La IV Internazionale e la guerra

Trotsky (1934)


Quaderni del Centro Studi Pietro Tresso, Serie: “Dagli archivi del bolscevismo”, n. 4, novembre 1989;traduzione e cura di Paolo Casciola. Pubblicato sul sito Progettocomunista

 

La catastrofica crisi commerciale, industriale, agraria e finanziaria, la rottura dei legami economici internazionali, il declino delle forze produttive dell’umanità, l’insopportabile aggravarsi delle contraddizioni di classe e internazionali segnano il crepuscolo del capitalismo e confermano appieno la caratterizzazione leninista della nostra epoca come un’epoca di guerre e rivoluzioni.

La guerra del 1914-18 ha ufficialmente inaugurato una nuova epoca. Sino ad ora i suoi avvenimenti politici più importanti sono stati la conquista del potere da parte del proletariato russo nel 1917 e la sconfitta del proletariato tedesco nel 1933. Le terribili sofferenze di tutti i popoli in ogni parte del mondo, nonché i pericoli ancor più terribili che il domani riserba loro, derivano dal fatto che la rivoluzione del 1917 non ha trovato uno sviluppo vittorioso nell’arena europea e mondiale.

All’interno di ogni singolo paese, il vicolo cieco storico cui è giunto il capitalismo si esprime nella disoccupazione cronica, nell’abbassamento del livello di vita degli operai, nella rovina della piccola borghesia urbana e dei contadini, nella decomposizione e nel declino dello stato parlamentare, nel mostruoso avvelenamento del popolo ad opera di una demagogia “sociale” e “nazionale” a fronte della liquidazione reale delle riforme sociali, nella messa in disparte e nella sostituzione dei vecchi partiti dirigenti con un apparato poliziesco militare nudo e crudo (il bonapartismo1 del declino capitalistico), nello sviluppo del fascismo, nel suo arrivo al potere e nell’annientamento di ogni organizzazione proletaria.

Nell’arena mondiale gli stessi processi stanno spazzando via gli ultimi rimasugli di stabilità dei rapporti internazionali, spingendo ogni conflitto tra stati sul filo del rasoio, mettendo a nudo la futilità delle tendenze pacifiste, scatenando la crescita degli armamenti su di una nuova e superiore base tecnica e portando con ciò ad una nuova guerra imperialista. Il fascismo è il suo artefice e il suo organizzatore più coerente.

D’altro canto lo smascheramento della natura completamente reazionaria, putrida e banditesca del capitalismo moderno, la distruzione della democrazia, del riformismo e del pacifismo, il bisogno urgente e scottante del proletariato di trovare una via di scampo sicura dal disastro imminente, pongono la rivoluzione internazionale all’ordine del giorno con forza rinnovata. Soltanto il rovesciamento della borghesia per mano del proletariato insorto può salvare l’umanità da una nuova, devastante carneficina dei popoli.

 

 

I preparativi di una nuova guerra mondiale

 

1. Le stesse cause, inseparabili dal capitalismo moderno, che hanno provocato l’ultima guerra imperialista, hanno ora raggiunto un livello di tensione infinitamente superiore a quello del 1914. La paura delle conseguenze di una nuova guerra costituisce l’unico fattore che ostacoli la volontà dell’imperialismo. Ma l’efficacia di questo freno è limitata. Il peso delle contraddizioni interne spinge un paese dopo l’altro sulla via del fascismo, il quale, a sua volta, non può mantenersi al potere se non preparando delle esplosioni internazionali. Tutti i governi temono la guerra. Ma nessuno di loro ha alcuna libertà di scelta. Senza una rivoluzione proletaria, una nuova guerra mondiale è inevitabile.

 

2. L’Europa, recente campo di battaglia della più grande delle guerre, prosegue senza sosta nel suo declino, spinta tanto dai vincitori quanto dai vinti. La Società delle Nazioni2, che, secondo il suo programma ufficiale, doveva essere l’“organizzatrice della pace” e che era stata concepita in realtà per perpetuare il sistema di Versailles3, per neutralizzare l’egemonia degli Stati Uniti e per creare un bastione contro l’Oriente rosso, non ha saputo reggere all’impatto delle contraddizioni imperialiste. Soltanto i più cinici dei socialpatrioti (Henderson4, Vandervelde5, Jouhaux6 e altri) cercano ancora di legare alla Società delle Nazioni le prospettive del disarmo e del pacifismo. In realtà la Società delle Nazioni è diventata un pezzo secondario dello scacchiere delle combinazioni imperialiste. Il lavoro principale della diplomazia, che viene attualmente svolto alle spalle di Ginevra7, consiste nella ricerca di alleati militari, cioè nella preparazione febbrile di una nuova carneficina. Parallelamente si verifica una crescita costante degli armamenti, alla quale la Germania fascista ha conferito un nuovo, gigantesco impulso8.

 

3. Il crollo della Società delle Nazioni è indissolubilmente legato all’inizio del collasso dell’economia francese sul continente europeo. La potenza demografica ed economica della Francia si è rivelata essere, come ci si poteva aspettare, una base troppo limitata per il sistema di Versailles. Nella misura in cui è costretto a difendere mediante accordi legalizzati il frutto dei suoi saccheggi e delle sue spoliazioni, l’imperialismo francese, armato fino ai denti e dotato di un carattere apparentemente “difensivo”, rimane essenzialmente uno dei fattori più importanti di una nuova guerra.

Sotto il peso delle insormontabili contraddizioni e delle conseguenze della sconfitta, il capitalismo della Germania è stato costretto a strapparsi di dosso la camicia di forza del pacifismo democratico e si fa ora avanti come la principale minaccia per il sistema di Versailles. Le combinazioni tra stati sul continente europeo seguono ancora, nei tratti essenziali, la linea di demarcazione tra vincitori e vinti. L’Italiaoccupa il posto di un traditore intermedio pronto a vendere la sua amicizia al più forte nel momento decisivo, come fece durante l’ultima guerra. L’Inghilterra cerca di mantenere la propria “indipendenza” – una semplice parvenza del suo “splendido isolamento” d’altri tempi – nella speranza di utilizzare gli antagonismi in Europa, le contraddizioni tra Europa e America, i conflitti che si annunciano in Estremo Oriente. Ma l’Inghilterra domatrice ha sempre meno successo nei suoi disegni. Terrorizzata dalla disintegrazione del suo impero, dal movimento rivoluzionario in India, dall’instabilità delle sue posizioni in Cina, la borghesia britannica dissimula dietro alla rivoltante ipocrisia di MacDonald9 e di Henderson la propria politica avida e codarda di attendismo e di manovre che, a sua volta, costituisce una delle cause principiali dell’instabilità generale di oggi e delle catastrofi di domani.

 

4. La guerra e il dopoguerra hanno profondamente modificato la situazione interna e internazionale degli Stati Uniti d’America, la cui gigantesca superiorità economica sull’Europa e, di conseguenza, sul mondo, ha permesso alla borghesia statunitense di apparire nel primo periodo postbellico come un “conciliatore” imparziale, un difensore della “libertà dei mari” e della “porta aperta”10. La crisi industriale e commerciale ha tuttavia rivelato con forza terrificante la perturbazione del vecchio equilibrio economico, che aveva trovato sufficiente sostegno nel mercato interno. Questa via è ora completamente esaurita.

Beninteso, la superiorità economica degli Stati Uniti non è scomparsa, anzi, al contrario, potenzialmente essa è persino cresciuta grazie all’ulteriore disintegrazione dell’Europa; ma le vecchie forme attraverso cui tale superiorità si manifestava (la tecnica industriale, l’equilibrio commerciale, la stabilità del dollaro, l’indebitamento dell’Europa) hanno perso la loro attualità: la tecnica avanzata non viene più utilizzata, l’equilibrio commerciale è sfavorevole, il dollaro è in declino, i debiti non vengono pagati. La superiorità degli Stati Uniti deve trovare espressione sotto nuove forme, la strada verso le quali può essere aperta soltanto dalla guerra.

La parola d’ordine della “porta aperta” in Cina si rivela impotente di fronte a poche divisioni giapponesi11. Washington porta avanti la sua politica in Estremo Oriente in modo tale da essere in grado di provocare al momento più propizio uno scontro militare tra l’URSS e il Giappone, da indebolire sia il Giappone che l’URSS e da elaborare il suo ulteriore piano strategico in funzione del risultato della guerra. Proseguendo per inerzia la discussione sulla liberazione delle Filippine12, gli imperialisti americani stanno in realtà preparandosi a creare una base militare in Cina, così da poter sollevare nella fase successiva, in caso di conflitto con la Gran Bretagna, la questione della “liberazione” dell’India. Il capitalismo statunitense si scontra con gli stessi problemi che nel 1914 spinsero la Germania sulla via della guerra. Il mondo è diviso? Bisogna rifare la spartizione. Per la Germania si trattava di “organizzare” l’Europa. Gli Stati Uniti debbono “organizzare” il mondo. La storia sta portando l’umanità di fronte all’eruzione vulcanica dell’imperialismo americano.

 

5. Il capitalismo ritardatario del Giappone, alimentato dai succhi dell’arretratezza, della povertà e della barbarie, viene spinto da insopportabili ulcere e ascessi interni sulla via di un continuo saccheggio piratesco. L’assenza di una propria base industriale e l’estrema precarietà di tutto il suo sistema sociale fanno del capitalismo giapponese il più aggressivo e scatenato. L’avvenire dimostrerà però come dietro a questa aggressività famelica non ci siano che poche forze reali: il Giappone può essere il primo a lanciare il segnale della guerra; ma in questo Giappone semifeudale, lacerato da tutte le contraddizioni che ossessionavano la Russia zarista, può suonare prima che altrove la campana della rivoluzione.

 

6. Sarebbe tuttavia troppo avventuristico pronosticare con precisione dove e quando verrà esploso il primo colpo. Sotto l’influenza dell’accordo sovietico-americano13, nonché delle proprie difficoltà interne, il Giappone potrà battere temporaneamente in ritirata; ma le circostanze stesse possono, al contrario, costringere la camarilla militare giapponese ad affrettarsi a colpire fin tanto che ce n’è ancora il tempo. Il governo francese si risolverà a scatenare una guerra “preventiva”, e questa guerra non si trasformerà forse, con l’aiuto dell’Italia, in una mischia generale? Oppure, al contrario, pur guadagnando tempo e manovrando, la Francia imboccherà, sotto la pressione dell’Inghilterra, la via di un accordo con Hitler, aprendogli in tal modo la via di un attacco ad Oriente?

La penisola balcanica non sarà forse ancora una volta l’istigatrice della guerra? Oppure l’iniziativa verrà assunta questa volta dai paesi danubiani? La moltitudine dei fattori e l’intreccio delle forze in conflitto escludono la possibilità di azzardare un pronostico concreto. Ma la tendenza di sviluppo generale è assolutamente chiara: il periodo postbellico si è semplicemente trasformato in un intervallo tra due guerre, e questo intervallo sta svanendo sotto i nostri occhi. Il capitalismo pianificato, corporativo o di stato, che procede mano nella mano con lo stato autoritario, bonapartista o fascista, rimane un’utopia e una menzogna nella misura in cui si prefigge ufficialmente l’obiettivo di armonizzare l’economia nazionale sulla base della proprietà privata. Ma si tratta di una realtà minacciosa dal momento che esso concentra tutte le forze economiche della nazione per la preparazione di una nuova guerra. Tale lavoro procede ora a tutta velocità. Una nuova grande guerra sta bussando alla porta. Essa sarà più crudele e più distruttiva della precedente. Questo fatto stesso fa dell’atteggiamento nei confronti della guerra che si avvicina la questione centrale della politica proletaria.

 

 

L’URSS e la guerra imperialista

 

7. Considerato su scala storica, l’antagonismo esistente tra l’imperialismo mondiale e l’Unione Sovietica è infinitamente più profondo degli antagonismi che oppongono l’un l’altro i singoli paesi capitalisti. Ma la contraddizione di classe tra lo stato operaio e gli stati capitalisti varia di acutezza in funzione dell’evoluzione dello stato operaio e dei mutamenti della situazione mondiale.

Il mostruoso sviluppo del burocratismo sovietico e le difficili condizioni di esistenza delle masse lavoratrici hanno drasticamente affievolito la forza di attrazione dell’URSS rispetto alla classe operaia mondiale. Le pesanti sconfitte del Komintern14 e della politica estera nazional-pacifista del governo sovietico, a loro volta, non hanno fatto altro che ridimensionare le apprensioni della borghesia mondiale. Il nuovo aggravamento delle contraddizioni interne del mondo capitalista, infine, costringe i governi d’Europa e d’America ad avvicinarsi all’URRS in questa fase non dal punto di vista della questione principale – capitalismo o socialismo? –, bensì da quello del ruolo congiunturale dello stato sovietico nella lotta tra le potenze imperialiste. I patti di non agressione15, il riconoscimento dell’URSS da parte del governo di Washington, ecc., sono le manifestazioni di questa situazione internazionale. Gli insistenti sforzi di Hitler miranti a legittimare il riarmo tedesco sottolineando il “pericolo orientale” non incontrano ancora alcuna eco, soprattutto da parte della Francia e dei suoi satelliti, precisamente perché il pericolo rivoluzionario rappresentato dal comunismo, nonostante la terribile crisi, ha perso la sua acutezza. I successi diplomatici dell’Unione Sovietica sono dunque da attribuire – per lo meno in larga misura – all’estremo indebolimento della rivoluzione mondiale.

 

8. Sarebbe tuttavia un errore fatale considerare un intervento armato contro l’Unione Sovietica come del tutto escluso dall’ordine del giorno. Se i rapporti congiunturali sono diventati meno tesi, le contraddizioni tra i sistemi sociali mantengono tutta la loro forza. Il continuo declino del capitalismo spingerà i governi borghesi verso decisioni radicali. Ogni guerra importante, quali che siano i motivi iniziali, porrà direttamente la questione dell’intervento militare contro l’URSS allo scopo di trasfondere sangue fresco nelle vene sclerotiche del capitalismo.

L’incontestabile e profonda degenerazione burocratica dello stato sovietico, come pure il carattere nazional-conservatore della sua politica estera, non modificano la natura sociale dell’Unione Sovietica in quanto primo stato operaio. Tutti i tipi di teorie democratiche, idealistiche, ultrasinistre e anarchiche, ignorando il carattere dei rapporti di proprietà sovietici, che è socialista quanto a tendenze, e negando o minimizzando la contraddizione di classe esistente tra l’URSS e gli stati borghesi, porteranno inevitabilmente, soprattutto in caso di guerra, a conclusioni politiche controrivoluzionarie.

La difesa dell’Unione Sovietica dai colpi dei nemici capitalisti, indipendentemente dalle circostanze e dalle cause immediate del conflitto, è un dovere elementare e imperativo di ogni organizzazione operaia onesta.

 

 

La “difesa nazionale”

 

9. Lo stato nazionale creato dal capitalismo nella sua lotta contro il regionalismo medievale è diventato l’arena classica del capitalismo. Ma non appena ha preso forma, esso si è trasformato in un freno per lo sviluppo economico e culturale. La contraddizione esistente tra le forze produttive e la cornice dello stato nazionale, unita alla contraddizione principale – tra le forze produttive e la proprietà privata dei mezzi di produzione – ha fatto della crisi del capitalismo la crisi del sistema sociale mondiale.

 

10. Se le frontiere statali potessero essere spazzate via d’un sol colpo, le forze produttive, anche sotto il capitalismo, potrebbero continuare ad elevarsi per un certo lasso di tempo – al prezzo di innumerevoli sacrifici, è vero – ad un livello superiore. Con l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione le forze produttive possono raggiungere, come dimostra l’esperienza dell’URSS, un livello più elevato persino nel quadro di un solo stato. Ma soltanto l’abolizione della proprietà privata, nonché delle frontiere statali tra nazioni, può creare le condizioni per un nuovo sistema economico: la società socialista.

 

11. La difesa dello stato nazionale, innanzitutto nell’Europa balcanizzata16, culla dello stato nazionale, è, nel pieno senso del termine, un obiettivo reazionario. Lo stato nazionale, con le sue frontiere, i suoi passaporti, il suo sistema monetario, le sue dogane e i suoi doganieri, si è trasformato in un terribile ostacolo per lo sviluppo economico e culturale dell’umanità. Il compito del proletariato non consiste nella difesa dello stato nazionale, bensì nella sua liquidazione completa e definitiva.

 

12. Se l’attuale stato nazionale costituisse un fattore progressivo, esso dovrebbe essere difeso indipendentemente dalla sua forma politica e, beninteso, senza badare a chi ha “incominciato” la guerra per primo. È assurdo confondere la questione della funzione storica dello stato nazionale con quella della “colpevolezza” di un dato governo. Ci si può forse rifiutare di salvare una casa abitabile soltanto perché il fuoco vi ha attecchito per l’incuria o per la mala intenzione del suo proprietario? Ma nel nostro caso si tratta precisamente di una casa costruita non per viverci, bensì semplicemente per morirvi. Affinché i popoli possano vivere è necessario radere al suolo la struttura dello stato nazionale.

 

13. Un “socialista” che predichi la difesa nazionale è un piccolo-borghese reazionario al servizio del capitalismo declinante. Non legarsi allo stato nazionale in tempo di guerra, non seguire la mappa della guerra ma quella della lotta di classe è possibile soltanto a quel partito che abbia già dichiarato una guerra irreconciliabile allo stato nazionale in tempo di pace. È soltanto rendendosi pienamente conto del ruolo oggettivamente reazionario dello stato imperialista che l’avanguardia proletaria può immunizzarsi contro tutti i tipi di socialpatriottismo. Questo significa che una rottura effettiva con l’ideologia e con la politica della “difesa nazionale” è possibile soltanto dal punto di vista della rivoluzione proletaria mondiale.

 

 

La questione nazionale e la guerra imperialista

 

14. La classe operaia non è indifferente alla sua nazione. Al contrario, è proprio perché la storia pone tra le sue mani il destino della nazione che la classe operaia rifiuta di affidare l’obiettivo della libertà e dell’indipendenza nazionali all’imperialismo, il quale “salva” la nazione soltanto per sottoporla il giorno dopo a nuovi pericoli mortali nell’interesse di un’insignificante minoranza di sfruttatori.

 

15. Pur avendo utilizzato la nazione per il proprio sviluppo, il capitalismo non ha pienamente risolto in alcun luogo, in nessuna regione del mondo, il problema nazionale. Le frontiere dell’Europa di Versailles sono tagliate nella carne viva delle nazioni. L’idea di ritagliare nuovamente l’Europa capitalistica per far coincidere le frontiere statali con quelle nazionali è la più pura delle utopie. Nessun governo cederà un millimetro del suo territorio con mezzi pacifici. Una nuova guerra ritaglierebbe di nuovo l’Europa conformemente alla mappa bellica e non in corrispondenza delle frontiere nazionali. Il compito di raggiungere un’autodeterminazione nazionale completa e una cooperazione pacifica tra tutti i popoli d’Europa può essere assolto soltanto sulla base dell’unificazione economica di un’Europa sbarazzata dal dominio borghese. La parola d’ordine degli Stati Uniti sovietici d’Europa17 non è soltanto quella della salvezza dei popoli balcanici e danubiani, ma anche della salvezza dei popoli della Germania e della Francia.

 

16. Un posto particolarmente importante spetta alla questione dei paesi coloniali e semicoloniali d’Oriente, che stanno ancora combattendo per uno stato nazionale indipendente. La loro lotta è doppiamente progressiva: strappando i popoli arretrati all’asiatismo, al particolarismo e alla schiavitù straniera, essi infliggono dei seri colpi agli stati imperialisti. Ma bisogna innanzitutto capire chiaramente che le rivoluzioni tardive in Asia e in Africa non sono in grado di aprire una nuova epoca di rinascita per lo stato nazionale. La liberazione delle colonie costituirà semplicemente un gigantesco episodio della rivoluzione socialista mondiale, esattamente come il sollevamento democratico tardivo in Russia, che era anch’essa un paese semicoloniale, non rappresentò che il prologo della rivoluzione socialista.

 

17. In America del Sud, dove un capitalismo ritardatario e già declinante subisce le condizioni di un’esistenza semifeudale, cioè semiservile, gli antagonismi mondiali determinano delle aspre lotte tra cricche compradore, dei sollevamenti continui all’interno degli stati e dei conflitti armati prolungati tra stati. La borghesia americana, che durante la sua ascesa storica è stata capace di unire in un’unica federazione la metà settentrionale del continente americano, utilizza ora tutto il potere che ne ha tratto per dividere, indebolire e ridurre la schiavitù la metà meridionale. L’America meridionale e centrale sarà in grado di sottrarsi all’arretratezza e alla schiavitù soltanto se unisce tutti i suoi stati in un’unica, possente federazione. Ma non sarà la borghesia sudamericana ritardataria, agenzia assolutamente venale dell’imperialismo straniero, ad essere chiamata ad assolvere questo compito, bensì il giovane proletariato sudamericano, dirigente scelto dalle masse oppresse. Nella lotta contro la violenza e gli intrighi dell’imperialismo mondiale e contro l’opera sanguinosa delle cricche compradore indigene, la parola d’ordine è dunque: Stati Uniti sovietici dell’America meridionale e centrale.

Il problema nazionale si fonde ovunque con quello sociale. Soltanto la conquista del potere da parte del proletariato mondiale può assicurare una libertà di sviluppo reale e duratura a tutte le nazioni del nostro pianeta.

 

 

La difesa della democrazia

 

18. La menzogna della difesa nazionale viene nascosta, in tutti i casi in cui ciò sia possibile, dietro alla menzogna complementare della difesa della democrazia. Se persino adesso, nell’epoca imperialista, i marxisti non identificano la democrazia con il fascismo e sono pronti in ogni momento ad opporre resistenza al fascismo che attacca la democrazia, il proletariato non deve forse, in caso di guerra, sostenere i governi democratici contro quelli fascisti?

Flagrante sofisma! Noi difendiamo la democrazia contro il fascismo mediante le organizzazioni e i metodi del proletariato. Contrariamente alla socialdemocrazia, noi non affidiamo questa difesa allo stato borghese (“Staat, greif zu!”18). E se restiamo in irriducibile opposizione nei confronti del governo più democratico in tempo di pace, come possiamo assumerci anche soltanto un’ombra di responsabilità per esso in tempo di guerra, quando tutte le infamie e i crimini del capitalismo assumono la forma più brutale e sanguinosa?

 

19. Una guerra moderna tra le grandi potenze significa non un conflitto tra la democrazia e fascismo, bensì una lotta tra due imperialismi per una nuova spartizione del mondo. La guerra, inoltre, deve inevitabilmente assumere un carattere internazionale, e nell’uno e nell’altro campo si troveranno tanto gli stati fascisti (semifascisti, bonapartisti, ecc.) quanto quelli “democratici”. La forma repubblicana dell’imperialismo francese non gli impedisce di basarsi in tempo di pace sulla dittatura militare borghese in Polonia, in Jugoslavia e in Romania, così come non gli impedirà in caso di necessità di restaurare la monarchia austro-ungarica per farne un bastione contro l’unificazione dell’Austria con la Germania. Nella stessa Francia, infine, la democrazia parlamentare, già oggi abbastanza indebolita, sarebbe indubbiamente una delle prime vittime della guerra se non verrà rovesciata prima del suo inizio.

 

20. La borghesia di un gran numero di paesi civilizzati ha già dimostrato e continua a dimostrare che, in caso di pericolo interno, essa sostituirà senza troppo esitare la forma parlamentare del suo dominio con una forma autoritaria, dittatoriale, bonapartista o fascista. Essa realizzerà un tale cambiamento tanto più rapidamente e risolutamente in tempo di guerra, allorché dei pericoli sia interni che esterni minacceranno i suoi interessi di classe fondamentali con forza decuplicata. In queste condizioni, il sostegno offerto da un partito operaio al “suo” imperialismo nazionale nell’interesse di un fragile guscio democratico significherebbe la rinuncia ad una politica indipendente e la demoralizzazione sciovinista dei lavoratori, vale a dire la distruzione dell’unica forza che possa salvare l’umanità dalla catastrofe.

 

21. La “lotta per la democrazia” in tempo di guerra significherà soprattutto lotta per la salvaguardia della stampa operaia e delle organizzazioni operaie contro lo scatenarsi della censura e delle autorità militari. Sulla base di questi compiti, l’avanguardia rivoluzionaria ricercherà il fronte unico con altre organizzazioni operaie – contro il proprio governo “democratico” –, ma in nessun caso l’unità con il proprio governo contro il paese nemico.

 

22. Una guerra imperialista si colloca al di sopra della questione della forma statale del dominio capitalista. Essa pone di fronte a ciascuna borghesia nazionale la questione della sorte del capitalismo nazionale, e di fronte alla borghesia di tutti i paesi la questione del destino del capitalismo in generale. È soltanto così che il proletariato deve anch’esso porre la questione: capitalismo o socialismo, trionfo di uno dei campi imperialisti o rivoluzione proletaria.

 

 

La difesa dei paesi piccoli e neutrali

 

23. Il concetto di difesa nazionale, soprattutto quando coincide con l’idea della difesa della democrazia, può più facilmente ingannare gli operai dei paesi piccoli e neutrali (la Svizzera, in parte il Belgio, i paesi scandinavi...) che, essendo incapaci di impegnarsi in una politica indipendente di conquista, attribuiscono alla difesa delle proprie frontiere nazionali il carattere di un dogma irrefutabile e assoluto. Ma proprio l’esempio del Belgio ci mostra quanto naturalmente la neutralità formale venga sostituita con un sistema di patti imperialisti e quanto inevitabilmente la guerra per la “difesa nazionale” conduca ad una pace annessionista. Il carattere della guerra non è determinato dall’episodio iniziale in sé (“violazione della neutralità”, “invasione nemica”, ecc.), bensì dalle principali forze motrici della guerra, da tutto il suo sviluppo e dalle conseguenze che essa alla fine comporta.

 

24. Si può accettare senza discussioni l’idea secondo cui la borghesia svizzera non prenderà l'iniziativa di una guerra. In questo senso essa ha formalmente più diritto di ogni altra borghesia di parlare della sua posizione difensiva. Ma a partire dal momento in cui la Svizzera potrà trovarsi coinvolta nella guerra dal corso degli eventi, essa entrerà nel conflitto delle potenze mondiali perseguendo degli scopi altrettanto imperialisti. Se la sua neutralità venisse violata, la borghesia svizzera si alleerebbe con il più forte dei due attaccanti senza preoccuparsi di sapere chi porti la maggiore responsabilità per la violazione della sua neutralità e in quale dei due campi vi sia più “democrazia”. Così durante l’ultima guerra, il Belgio, alleato dello zarismo, non ha affatto abbandonato il campo degli alleati quando, nel corso del conflitto, questi ultimi hanno a loro volta trovato vantaggioso violare la neutralità della Grecia.

Soltanto un piccolo-borghese disperatamente triste di un desolato villaggio svizzero (come Robert Grimm19) può seriamente pensare che la guerra mondiale in cui egli viene trascinato sia combattuta per la difesa dell’indipendenza svizzera. Così come la guerra precedente spazzò via la neutralità del Belgio, allo stesso modo la nuova guerra non lascerà traccia dell’indipendenza svizzera. Che dopo la guerra la Svizzera mantenga la propria unità in quanto stato, anche senza indipendenza, o che essa venga divisa tra la Germania, la Francia e l’Italia, ciò dipende da un gran numero di fattori europei e mondiali, tra i quali la “difesa nazionale” della Svizzera occuperà un posto insignificante.

Vediamo dunque che anche per la Svizzera neutrale e democratica, questo stato che non possiede colonie e in cui l’idea della difesa nazionale appare nella sua forma più pura, le leggi dell’imperialismo non fanno eccezione. Alla richiesta della borghesia svizzera: “Aderite alla politica di difesa nazionale”, il proletariato svizzero deve rispondere con una politica di difesa di classe che gli permetta di passare poi all’offensiva rivoluzionaria.

 

 

La Seconda Internazionale e la guerra

 

25. Il comandamento della difesa nazionale deriva dal dogma secondo cui la solidarietà nazionale delle classi si situerebbe al di sopra della lotta di classe. In realtà nessuna classe possidente ha mai riconosciuto la difesa della patria in quanto tale, cioè in ogni condizione, ma ha soltanto mascherato con tale formula la propria posizione privilegiata nell’ambito di questa patria. Le classi possidenti che sono state rovesciate diventano sempre “disfattiste”, sono cioè sempre pronte a restaurare la loro posizione privilegiata con l’aiuto delle armi straniere20.

Le classi oppresse, che non sono coscienti dei propri interessi e che sono abituate a fare sacrifici, accettano la parola d’ordine della “difesa nazionale” come se fosse oro colato, cioè come un dovere assoluto al di sopra delle classi. Il crimine storico principale dei partiti della Seconda Internazionale21 consiste nell’alimentare e nel rafforzare le abitudini e le tradizioni servili degli oppressi, neutralizzando la loro indignazione rivoluzionaria e falsando la loro coscienza di classe con l’aiuto di idee patriottiche.

Se il proletariato europeo non ha rovesciato la borghesia alla fine della grande guerra, se l’umanità si dibatte ora nei tormenti della crisi, se una nuova guerra minaccia di trasformare le città e i villaggi in cumuli di macerie, la responsabilità principale di questi crimini e di questi disastri ricade sulla Seconda Internazionale.

 

26. La politica del socialpatriottismo ha reso le masse indifese di fronte al fascismo. Se in tempo di guerra è necessario rifiutare la lotta di classe in nome degli interessi nazionali, allora bisogna anche abiurare il “marxismo” nell’epoca di una grande crisi economica che minacci la “nazione” non meno della guerra. Nell’aprile del 1915 Rosa Luxemburg22 liquidò questo problema con le seguenti parole: “O la lotta di classe è anche durante la guerra la suprema legge di esistenza del proletariato (….) oppure la lotta di classe è anche durante la pace un crimine contro gli ‘interessi nazionali’ e contro la ‘sicurezza della patria’23.” L’idea degli “interessi nazionali” e della “sicurezza della patria” è stata trasformata dal fascismo in una catena per legare mani e piedi il proletariato.

 

27. La socialdemocrazia tedesca ha appoggiato la politica estera di Hitler fino al momento in cui questi l’ha cacciata. La sostituzione definitiva della democrazia con il fascismo ha rivelato come la socialdemocrazia rimanga patriottica solo fin tanto che il regime politico le assicura profitti e privilegi. Trovandosi nell’emigrazione, i vecchi patrioti degli Hohenzollern24 effettuano un voltafaccia e sono pronti a salutare una guerra preventiva della borghesia francese contro Hitler. La Seconda Internazionale ha amnistiato senza la minima difficoltà Wels25 e compagnia, i quali, domani, ridiventeranno degli ardenti patrioti se solo la borghesia tedesca li richiamerà indietro con uno schiocco delle dita.

 

28. I socialisti francesi, belgi e di altri paesi hanno risposto agli avvenimenti tedeschi con un’alleanza aperta con la propria borghesia sulla questione della “difesa nazionale”. Mentre la Francia ufficiale stava portando avanti una “piccola” guerra, “insignificante” ma eccezionalmente atroce, contro il Marocco26, la socialdemocrazia francese e i sindacati riformisti discutevano nei loro congressi a proposito della disumanità delle guerre in generale, intendendo con ciò soprattutto la guerra di vendetta da parte della Germania.

I partiti che appoggiano le brutalità delle rapine coloniali, laddove si tratta semplicemente di estorcere nuovi profitti, appoggeranno ad occhi chiusi qualsiasi governo nazionale in una grande guerra in cui verrà coinvolto il destino della stessa repubblica borghese.

 

29. L’incompatibilità della politica socialdemocratica con gli interessi storici del proletariato è ora incomparabilmente più profonda e più stridente di quanto non fosse alla vigilia della guerra imperialista. La lotta contro i pregiudizi patriottici delle masse equivale soprattutto ad una lotta senza tregua contro la Seconda Internazionale in quanto organizzazione, in quanto partito, in quanto programma, in quanto bandiera.

 

 

Il centrismo e la guerra

 

30. La prima guerra imperialista ha completamente dissolto la Seconda Internazionale in quanto partito rivoluzionario e ha creato con ciò sia la necessità che la possibilità di fondare la Terza Internazionale. Ma la “rivoluzione” repubblicana in Germania e nell’Austria-Ungheria27, la democratizzazione del suffragio in un certo numero di paesi, le concessioni della borghesia europea atterrita in materia di legislazione sociale nei primi anni del dopoguerra – tutto ciò, unito alla politica disastrosa degli epigoni del leninismo28, ha concesso alla Seconda Internazionale una tregua considerevole, non più come partito rivoluzionario ma come partito operaio liberal-conservatore di riforma pacifica. Ben presto, però – con l’avvento dell’ultima crisi mondiale –, tutte le possibilità sulla via delle riforme pacifiche si rivelarono esaurite. La borghesia passò al contrattacco. La socialdemocrazia abbandonò proditoriamente una conquista dopo l’altra. Tutte le specie di riformismo29 – il “socialismo” parlamentare, sindacale, municipale, cooperativo – hanno subito negli ultimi anni bancarotte e catastrofi irreparabili. Di conseguenza, la preparazione di una nuova guerra trova la Seconda Internazionale con la schiena spezzata. I partiti socialdemocratici stanno subendo un processo intensivo di scolorimento. Il riformismo coerente assume una nuova clorazione, resta muto o si scinde. Il suo posto viene occupato da varie sfumature di centrismo30 sotto forma di numerose frazioni all’interno dei vecchi partiti o come organizzazioni indipendenti.

 

31. Sulla questione della difesa della patria, i riformisti mascherati e i centristi di destra (Léon Blum31, Hendrik De Man32, Robert Grimm, Martin Tranmael33, Otto Bauer34 e via dicendo) ricorrono sempre di più a formulazioni diplomatiche confuse e condizionali, calcolate per placare la borghesia e, nello sesso tempo, per ingannare i lavoratori. Essi propongono dei “piani” economici o una serie di rivendicazioni sociali, promettendo di difendere la patria dal “fascismo” straniero nella misura in cui la borghesia nazionale sosterrà il loro programma. Ponendo la questione in tal modo, il loro obiettivo consiste nell’offuscare il problema del carattere di classe dello stato evadendo il problema della conquista del potere e, dietro la copertura di un piano “socialista”, nel coinvolgere il proletariato nella difesa della patria capitalista.

 

32. I centristi di sinistra, che si caratterizzano a loro volta per un gran numero di sfumature (il SAP tedesco35, l’OSP olandese36, l’ILP inglese37, i gruppi di Zyromsky38 e di Marceau Pivert39 in Francia, ecc. ecc.), arrivano a rifiutare a parole la difesa della patria, ma da questo vuoto rifiuto non traggono le necessarie conclusioni pratiche. Una metà abbondante del loro internazionalismo, se non i nove decimi, riveste un carattere platonico. Essi hanno paura di rompere con i centristi di destra, si battono contro il marxismo in nome della lotta contro il “settarismo”, rifiutano di combattere per un’Internazionale rivoluzionaria e continuano a rimanere nella Seconda Internazionale, alla testa della quale si trova il lacchè del re, Vandervelde. Esprimendo in certi momenti lo spostamento a sinistra delle masse, i centristi frenano in ultima analisi il raggruppamento rivoluzionario in seno al proletariato e, di conseguenza, anche la lotta contro la guerra.

 

33. Per la sua stessa essenza, centrismo significa mancanza di entusiasmo ed esitazione. Ma il problema della guerra è favorevole meno di ogni altro ad una politica di esitazione. Per le masse, il centrismo è sempre e soltanto una breve tappa transitoria. Il crescente pericolo di una guerra porterà ad una differenziazione sempre più netta in seno ai raggruppamenti centristi che oggi dominano il movimento operaio. L’avanguardia proletaria sarà tanto meglio armata per la lotta contro la guerra quanto più rapidamente e completamente si libererà dalla ragnatela del centrismo. Una condizione necessaria per ottenere il successo lungo questa via consiste nel porre chiaramente e senza concessioni tutte le questioni legate alla guerra.

 

 

La diplomazia sovietica e la rivoluzione mondiale

 

34. Dopo la conquista del potere, il proletariato stesso passa ad una posizione di “difesa della patria”. Ma a partire da quel momento tale formula acquisisce un contenuto storico completamente nuovo. Lo stato operaio isolato non è un’entità autosufficiente, ma soltanto una piazza d’armi della rivoluzione mondiale. Difendendo l’URSS, il proletariato non difende delle frontiere nazionali, bensì una dittatura socialista temporaneamente circondata da frontiere nazionali. Soltanto una profonda comprensione del fatto che la rivoluzione proletaria non può giungere a completamento nell’ambito del quadro nazionale; che, senza la vittoria del proletariato nei paesi avanzati, tutti i successi della costruzione socialista in URSS sono condannati al fallimento; che al di fuori della rivoluzione mondiale non c’è salvezza per nessun paese del mondo; che la società socialista può essere costruita soltanto sulla base di una cooperazione internazionale – soltanto queste solide convinzioni, penetrando nel sangue e nella carne, possono costituire una base sicura per una politica proletaria rivoluzionaria in tempo di guerra.

 

35. La politica estera dei Soviet, derivando dalla teoria del socialismo in un paese solo, cioè ignorando di fatto i problemi della rivoluzione mondiale, si basa su due idee: il disarmo generale e lacondanna reciproca dell’aggressione. Il fatto che il governo, alla ricerca di garanzie diplomatiche, sia dovuto ricorrere ad una presentazione puramente formale dei problemi della guerra e della pace deriva dalle condizioni dell’accerchiamento capitalistico. Ma questi metodi di adattamento al nemico, imposti dalla debolezza della rivoluzione mondiale e, in larga misura, dagli errori precedenti dello stesso potere sovietico, non possono in alcun modo essere elevati al rango di un sistema universale. Tuttavia le azioni e i discorsi della diplomazia sovietica, che hanno di gran lunga oltrepassato i limiti dei compromessi inevitabili, ammissibili e pratici, sono stati eretti a base sacra e inviolabile della politica mondiale della Terza Internazionale e sono diventati la fonte delle illusioni pacifiste e delle castronerie socialpatriottiche più flagranti.

 

36. Il disarmo non è un mezzo contro la guerra viso che, come è stato dimostrato anche dall’esperienza della Germania, il disarmo episodico costituisce soltanto una tappa sulla via di un nuovo riarmo. La possibilità di un nuovo e rapidissimo riarmo è inerente alla moderna tecnica industriale. Il disarmo “generale”, ammesso che possa essere realizzato, significherebbe soltanto il rafforzamento della superiorità militare dei paesi industriali più forti. Il “disarmo al cinquanta per cento” non rappresenta la via verso il disarmo completo, bensì quella di un riarmo totale al cento per cento. Presentare il disarmo come l’“unico mezzo per impedire la guerra” significa ingannare i lavoratori nell’interesse di un fronte comune con i pacifisti piccolo-borghesi.

 

37. Non possiamo mettere in discussione per un solo istante il diritto del governo sovietico di definire con la massima precisione il termine aggressione in ogni dato accordo con gli imperialisti. Ma cercare di trasformare questa formula condizionale e giuridica in un regolatore supremo dei rapporti internazionali significa sostituire i criteri rivoluzionari con dei criteri conservatori, ridurre la politica mondiale del proletariato alla difesa delle annessioni esistenti e delle frontiere tracciate con la forza.

 

38. Noi non siamo pacifisti. Consideriamo la guerra rivoluzionaria come un mezzo della politica proletaria allo stesso titolo dell’insurrezione. Il nostro atteggiamento nei confronti della guerra non è determinato dalla formula legalistica dell’“aggressione”, bensì dalla questione di quale classe conduce la guerra e per quali scopi. In un conflitto tra stati, proprio come nella lotta di classe, quelle dell’“aggressione” e della “difesa” sono soltanto questioni di opportunità pratica e non di norma giuridica o etica. Il semplice criterio di aggressione rappresenta una pezza d’appoggio per la politica socialpatriottica dei signori Léon Blum, Vandervelde, ecc., ai quali, grazie a Versailles, viene offerta la possibilità di difendere un bottino imperialista con la scusa di difendere la pace.

 

39. La celebre formula di Stalin, “Noi non vogliamo un millimetro di terra straniera, ma non cederemo un millimetro della nostra”, costituisce un programma conservatore per il mantenimento dello status quo, in radicale contraddizione con la natura aggressiva della rivoluzione proletaria. L’ideologia del socialismo in paese solo porta inevitabilmente ad offuscare la questione del ruolo reazionario dello stato nazionale, a conciliarsi con esso, alla sua idealizzazione, a sminuire l’importanza dell’internazionalismo rivoluzionario.

 

40. I dirigenti della Terza Internazionale giustificano la politica della diplomazia sovietica in base al fatto che lo stato operaio deve utilizzare le contraddizioni esistenti nel campo dell’imperialismo. Questa affermazione, di per sé incontestabile, ha tuttavia bisogno di essere concretizzata.

La politica estera di ogni classe costituisce la continuazione e lo sviluppo della sua politica interna. Se il proletariato al potere deve distinguere e utilizzare le contraddizioni esistenti nel campo dei suoi nemici esterni, il proletariato che ancora lotti per il potere deve saper distinguere e utilizzare le contraddizioni esistenti nel campo dei suoi nemici interni. Il fatto che la Terza Internazionale si sia rivelata assolutamente incapace di capire e di utilizzare le contraddizioni esistenti tra la democrazia riformista e il fascismo ha portato direttamente alla più grande sconfitta del proletariato e lo ha posto di fronte al pericolo di una nuova guerra.

D’altra parte, le contraddizioni tra i governi imperialisti non debbono essere utilizzate in nessun altro modo se non dal punto di vista della rivoluzione mondiale. La difesa dell’URSS è concepibile soltanto se l’avanguardia proletaria internazionale è indipendente dalla politica della diplomazia sovietica, se essa gode di una totale libertà di smascherare i suoi metodi nazionalisti conservatori, che sono diretti contro gli interessi della rivoluzione mondiale e, con ciò, anche contro gli interessi dell’Unione Sovietica.

 

 

L’URSS e i raggruppamenti imperialisti

 

41. Il governo sovietico attraversa ora un processo di cambiamento del suo atteggiamento nei confronti della Società delle Nazioni40. La Terza Internazionale, come sempre, ripete servilmente le parole e i gesti della diplomazia sovietica. Tutti i tipi di “ultrasinistrismo” approfittano di questa svolta per relegare ancora una volta l’URSS tra gli stati borghesi. La socialdemocrazia, a seconda delle sue considerazioni nazionali particolari, interpreta la “riconciliazione” dell’URSS con la Società delle Nazioni come una prova del carattere nazional-borghese della politica di Mosca oppure, al contrario, come una riabilitazione della Società delle Nazioni e, in generale, di tutta l’ideologia del pacifismo. Anche su questa questione il punto di vista marxista non ha niente in comune con una qualsiasi di tali valutazioni piccolo-borghesi.

Il nostro atteggiamento di principio rispetto alla Società delle Nazioni non differisce dal nostro atteggiamento nei confronti di ciascun singolo stato imperialista, ne sia esso membro o meno. Le manovre dello stato sovietico tra i raggruppamenti antagonisti dell’imperialismo presuppongono una politica di manovra anche rispetto alla Società delle Nazioni. Fin tanto che il Giappone e la Germania ne erano membri, essa minacciava di diventare un’arena per l’accordo tra i maggiori predoni imperialisti a spese dell’URSS. Dopo l’uscita dalla Società delle Nazioni del Giappone e della Germania41, i nemici peggiori e più immediati dell’Unione Sovietica, essa si è in parte trasformata per diventare un blocco di alleati e di vassalli dell’imperialismo francese e, in parte, in un’arena per la lotta tra la Francia , l’Inghilterra e l’Italia. Lo stato sovietico, che naviga tra due blocchi imperialisti che nell’essenza gli sono egualmente ostili, può vedersi costretto a questa o quella combinazione con la Società delle Nazioni.

 

42. Pur rendendosi pienamente e realisticamente conto della situazione esistente, l’avanguardia proletaria deve nello stesso tempo mettere in primo piano le seguenti considerazioni.

a) La necessità per l’URSS, ad oltre sedici anni dalla rivoluzione d’Ottobre, di cercare un riavvicinamento con la Società delle Nazioni e di mascherare tale riavvicinamento con astratte formule pacifiste è il risultato dell’estremo indebolimento della rivoluzione proletaria mondiale e, con ciò, della posizione internazionale dell’URSS.

b) Le formulazioni pacifiste astratte della diplomazia sovietica e i complimenti che essa rivolge alla Società delle Nazioni non hanno niente a che fare con la politica del partito proletario mondiale, che rifiuta di assumere alcuna responsabilità e che, al contrario, denuncia la loro vuota ipocrisia per meglio mobilitare il proletariato sulla base di una chiara comprensione delle forze e degli antagonismi reali.

 

43. Nella situazione esistente, un’alleanza dell’URSS con uno stato imperialista o con un raggruppamento imperialista contro l’altro, in caso di guerra, non può affatto essere esclusa. Sotto la pressione delle circostanze, un’alleanza temporanea di questo tipo può diventare una ferrea necessità senza con ciò cessare tuttavia di costruire un gravissimo pericolo tanto per l’URSS quanto per la rivoluzione internazionale.

Il proletariato mondiale non si rifiuterà di difendere l’URSS anche se quest’ultima dovesse vedersi costretta ad allearsi militarmente con alcuni imperialisti contro altri. Ma in questo caso, più che in ogni altro, il proletariato mondiale deve salvaguardare la propria totale indipendenza politica nei confronti della diplomazia sovietica e, in tal modo, anche rispetto alla burocrazia della Terza Internazionale.

 

44. Pur rimanendo il difensore determinato e fedele dello stato operaio nella lotta contro l’imperialismo, il proletariato mondiale non diventerà però un alleato degli alleati imperialisti dell’URSS. Il proletariato di un paese capitalista che sia alleato dell’URSS deve mantenere pienamente e completamente la sua irriducibile ostilità nei confronti del governo imperialista del proprio paese. In questo caso la sua politica non sarà diversa da quella del proletariato di un paese che combatta contro l’URSS. Ma nella natura delle azioni pratiche potranno emergere differenze considerevoli a seconda delle condizioni concrete della guerra. In caso di guerra tra l’URSS e il Giappone, ad esempio, sarebbe assurdo e criminale per il proletariato americano sabotare l’invio di munizioni americane all’URSS. Il proletariato di un paese che combatta l’URSS sarebbe invece assolutamente costretto a ricorrere ad azioni di questo genere: scioperi, sabotaggi, ecc.

 

45. Un’opposizione proletaria intransigente contro l’alleato imperialista dell’URSS deve svilupparsi, da una parte, sulla base di una politica interna di classe e, dall’altra, sulla base degli obiettivi imperialisti del governo in questione, del carattere proditorio di tale “alleanza”, delle sue speculazioni a proposito della restaurazione borghese in URSS, ecc. La politica di un partito proletario di un paese imperialista “alleato”, come pure nemico, deve dunque essere orientata verso il rovesciamento rivoluzionario della borghesia e verso la presa del potere. Soltanto in questo modo potrà essere creata una vera alleanza con l’URSS e il primo stato operaio potrà essere salvato dalla catastrofe.

 

46. All’interno dell’URSS, la guerra contro l’intervento imperialista provocherà indubbiamente una vera e propria esplosione di autentico entusiasmo combattente. Tutte le contraddizioni e gli antagonismi sembreranno superati o quanto meno relegati in secondo piano. Le giovani generazioni di operai e di contadini che sono emerse dalla rivoluzione si riveleranno essere, sul campo di battaglia, una colossale forza dinamica. L’industria centralizzata, malgrado tutte le sue lacune e i suoi difetti, rivelerà la propria superiorità nel far fronte alle necessità belliche. Il governo dell’URSS ha senza dubbio creato delle riserve considerevoli di vettovaglie, che saranno sufficienti per il primo periodo della guerra.

Gli stati maggiori degli stati imperialisti si rendono chiaramente conto, naturalmente, che dovranno affrontare nell’Amata Rossa un forte avversario, la lotta contro il quale richiederà lunghi lassi di tempo e una straordinaria tensione delle forze.

 

47. Ma proprio la natura prolungata della guerra metterà inevitabilmente a nudo le contraddizioni esistenti tra l’economia di transizione dell’URSS e la sua pianificazione burocratica. Le nuove e gigantesche aziende possono in molti casi rivelarsi essere nient’altro che del capitale morto. Sotto l’influenza del bisogno acuto di prodotti di prima necessità da parte del governo, le tendenze individualistiche dell’economia contadina si rafforzeranno sempre di più, e le forze centrifughe in seno ai kolchoz42 aumenteranno ad ogni mese di guerra. Il dominio della burocrazia incontrollata si trasformerà in una dittatura di guerra. L’assenza di un partito vivente in quanto controllore e regolatore politico porterà ad un’estrema accumulazione ed esacerbazione delle contraddizioni. Nell’atmosfera infiammata della guerra ci si possono aspettare delle svolte repentine verso i principi individualistici nell’economia agricola e nell’industria artigianale, verso l’apertura al capitale straniero e “alleato”, verso delle incrinature del monopolio del commercio estero, verso l’indebolimento del controllo governativo sui trust, verso l’aggravarsi della concorrenza fra i trust, dei loro conflitti con gli operai, ecc. Nella sfera politica questi processi possono significare il completamento del bonapartismo, con i corrispondenti mutamenti, o con qualcuno di tali mutamenti, nei rapporti di proprietà. In altri termini, nel caso di una guerra prolungata accompagnata dallapassività del proletariato mondiale, le contraddizioni sociali interne all’URSS non solo potranno, ma dovranno portare ad una controrivoluzione borghese-bonapartista.

 

48. Le conclusioni politiche che ne derivano sono ovvie:

a) Soltanto la preparazione della rivoluzione proletaria in Occidente può salvare l’URSS in quanto stato operaio nel caso di una guerra prolungata.

b) La preparazione della rivoluzione proletaria nei paesi “amici” e neutrali, come pure in quelli nemici, è concepibile soltanto nella totale indipendenza dell’avanguardia proletaria mondiale rispetto alla burocrazia sovietica.

c) L’appoggio incondizionato dell’URSS contro gli eserciti imperialisti deve procedere di pari passo con la critica marxista rivoluzionaria della guerra e della politica diplomatica del governo sovietico e con la formazione, all’interno dell’URSS, di un autentico partito rivoluzionario di bolscevico-leninisti.

La Terza Internazionale e la guerra
 

49. Avendo abbandonato una linea di principio sulla questione della guerra, la Terza Internazionale oscilla tra il disfattismo e il socialpatriottismo. In Germania, la lotta contro il fascismo è stata trasformata in una concorrenza di mercato su di una base nazionalistica43. La parola d’ordine della “liberazione nazionale” avanzata a fianco di quella della “liberazione sociale” distorce grossolanamente la prospettiva rivoluzionaria e non lascia alcuno spazio al disfattismo. Sulla questione della Saar il partito comunista ha cominciato con un servilismo ossequioso nei confronti dell’ideologia del nazionalsocialismo e se ne è distaccato soltanto al prezzo di scissioni interne44.

Quale parola d’ordine avanzerà la sezione tedesca della Terza Internazionale in caso di guerra? “La sconfitta di Hitler è il male minore”? Ma se la parola d’ordine della “liberazione nazionale” era corretta sotto i “fascisti” Müller45 e Brüning46, come potrebbe perdere la sua efficacia sotto Hitler? Oppure le parole d’ordine nazionaliste sono buone soltanto in tempo di pace e non in tempo di guerra? Gli epigoni del leninismo hanno fatto veramente di tutto per confondere se stessi e la classe operaia fino in fondo

 

50. Il rivoluzionarismo impotente della Terza Internazionale è il risultato diretto della sua politica perniciosa. Dopo la catastrofe tedesca, l’insignificanza politica dei cosiddetti partiti comunisti si è rivelata in tutti i paesi in cui essi sono stati messi alla prova. La sezione francese, che si è dimostrata assolutamente incapace di stimolare anche solo poche decine di migliaia di operai contro la rapina coloniale in Africa, rivelerà indubbiamente sempre di più la propria bancarotta al momento del cosiddetto “pericolo nazionale”.

 

51. La lotta contro la guerra, impensabile senza la mobilitazione rivoluzionaria delle larghe masse lavoratrici delle città e dei villaggi, esige nel contempo l’influenza diretta sull’esercito e sulla marina da una parte, e sui trasporti dall’altra. Ma è impossibile influenzare i soldati se non si influenza la gioventù operaia e contadina. L’influenza nel settore dei trasporti presuppone una solida base nei sindacati. Nel frattempo, invece, con l’aiuto del Profintern47, la Terza Internazionale ha perso tutte le sue posizioni nel movimento sindacale e si è preclusa ogni accesso alla gioventù lavoratrice. In queste condizioni, parlare di lotta contro la guerra equivale a fare bolle di sapone. Non ci può essere posto per le illusioni: nel caso di un attacco imperialista contro l’URSS, la Terza Internazionale si dimostrerà essere uno zero assoluto.

 

 

Il pacifismo “rivoluzionario” e la guerra

 

52. Come corrente indipendente, il pacifismo piccolo-borghese “di sinistra” parte dalla premessa secondo cui è possibile assicurare la pace con dei mezzi speciali, particolari, esterni alla lotta di classe del proletariato, alla rivoluzione socialista. I pacifisti si sforzano, con articoli e discorsi, di inculcare l’“avversione per la guerra”, sostengono gli obiettori di coscienza48, predicano il boicottaggio e lo sciopero generale ( o piuttosto il mito dello sciopero generale) contro la guerra49. I più “rivoluzionari” dei pacifisti non sono neppure ostili a parlare talvolta di insurrezione contro la guerra. Ma tutti in generale, e ciascuno in particolare, non hanno alcuna idea del legame indissolubile che unisce l’insurrezione alla lotta di classe e alla politica del partito rivoluzionario. Per loro l’insurrezione è soltanto una minaccia letteraria rivolta alla classe dominante, e non l’obiettivo di uno sforzo prolungato e sistematico.

Sfruttando l’amore naturale delle masse per la pace e deviandolo dal suo proprio corso, i pacifisti piccolo-borghesi si trasformano così, in definitiva, in sostenitori inconsci dell’imperialismo. In caso di guerra, la schiacciante maggioranza degli “alleati” pacifisti si ritroverà nel campo della borghesia e utilizzerà l’autorità che la Terza Internazionale le ha conferito per le sue strombazzate pubblicitarie, disorientando l’avanguardia proletaria con il patriottismo.

 

53. Il Congresso di Amsterdam contro la guerra50 e il Congresso di Parigi contro il fascismo51, entrambi organizzati dalla Terza Internazionale, costituiscono degli esempi classici di sostituzione della lotta di classe rivoluzionaria con la politica piccolo-borghese delle manifestazioni ostentate, delle parate fastose, dei villaggi Potëmkin52. All’indomani di tali proteste chiassose contro la guerra in generale, questi elementi eterogenei artificialmente riuniti da manipolazioni dietro le quinte si disperderanno in tutte le direzioni e non muoveranno neppure un dito contro la guerra in particolare.

 

54. La sostituzione del fronte unico proletario, cioè dell’accordo di lotta tra le organizzazioni operaie, con un blocco tra la burocrazia comunista e i pacifisti piccolo-borghesi, nel quale per ogni onesto confusionista vi sono decine di carrieristi, conduce ad un eclettismo totale delle questioni tattiche. I congressi di Barbusse53-Münzenberg54 ritengono che sia un loro merito particolare l’aver combinato tutti i tipi di “lotta” contro la guerra: le proteste umanitarie, il rifiuto individuale di prestare servizio nell’esercito, l’educazione dell’“opinione pubblica”, lo sciopero generale e persino l’insurrezione. Dei metodi che nella vita sono in contraddizione insanabile e che, nella pratica, non possono che essere in conflitto l’uno con l’altro, vengono presentati come elementi di un tutto armonioso. I “socialisti-rivoluzionari” russi55, che predicavano una “tattica sintetica” nella lotta contro lo zarismo – alleanza con i liberali, terrore individuale e lotta di massa –, erano gente seria a paragone degli ispiratori del blocco di Amsterdam. Ma gli operai debbono ricordarsi che il bolscevismo venne costruito nella lotta contro l’eclettismo populista!

 

 

La piccola borghesia e la guerra

 

55. I contadini e gli strati inferiori della popolazione urbana, per i quali la guerra non è meno disastrosa che per il proletariato, possono essere attratti più strettamente dalla parte del proletariato nella lotta contro la guerra. Generalmente parlando, è soltanto così che la guerra potrà essere impedita attraverso l’insurrezione. Ma i contadini, meno ancora che gli operai, non si lasceranno coinvolgere sulla via della rivoluzione dalle astrazioni, dagli schemi bell’e pronti e dal semplice comando. Gli epigoni del leninismo, che hanno effettuato uno stravolgimento completo del Komintern negli anni 1923-24 con la parola d’ordine “Ai contadini!”56, si sono dimostrati totalmente incapaci di attrarre alla bandiera del comunismo non soltanto i contadini, ma anche i braccianti. Il Krestintern57 è spirato con discrezione, senza neppure un’orazione funebre. La “conquista” dei contadini dei vari paesi, proclamata con così grande fracasso, si è rivelata essere in ogni caso effimera, se non semplicemente immaginaria. È precisamente nel campo della politica contadina che la bancarotta della Terza Internazionale ha assunto un carattere particolarmente pittoresco, benché essa sia sopravvenuta in realtà come inevitabile conseguenza della rottura tra il Komintern e il proletariato.

I contadini imboccheranno la via della lotta rivoluzionaria contro la guerra soltanto dopo essersi convinti nella pratica della capacità degli operai di dirigere tale lotta. La chiave della vittoria si trova quindi nelle fabbriche e nelle officine. Il proletariato rivoluzionario deve diventare una forza reale di fronte ai contadini, e il popolino urbano serrerà i suoi ranghi attorno ad esso.

 

56. La piccola borghesia della città e del villaggio non è omogenea. Il proletariato non può attrarre a sé che i suoi strati inferiori: i contadini più poveri, i semiproprietari, gli impiegati statali subalterni, i venditori ambulanti, il popolo oppresso e disperso che è privato da tutte le condizioni della sua esistenza della possibilità di condurre una lotta indipendente. Al di sopra di questo vasto strato della piccola borghesia si elevano i dirigenti, che gravitano intorno alla media e alla grande borghesia e che diventano carrieristi politici di tipo democratico e pacifista, oppure fascista. Pur restando all’opposizione, questi signori ricorrono alla demagogia più sfrenata, poiché essa è il mezzo più sicuro per far poi lievitare il loro prezzo agli occhi della grande borghesia.

Il crimine della Terza Internazionale consiste nel sostituire alla lotta per conquistare un’influenza rivoluzionaria sulla vera piccola borghesia, cioè sulle masse plebee, dei blocchi spettacolari con i suoi dirigenti falsamente pacifisti. Invece di screditarli, essa li rafforza con il prestigio della rivoluzione d’Ottobre e fa degli strati inferiori oppressi della piccola borghesia le vittime politiche dei loro dirigenti traditori.

 

57. La via rivoluzionaria verso i contadini passa attraverso la classe operaia. Per conquistare la fiducia del villaggio è necessario che gli stessi operai avanzati riacquistino fiducia nella bandiera della rivoluzione proletaria. Il che può essere ottenuto soltanto con una politica corretta in generale e con una politica corretta contro la guerra in particolare.

 

 

Il “disfattismo” e la guerra imperialista

 

 

58. In quei casi in cui si verifichi un conflitto tra paesi capitalisti, il proletariato di uno qualsiasi di essi rifiuta categoricamente di sacrificare i propri interessi storici, che in ultima analisi coincidono con gli interessi della nazione e dell’umanità, a vantaggio della vittoria militare della borghesia. La formula di Lenin secondo cui “la sconfitta è il male minore” non significa che la sconfitta del proprio paese sia un male minore rispetto alla sconfitta del paese nemico, bensì che una sconfitta militare risultante dallo sviluppo del movimento rivoluzionario è infinitamente più benefica per il proletariato e per tutto il popolo di una vittoria militare assicurata dalla “pace civile”58. Karl Liebknecht59 ci ha fornito una formula insuperabile della politica proletaria in tempo di guerra: “Il nemico principale del popolo è nel suo stesso paese.” La rivoluzione proletaria vittoriosa non solo guarirà i mali provocati dalla sconfitta, ma creerà anche una garanzia definitiva contro le guerre e le sconfitte a venire. Questo atteggiamento dialettico rispetto alla guerra costituisce l’elemento più importante dell’educazione rivoluzionaria e, quindi, anche della lotta contro la guerra.

 

59. La trasformazione della guerra imperialista in guerra civile è il compito strategico al quale deve essere subordinato tutto il lavoro di un partito proletario durante la guerra.

Le conseguenze della guerra franco-prussiana del 1870-71, come pure quelle della carneficina imperialista del 1914-18 (la Comune di Parigi60, le rivoluzioni i febbraio e d’Ottobre in Russia, le rivoluzioni in Germania e in Austria-Ungheria, le insurrezioni in un certo numero di paesi belligeranti), attestano inconfutabilmente che una guerra moderna tra nazioni capitaliste porta con sé una guerra di classe all’interno di ogni nazione e che il compito di un partito rivoluzionario consiste nel preparare, nel corso di quest’ultima guerra, la vittoria del proletariato.

 

60. L’esperienza degli anni 1914-18 dimostra nello stesso tempo che la parola d’ordine della pace non è affatto in contraddizione con la formula strategica del “disfattismo”; al contrario, essa sviluppa una tremenda forza rivoluzionaria, soprattutto nel caso di una guerra prolungata. La parola d’ordine della pace ha un carattere pacifista, vale a dire menzognero, intorpidente, debilitante, soltanto quanto i politicanti democratici e d’altro tipo giocano con essa, quando i preti offrono preghiere per una fine più rapida del massacro, quando gli “amanti dell’umanità”, e tra essi anche i socialpatrioti, supplicano piagnucolosamente i governi di concludere rapidamente la pace “su una base di giustizia”. Ma la parola d’ordine della pace non ha niente in comune con il pacifismo allorché essa emana dagli acquartieramenti e dalle trincee operaie, mescolandosi a quella della fraternizzazione tra i soldati degli eserciti ostili e unendo gli oppressi contro gli oppressori. La lotta rivoluzionaria per la pace, che assume forme sempre più ampie e coraggiose, costituisce il mezzo più sicuro per “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”.

 

 

La guerra, il fascismo e l’armamento del proletariato

 

61. La guerra ha bisogno della “pace civile”. Nelle condizioni attuali, la borghesia può ottenerla soltanto per mezzo del fascismo. In tal modo il fascismo è diventato il fattore politico principale della guerra. La lotta contro la guerra presuppone la lotta contro il fascismo. Tutti i tipi di programma rivoluzionario di lotta contro la guerra (“disfattismo”, “trasformazione della guerra imperialista in guerra civile”, ecc.) diventano frasi vuote se l’avanguardia proletaria si dimostra incapace di respingere vittoriosamente il fascismo.

Chiedere allo stato borghese il disarmo delle bande fasciste, come fanno gli stalinisti, significa imboccare la stessa strada della socialdemocrazia tedesca e dell’austromarxismo61. Furono proprio Wels e Otto Bauer a “chiedere” allo stato che disarmasse i nazisti e assicurasse così la pace interna. Il governo “democratico” può, è vero – quando ciò torna a suo vantaggio –, disarmare dei singoli gruppi fascisti, ma soltanto allo scopo di poter disarmare con ancor maggiore ferocia gli operai e di impedire loro di armarsi. L’indomani lo stato borghese accorderà ai fascisti, ieri “disarmati”, la possibilità di armarsi due volte di più e di puntare con forza raddoppiata le loro armi contro il proletariato disarmato. Rivolgersi allo stato, cioè al capitale, con la richiesta che esso disarmi i fascisti significa seminare le peggiori illusioni democratiche, addormentare la vigilanza del proletariato, demoralizzare la sua volontà.

 

62. Partendo dal fatto dell’armamento delle bande fasciste, la politica rivoluzionaria corretta consiste nel creare dei distaccamenti operai armati a scopo di autodifesa e nel chiamare instancabilmente i lavoratori ad armarsi. Ecco qual’è il centro di gravità di tutta la situazione politica attuale. I socialdemocratici, persino quelli più di sinistra, cioè coloro che sono pronti a ripetere i luoghi comuni a proposito della rivoluzione e della dittatura del proletariato, eludono con cura la questione dell’armamento degli operai o dichiarano apertamente che tale obiettivo è “chimerico”, “avventurista”, “romantico”, ecc. Invece (!) dell’armamento degli operai propongono la propaganda tra i soldati, propaganda che essi in realtà non conducono e non sono in grado di condurre. Il semplice riferimento al lavoro nell’esercito serve agli opportunisti soltanto per insabbiare la questione dell’armamento degli operai.

 

63. La lotta per la conquista dell’esercito è incontestabilmente la parte più importante della lotta per il potere. Il dovere rivoluzionario di ogni partito veramente proletario consiste in un lavoro costante e pieno di sacrifici tra i soldati. Tale lavoro può essere realizzato con la certezza del successo a condizione che il partito abbia una politica generale corretta, in particolare e soprattutto tra la gioventù. Il programma agrario del partito e, in generale, il sistema di rivendicazioni transitorie che riguardi gli interessi fondamentali delle masse piccolo-borghesi e che offra loro una prospettiva di salvezza, riveste un’importanza enorme per il successo del lavoro nell’esercito nei paesi che hanno una considerevole popolazione contadina.

 

64. Sarebbe tuttavia puerile credere che con la sola propaganda si possa conquistare tutto l’esercito alla causa del proletariato e, in tal modo, rendere la rivoluzione inutile in generale. L’esercito è eterogeneo, e i suoi elementi eterogenei sono incatenati gli uni agli altri dai ferrei ceppi della disciplina. La propaganda può creare delle cellule rivoluzionarie nell’esercito e predisporre un atteggiamento di simpatia tra i soldati più progressisti. Più di questo, la propaganda e l’agitazione non possono fare. Contare sull’esercito affinché difenda le organizzazioni operaie dal fascismo di sua iniziativa, garantendo persino il passaggio del potere nella mani del proletariato, significa sostituire i rudi insegnamenti della storia con delle stucchevoli illusioni. L’esercito, nel suo settore decisivo, può passare dalla parte del proletariato durante la rivoluzione soltanto nel caso in cui il proletariato stesso abbia dimostrato all’esercito, nell’azione, la sua prontezza e la sua capacità di lottare per il potere fino all’ultima goccia di sangue. Una tale lotta presuppone necessariamente l’armamento del proletariato.

 

65. L’obiettivo della borghesia consiste nell’impedire al proletariato di conquistare l’esercito. Il fascismo assolve questo compito, non senza successo, per mezzo dei suoi distaccamenti armati. Il compito immediato, urgente, attuale del proletariato non consiste nel prendere il potere, bensì nel difendere le sue organizzazioni dalle bande fasciste, dietro alle quali, ad una certa distanza, c’è lo stato capitalista. Chiunque sostenga che gli operai non hanno alcuna possibilità di armarsi proclama con ciò che essi sono indifesi di fronte al fascismo. Sarebbe allora inutile parlare di socialismo, di rivoluzione proletaria, di lotta contro la guerra. Bisognerebbe allora gettare via il programma comunista e mettere una croce sul marxismo.

 

66. Chiunque passi sotto silenzio il compito di armare gli operai non è un rivoluzionario, bensì un pacifista impotente che, domani, capitolerà di fronte al fascismo e alla guerra. In sé e per sé, l’obiettivo dell’armamento è del tutto realizzabile, come testimonia la storia. Se gli operai si renderanno veramente conto che si tratta di una questione di vita o di morte, essi troveranno le armi. Il primo dovere del partito rivoluzionario è quello di spiegare loro la situazione politica senza nulla nascondere né minimizzare, e rifuggendo da ogni menzogna consolatoria. Come ci si può difendere realmente da un nemico mortale se non contrapponendo ad ogni coltello fascista due coltelli, ad ogni pistola due pistole? Se i fascisti si armano, gli operai saranno anch’essi costretti a prendere le armi. Non c’è e non può esserci nessun’altra risposta.

 

67. Dove prendere le armi? Innanzitutto ai fascisti stessi. Il disarmo dei fascisti è una parola d’ordine vergognosa quando viene rivolta alla polizia borghese. Ma si tratta di una parola d’ordine eccellente allorché viene indirizzata agli operai rivoluzionari. Tuttavia gli arsenali fascisti non sono l’unica fonte. Il proletariato ha centinaia e migliaia di canali per armarsi. Non bisogna dimenticare che sono proprio gli operai, e soltanto loro, a produrre con le proprie mani tutti i tipi di armi. È soltanto necessario che l’avanguardia proletaria comprenda chiaramente che non si può evadere il compito dell’autodifesa. Il partito rivoluzionario deve assumersi l’iniziativa di armare i distaccamenti operai di combattimento. E per farlo deve prima di tutto liberare se stesso da ogni sorta di scetticismo, di indecisione e di ragionamento pacifista sulla questione dell’armamento degli operai.

 

68. La parola d’ordine della milizia operaia, o dei distaccamenti di autodifesa, riveste un significato rivoluzionario nella misura in cui si tratta di una milizia armata, altrimenti la milizia si ridurrebbe ad un’esibizione spettacolare, ad una parata e, di conseguenza, ad un illudere se stessi. Va da sé che all’inizio l’armamento sarà molto primitivo. I primi distaccamenti operai di autodifesa non disporranno né di obici, né di carri armati, né di aeroplani. Ma il 6 febbraio, a Parigi, nel cuore di una grande potenza militare, delle bande armate di rivoltelle e di lame di rasoio fissate a dei bastoni non sono andate lontano dall’impadronirsi del Palais-Bourbon e hanno provocato la caduta del governo62. Domani simili bande potranno saccheggiare le redazioni dei giornali operai o gli uffici dei sindacati. La forza del proletariato risiede nel suo numero. Nelle mani delle masse, persino l’arma più primitiva può compiere miracoli. In condizioni favorevoli essa può aprire la strada verso armi più perfezionate.

 

69. La parola d’ordine del fronte unico degenera in una frase centrista se, nelle condizioni attuali, non viene integrata dalla propaganda e dall’applicazione pratica di metodi ben definiti di lotta contro il fascismo. Il fronte unico è anzitutto necessario per la creazione di comitati locali di difesa. I comitati di difesa sono necessari per costruire e unificare i distaccamenti della milizia operaia. Tali distaccamenti debbono, sin dall’inizio, cercare e trovare delle armi. I distaccamenti di autodifesa non rappresentano che una tappa sulla via dell’armamento del proletariato. In generale, la rivoluzione non conosce altra strada.

 

 

La politica rivoluzionaria contro la guerra

 

70. Il primo prerequisito per il successo risiede nell’educazione dei quadri di partito ad una comprensione corretta di tutte le condizioni della guerra imperialista e di tutti i processi politici che la accompagnano. Sventura a quel partito che, rispetto a questa questione scottante , si limiti a frasi generali e a parole d’ordine astratte! Gli eventi sanguinosi si abbatteranno sulla sua testa e lo schiacceranno.

È necessario creare dei circoli specifici per lo studio delle esperienze politiche della guerra del 1914-18 (preparativi ideologici della guerra da parte degli imperialisti, inganno dell’opinione pubblica ad opera dei quartieri generali militari mediante la stampa patriottica, ruolo dell’antitesi difesa-attacco, raggruppamenti nel campo proletario, isolamento degli elementi marxisti, ecc. ecc.).

 

71. Il momento della dichiarazione di guerra è particolarmente critico per un partito rivoluzionario. La stampa borghese e socialpatriottica, unita alla radio e al cinema, riverserà sulle masse lavoratrici torrenti di veleno sciovinista. Persino il partito più rivoluzionario e meglio temprato non potrà, in quel momento, resistere tutto intero. La storia attuale del Partito Bolscevico, falsificata da cima a fondo, non servirà a preparare realmente gli operai avanzati a questa prova, bensì a cullarli in un’impotenza passiva attraverso uno schema ideale e fittizio.

Nonostante il fatto che la Russia zarista non poteva essere considerata, nemmeno con uno sforzo di immaginazione, né come una democrazia, né come portatrice di civiltà, né, infine, come un paese sulla difensiva, la frazione bolscevica della Duma emise all’inizio della guerra, insieme alla frazione menscevica, una dichiarazione socialpatriottica annacquata con un internazionalismo pacifista all’acqua di rose63. È vero che la frazione bolscevica adottò subito dopo una posizione più rivoluzionaria, ma al processo svoltosi a suo carico64 tutti i deputati accusati, compreso il loro ispiratore sul piano teorico, Kamenev65, e con l’eccezione del solo Muranov66, si differenziarono categoricamente dalla teoria disfattista di Lenin. All’inizio il lavoro illegale del partito cessò quasi completamente. Fu soltanto a poco a poco che cominciarono ad essere distribuiti dei volantini rivoluzionari, i quali raggrupparono gli operai sotto la bandiera dell’internazionalismo senza tuttavia avanzare delle parole d’ordine disfattiste.

I primi due anni di guerra minarono fortemente il patriottismo delle masse e spostarono il partito a sinistra. Ma la rivoluzione di febbraio, avendo trasformato la Russia in una “democrazia”, diede vita ad una nuova e possente ondata di patriottismo “rivoluzionario”. La schiacciante maggioranza dei dirigenti del Partito Bolscevico non le resistettero neppure allora. Nel marzo 1917 Stalin e Kamenev impartirono all’organo centrale del partito un orientamento socialpatriottico67. Su tale base si verificò un riavvicinamento, e nella maggior delle città persino una fusione diretta, tra le organizzazioni bolsceviche e quelle mensceviche68. Furono necessarie le proteste dei rivoluzionari più fermi, soprattutto nei quartieri più avanzati di Pietrogrado, e l’arrivo di Lenin in Russia, nonché la sua lotta implacabile contro il socialpatriottismo, affinché il partito rimettesse ordine nel suo fronte internazionalista69. Ecco come sono andate le cose con il partito rivoluzionario migliore, più rivoluzionario e meglio temprato!

 

72. Lo studio dell’esperienza storica del bolscevismo riveste un’importanza inestimabile per l’educazione dell’avanguardia operaia: esso mostra la forza tremenda della pressione dell’opinione pubblica borghese che essa dovrà affrontare e, nel contempo, le insegna a non scoraggiarsi, a non deporre le armi, a non perdersi d’animo nonostante il totale isolamento all’inizio della guerra.

Non meno accuratamente occorre studiare la lotta dei raggruppamenti politici in seno al proletariato di altri paesi, tanto in quelli che prendono parte alla guerra quanto in quelli che rimarranno neutrali. L’esperienza di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht in Germania riveste un significato particolare nella misura in cui gli avvenimenti seguirono un corso diverso da quelli russi ma, in ultima analisi, portarono alla stessa conclusione: è necessario imparare a nuotare controcorrente.

 

73. Occorre seguire da vicino la preparazione patriottica della carne da cannone che viene attualmente effettuata: i traccheggiamenti diplomatici che mirano ad addossare la responsabilità all’altro campo, le formule proditorie dei socialpatrioti confessi o mascherati che si stanno costruendo un ponte per passare dal pacifismo al militarismo, le vuote parole d’ordine dei dirigenti “comunisti”, che saranno tanto disorientati al primo giorno di guerra quanto lo furono i “dirigenti” tedeschi la notte dell’incendio del Reichstag70.

 

74. È necessario raccogliere con cura i ritagli più caratteristici degli articoli e dei discorsi ufficiali del governo e dell’opposizione, paragonarli all’esperienza della guerra precedente, pronosticare quale direzione imboccherà l’opera di inganno del popolo, rafforzare poi tali pronostici accumulando i fatti, insegnare all’avanguardia proletaria ad orientarsi in modo indipendente negli avvenimenti, così da non essere colta di sorpresa.

 

75. Un ‘agitazione intensiva contro l’imperialismo e il militarismo non deve partire da formule astratte, bensì da fatti concreti che colpiscano le masse. Occorre denunciare senza sosta non soltanto il bilancio militare pubblico ma anche tutte le forme mascherate di militarismo, e non lasciar mai passare senza protestare le manovre belliche, le forniture militari, gli ordini, ecc.

È necessario sollevare in tutte le organizzazioni del proletariato senza eccezione e sulla stampa, attraverso degli operai ben preparati, la questione del pericolo di guerra e della lotta contro di essa, esigendo dai dirigenti risposte chiare e precise alla domanda: che fare?

 

76. Per conquistare la fiducia della gioventù occorre non solo dichiarare una lotta a morte alla socialdemocrazia moralmente corruttrice e alla burocrazia ottusa della Terza Internazionale, ma anche creare realmente un’organizzazione internazionale che si basi sul pensiero critico e sull’iniziativa rivoluzionaria della giovane generazione.

Occorre incitare la gioventù lavoratrice contro ogni tipo e forma della sua militarizzazione ad opera dello stato borghese. Nel contempo essa deve essere mobilitata e militarizzata nell’interesse della rivoluzione (comitati di difesa contro il fascismo, distaccamenti rossi di combattimento, milizia operaia, lotta per l’armamento del proletariato).

 

77. Per conquistare delle posizioni rivoluzionarie nei sindacati e in altre organizzazioni operaie di massa è necessario rompere senza pietà con l’ultimatismo burocratico, prendere gli operai dove e come sono e guidarli in avanti, dagli obiettivi parziali a quelli generali, dalla difesa all’attacco, dai pregiudizi patriottici al rovesciamento dello stato borghese.

Dal momento che nella maggior parte dei paesi le direzioni della burocrazia sindacale rappresentano essenzialmente una parte ufficiosa della polizia capitalista, un rivoluzionario deve saperle combattere in maniera irreconciliabile, combinando l’attività legale con quella illegale, il coraggio del combattente con la prudenza del cospiratore.

Soltanto con la combinazione di questi metodi potremo riuscire ad unire la classe operaia, e in primo luogo la gioventù, attorno alla bandiera rivoluzionaria, aprirci il cammino verso le caserme capitaliste e sollevare tutti gli oppressi.

 

78. La lotta contro la guerra può acquisire un carattere autenticamente ampio, di massa, soltanto se vi prendono parte le operaie, le contadine e tutte le donne lavoratrici. La degenerazione borghese della socialdemocrazia, così come il deterioramento burocratico della Terza Internazionale, hanno arrecato il colpo più duro agli strati più oppressi e privi di diritti del proletariato, cioè, prima di tutto, alle donne lavoratrici. Ridestarle, conquistare la loro fiducia, mostrare loro la giusta via, significa mobilitare contro l’imperialismo le passioni rivoluzionarie della parte più calpestata dell’umanità.

Il lavoro antimilitarista tra le donne dovrà assicurare in particolare la sostituzione degli uomini mobilitati con delle lavoratrici rivoluzionarie, alle quali, in caso di guerra, passerà inevitabilmente gran parte del lavoro sindacale e di partito.

 

79. Se il proletariato dovesse rivelarsi impotente nell’impedire la guerra per mezzo della rivoluzione, e questo è l’unico mezzo per impedire la guerra, gli operai e tutto il popolo saranno costretti apartecipare all’esercito e alla guerra. Le parole d’ordine individualiste e anarchiche dell’obiezione di coscienza, della resistenza passiva, della diserzione, del sabotaggio, sono in fondamentale contraddizione con i metodi della rivoluzione proletaria. Ma, così come in fabbrica l’operaio avanzato si sente schiavo del capitale e si prepara alla propria liberazione, allo stesso modo anche nell’esercito capitalista egli è cosciente di essere uno sciavo dell’imperialismo. Costretto oggi a dare i suoi muscoli e persino la sua vita, non abbandona la propria coscienza rivoluzionaria. Egli rimane un combattente, impara ad usare le armi, spiega anche nelle trincee il significato di classe della guerra, raggruppa attorno a sé gli scontenti, li unisce in cellule, trasmette le idee e le parole d’ordine del partito, segue attentamente i cambiamenti di stato d’animo delle masse, il riflusso dell’ondata patriottica, il crescere dell’indignazione e, nel momento critico, chiama i soldati a sostenere gli operai.

 

 

La Quarta Internazionale e la guerra

 

80. La lotta contro la guerra presuppone uno strumento rivoluzionario di lotta, vale a dire un partito. Attualmente esso non esiste né su scala nazionale né sa livello mondiale. Il partito rivoluzionario deve essere costruito sulla base di tutta l’esperienza del passato, ivi comprese le esperienze della Seconda e della Terza Internazionale. Rinunciare ad una lotta aperta e diretta per la nuova Internazionale significa sostenere, coscientemente o meno, le due Internazionali esistenti, una delle quali appoggerà attivamente la guerra mentre l’altra è capace soltanto di disorganizzare e di indebolire l’avanguardia proletaria.

 

81. È vero che non pochi operai rivoluzionari onesti rimangono nelle file dei cosiddetti partiti comunisti. Il loro tenace attaccamento alla Terza Internazionale è in molti casi frutto di una dedizione rivoluzionaria male indirizzata. Essi non possono essere attratti alla bandiera della nuova Internazionale mediante concessioni, adattandosi ai pregiudizi che sono stati loro inculcati, bensì, al contrario, smascherando sistematicamente il ruolo fatale dello stalinismo (centrismo burocratico71) a livello mondiale. Le questioni attinenti alla guerra debbono quindi essere poste con una chiarezza e un’intransigenza particolari.

 

82. Nello stesso tempo è necessario seguire attentamente la lotta interna al campo riformista e attrarre in tempo i raggruppamenti socialisti di sinistra72 che evolvono verso la rivoluzione, verso la lotta contro la guerra. Il miglior criterio per valutare le tendenze di una data organizzazione risiede nel suo atteggiamento pratico, nell’azione, rispetto alla difesa nazionale e alle colonie, soprattutto in quei casi in cui la borghesia del paese in questione possieda degli schiavi coloniali. Soltanto una rottura completa ed effettiva con l’opinione pubblica ufficiale sulla questione più scottante della “difesa della patria” equivale ad una svolta, o per lo meno all’inizio di una svolta, da posizioni borghesi a posizioni proletarie. L’approccio rispetto alle organizzazioni di sinistra di questo tipo deve essere accompagnato da una critica amichevole di tutte le indecisioni della loro politica e da un’elaborazione comune di tutte le questioni teoriche e pratiche riguardanti la guerra.

 

83. Nel movimento operaio vi sono non pochi politicanti che riconoscono, almeno a parole, il fallimento della Seconda e della Terza Internazionale, ma nello stesso tempo ritengono che “non è giunto il momento” di incominciare a costruire una nuova Internazionale73. Una tale posizione è caratteristica non di un marxista rivoluzionario, bensì di uno stalinista disilluso o di un riformista frustrato. La lotta rivoluzionaria non conosce interruzioni. Le condizioni possono anche non esserle favorevoli oggi; ma un rivoluzionario che non riesca a nuotare controcorrente non è un rivoluzionario. Dire che la costruzione di una nuova Internazionale è “prematura” equivale a dichiarare che la lotta di classe, e in particolare la lotta contro la guerra, sarebbe anch’essa prematura. Nell’epoca attuale la politica proletaria non può che prefiggersi dei compiti internazionali. I compiti internazionali non possono che esigere che vengano forgiati dei quadri internazionali. Tale lavoro non può essere rinviato neppure di un solo giorno senza capitolare all’imperialismo.

 

84. Naturalmente nessuno può prevedere esattamente quando la guerra scoppierà, né a quale stadio si troverà allora la costruzione dei nuovi partiti e dalla Quarta Internazionale74. Noi dobbiamo fare il possibile affinché i preparativi per la rivoluzione proletaria avanzino più rapidamente di quelli per una nuova guerra. È tuttavia possibilissimo che anche questa volta l’imperialismo sopravanzi la rivoluzione. Ma anche un tale corso, che preannuncia grandi sacrifici e sofferenze, non ci esonera in alcun caso dal dovere di costruire immediatamente la nuova Internazionale. La trasformazione della guerra imperialista in rivoluzione proletaria procederà tanto più rapidamente quanto più avanzato sarà il nostro lavoro preparatorio, quanto più solidi saranno i nostri quadri rivoluzionari all’inizio della guerra, quanto più sistematicamente essi porteranno avanti il loro lavoro in tutti i paesi belligeranti e quanto più fermamente la loro azione sarà basata su principi strategici, tattici e organizzativi corretti.

 

85. Al primo colpo, la guerra imperialista spezzerà la decrepita spina dorsale della Seconda Internazionale e manderà in frantumi le sue sezioni nazionali. Essa rivelerà fino in fondo la vuotezza e l’impotenza della Terza Internazionale. Ma non risparmierà nemmeno tutti quei raggruppamenti centristi indecisi che evadono il problema dell’Internazionale, che cercano delle radici puramente nazionali, che non portano nessuna questione fino alla sua conclusione, che sono privi di prospettive e che si nutrono momentaneamente del fermento e della confusione della classe operaia.

Anche se all’inizio di una nuova guerra i rivoluzionari autentici dovessero ritrovarsi di nuovo in un’infima minoranza, non dubitiamo per un solo istante che, questa volta, lo spostamento delle masse sulla via della rivoluzione si verificherà più rapidamente, più decisivamente e più implacabilmente che durante la prima guerra imperialista. Una nuova ondata di insurrezioni potrà e dovrà vincere in tutto il mondo capitalista.

È in ogni caso indiscutibile che, nella nostra epoca, soltanto quell’organizzazione che si basi su dei principi internazionali e che entri nelle file del partito mondiale del proletariato potrà radicarsi sul terreno nazionale. La lotta contro la guerra significa ora la lotta per la Quarta Internazionale!

 

 

Note

1. Quello del bonapartismo è uno dei concetti centrali negli scritti trotskiani degli anni Trenta. Egli utilizzò questo termine per definire una dittatura, o un regime avente alcune caratteristiche dittatoriali, in periodi in cui il dominio di classe era malfermo. Il bonapartismo si basa quindi sulla burocrazia militare, poliziesca o statale piuttosto che sui partiti parlamentari o su un movimento di massa. Trotsky riteneva ad esempio che i governi succedutisi in Germania dal 1930 fino alla vittoria di Hitler tre anni dopo fossero bonapartisti – mentre gli stalinisti li definirono “fascisti” – e individuò due tipi di regime bonapartista: quello borghese e quello sovietico (staliniano).

2. La Società delle Nazioni venne creata nell’aprile del 1919 dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale. Concepita come organismo di governo e di cooperazione mondiali per il mantenimento della pace – ma giustamente definita la Lenin come una “società di briganti imperialisti” –, essa rivelò la propria inconsistenza allorché non fu in grado di impedire l’invasione giapponese della Cina (settembre 1931), il riarmo della Germania nazista, l’aggressione italiana contro l’Etiopia (ottobre 1935), il divampare della guerra civile in Spagna (1936-39) e lo scoppio della seconda guerra mondiale (1939-45). Nel 1946 il suo posto venne occupato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

3. Con l’espressione “sistema di Versailles” Trotsky indica la riorganizzazione del continente europeo – e del mondo – imposta ai paesi sconfitti nella prima guerra mondiale dalle potenze vincitrici attraverso il trattato di pace di Versailles (28 giugno 1919), che restituì l’Alsazia-Lorena alla Francia, privò la Germania di altri territori in Europa e delle colonie d’oltremare, limitò la sua forza militare e le impose il pagamento di pesanti riparazioni di guerra. Tale trattato aveva quindi lo scopo di smantellare la potenza economico-militare tedesca a tutto vantaggio degli altri paesi imperialisti.

4. Arthur Henderson (1863-1935). Uno dei fondatori del Labour Party britannico del 1906, ne fu segretario generale dal 1911 al 1934. Nel 1914 appoggiò risolutamente la partecipazione inglese alla guerra. Ministro del governo di Lloyd Gorge nel 1916-17, si recò in Russia per cercare di convincere il governo provvisorio di Kerenskij ad appoggiare l’Intesa con la Gran Bretagna. Nello stesso anno si dimise dalla sua carica ministeriale allorché il governo britannico impedì ai delegati laburisti inglesi di partecipare alla conferenza socialista pacifista di Stoccolma. Dopo la guerra collaborò con Sidney Webb alla riorganizzazione del Labour Party, e nel 1920 si oppose all’affiliazione dei comunisti al partito. Occupò una posizione di rilievo nel primo governo laburista (1924) e fu segretario di stato agli affari esteri del governo MacDonald a partire dal 1929. Tra i maggiori artefici della riorganizzazione dell’Internazionale Operaia e Socialista (il nuovo nome assunto dalla Seconda Internazionale nel maggio del 1923), ne venne eletto presidente a due riprese (1923-24 e 1925-29). Capeggiò la fallimentare conferenza di Ginevra per il disarmo (1932-35), e nel 1934 venne insignito del premio Nobel per la pace.

5. Émile Vandervelde (1866-1938). Uno dei fondatori e capo incontrastato del Parti Ouvrier Belge e suo deputato dal 1894 fino alla morte, ebbe un ruolo di primo piano nella direzione della Seconda Internazionale, della quale fu presidente dal 1900 al 1918. Durante la prima guerra mondiale fu uno dei più convinti socialpatrioti e ricoprì importanti cariche ministeriali nei governi di union sacrée. Avversario irriducibile del bolscevismo, si oppose alla politica del fronte unico patrocinata dalla Terza Internazionale a partire dal 1921. Alla conferenza di Berlino delle tre Internazionali (aprile 1922) si distinse per il suo anticomunismo. Nel 1923 prese parte alla riorganizzazione dell’Internazionale socialdemocratica e, negli anni Venti e Trenta, fu più volte ministro di governi di coalizione con i liberali. Nel 1929 venne rieletto presidente dell’Internazionale Operaia e Socialista.

6. Léon Johaux (1879-1954). Sindacalista rivoluzionario francese, nel 1909 venne eletto segretario della Confédération Générale du Travail (CGT), carica che ricoprì per quasi quarant’anni. Nel 1914 sostenne la partecipazione della Francia alla guerra e fu avversario della rivoluzione russa. Dopo la fine del conflitto fu il principale portavoce della maggioranza anticomunista all’interno della CGT. Nel 1921-22 si oppose all’affiliazione di quest’ultima all’Internazionale Sindacale Rossa (Profintern) e non esitò a provocare la scissione della corrente sindacale comunista esistente all’interno della stessa CGT. Fu vice-presidente dell’Internazionale sindacale “gialla” di Amsterdam. Sostenuto dagli stalinisti dopo la riunificazione sindacale del 1935, fu uno dei negoziatori della fine dell’ondata di scioperi che aveva preceduto la vittoria elettorale del Fronte Popolare (maggio-giugno 1936). Durante la seconda guerra mondiale venne arrestato e deportato dal regime di Vichy. Nel 1948 organizzò una scissione sindacale che portò alla nascita del sindacato Force Ouvrière e, nel 1951, venne insignito del premio Nobel per la pace.

7. “Ginevra” sta qui ad indicare la Società delle Nazioni, che aveva la sua sede in questa città svizzera.

8. Nell’ottobre del 1933, annunciando l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni, Hitler aveva proposto una limitazione degli armamenti proclamando però che, nel caso in cui non fosse stato raggiunto un accordo, la Germania avrebbe portato da 100.000 a 300.000 gli effettivi del suo esercito e creato una forza aerea. In seguito vennero accumulandosi informazioni a proposito del riarmo tedesco.

9. James Ramsay MacDonald (1866-1937). Militante dell’Indipendent Labour Party britannico a partire dal 1894, fu poi uno dei fondatori del Labour Party (1906). In quello stesso anno venne eletto deputato e, successivamente, presidente del partito (1914). Pacifista nel corso del conflitto, simpatizzò per la rivoluzione russa di febbraio ma fu ostile ai bolscevichi. Dopo aver preso parte all’Internazionale Due e mezzo, fu poi tra i riorganizzatori dell’Internazionale socialdemocratica nel 1923. Strenuo avversario dell’affiliazione del partito comunista britannico al Labour Party, fu capo del primo governo laburista nel 1924. Costretto alle dimissioni pochi mesi dopo, formò poi un nuovo gabinetto laburista nel maggio del 1929. Nell’agosto del 1931 decise di applicare l’impopolare programma economico del grande capitale e del partito conservatore. Sconfessato ed espulso dal Labour Party, egli formò allora un nuovo governo di unità nazionale (ottobre 1931) basato sull’appoggio della maggioranza parlamentare conservatrice.

10. Cfr. Lev Trotsky, “Le prospettive dell’evoluzione mondiale” (28 maggio 1924): “La storia favorisce il capitale americano: per ogni brigantaggio, gli fornisce una parola d’ordine di emancipazione. (…) Il Giappone vuole smembrare la Cina e mettere le mani su alcune sue province perché non ha né ferro, né carbone, né petrolio, mentre la Cina possiede tutto questo (…) Per questo cerca di impadronirsi con la forza delle ricchezze della Cina. E gli Stati Uniti cosa fanno? Dicono: ‘Porte aperte in Cina!’ Che dice l’America a proposito degli oceani? ‘Libertà dei mari!’ È una parola d’ordine che suona bene. Che cosa significa in realtà? ‘Flotta inglese, scansati un poco, lasciami passare!’ Il regime delle frontiere aperte in Cina vuol dire: ‘Giappone, scansati, lasciami via libera’”(in: L.D. Trockij, Europa e America, Celuc Libri, Milano 1980, pp. 53-54.) La politica della “porta aperta” in Cina venne proclamata dagli USA nel settembre del 1899. Essa riconosceva gli interessi particolari e le sfere di influenza delle varie potenze imperialiste europee e del Giappone sul territorio cinese, ma insisteva sulla parità delle possibilità commerciali, permettendo in tal modo alla borghesia statunitense l’accesso ai mercati in Cina. Come la dottrina della “libertà dei mari” – enunciata dal presidente americano Wilson dopo la fine della grande guerra –,essa servì al consolidamento degli Stati Uniti come principale potenza mondiale.

11. Il 18 settembre 1931 il Giappone aveva attaccato la Manciuria, conquistandola quasi immediatamente. Nel febbraio seguente Tokyo insediò nel territorio occupato lo stato-fantoccio del Manciukuò dopo aver lanciato un’offensiva militare contro Shanghai (26 gennaio 1932), che venne occupata il 3 marzo. In seguito le armate giapponesi invasero lo Jehol (Chengteh) nel febbraio del 1933 e lo Hopei in marzo, varcando la Grande Muraglia in direzione di Pechino. Il 31 maggio 1933, infine, il Giappone e la Cina firmarono un armistizio del tutto sfavorevole a quest’ultima.

12. Possedimento coloniale di importanza strategica per il controllo dell’oceano Pacifico, le Filippine erano state cedute agli USA dalla Spagna in seguito alla guerra ispano-americana del 1898, che segnò l’inizio dell’espansione imperialista statunitense e che venne combattuta anche nelle acque al largo di Manila (agosto 1898). Dopo aver riportato una facile vittoria contro gli spagnoli, le truppe americane dovettero combattere contro il forte movimento di liberazione nazionale capeggiato da Emilio Aguinaldo, che aveva conquistato gran parte del paese nel maggio del 1898 e che venne definitivamente sconfitto soltanto nel 1902. Il dominio coloniale statunitense nelle Filippine fu particolarmente oppressivo e sanguinoso. Nel 1933, dopo l’insediamento di Franklin D. Roosvelt alla presidenza USA e il varo del New Deal, e di fronte alla ripresa del movimento nazionalista filippino, gli Stati Uniti avevano deciso di garantire un’indipendenza politica formale al paese. In quell’anno il Congresso americano approvò infatti lo Hawes-Cutting Act, che venne tuttavia respinto a causa della sua limitatezza da alcuni politicanti filippini pro-americani di primo piano e sostituito nel corso del 1934 dal Tydings-McDuffie Act. Quest’ultimo non era sostanzialmente diverso dal decreto precedente: perpetuava tutti i privilegi di cui godeva l’imperialismo statunitense, legalizzava la presenza delle basi militari e delle truppe americane all’interno del paese e prevedeva l’adozione di una Costituzione filippina soggetta all’approvazione degli USA come primo passo verso la “piena indipendenza”, che sarebbe stata concessa a distanza di dieci anni dall’entrata in vigore della carta costituzionale.

13.  Si tratta dell’accordo del 16 novembre 1933 – attraverso cui gli Stati Uniti d’America riconobbero l’Unione Sovietica –, concluso al termine del viaggio a Washington di Maksim Litvinov, Commissario del Popolo agli affari esteri dell’URSS.

14. Abbreviazione russa di Kommunističeskij Internacional (Internazionale Comunista o Terza Internazionale). Fondata a Mosca nel marzo del 1919 come continuità della lotta internazionalista condotta dall’ala rivoluzionaria della Seconda Internazionale durante la prima guerra mondiale e direttamente influenzata da Lenin e dal Partito Bolscevico, dal 1919 al 1922 essa tenne i suoi primi quattro congressi mondiali, i cui documenti vennero considerati da Trotsky come parte essenziale delle basi programmatiche del movimento di opposizione da lui fondato. In seguito il Komintern subì una progressiva degenerazione burocratica, dapprima sotto la direzione di Stalin e Zinov’ev, poi di Stalin e Bucharin, e infine del solo Stalin. Nel luglio-agosto del 1935 il suo VII Congresso varò la politica dei Fronti Popolari, che significava la subordinazione del proletariato alla borghesia in un contesto di collaborazione di classe mirante a salvaguardare l’ordinamento capitalista. Tale politica, che sancì il passaggio definitivo del Komintern nel campo del riformismo, venne poi applicata con risultati disastrosi in Francia e soprattutto in Spagna. Nel maggio del 1943 Stalin decretò lo scioglimento dell’Internazionale Comunista in omaggio alla sua alleanza bellica con le potenze imperialiste “democratiche”. Le “pesanti sconfitte” subite dal Komintern cui Trotsky fa qui riferimento sono innanzitutto quelle derivanti dall’applicazione della politica di “blocco delle quattro classi” durante la seconda rivoluzione cinese del 1925-27 e della linea avventurista-ultrasinistra del “terzo periodo”, che negli anni 1931-33 facilitò l’ascesa di Hitler al potere in Germania.

15. L’Unione Sovietica staliniana aveva sottoscritto patti di non aggressione con la Finlandia (21 gennaio 1932), con la Romania e altri paesi limitrofi (2 luglio 1932), con la Polonia (25 luglio 1932), con la Francia (29 novembre 1932) e con l’Italia fascista (2 settembre 1933).

16. Con l’espressione “Europa balcanizzata” Trotsky instaura un parallelo tra il sistema di Versailles scaturito dalla prima guerra mondiale e il disordinato assetto territoriale degli stati balcanici determinatosi in seguito alle guerre balcaniche del 1912-13.

17. La parola d’ordine degli Stati Uniti repubblicani d’Europa venne lanciata da Lenin all’inizio della prima guerra mondiale e fu adottata dalla conferenza del gruppo bolscevico di Berna (24-26 agosto [6-8 settembre] 1914). In quello stesso periodo, nel suo opuscolo su La guerra e la socialdemocrazia russa, Lenin spiegò come questo slogan fosse legato all’“abbattimento rivoluzionario delle monarchie tedesca, austriaca e russa”. Il problema degli Stati Uniti d’Europa venne poi nuovamente affrontato dalla conferenza delle sezioni estere del Partito operaio socialdemocratico russo (Berna, 14-19 febbraio [27 febbraio-4 marzo] 1915), che decise di soprassedere sulla sua adozione “in attesa che il lato economico della questione sia discusso sulla stampa”. Nei mesi seguenti Lenin intervenne nella discussione su tale argomento per evidenziare come lo slogan degli Stati Uniti d’Europa fosse “assolutamente inattaccabile come parola d’ordine politica” nella misura in cui esso era legato ad una prospettiva rivoluzionaria, ma inadeguato dal punto di vista delle sue implicazioni economiche. Egli temeva che gli Stati Uniti d’Europa potessero essere interpretati come un’“alleanza temporanea delle grandi potenze d’Europa per una più efficace oppressione delle colonie” e per “schiacciare tutti insieme il socialismo in Europa”. Tale era, in definitiva, il contenuto politico concreto attribuito a questo slogan dai suoi primi enunciatori nel movimento socialista. Il tedesco Ledebour aveva ad esempio scritto nel 1911: “Noi poniamo (…) alla società capitalistica (…) la richiesta (…) che essi [gli uomini di stato], nell’interesse dello sviluppo capitalistico dell’Europa stessa, preparino questa unione dell’Europa negli Stati Uniti d’Europa per impedire che in futuro l’Europa sia definitivamente sopraffatta dalla concorrenza mondiale”. In quello stesso anno Kautsky era intervenuto sulla pagine della Die Neue Zeit per fornire un’interpretazione pacifista della parola d’ordine, la cui concretizzazione nell’ambito del sistema capitalistico avrebbe secondo lui avuto il potere di evitare la guerra. Questa prefigurazione della teoria kautskiana dell’“ultraimperialismo” venne duramente attaccata tanto dai bolscevichi russi quanto da Rosa Luxemurg, per la quale il progetto degli Stati Uniti d’Europa era diretto contro le colonie e nessun disegno federalistico era concepibile al di fuori del quadro di una strategia rivoluzionaria mondiale. Ed è praticamente in un quadro di questo tipo che Trotsky collocò lo slogan della repubblica degli Stati Uniti d’Europa a partire dal novembre-dicembre 1914: “Stati Uniti d’Europa – senza monarchie, senza eserciti permanenti, senza caste feudali dominanti, senza diplomazia segreta” (Golos, n. 79, 13 dicembre 1914). In una serie di articoli redatti nel 1915-16 per il Naše Slovo e poi ripubblicati nel 1917, Trotsky si soffermò su questa accezione rivoluzionaria della parola d’ordine, attribuendole un valore epocale dal momento che “lo stato nazionale è superato – in quanto cornice per lo sviluppo delle forze produttive, in quanto base della lotta di classe e, quindi, anche in quanto forma statale della dittatura proletaria”; l’unificazione europea era perciò possibile unicamente “sulla via di una lotta rivoluzionaria contro il centralismo militarista, imperialista e dinastico”, e tale lotta “non può che trasferire il potere nelle mani del proletariato. In tal modo gli Stati Uniti d’Europa rappresentano la sola forma concepibile della dittatura del proletariato europeo” (Programma mira, Pietrogrado 1917). Nel 1923 Trotsky intervenne nuovamente su questo problema, evidenziando il parallelismo tra la parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa e quella del governo operaio e contadino in quanto slogan transitori per la mobilitazione rivoluzionaria delle masse (Pravda, 30 giugno 1923). In quello stesso anno la Terza Internazionale adottò la parola d’ordine degli Stati Uniti sovietici d’Europa. Essa sarebbe stata successivamente abbandonata in concomitanza con la progressiva stalinizzazione del movimento comunista mondiale, e la sua liquidazione formale sarebbe stata sancita dal programma elaborato da Bucharin per il VI Congresso del Komintern (luglio-settemre 1928). D’altra parte la parola d’ordine in questione non poteva conoscere una sorte diversa in quanto essa era “l’espressione politica dell’idea secondo cui il socialismo in un solo paese è impossibile” (Lev Trotsky, “Il disarmo e gli Stati Uniti d’Europa”, 4 ottobre 1929), e assumeva in tal modo anche una valenza antistalinista. Dopo il 1928 Trotsky avanzò a più riprese questo slogan, attribuendogli un’importanza vitale nella lotta contro i tentativi imperialisti e staliniani di mantenimento dello status quo mondiale e nella prospettiva della creazione di una federazione socialista continentale come “tappa sulla via della federazione socialista mondiale”.

18. “Stato, intervieni!”, in tedesco nell’originale.

19. Robert Grimm (1881-1958). Dirigente del partito socialdemocratico svizzero, pacifista-centrista durante la prima guerra mondiale, era poi stato uno degli animatori dell’Internazionale Due e mezzo prima di rientrare con il suo partito nell’Internazionale socialdemocratica riorganizzata (1923).

20. L’esempio più classico di disfattismo delle classi possidenti espropriate è senza dubbio quello dei nobili francesi emigrati che, durante la rivoluzione e l’Impero, cercarono di far ritorno in Francia “sulle carrozze del nemico”. Ma si è anche egualmente colpiti dal numero di russi bianchi che, a partire dal 1941, combatterono contro le forze armate sovietiche nelle file delle unità russe dell’esercito nazista.

21. La Seconda Internazionale venne fondata nel luglio del 1889, tredici anni dopo lo scioglimento dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori o Prima Internazionale (1864-76). Nel 1914 le sue principali sezioni nazionali appoggiarono lo sforzo bellico delle rispettive borghesie, provocando il distacco degli elementi rivoluzionari. Dopo aver condotto un’esistenza aleatoria durante la prima guerra mondiale, essa venne riorganizzata nel maggio del 1923 – con il rientro nelle sue file della maggioranza dei partiti che nel febbraio del 1921 avevano dato vita alla cosiddetta Internazionale Due e mezzo – adottando la nuova denominazione di Internazionale Operaia e Socialista. È dunque a quest’ultima che Trotsky allude quando parla di “Seconda Internazionale”.

22. Rosa Luxemburg (1871-1919). Di origine polacca, militò nel movimento socialista polacco, svizzero e tedesco. Tra i dirigenti della socialdemocrazia del regno di Polonia (1893) e in seguito anche in Lituania (1899), partecipò al IV Congresso della Seconda Internazionale svoltosi a Londra nel luglio-agosto del 1896 e collaborò alla rivista Die Neue Zeit diretta da Kautsky. Nel 1898 si trasferì Berlino, dove scrisse per la stampa della socialdemocrazia tedesca e prese parte alla polemica contro il revisionismo di Bernstein. Nello stesso periodo fu, con Bebel e Kautsky, tra i principali difensori dell’“ortodossia” second’internazionalista. Criticò le concezioni organizzative “blanquiste” di Lenin del 1903, e i suoi rapporti con il bolscevismo russo attraversarono fasi contraddittorie. Insegnante di economia alla scuola di partito della socialdemocrazia tedesca a partire dal 1907, ruppe poi con il centrismo kautskiano e si schierò con l’ala internazionalista del movimento, che criticava la capitolazione socialpatriottica alla borghesia da parte della maggioranza del partito al momento dello scoppio della prima guerra mondiale (agosto 1914). Durante il conflitto fu tra i fondatori e dirigenti del gruppo “Die Internationale”, poi dello Spartakusbund (Lega Spartaco), che aderì al Partito socialdemocratico indipendente (USPD) fondato nel 1917. Imprigionata a più riprese, in carcere ebbe notizia delle rivoluzioni russe del febbraio e dell’ottobre 1917. Liberata in seguito al crollo dell’Impero tedesco nel novembre del 1918, cercò di spingere l’USPD alla radicalizzazione mentre la socialdemocrazia “ufficiale” sosteneva il governo Ebert-Scheidemann e si preparava a sventare il “pericolo bolscevico” con la repressione. Di fronte alle esitazioni dell’USPD, gli spartachisti della Luxemburg abbandonarono tale partito e, con i “radicali di sinistra” filobolscevichi di Brema e di Amburgo, alla fine del 1918 fondarono il Partito comunista tedesco (KPD). Agli inizi di gennaio del 1919 la destituzione del questore di Berlino, membro dell’USPD provocò con la rivolta dei militanti dell’USPD stesso e del KPD. Arrestata pochi giorni dopo insieme a Karl Liebknecht, la Luxemburg venne con questi assassinata dalla polizia del “socialista” Gustav Noske.

23. Rosa Luxemburg, “La ricostruzione dell’Internazionale” (febbraio 1915), in: R. Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 422 (il corsivo è di Trotsky).

24. La dinastia degli Hoherzollern regnò dapprima sulla Prussia, poi sull’Impero tedesco a partire dal 1871 e fino all’abdicazione del Kaiser Guglielmo II, nel novembre del 1918. I socialdemocratici tedeschi avevano preconizzato e praticato l’union sacre per la difesa dell’Impero degli Hoherzollern sin dal momento dello scoppio della prima guerra mondiale (agosto 1914).

25. Otto Wels (1873-1939). Membro del Partito socialdemocratico tedesco (SPD) dal 1891 e funzionario sindacale a partire dal 1906, poi segretario della federazione socialdemocratica del partito, fu il suo “uomo forte” contro la rivoluzione del 1918-19 a Berlino. Nel 1920 venne eletto deputato, e di lì a poco assunse la carica di presidente del SPD. Al momento dell’avvento del nazismo fu il solo membro del Reichstag – in assenza dei comunisti, che erano stati messi fuorilegge – a pronunciarsi nell’aula parlamentare contro la concessione dei pieni poteri a Hitler. Lasciata la Germania nel maggio del 1933, fu membro della direzione in esilio del SPD a Praga e successivamente a Parigi. Parlando della sua “amnistia” ad opera della Seconda Internazionale, Trotsky fa qui riferimento al fatto che la socialdemocrazia francese e quella belga – allo scopo di non ostacolare la riorganizzazione postbellica dell’Internazionale riformista – avevano “perdonato” gli attacchi che Wels aveva lanciato contro il Belgio e la Francia durante la prima guerra mondiale.

26. Nel corso del 1933 e nei primi mesi del 1934 l’imperialismo francese fece spesso uso di aeroplani, carri armati, cavalleria e fanteria per sconfiggere i movimenti di ribellione nelle sue colonie dell’Africa settentrionale, in particolare i Berberi del Marocco. Allorché il governo francese annunciò la propria vittoria sui ribelli, nel marzo del 1934, esso dichiarò che circa 150.000 di questi avevano deposto le armi.

27. Allusione al fatto che la rivoluzione tedesca nel novembre 1918 aveva portato alla caduta dell’Impero e alla creazione di una repubblica, la cui costituzione venne poi elaborata nel corso del 1919 e adottata nell’agosto di quell’anno (“Repubblica di Weimar”). La rivoluzione del 1918 comportò anche la caduta della dinastia degli Asburgo in Austria-Ungheria e la nascita di un certo numero di repubbliche nazionali.

28. Il termine “epigoni” – equivalente peggiorativo di “successori” – viene spesso utilizzato da Trotsky per designare la direzione burocratica post-leninista della Terza Internazionale e delle sue sezioni nazionali, nonché dello stato sovietico.

29. Con il termine “riformismo” vengono indicate la teoria e la prassi di un cambiamento sociale dal capitalismo al socialismo da attuarsi gradualmente mediante mezzi pacifici e parlamentari. I riformisti cercano quindi di smussare la lotta di classe e di favorire invece la collaborazione di classe. La logica di tale orientamento li porta a schierarsi con la borghesia contro il proletariato e contro i popoli coloniali.

30.  Il termine “centrismo” viene utilizzato da Trotsky per definire quelle tendenze del movimento operaio che oscillano tra il riformismo socialdemocratico, espressione della burocrazia e dell’aristocrazia operaie, e il marxismo, che rappresenta gli interessi storici del proletariato.

31. Léon Blum (1872-1950). Membro del Partito socialista francese a partire dal 1899, fu eletto deputato nel 1919 e, un anno dopo, divenne presidente del partito. Si oppose all’adesione di quest’ultimo alla Terza Internazionale, decisa in occasione del congresso di Tours (dicembre 1920). In seguito si dedicò alla riorganizzazione delle file socialiste, diventandone la guida intellettuale. Capeggiò l’opposizione ai governi di destra di Millerand e di Poincaré e, nel 1924, appoggiò il Cartello delle sinistre guidato da Herriot. Giocò un ruolo di primo piano all’interno dell’Internazionale Operaia e Socialista (il nuovo nome assunto dalla Seconda Internazionale al momento della sua riorganizzazione postbellica, nel maggio del 1923), dove sostenne la corrente riformista di sinistra. Favorevole all’unità d’azione con i comunisti, capeggiò il primo governo di Fronte Popolare in Francia nel 1936-37. Sostenne una politica di resistenza alla Germania nazista e nel 1940 votò a Vichy contro la concessione dei pieni poteri al maresciallo Pétain. Arrestato e processato, venne poi consegnato ai tedeschi che lo deportarono a Buchenwald. Liberato nel maggio del 1945, tornò ad essere il massimo dirigente del socialismo francese e nel 1946 formò per breve tempo un governo di transizione che favorì la ricostruzione capitalista del secondo dopoguerra.

32. Hendrik De Man (1885-1953). Diventato socialista nel 1902, aveva diretto a partire dal 1911 l’apparato educativo del partito socialdemocratico belga prima di trasferirsi per alcuni anni negli USA e in Germania. Rientrato in Belgio, nel 1932 era stato nominato direttore dell’ufficio di studi sociali del Parti Ouvrier Belge (POB) e aveva presieduto all’elaborazione di un “Piano del lavoro” mirante a porre fine alla depressione economica e ad incrementare la produzione. Il congresso del POB del dicembre 1933 aveva adottato tale piano ed eletto De Man alla vicepresidenza del partito. Seguendo l’esempio dei riformisti belgi, anche la Confédération Générale du Travail francese aveva creato, nel maggio del 1934, una commissione per l’elaborazione di un “piano” dello stesso tipo, che venne poi adottato dalla sua direzione cinque mesi dopo.

33. Martin Olsen Tranmael (1869-1967). Lavoratore agricolo figlio di contadini norvegesi, era emigrato negli Stati Uniti dove aveva militato negli Industrial Workers of the World (IWW) e diretto uno dei loro giornali. Tornato in Norvegia, aderì al Partito operaio norvegese (DNA) e, nel periodo anteriore alla prima guerra mondiale, fu redattore-capo dell’organo di tale partito e deputato in parlamento. Profondamente influenzato dalle idee del sindacalismo rivoluzionario e dall’antimilitarismo, capeggiò una corrente di sinistra tanto in seno al movimento sindacale norvegese quanto all’interno dello stesso DNA. Internazionalista durante la grande guerra, si schierò a favore della rivoluzione d’Ottobre e, in occasione del congresso nazionale del DNA svoltosi nel 1918, presentò una risoluzione che rivendicava il carattere rivoluzionario del partito e la natura subordinata della lotta parlamentare rispetto alla prospettiva della conquista rivoluzionaria del potere. Tale risoluzione ottenne la maggiorana dei voti e portò all’emarginazione della maggioranza riformista del DNA, la cui nuova direzione fu interamente composta da elementi di sinistra. Nell’aprile del 1919, sotto la spinta di Tranmael, il DNA aderì alla Terza Internazionale per poi separarsene nel 1923 in base ad una serie di divergenze politiche. In seguito egli impartì al partito un corso di destra che lo portò a partecipare al cosiddetto “Bureau di Parigi” (1926) e, l’anno seguente, alla riunificazione con il partito riformista norvegese nato nel gennaio del 1921 da una scissione del DNA, accentuando poi, durante gli anni Trenta, la propria evoluzione in senso puramente socialdemocratico.

34. Otto Bauer (1881-1938). Dirigente della socialdemocrazia austriaca e principale teorico dell’“austromarxismo”, fondatore e condirettore della rivista Der Kampf (1907), fu segretario della frazione socialista al Reichsrat austriaco. Prigioniero di guerra in Russia a partire dalla fine del 1914, venne internato in Siberia, da dove seguì lo svolgimento della rivoluzione di febbraio simpatizzando per le posizioni menscevico-internazionaliste di Martov. Liberato in luglio, rientrò in Austria nel settembre del 1917 e divenne il maggior portavoce dell’ala sinistra del partito socialdemocratico. Considerò la vittoria dei bolscevichi russi come un fatto storico irreversibile e di grande valore. Nel novembre del 1918 succedette a Victor Adler alla direzione del dicastero degli esteri del governo presieduto da Renner. Una delle figure di spicco della Seconda Internazionale, giocò un ruolo importante nella creazione dell’Internazionale Due e mezzo (febbraio 1921) e, nel maggio 1923, partecipò alla creazione dell’Internazionale Operaia e Socialista. Assertore dell’impossibilità in Austria di una rivoluzione proletaria, preconizzò una trasformazione sociale da attuarsi mediante un graduale processo di socializzazione che modificasse dalle fondamenta i rapporti di produzione capitalistici. In seguito alla sconfitta della “Comune di Vienna” ad opera del governo Dollfuss (febbraio 1934), Bauer – il cui partito aveva lasciato gli operai viennesi privi di parole d’ordine e di un programma d’azione – si rifugiò in Cecoslovacchia e, successivamente, in Francia, da dove organizzò la lotta clandestina contro l’“austrofascismo” favorendo l’unità d’azione tra socialdemocratici e comunisti.

35. Il Sozialistiche Arbeiterpartei (SAP, Partito Operaio Socialista) tedesco era stato fondato il 4 ottobre 1931 nel corso di una conferenza della corrente di sinistra del partito socialdemocratico, il quale aveva espulso dalle proprie file i deputati appartenenti a tale corrente. Rafforzato nella primavera del 1932 da un gruppo di militanti provenienti dall’opposizione “comunista di destra” (brandleriana), che nel gennaio-febbraio del 1933 ne assunsero il controllo, il SAP partecipò alla conferenza internazionale svoltasi a Berlino nel maggio del 1932, che diede vita alla Internationale Arbeitsgemeinschaft (IAG, Comunità di Lavoro Internazionale). In veste di partito membro della IAG, il SAP – che nel giugno del 1933 si era pronunciato per la creazione “di un vero partito comunista in Germania e di una vera Internazionale Comunista” – partecipò nell’agosto di quell’anno alla conferenza di Parigi delle organizzazioni socialiste di sinistra, nel corso della quale sottoscrisse con i trotskisti dell’Opposizione di Sinistra Internazionale e con due partiti olandesi una dichiarazione che proclamava la necessità di creare una nuova Internazionale. Il “blocco dei quattro” in tal modo realizzato fu tuttavia incrinato sin dall’inizio del fatto che il SAP e l’OSP olandese avevano poi votato a favore della risoluzione congressuale sulla ricostruzione del movimento operaio mondiale, che non avanzava la prospettiva della nuova Internazionale, e avevano mantenuto la propria affiliazione all’IAG. Dopo aver così raggiunto il punto estremo della propria oscillazione a sinistra, il SAP cominciò lentamente a spostarsi a destra. A partire dall’ottobre del 1933 i suoi rapporti con il movimento trotskista si fecero sempre più difficili e tesi. Dopo essersi opposto alla fusione con l’organizzazione trotskista tedesca e aver proposto delle aperture ai brandleriani, il SAP partecipò alla “preconferenza dei quattro” (dicembre 1933), dove manifestò ancora una volta la propria ritrosia a battersi per la Quarta Internazionale e la propria volontà di rimanere nella IAG, recentemente ribattezzata “Bureau di Londra” in seguito all’unificazione di fatto con il “Bureau di Parigi” e alla creazione di un segretariato congiunto animato dall’ILP e avente sede, appunto, a Londra. Nel febbraio del 1934 il SAP, ancora alleato dell’OSP, aveva rifiutato ogni tipo di collaborazione internazionale al di fuori del Bureau di Londra, chiedendo al movimento trotskista di aderire a quest’ultimo o, quantomeno, di smettere di criticarlo. Questo ultimatum pose praticamente fine al “blocco dei quattro”. La rottura definitiva con il movimento per la Quarta Internazionale sarebbe poi stata sancita all’inizio del 1935, in seguito alla partecipazione del SAP alla conferenza di Saint-Denis del Bureau di Londra (12-14 febbraio 1935).

36. L’Onafhhankelijke Socialistische Partij (OSP, Partito Socialista Indipendente) olandese era stato creato il 28 marzo 1932 come frutto di una scissione di sinistra del partito socialdemocratico di quel paese, e tenne il suo primo congresso nell’agosto di quell’anno. Pur considerandosi come l’ala sinistra del movimento socialdemocratico, l’OSP stabilì dei contatti con il Revolutionar Socialistische Patij (RSP), nato nel febbraio del 1929 in seguito all’espulsione di Sneevliet e di altri oppositori di sinistra dalle file del partito comunista olandese e basato su un piccolo sindacato rivoluzionario. Nel maggio-giugno del 1932 il RSP lanciò l’idea di costruire un fronte unico contro il fascismo e la guerra, al quale l’OSP aderì per poi separarsene nel febbraio del 1933, per timore di perdere la propria base “di massa” intrattenendo relazioni troppo strette con il RSP. Nell’agosto del 1933 i due partiti olandesi parteciparono a Parigi alla conferenza delle organizzazioni socialiste di sinistra convocata dalla IAG, nel corso della quale sottoscrissero con l’Opposizione di Sinistra Internazionale e con il SAP tedesco la “dichiarazione dei quattro”, che proclamava la necessità di costruire una nuova Internazionale. Affiliato alla ISG, l’OSP aveva però votato anche, insieme al SAP, a favore di una risoluzione centrista sulla crisi del movimento operaio mondiale che non contemplava la prospettiva della nuova Internazionale. Strettamente legato al SAP, l’OSP condivise gran parte delle critiche da esso rivolte al “settarismo” dei trotskisti e, nel corso del 1934, mentre il RSP aderì al movimento per la Quarta Internazionale (marzo-aprile), lo stesso OSP assicurò il coordinamento delle forze della IAG e del “Bureau di Parigi” attraverso la creazione del “Bureau di Amsterdam”, che rilevò per alcuni mesi l’attività del “Bureau di Londra”. A partire dal luglio del 1934 vi fu tuttavia un progressivo riavvicinamento tra i due partiti olandesi, che successivamente si unificarono (marzo 1935) dando vita al Revolutionair Socialistische Arbeiders Partij (RSAP), sezione olandese del movimento trotskista.

37. L’Indipendent Labour Party (ILP) britannico venne fondato nel gennaio del 1893 con l’obiettivo di assicurare alla classe operaia una rappresentanza parlamentare. Esso giocò un ruolo di primo piano nella creazione del Labour Party (1906), al quale si affiliò. Orientato verso il pacifismo durante la prima guerra mondiale, l’ILP rifiutò di aderire alla Terza Internazionale optando poi (1921) per l’Unione dei Partiti Socialisti per l’azione internazionale (“Unione di Vienna”) o Internazionale Due e mezzo. Nel maggio del 1923 esso rientrò con la maggior parte delle forze dell’Unione di Vienna nelle file della Seconda Internazionale, dando vita all’Internazionale Operaia e Socialista (IOS). A partire dal 1925 l’ILP propose la convocazione di una conferenza internazionale di tutte le organizzazioni di sinistra per valutare le possibilità di superamento della divisione del movimento operaio mondiale seguita alla rivoluzione russa e alla creazione del Komintern. Tale proposta, ignorata tanto dall’IOS socialdemocratica quanto dalla Terza Internazionale sempre più stalinizzata, si concretizzò nel dicembre del 1927 risolvendosi tuttavia in un fallimento. Nel 1929 l’ILP cominciò a spostarsi a sinistra (due anni dopo avrebbe rotto con il Labour Party) e, a partire dal 1930, stabilì dei contatti con altre organizzazioni socialiste di sinistra europee dando poi vita nel maggio del 1932, in occasione di una conferenza svoltasi a Berlino, alla Internationale Arbeitsgemeinschaft (IAG), che tenne la sua seconda riunione a Parigi, alla conferenza dei raggruppamenti socialisti di sinistra, dove si oppose alla prospettiva di creare una nuova Internazionale proponendo invece per una politica di unità d’azione con il Komintern staliniano, all’epoca in piena fase “terzoperiodidsta”. A partire da allora l’IAG e le organizzazioni appartenenti al Bureau Internazionale di informazione dei partiti rivoluzionari socialisti (“Bureau di Parigi”) costituirono di fatto un’unica tendenza il cui segretariato, animato dall’ILP, ebbe sede a Londra – di qui la denominazione “Bureau di Londra”, spesso utilizzata per indicare questa tendenza politica – fino alla seconda guerra mondiale, ad eccezione di un breve periodo in cui il coordinamento del “Bureau di Londra” venne affidato all’OSP olandese (“Bureau di Amsterdam”, 1934).

38. Jean Zyromsky (1890-1975). Militante del partito socialista francese a partire dal 1912. “Neo-guesdista”, rimase nel partito dopo la scissione di Tours per combattervi il riformismo. Segretario della Federazione della Senna e principale dirigente della tendenza “Bataille Socialiste” (1927-40), cui Trotsky fa qui riferimento, negli anni Trenta fu uno dei fautori dell’unità organica, cioè della fusione tra partiti socialisti e partiti comunisti e tra l’Internazionale Operaia e Socialista socialdemocratica e la Terza Internazionale stalinizzata. Nel 1945 abbandonò le file socialiste per aderire al partito comunista francese.

39. Marceau Pivert (1895-1958). Insegnante e militante sindacale della Confédération Générale du Travail, aderì al partito socialista francese nel 1924. Uno dei dirigenti della Federazione della Senna di tale partito negli anni Trenta, fu il braccio destro di Zyromsky in seno alla tendenza “Bataille Socialiste”. Nel 1935 formò la Gauche Révolutionnaire (GR) del partito socialista e l’anno seguente fu membro del governo di Fronte Popolare presieduto da Léon Blum. Nel 1937 accettò di sciogliere la GR e nel 1938 ruppe con il partito per fondare, con la maggioranza dei militanti della Federazione della Senna, il Parti Socialiste Ouvrier et Paysan (PSOP). Sorpreso dallo scoppio della seconda guerra mondiale mentre era in visita negli Stati Uniti, trovò asilo in Messico. Rientrato in Francia dopo la fine del conflitto, aderì nuovamente al partito socialista nel 1946.

40. La questione dell’ingresso dell’URSS staliniana nella Società delle Nazioni si era posta a partire dal riavvicinamento dell’URSS alla Francia, contrassegnato dai viaggi a Mosca dei radicali francesi Édouard Herriot e Pierre Cot nel 1933. L’Unione Sovietica sarebbe stata finalmente ammessa nella Società delle Nazioni il 18 settembre 1934.

41. Il Giappone si era ritirato dalla Società della Nazioni il 27 marzo 1933. La Germania lo imitò il 14 ottobre dello stesso anno.

42. Abbreviazione russa di kollektivnoe chozjaistvo, termine generico per indicare le varie forme di cooperazione agricola (TOZ, artel e kommuna) negli anni Venti e, a partire dal 1929-30, la forma unica di cooperazione agricola imposta durante la collettivizzazione forzata staliniana.

43. Durante il periodo di ascesa del nazismo, la propaganda staliniana aveva ripreso alcuni degli argomenti del partito nazionalsocialista di Hitler – in particolare espressioni come “rivoluzione di popolo” e “liberazione nazionale” –, abbandonandosi ad una sorta di gara verbale con i nazisti allo scopo di dimostrare all’opinione pubblica di essere i migliori difensori del nazionalismo tedesco contro le restrizioni imposte alla Germania dal trattato di Versailles.

44. La Saar, una regione tedesca occidentale e uno dei più ricchi bacini carboniferi d’Europa, aveva fatto parte della Francia nel XVIII secolo ed era poi stata divisa tra la Prussia e la Bavaria dal trattato di Parigi del 1815. Dopo la prima guerra mondiale il trattato di Versailles del giugno 1919 tolse la Saar alla Germania ponendola sotto l’amministrazione della Società delle Nazioni e garantendo alla Francia lo sfruttamento delle sue miniere. Il trattato prevedeva inoltre un referendum che permettesse alla popolazione della regione di scegliere tra l’autonomia statale e l’annessione alla Francia o alla Germania. Fino all’agosto del 1933 il partito comunista tedesco (KPD) avanzò la parola d’ordine del ricongiungimento della Saar alla Germania nazista. La socialdemocrazia tedesca, che aveva sostenuto una posizione analoga fino alla presa del potere da parte di Hitler, si dichiarò poi favorevole all’autonomia della Saar. Anche il movimento trotskista –con motivazioni ovviamente diverse da quelle dei socialdemocratici – sostenne una prospettiva autonomista. La politica annessionista del KPD staliniano provocò un’ondata di dimissioni dal partito, costringendolo a modificare la propria linea in favore dell’autonomia della Saar. Al referendum del 13 maggio 1935, però, la stragrande maggioranza della popolazione di questa regione votò a favore del suo ricongiungimento alla Germania.

45.  Hermann Müller-Franken (1876-1931). Uno dei dirigenti del partito socialdemocratico tedesco, era stato cancelliere di governo di “grande coalizione” da 1928 al marzo del 1930. Gli stalinisti avevano definito “fascista” il suo governo bonapartista.

46. Heinrich Brüning (1885-1970). Sindacalista cattolico e dirigente del “Partito di Centro” (precursore dell’odierno partito democristiano tedesco), venne nominato cancelliere da Hindenburg nel marzo del 1930. Non essendo sostenuto da una maggioranza parlamentare, egli governò per decreto fino al maggio del 1932, perseguendo una politica antioperaia di austerità e di attacco ai diritti democratici. Anche il suo governo, come quello precedente di Müller, venne definito “fascista” dal partito comunista tedesco.

47. Abbreviazione russa di Krasnij Internacional Professional’nich Sojuzov (Internazionale Sindacale Rossa). Organismo fondato a Mosca nel luglio del 1921 come concorrente comunista della Federazione Sindacale Internazionale (o Internazionale di Amsterdam). A partire dalla fine degli anni Venti, con l’avvio della politica “terzoperiodista”, costituì un elemento centrale della politica staliniana di scissione dei sindacati di massa diretti dai riformisti e di creazione di “sindacati rossi” generalmente assai minoritari. Cessò le sua attività nel 1937.

48. Si veda in proposito quanto affermato da Trotsky nel corso di una discussione con alcuni militanti del Socialist Workers Party, la sezione statunitense della Quarta Internazionale, il 12 giugno 1940: “I pacifisti accettano tutto ciò che è borghese eccetto il militarismo. Accettano senza discutere le scuole, il parlamento, i tribunali. Tutto va bene in tempo di pace. Ma il militarismo, che è borghese come tutto il resto? No, essi si tirano indietro e dicono di non volerne sapere. I marxisti cercano di utilizzare la guerra al pari di ogni altra istituzione borghese. (…) Qualsiasi confusione con i pacifisti è centinaia di volte più pericolosa di una confusione temporanea con i militaristi borghesi. Noi prepariamo un nuovo terreno per rovesciare i militaristi. I pacifisti contribuiscono a cullare gli operai per appoggiare i militaristi. (…) Per quanto riguarda i renitenti alla leva – compresi quelli che sono nel nostro partito – dobbiamo parlarne con il massimo disprezzo. Sono dei disertori. Allo stesso modo in cui lo sono gli obiettori di coscienza, i quali hanno accettato tutto in tempo di pace ma non vogliono accettare la guerra. I renitenti ala leva sono dei disertori della loro classe e della rivoluzione.” Questa posizione trotskiana a proposito degli obiettori di coscienza si colloca in pieno nel filo della continuità con il bolscevismo, i cui punti di vista in proposito furono espressi nell’articolo di Lenin “La situazione e i compiti dell’Internazionale Socialista” verso la fine del 1914: “La guerra non scoppia per caso, non è un ‘peccato’, come pensano i preti cristiani (che predicano il patriottismo, l’umanitarismo e la pace non peggio degli opportunisti), ma una tappa inevitabile del capitalismo, una forma della vita capitalistica, legittima come la pace. (…) Il rifiuto di prestare sevizio militare, lo sciopero contro la guerra, ecc. sono una pura sciocchezza, un sogno misero e vile di una lotta disarmata contro la borghesia armata, l’illusione di distruggere il capitalismo senza un’accanita guerra civile, o una serie di tali guerre. La propaganda della lotta di classe è un dovere del socialista anche nell’esercito; il lavoro volto a trasformare la guerra tra i popoli in guerra civile è l’unico lavoro socialista nell’epoca del conflitto imperialista armato delle borghesie di tutti i paesi” (Social-Demokrat, n. 33, 1 novembre 1914).

49. La parola d’ordine dello sciopero generale contro la guerra era stata uno dei cavalli di battaglia di Gustave Hervè e del movimento anarchico, che preconizzavano lo “sciopero militare“ al momento della dichiarazione di guerra come prologo immediato all’insurrezione. Tale slogan venne duramente criticato da Lenin, soprattutto nel periodo 1907-08, nella misura in cui esso separava l’azione diretta della masse dalla congiuntura sociale e politica generale: “Il progetto di Hervè – “rispondere” a qualsiasi guerra con lo sciopero e l’insurrezione – rivela la totale incapacità di capire che l’impiego di questo o quel mezzo di lotta dipende non da una preliminare decisione dei rivoluzionari, ma dalle condizioni oggettive della crisi, sia economica che politica, che la guerra porterà con sé” (“Il congresso internazionale socialista di Stoccarda”, settembre 1907). In un altro scritto dello stesso periodo Lenin evidenziò ancora una volta come, secondo la tattica herveista e anarchica, “non è il proletariato a scegliere il momento della lotta secondo i suoi interessi, quando cioè la sua coscienza socialista è alta, la sua organizzazione forte, le circostanze favorevoli, ecc.; no, i governi borghesi potrebbero provocare il proletariato all’insurrezione anche in una situazione per esso sfavorevole; per esempio, dichiarando una guerra particolarmente adatta a suscitare sentimenti patriottici e sciovinisti in vasti strati della popolazione e a isolare così il proletariato insorto” (“Il militarismo militante e la tattica antimilitaristica della socialdemocrazia”, luglio 1908).

50. Il Congresso internazionale contro la guerra, organizzato dall’Internazionale Comunista stalinizzata, si svolse ad Amsterdam dal 27 al 29 agosto 1932.

51. Il Congresso internazionale contro il fascismo si svolse a Parigi, nella Sala Pleyel, dal 4 al 6 giugno 1933. Come quello di Amsterdam contro la guerra, anch’esso venne organizzato dal Komintern staliniano.

52. Grigorij Potëmkin (1739-1791), ministro e favorito dell’imperatrice russa Caterina II, venne da questa incaricato di organizzare la “nuova Russia”. Nel 1778, in occasione della visita della zarina in Crimea, aveva fatto costruire dei falsi villaggi, consistenti in facciate di legno e di cartone, per darle un’impressione di prosperità

53. Henri Barbusse (1873-1935). Famoso romanziere francese, fondatore della rivista Clarté, aveva aderito al partito comunista nel 1923 ma era rimasto imbevuto di spirito pacifista e cristiano. Fu la figura di punta dei congressi internazionali contro la guerra (agosto 1932) e contro il fascismo (giugno 1933) organizzati da Willi Münzenberg per conto della Terza Internazionale stalinizzata. Morì a Mosca durante i lavori del VII Congresso del Komintern.

54. Willi Münzenberg (1889-1940). Militante del movimento giovanile socialdemocratico tedesco, fu il promotore della conferenza internazionale della gioventù socialista contro la guerra svoltasi a Berna nel 1915. Rientrato in Germania, aderì poi allo Spartakusbund e, successivamente, al partito comunista tedesco (KPD). Tra i fondatori dell’Internazionale Comunista della Gioventù (novembre 1919), della quale fu segretario fino al 1921, venne poi incaricato di organizzare il Soccorso Rosso Internazionale, che diresse a Berlino fino all’avvento del nazismo. Emigrato a Parigi nel 1933, promosse la campagna per la liberazione di Dimitrov. Fu il principale organizzatore dei congressi internazionali contro la guerra (agosto 1932) e contro il fascismo (giugno 1933), che diedero vita al cosiddetto “movimento di Amsterdam-Pleyel”. Estromesso dal KPD durante le grandi purghe staliniane, nel 1940 venne internato in un campo di concentramento francese e in seguito morì in circostanze oscure.

55. Si tratta di membri del Partito socialista-rivoluzionario russo, fondato nel 1902 in continuità politica con le vecchie correnti populiste. Il suo orientamento era infatti prevalentemente contadino e mirava al conseguimento di una riforma agraria radicale. Nel 1905 esso si alleò alla borghesia liberale, e nel 1906 la sua corrente di destra costituì un blocco con il partito costituzional-democratico. La sua politica essenzialmente liberale fu spesso mascherata da atti terroristici. Allo scoppio della prima guerra mondiale la sua maggioranza adottò una posizione patriottica. Dopo la rivoluzione di febbraio del 1917 la sua ala destra, nella persona di Aleksandr Kerenskij, capeggiò il governo provvisorio, negando ai contadini la terra che il partito aveva da sempre promesso loro. Fino al mese di settembre i socialisti-rivoluzionari furono, con i menscevichi, la forza più influente in seno ai Soviet. Ma nel corso del 1917 l’ala sinistra del partito operò una scissione (novembre-dicembre) e si affiancò ai bolscevichi in un governo di coalizione. Dopo che il governo ebbe accettato le condizioni di pace imposte dalla Germania e firmato il trattato di Brest-Litovsk, i socialisti-rivoluzionari di sinistra ruppero con il partito di Lenin e organizzarono a Mosca un’insurrezione contro il potere sovietico (luglio 1918).

56. Nel periodo 1923-24 la burocrazia sovietica manifestò una tendenza crescente a basarsi sui kulaki (contadini ricchi). La troika dominante (Stalin, Zinov’ev, Kamevev) seguì allora una politica di concessioni ai contadini tesa a creare un’economia agricola prospera e un mercato rurale in espansione come trampolino di lancio per lo sviluppo industriale del paese. Tale tendenza venne esemplificata all’inizio del 1925 da Bukharin, all’epoca sostenitore della troika, con la celebre esortazione rivolta ai contadini: “Arricchitevi!”

57. Abbreviazione russa di Krestianskij Internacional (Internazionale Contadina). Organismo fondato a Mosca nell’ottobre del 1923 allo scopo di coordinare la lotta delle varie organizzazioni contadine nazionali, subì una parabola discendente a partire dal 1925, scomparve virtualmente nel 1929 e venne ufficialmente sciolto nel 1939.

58.  La formula della “pace civile” era stata adottata dal partito socialdemocratico e dai sindacati tedeschi – come sinonimo di tregua politica e sociale – nel contesto dell’union sacrèe inaugurata al momento dell’entrata in guerra della Germania (agosto 1914).

59. Karl Liebknecht (1871-1919). Figlio di Wilhelm Liebknecht, uno dei fondatori del partito socialdemocratico tedesco. Avvocato, fu uno dei dirigenti della gioventù socialista, distinguendosi per la sua attività antimilitarista. Deputato al Reichstag a partire dal 1912, dopo essersi inchinato di fronte alla disciplina di partito votando i crediti di guerra nell’agosto del 1914 decise poi di violare tale disciplina, diventando il portabandiera dell’opposizione internazionalista rivoluzionaria all’union sacrée e alla guerra imperialista. Nel maggio del 1915 redasse il celebre volantino intitolato: Der Hauptfeid steht im eigenen Land (“Il nemico principale è nel nostro stesso paese”). Con Rosa Luxemburg, fu uno dei fondatori dello Spartakusbund (Lega Spartaco) e del partito comunista tedesco (KPD). Arrestato insieme alla Luxemburg nel gennaio del 1919 in seguito allo scoppio dei “moti spartachisti” a Berlino, venne con ella assassinato dalle forze dell’ordine del “socialista” Gustav Noske.

60.  La Comune di Parigi fu il primo governo operaio che la storia abbia conosciuto. Proclamata il 18 marzo 1871, all’indomani della sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana del 1870-71, venne schiacciata il 28 maggio di quello stesso anno dalle forze militari della borghesia francese con l’aiuto dell’esercito tedesco.

61. La parola d’ordine del disarmo delle bande fasciste da parte dello stato borghese era stato uno degli slogan principali dei partiti socialdemocratici tedesco e austriaco, che erano poi caduti vittime della fusione del movimento fascista con l’apparato statale. Con il termine “austromarxismo” viene indicata l’eterogenea variante austriaca del riformismo socialdemocratico sorta agli inizi del secolo, i cui maggiori esponenti furono Otto Bauer, Karl Renner, Max Adler e Rudolf Hilferding.

62. Nella serata del 6 febbraio 1934 dei gruppi fascisti e monarchici francesi, coadiuvati dalle organizzazioni degli ex combattenti, inscenarono una violenta manifestazione in Place de la Concorde, a Parigi, di fronte alla Camera di Deputati. Negli scontri tra dimostranti e forze dell’ordine, che proseguirono durante la notte, si registrarono quattordici morti e centinaia di feriti. La manifestazione provocò la caduta del governo presieduto dal radicale Édouard Daladier, che venne sostituito da un nuovo gabinetto di tipo bonapartista capeggiato dall’ex presidente della repubblica Gaston Doumergue. Il 12 febbraio il movimento operaio francese rispose alla sommossa dell’estrema destra con uno sciopero generale di 24 ore e con cortei in molte città.

63. Nel corso della seduta parlamentare dell’8 agosto 1914 i deputati bolscevichi e menscevichi presentarono una dichiarazione congiunta in base alla quale, pur rifiutando l’approvazione dei crediti di guerra, essi si sarebbero astenuti dalla votazione per non rischiare di apparire come favoreggiatori di una delle due parti belligeranti, cioè degli Imperi Centrali. La Duma era il parlamento russo creato nel 1905 sotto la spinta delle masse rivoluzionarie. Organismo dotato di poteri estremamente limitati, era solito essere sciolto dallo Zar Nicola II ogniqualvolta mancava di seguire alla lettera i desideri dell’autocrazia.

64. I cinque deputati bolscevichi alla quarta Duma (A.E. Badaev, G.I. Petrovskij, M.K. Muranov, F.N. Samoilov e N. Šagov) vennero arrestati nel novembre del 1914 – nonostante l’immunità parlamentare di cui godevano – durante una conferenza convocata per discutere l’atteggiamento dei bolscevichi nei confronti della guerra. Alla riunione – alla quale partecipò anche Kamenev, membro del Comitato Centrale bolscevico – venne discusso un documento di Lenin che considerava la sconfitta della Russia zarista come un “male minore” e propugnava la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. Nel corso del processo intentato a carico di tutti i partecipanti alla conferenza sotto l’accusa di alto tradimento (febbraio 1915), quattro dei cinque deputati – tranne Muranov – e Kamenev si dissociarono dalle posizioni di Lenin e affermarono che esse contraddicevano la dichiarazione comune bolscevica-menscevica presentata alla Duma l’8 agosto precedente. Tutti gli arrestati vennero comunque condannati alla deportazione in Siberia.

65. Lev Borisovich Roselfeld, detto Kamenev (1883-1936). Aderì al Partito operaio socialdemocratico russo nel 1901 e due anni dopo si schierò con la frazione bolscevica, di cui divenne uno dei principali dirigenti. Nella prima fase della sua militanza alternò soggiorni in Russia a periodi di emigrazione all’estero. Nel 1914 rientrò a San Pietroburgo, dove diresse la Pravda. Arrestato nel novembre di quell’anno e deportato in Siberia (1915), venne poi liberato dalla rivoluzione di febbraio e, nell’aprile del 1917, fu eletto all’Ufficio Politico del partito bolscevico, in seno al quale si oppose – insieme a Stalin e, successivamente, insieme a Zinov’ev – alla decisione di Lenin di rompere gli indugi e scatenare l’insurrezione. Eletto presidente del Soviet di Mosca, durante la malattia di Lenin fu vice-presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo. Dopo la morte di Lenin formò con Stalin e Zinov’ev la troika, che diresse per alcuni anni il partito e lo stato sovietico. Nel 1925 ruppe con Stalin e in ottobre formò con Zinov’ev una corrente di opposizione che, l’anno seguente, si unì all’Opposizione di Sinistra capeggiata da Trotsky per dar vita all’Opposizione Unificata (aprile 1926). Espulso dal partito bolscevico stalinizzato nel 1927, capitolò a Stalin qualche mese dopo e vi venne riammesso per poi esserne definitivamente allontanato nel 1932. Condannato a cinque anni di detenzione fu poi uno degli accusati nel primo grande processo di Mosca dell’agosto 1936, alla fine del quale venne condannato a morte e giustiziato.

66.  Matvei K. Muranov (1873-1959). Bolscevico sin dal 1903, nel 1914 fu deputato bolscevico alla quarta Duma. Arrestato nel novembre di quell’anno e deportato in Siberia (1915), venne poi liberato dalla rivoluzione di febbraio. Rientrato a Pietrogrado, nel marzo-aprile 1917 appoggiò le concezioni tappiste e moderate di Kamenev e Stalin.

67.  In assenza di Lenin e di altri dirigenti bolscevichi che erano in viaggio verso la Russia o che stavano preparando il loro ritorno, Kamenev e Stalin – liberati dalla deportazione in Siberia in seguito alla rivoluzione di febbraio – diressero il partito bolscevico a Pietrogrado per tre settimane tra il marzo e l’aprile del 1917. Fautori di una concezione rigidamente tappista della rivoluzione, essi impartirono alla Pravda un orientamento moderato nei confronti del governo provvisorio e della guerra. Nel primo numero della Pravda pubblicato sotto la loro supervisione, il 15 marzo 1917, si può leggere che: “Ogni ‘disfattismo’ (…) è morto nel momento in cui, per le vie di Pietrogrado, ha fatto la sua apparizione il primo reggimento rivoluzionario.” Nello stesso periodo essi si dissociarono dalle posizioni di Lenin – secondo il quale la rivoluzione democratica aveva già avuto luogo in Russa e l’unico mezzo per porre fine alla guerra risiedeva nel rovesciamento rivoluzionario del governo Kerenskij e nella creazione di una repubblica sovietica –, giungendo persino a censurare i suoi scritti.

68. In occasione della conferenza panrussa del partito svoltasi tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile del 1917, Stalin si fece promotore di un proposta di negoziato con i menscevichi nella prospettiva di una riunificazione formale con essi sulla base di una politica di appoggio condizionale al governo provvisorio e di un’opposizione moderata alla guerra. La sua mozione venne approvata da una ristretta maggioranza dei delegati (14 voti contro 13), ed egli fu nominato capo della commissione bolscevica per i negoziati, che non ebbero però luogo poiché all’arrivo di Lenin (3 aprile) all’indomani della chiusura della conferenza capovolse la linea del partito in senso rivoluzionario.

69. Allusione alla lotta politica condotta da Lenin dopo il suo rientro in Russia (aprile 1917) per far adottare al partito bolscevico le sue posizioni permanentiste, secondo le quali la rivoluzione borghese doveva cedere il passo alla rivoluzione socialista. Il 6 aprile, in occasione di una riunione della direzione bolscevica, Kamenev e Stalin continuarono ad opporsi alle “Tesi d’aprile” di Lenin. Soltanto più tardi, nel corso di quel mese, Stalin abbandonò le proprie vedute tappiste orientandosi verso la linea rivoluzionaria di Lenin.

70. Nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 1933 i nazisti appiccarono il fuoco al Reichstag (parlamento) tedesco, a Berlino. Questa azione servì da pretesto per attaccare il partito comunista (KPD), che venne accusato di esserne l’ispiratore. L’indomani il governo presieduto da Hitler denunciò infatti il “complotto comunista”, sostenendo che l’incendio del Reichstag fosse un segnale per l’avvio di un sollevamento armato. A tali dichiarazioni seguì l’arresto del comunista olandese Marinus van der Lubbe, del capogruppo parlamentare comunista Ernst Torgler e del comunista bulgaro Georgi Dimitrov, tutti e tre accusati di essere gli autori materiali dell’incendio. Il 1° maggio 1933 il KPD venne messo fuori legge, e la sua direzione decapitata.

71. Fino al 1935 Trotsky distinse all’interno della Terza Internazionale tre forze fondamentali: la sinistra da egli diretta; la destra capeggiata da Bucharin, Rykov e Tomsky, che a livello sociale rifletteva le pressioni della borghesia e della piccola borghesia e, sul piano politico, quelle della socialdemocrazia; e il “centro” staliniano che, incarnatosi nell’apparato statale e di partito, esprimeva gli interessi e le aspirazioni della nuova casta burocratica dominante. Di qui il termine “centrismo burocratico”, utilizzato da Trotsky per indicare la frazione staliniana tanto nell’Internazionale quanto in seno ai vari partiti comunisti. In seguito, sulla scia della svolta frontepopulista del VII Congresso del Komintern (luglio-agosto 1935), egli ritenne che tale denominazione non fosse più adeguata per descrivere la burocrazia sovietica. In una lettera indirizzata il 10 ottobre 1937 a James P. Cannon, Trotsky affermò che: “Alcuni compagni continuano a caratterizzare lo stalinismo come ‘centrismo burocratico’. Tale caratterizzazione è ora del tutto obsoleta. Nell’arena internazionale lo stalinismo non è più un centrismo, bensì la forma più vistosa di opportunismo e socialpatriottismo. Basti guardare alla Spagna!”

72. L’abbandono da parte di Trotsky della prospettiva di riforma della Terza Internazionale stalinizzata era proceduto di pari passo con un crescente interesse per le formazioni centriste di sinistra, provenienti soprattutto dalle file della socialdemocrazia (giugno-luglio 1933). Tali organizzazioni erano all’epoca riunite in due correnti a livello europeo: a) il Bureau Internazionale di informazione dei partiti rivoluzionari socialisti, noto in seguito come “Bureau di Parigi”, nato nel dicembre del 1924 come frutto del rifiuto di una serie di partiti precedentemente affiliati alla Unione dei Partiti Socialisti per l’azione internazionale (o “Unione di Vienna”, nota anche come Internazionale Due e mezzo) di rientrare nella Seconda Internazionale per dar vita all’Internazionale Operaia Socialista (maggio 1923); e b) la Internationale Arbeitsgemeinschaft (IAG, Comunità di Lavoro Internazionale), fondata nel maggio del 1932 da una serie di organizzazioni uscite dall’IOS su posizioni di sinistra. Queste due correnti socialiste di sinistra avevano poi costituito di fatto un’unica tendenza in seguito alla conferenza delle formazioni socialiste di sinistra svoltasi a Parigi nell’agosto del 1933. In occasione di tale conferenza, alla quale prese parte anche una delegazione dell’Opposizione di Sinistra Internazionale (OSI) trotskista, tre dei raggruppamenti presenti avevano sottoscritto con quest’ultima una “Dichiarazione sulla necessità e sui principi di una nuova Internazionale”, il che sembrò confermare la possibilità di coinvolgere i centristi di sinistra nel lavoro di costruzione della Quarta Internazionale. Questa prospettiva cominciò tuttavia a svanire nel corso del 1934 in seguito al delinearsi della svolta frontepopulista del Komintern che, prefigurando una politica unitaria dell’insieme del movimento operaio, ebbe l’effetto di bloccare la possibile evoluzione dei socialisti di sinistra in direzione di una rottura definitiva con l’IOS socialdemocratica e con la Terza Internazionale stalinizzata. Nello stesso periodo, Trotsky cominciò ad abbozzare la “svolta entrista” proponendo (agosto-setttembre 1933) alla sezione britannica dell’OSI l’ingresso nell’ILP per cercare di controbilanciare al suo interno il peso della frazione pro-staliniana e di spingere il partito sulla via del “blocco dei quattro” e della nuova Internazionale. Tale svolta centrista doveva poi essere ulteriormente elaborata e generalizzata da Trotsky a partire dal febbraio del 1934 – come variante tattica della lotta per la costruzione della Quarta Internazionale – in concomitanza con l’emergere di correnti di sinistra all’interno dei partiti socialisti aderenti all’IOS.

73. Questa posizione di rifiuto di battersi per una nuova Internazionale era condivisa dalla stragrande maggioranza delle organizzazioni di sinistra all’epoca esistenti. Alla conferenza parigina dell’agosto 1933 si erano manifestate quattro posizioni fondamentali in proposito: a) il DNA norvegese, collocandosi nella tradizione della cosiddetta Internazionale Due e mezzo si era dichiarato a favore di una riunificazione del movimento operaio mondiale sotto la bandiera dell’IOS socialdemocratica; b) l’ILP britannico si muoveva in direzione di un’alleanza con l’Internazionale Comunista stalinizzata; c) una serie di raggruppamenti aderenti al “Bureau di Parigi” propendeva per la riunificazione organica delle due Internazionali esistenti; e d) l’Opposizione di Sinistra Internazionale (OSI) trotskista aveva avanzato la prospettiva di costruzione di una nuova Internazionale, formando un blocco con il SAP tedesco e con l’OSP e il RSP olandesi. Anche altre organizzazioni presenti alla conferenza si erano pronunciate per la nuova Internazionale, rifiutandosi però di aderire al “blocco dei quattro” perché consideravano prematura un’attività in tale direzione (questa la posizione della Federación Comunista Ibérica e dello Sveriges Kommunistiska Parti, legati all’opposizione comunista di destra brandleriana) oppure perché ritenevano indispensabile l’elaborazione preliminare di basi politiche completamente nuove ancora da definire (Leninbund tedesco). Gli stessi SAP e OSP, dopo aver sottoscritto con l’OSI e il RSP la dichiarazione sulla necessità di una nuova Internazionale, avevano poi votato anche a favore della risoluzione congressuale maggioritaria – che avanzava in termini politicamente ambigui l’appello a “ricreare il movimento internazionale della classe operaia” – e deciso di rimanere nelle file della IAG, rifiutandosi in tal modo di imboccare realmente la via della costruzione della Quarta Internazionale.

74. All’epoca in cui Trotsky scrisse questi tesi, la Quarta Internazionale non era ancora stata ufficialmente fondata. Il movimento da egli creato e diretto aveva anzi da poco abbandonato la prospettiva di riforma del Komintern staliniano – per la quale l’Opposizione di Sinistra Internazionale si era battuta a partire dell’aprile del 1930 –, modificando il proprio nome in Lega Comunista Internazionalista (bolscevico-leninista) parallelamente all’avvio della lotta per la Quarta Internazionale (settembre 1933). Essa avrebbe in seguito adottato la denominazione di Movimento per la Quarta Internazionale (luglio 1936). La Quarta Internazionale (Partito Mondiale della Rivoluzione Socialista) sarebbe stata infine fondata nel settembre del 1938.

 

 

 


Ultima modifica 09-11-2011