornese della scissione dei comunisti. L'appellativo della frazione ribadiva il carattere unitario della battaglia interna.
20. La delegazione socialista al III Congresso era composta da Maffi, Lazzari e Riboldi i quali si pronunciarono a favore della fusione immediata con il PCd'I. Al ritorno in Italia costituirono la corrente cosiddetta dei "terzini", o "terzinternazionalisti", che aderirà poi al Partito comunista nel '24.
23. L'ala riformista del PSI, nella fase di discussione preliminare al Congresso di Livorno, si era organizzata in frazione denominandosi "di concentrazione socialista". Nei giorni 10-12 ottobre 1920 aveva convocato una sua conferenza a Reggio Emilia, in vista della battaglia congressuale.
28. Si allude alle tesi sulla tattica del fronte unico presentate al III Congresso dell'IC.
29. Quasi certamente Trotsky intende riferirsi alla costituzione del movimento degli Arditi del Popolo, un'organizzazione a carattere popolare che aveva lo scopo di armare militarmente le masse operaie contro la reazione fascista. Nel luglio del '21 gli Arditi avevano tenuto a Roma il loro primo raduno nazionale. Inizialmente guardati con simpatia dal PCd'I, vennero poi duramente criticati dalla direzione bordighista che diffidò i propri militanti dall'aderirvi.
30. Nel 1912 venne espulsa dal partito l'ala destra di Bissolati, Bonomi e Cabrini che darà poi vita al Partito Riformista.
31. All'indomani del Congresso di fondazione della III Internazionale, la direzione del PSI decise di aderire all'IC; questa decisione veniva accettata a grande maggioranza al successivo Congresso del Partito tenutosi a Bologna (settembre 1919). Quando il II Congresso dell'IC presentò le 21 condizioni per l'adesione, nacquero motivi di contrasto sulla questione dell'espulsione dei riformisti: Serrati, nel timore di spaccare il partito, rifiutò di andare allo scontro aperto con i turatiani. Sulla base di questa divergenza, l'IC (subito dopo la scissione di Livorno) deciderà di espelle il PSI e di riconoscere come sezione italiana il giovane partito comunista appena costituitosi.
32. La delegazione comunista italiana al III Congresso era formata da Gennari, Misiano, Mario Montagnana e Terracini. Quest'ultimo era stato tra i più polemici verso le posizioni dell'IC, non solo sull'aspetto organizzativo del rapporto con i socialisti, ma anche su quello dell'analisi politica della situazione europea.
33. Al congresso di Livorno, su un complesso di 127.487 deleghe, la mozione dei "comunisti puri" raccolse 58.783 voti, contro 98.028 dei "comunisti unitari" serratiani e i 14.695 della "concentrazione" riformista. Ai voti dei comunisti va aggiunta la maggioranza della federazione giovanile che si schierò con la sinistra, non compresa in queste cifre.
34. Il problema della conquista della maggioranza del proletariato sarà al centro della divergenza tra l'Internazionale e le sue sezioni di "sinistra", in primo luogo quelle italiana e tedesca; il contrasto esploderà al Primo Esecutivo allargato del febbraio '22 e si acuirà al IV Congresso concentrandosi sulla tematica del Fronte unico.
37. Kolarov, si fece interprete delle dure critiche che l'Internazionale muoveva alle cosiddette "Tesi di Roma" sulla tattica, che rifiutavano di prendere atto delle indicazioni tattiche proposte: vale a dire la necessità del fronte unico politico con la socialdemocrazia per arrestare il pericolo fascista. Presentate alla seduta del II Congresso nazionale del PCd'I apertosi a Roma il 20 marzo del '22, furono oggetto di particolare attenzione da parte dell'Internazionale, per le note divergenze espresse dalla direzione italiana nei confronti dell'orientamento politico generale adottato dall'IC al III Congresso. Le tesi ribadivano le posizioni italiane ripetutamente presentate dai delegati a Mosca: rifiuto della collaborazione con la socialdemocrazia, incomprensione della parola d'ordine del governo operaio, praticabilità del fronte unico solo sul terreno sindacale. Il Presidium dell'IC decise di polemizzare per iscritto con le Tesi di Roma, elaborando le "osservazioni" che qui riproduciamo. Si presume che queste critiche furono ispirate e scritte direttamente da Trotsky e da Radek.
44. Si allude alle tre internazionali: la II, la III e l'Internazionale due e mezzo. Con questo nome veniva definita dai comunisti l'Unione di lavoro dei partiti socialisti, costituita a Vienna nel '21 dai rappresentanti dei partiti socialisti di tredici paesi non aderenti né alla II né alla III Internazionale, tra i quali: il Partito austromarxista, l'Indipendent Labour Party (ILP), i socialisti cechi, ungheresi, i menscevichi e i socialrivoluzionari russi. Nel '24 aderiranno anche i socialisti italiani della frazione Nenni-Vella.
46. Si allude all'assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht avvenuto il 15 gennaio 1919 ad opera del governo socialdemocratico di Ebert, Noske e Scheidemann.
47. Prima della scissione fra socialisti e comunisti francesi.
50. L'ex-Presidente della Repubblica era stato richiamato al governo dall'ex-socialista Millerand. Come Presidente del consiglio e del Ministero degli Affari esteri, Poincaré impose alla Germania il rispetto del trattato di Versailles. Il rifiuto della Germania portò all'occupazione francese della Ruhr nel '23.
51. La direzione bordighista del PCd'I rifiutava decisamente di applicare il fronte unico a livello politico complessivo, ma lo accettava a livello sindacale.
52. Fu Juohaux, vecchio leader della CGT, a provocare la scissione sindacale del '21.
54. L'Unione di Vienna, cioè l'Internazionale due e mezzo, di fronte all'aggravarsi delle condizioni di vita dei lavoratori e all'attacco padronale, aveva proposto alle altre due organizzazioni internazionali un incontro per discutere delle possibili iniziative comuni da intraprendere come risposta unitaria all'offensiva capitalistica. La proposta venne discussa nell'IC e duramente contrastata dalla direzione del PCd'I. La conferenza si tenne poi a Berlino nell'aprile del '22.
55. Nel maggio del '22 ebbe luogo a Genova una conferenza internazionale che riunì i diplomatici dei paesi europei sul tema della ricostruzione economica del continente. Ad essa prese parte anche l'URSS che vedeva così legittimata la sua esistenza da parte delle potenze imperialistiche europee. L'Unione di Vienna propose di fare di questa scadenza l'occasione per una manifestazione delle tre Internazionali al fine di fare pressioni sull'andamento dei lavori della conferenza stessa.
59. Le "Tesi sulla tattica" furono approvate dal CC del PCd'I nella riunione del 19-20 settembre 1921.
60. Si allude alla lettera aperta, ispirata da Paul Levi nella primavera del '21 (e appoggiata sia da Lenin che da Radek, il quale seguiva personalmente la politica tedesca) e indirizzata all'USPD (i socialdemocratici indipendenti) e al KAPD con la quale il VKPD proponeva un programma minimo d'azione comune.
61. In questo paragrafo veniva espressa la concezione di fronte unico "dal basso", cioè praticato solo a livello di base (tipica delle posizioni estremistiche della direzione bordighista del PCd'I) che escludeva qualsiasi alleanza di vertice con i socialdemocratici.
62. Nel luglio del '22 cadeva il governo Facta su una mozione di sfiducia che accomunava voti popolari, socialisti e fascisti. Giolitti ormai guardava più ai fascisti che ai riformisti, i quali erano però disposti ad andare al governo anche con Mussolini. Le alleanze politiche per un governo popolare-socialista si erano sfaldate alla fine di luglio, il Partito popolare rifiutò la pregiudiziale contro la destra. Turati si incontrò col re, esprimendogli l'opinione secondo cui l'Italia avrebbe avuto bisogno di un governo senza le destre e senza i socialisti.
63. In occasione del XIX Congresso (ottobre 1922) il Partito socialista di divise: nella votazione finale che vide contrapporre due mozioni, la prima (massimalista) riceveva 32.106 voti, la seconda (riformista) 29.119. L'ala destra turatiana uscì dal PSI per fondare il PSUI.
64. L'USPD e il SPD si erano unificati il 24 settembre 1922.
65. L'intervento fu pronunciato nella riunione tra la delegazione italiana e la Commissione ristretta incaricata di discutere il problema delle divergenze tra IC e PCd'I. La delegazione italiana comprendeva tra gli altri: Bordiga, Gramsci, Scoccimarro, Ravera, Graziadei, Tasca, Bombacci, Presutti, Vota. Essa non era omogenea: contrapposta alla maggioranza che si riconosceva nelle posizioni "estremiste" della direzione, vi era una minoranza combattiva (i cui leader erano Tasca e Graziadei) che si schierò con l'IC appoggiando la fusione immediata col PSI e identificandosi con l'analisi della situazione mondiale e del fascismo presentata da Zinov'ev e Radek. Della Commissione ristretta facevano parte: Zinov'ev, Trotsky, Clara Zetkin, Bucharin, Kabakciev, come rappresentanti dell'IC.
66. Il 5 novembre Bordiga era intervenuto come primo oratore sulla relazione introduttiva di Zinov'ev, attaccando duramente la concezione del fronte unico e la parola d'ordine del governo operaio. Il disaccordo tra la direzione del PCd'I e l'IC era acuito dal rifiuto degli italiani di piegarsi alla fusione con ciò che restava del PSI, liberatosi dell'ala riformista.
67. Gramsci, in questa fase, era allineato sulle posizioni "intransigenti" di Bordiga, soprattutto nei confronti dei rapporti coi socialisti: no alla fusione, si all'adesione individuale dei massimalisti.
68. Anche le delegazioni francese e spagnola a partire dal III Congresso avevano espresso posizioni analoghe a quelle italiane, anche se da destra.
69. L'USPD, il Partito dei socialdemocratici indipendenti, dopo un periodo di collaborazione con l'IC si era riunificato con il SPD nel settembre di quello stesso anno.
70. Dopo la riunione del 15 novembre in Commissione ristretta, di fronte all'atteggiamento di chiusura di Bordiga e degli altri delegati di maggioranza del PCd'I, il CC del PCR prendeva l'iniziativa di inviare alla delegazione italiana una lettera in cui invitava ad un atteggiamento responsabile in sede di Assemblea generale del Congresso. La lettera è firmata dai principali dirigenti del PC russo e dell'Internazionale, ma da un messaggio telefonico che Lenin inviò a Trotsky il 25 novembre 1922 risulta come la proposta di inviare la lettera fosse inizialmente di Trotsky. "Quanto a Bordiga -dice Lenin- consiglio vivamente di approvare la vostra proposta di inviare ai delegati italiani una lettera dal nostro CC e di raccomandar loro con molta insistenza la tattica da voi indicata, altrimenti le loro azioni saranno estremamente dannose per i comunisti in avvenire".
71. La delegazione italiana accetta la proposta ed è lo stesso Bordiga a scrivere la risposta che segue: "La nostra convinzione non è per niente scossa. Lo dichiariamo apertamente. Ma un passo del nostro partito fratello della Russia, non è per i comunisti italiani senza valore. Comprendiamo che si tratti di far forza su di noi stessi e di rompere noi stessi la linea legittima del nostro contributo alla lotta dell'Internazionale, condotta fino a oggi con slancio entusiastico, che d'altronde non saprebbe né vorrebbe essere confuso con una testardaggine volgare. Noi prendiamo davanti al nostro partito la responsabilità di ritornare sulla risoluzione già presa. Dopo il vostro invito, il vostro fraterno consiglio, noi vi dichiariamo che la rappresentanza della maggioranza del PCI tacerà. Essa non sosterrà le opinioni che voi conoscete e della giustezza delle quali resta convinta".
72. Questo articolo fu scritto nell'ambito della polemica che contrappose Trotsky alla comunista austriaca T. Friedländer (Ruth Fischer, 1895-1961) esponente della sinistra del partito comunista tedesco.
73. Mussolini aveva assunto ufficialmente il potere dopo la demagogica "marcia su Roma" avvenuta alla fine dell'ottobre del '22.
75. Questa espulsione fu motivata dal fatto che il PSI (dopo la scissione di Livorno del PCd'I) s'era rifiutato di espellere dal suo interno i riformisti. Solo nell'ottobre del '22, dopo il fallimento dello "sciopero legalitario" dell'agosto, i massimalisti si decideranno a separarsi dai riformisti e parteciperanno al IV Congresso chiedendo di aderirvi.
Indice degli Scritti sull'Italia
Ultima modifica 23.12.2003