Scritto nel 1930
Tradotto da Clara Statello
Oggi, mentre mi appresto a consegnare questo volume alla stampa straniera, la parte cosciente della classe operaia internazionale, e in un certo senso di tutta l' "umanità civilizzata", presta una particolare attenzione aguzzando gli occhi, all'eco di questa grande trasformazione economica che sta avvenendo sulla maggior parte del territorio di quello che fu l'impero degli zar. E ciò che suscita maggior interesse è il problema della collettivizzazione dei campi.
Non c'è nulla di strano; è precisamente qui che la rottura col passato presenta la sua caratteristica più eloquente. Purtuttavia non è possobile giudicare correttamente l'opera di collettivizzazzione senza imbattersi nella concezione della rivoluzione socialista in generale. Da qui dedurremo nuove e più importanti prove che nel campo teorico del marxismo non c'è nulla che non incida sull'azione. Le divergenze più lontane e, all'apparenza, "astratte", se ci si riflette a fondo, prima o tardi si manifestano sempre nella pratica, e questa non perdona il minimo errore teorico.
La collettivizzazione delle aziende agricole è, evidentemente, una parte necessaria e primordiale della trasformazione socialista della società. Ad ogni modo, le proporzioni e la spinta della collettivizzazione, non solo si trovano determinate dal governo, ma dipendono in ultima istanza dai fattori economici: dal livello economico del paese in un dato momento storico, dalle relazioni tra industria e agricoltura e, di conseguenza, dai mezzi tecnici di quest'ultima.
L'industrializzazione è il propulsore di tutta la cultura moderna e , per questo motivo, l'unica base concepibile per il socialismo. Nelle condizioni dell'Unione sovietica, l'industrializzazione implica innanzi tutto il rafforzamento della base del proletariato come classe dominante. Allo stesso tempo crea le premesse materiali e tecniche per la collettivizzazione dell'agricoltura. Il ritmo di questi due processi mantiene un'intima relazione di interdipendenza. Il proletariato è interessato affinché entrambi i processi ricevano la massima spinta, poiché questa è la miglior difesa che la nuova società che si va edificando può trovare contro il pericolo esterno, e al tempo stesso getta le fondamenta per l'elevazione sistematica del livello di vita materiale della classe lavoratrice.
Ciò nonostante, lo sviluppo realizzabile si vede limitato dal livello materiale e culturale del paese, dalle relazioni reciproche tra città e campagna e dalle necessità inderogabili delle masse, le quali possono venire sacrificate solo fino ad un certo punto oggi in vista del domani. Il massimo ritmo, cioè il migliore, il più vantaggioso, non è semplicemente quello che spinge al più rapido sviluppo dell'industria e della collettivizzazione in un dato momento, ma quello che garantisce similmente la consistenza del regime sociale di dittatura proletaria, il che significa, prima di tutto, il rafforzamento dell'alleanza tra operai e contadini, preparando in questo modo il terreno per nuovi trionfi.
Da questo punto di vista, il criterio storico generale adottato dalla direzione del partito e dallo Stato per orientare sistematicamente lo sviluppo economico, assume un'importanza decisiva. In questo rientrano due varianti fondamentali. Una è andare verso il consolidamento della dittatura del proletariato in un solo paese, finché la rivoluzione proletaria internazionale non trionfi: questo è il punto di vista dell'opposizione di sinistra. L'altra è rinchiudersi nella costruzione di una società socialista nazionale, isolata, "durante un periodo storico rapidissimo": questa è la posizione ufficiale degli attuali dirigenti.
Sono due posizioni completamente diverse, e in fin dei conti contraddittorie, del socialismo. Da queste si spiegano due strategie e due tattiche radicalmente distinte.
Non possiamo nuovamente soffermarci ad esaminare all'interno dei ristretti limiti di questa prefazione, il problema dell'edificazione del socialismo in un solo paese. Abbiamo già dedicato varie opere a questo tema, in particolare la Critica al Programma dell'Internazionale Comunista. Qui ci limiteremo a toccare gli elementi più essenziali della questione.
Dobbiamo ricordare, innanzi tutto, che Stalin formulò per la prima volta la teoria del Socialismo in un solo paese nell'autunno del 1924, in aperta contraddizione non solo con ogni tradizione marxista e con la scuola di Lenin, ma anche con i criteri sostenuti dallo stesso Stalin nella primavera dello stesso anno.
Il modo in cui la scuola di Stalin davanti al problema della costruzione del socialismo ha voltato le spalle al marxismo non è meno totale e radicale sul terreno dei principi, di quella che fu ad esempio, la rottura della socialdemocrazia tedesca con il marxismo dinnanzi alle questioni della guerra e del patriottismo nell'autunno del 1914, cioè proprio dieci anni prima del cambio di direzione operato da Stalin. E il paragone non è casuale, per niente. L' "errore" di Stalin ha esattamente lo stesso nome di quello della socialdemocrazia tedesca: si chiama socialismo nazionalista.
Il marxismo definisce il concetto si economia mondiale, non come unione di singole nazioni, ma come potente realtà dotata di vita propria, creata dalla divisione internazionale del lavoro e dal mercato mondiale, che nell'era in cui viviamo domina sui mercati nazionali.
Le forze produttive della società capitalista hanno superato i confini nazionali già da molto tempo. La guerra imperialista è stata una delle manifestazioni di questo fatto. Già di per sè la società socialista, dal punto di vista della tecnica e della produzione, deve rappresentare una tappa successiva nel progresso rispetto al capitalismo. Proporsi come fine la costruzione di una società socialista nazionale e chiusa al giorno d'oggi, vuol dire costringere le forze produttive a fare un passo indietro bloccando il cammino del capitalismo. Tentare ciò, a dispetto delle condizioni geografiche, culturali e storiche dello sviluppo del paese, che fa parte della collettività mondiale, realizzare l'armonia interna di tutti i rami dell'economia e dei mercati nazionali, equivarrebbe a perseguire un'utopia reazionaria. Se i seguaci di questa teoria partecipano comunque alla lotta rivoluzionaria internazionale - senza volerne prevedere l'esito - è perché, lasciandosi guidare dal proprio irriducibile eclettismo, mettono assieme meccanicamente un astratto internazionalismo a un nazionalismo reazionario e utopico. Il programma dell'Internazionale Comunista, approvato dal VI Congresso, è l'espressione compiuta di tale eclettismo.
Per mostrare in tutta la sua evidenza uno degli errori teorici più madornali di Stalin su cui si basa la concezione nazionalista, non c'è di meglio che citare uno dei suoi ultimi discorsi - recentemente pubblicato - sui problemi interni del socialismo nordamericano 1 . "Sarebbe errato - dice Stalin rispondendo a una delle frazioni comuniste - non tener conto delle peculiarità specifiche del capitalismo nordamericano. Il partito comunista, nella sua pratica, non può perderle di vista. Ma sarebbe anche più errato basare la pratica del partito su questi specifici tratti, poiché la base per la pratica di tutti i partiti comunisti, incluso quello nordamericano, si trova nei tratti specifici del capitalismo, per loro essenza uguali in tutti i paesi, e non nella fisionomia presente in ogni paese. In ciò si basa principalmente l'internazionalismo dei partiti comunisti. I tratti specifici non sono più che un completamento dei tratti generali. (Bolchevik 2 , n* 1 del 1930, pagina 8. I corsivi sono miei [L.T.]).
Dal punto di vista della chiarezza questa linea non lascia nulla a desiderare. Stalin, dietro l'apparente fondazione econimica dell'internazionalismo, ci dà una fondazione economica del nazionalismo socialista. Non è vero che l'economia mondiale rappresenta in sè una semplice sommatoria di fattori nazionali di tipo identico. Non è vero che i tratti specifici non sono "nulla più che un completamento dei tratti generali", qualcosa di simile alle verruche in faccia. In realtà le particolarità nazionali rappresentano in sè una combinazione dei tratti fondamentali dell'economia mondiale. Questa peculiarità può avere un'importanza decisiva per la strategia rivoluzionaria di lungo periodo. Basta ricordare il fatto che il proletariato di un paese arretrato abbia raggiunto il potere molti anni prima del proletariato di paesi più avanzati. Questa lezione storica basta a dimostrare che, nonostante le affermazioni di Stalin, è assolutamente sbagliato orientare la pratica dei partiti comunisti su dei tratti generali; cioè sul capitalismo nazionale di tipo astratto. E' radicalmente falso che l'internazionalismo comuinista si limiti a questo. Ciò su cui la realtà si basa è l'inconsistenza degli stati nazionali, che già da tempo sono decatuti, per convertirsi in un freno posto allo sviluppo delle forze produttive. Il capitalismo nazionale non può non solo non trasformarsi, ma neanche concepirsi come parte integrante dell'economia mondiale.
Le peculiarità nazionali dei singoli paesi non hanno un carattere secondario, figuriamoci: basterà paragonare l'Inghilterra all'India, gli Stati Uniti al Brasile. Ma i tratti specifici dell'economia nazionale, per quanto grandi siano, formano parte integrante, e in proporzione sempre maggiore, di una realtà superiore che si chiama economia mondiale, che trova il suo fondamento, in ultima istanza, nell'internazionalismo dei partiti comunisti.
L'idea delle peculiarità nazionali come semplice completamento del tipo generale, formulata da Stalin, si posa in flagrante contraddizione - e logica - con la concezione - o, in questo caso sarà meglio dire, l'incomprensione - stalinista della legge dello sviluppo non uniforme del capitalismo. Come si sa, questa è una legge che proprio Stalin proclamò come fondamentale, primaria e universale. Guidato da questa legge, che egli trasforma in una astrazione, tenta di scoprire tutti gli enigmi dell'esistenza. E, cosa curiosa, non tiene conto del fatto che quelle peculiarità nazionali sono precisamente il prodotto più generale e quelle in cui, per dir così, si riassume tutto lo sviluppo storico diseguale. Sarebbe bastato comprendere veramente questa diseguaglianza, considerarla in tutta la sua portata, estendendola allo stesso passato pre-capitalista. Lo sviluppo più veloce o più lento delle forze produttive, il carattere più o meno ampio o ridotto di intere epoche storiche, ad esempio il Medio Evo, il regime coorporativo, il dispotismo illuminato, il parlamentarismo; la diseguaglianza dello sviluppo nei diversi rami dell'economia, nelle diverse classi, nelle diverse istituzioni sociali, nei diversi aspetti della cultura, tutto ciò forma le basi delle peculiarità nazionali. La peculiarità del tipo nazionalsocialista sta nel cristallizzare la diversità dalla sua formazione.
La Rivoluzione d'Ottobre è la manifestazione più grandiosa di questa mancanza di uniformità nel processo storico. La teoria della Rivoluzione Permanente, nel prevedere la rivoluzione d'ottobre, poggiava esattamente sulla legge della mancanza di un ritmo uniforme nello sviluppo storico; ma non concepita nella sua forma astratta quanto nella sua incarnazione materiale, proiettata sulle peculiarità sociali e politiche della Russia.
Stalin si avvalse di questa legge, non per predire la conquista del potere del proletariato in un paese arretrato, ma nel 1924, per imporre a posteriori , al proletariato trionfante la missione di creare una società socialista nazionalista. Ma la legge di cui abbiamo parlato era la meno indicata, in quanto, lontana dal sostituire o annullare le leggi dell'economia mondiale, è assoggettata ad esse.
Rendendola simile ad un culto feticista, Stalin dichiara questa legge base sufficiente per fondare il socialismo nazionalista, ma non com eun prodotto tipico, cioè di tutti i paesi, ma come qualcosa di esclusivo, messianico, puramente russo. Secondo lui, solo in Russia si può fondare una società socialista autonoma. Con questo esalta le peculiarità nazionali della Russia non solo per i "tratti generali" della naziona capitalista, ma dell'intera economia mondiale considerata nel suo insieme. E' qui che ci viene rivelata la falsità di tutta la concezione stalinista. Le caratteristiche peculiari dell'URSS sono tanto potenti da permettere di costruire un paese socialista all'interno delle proprie frontiere, indipendentemente da ciò che avviene al resto dell'umanità. Le peculiarità degli altri paesi, invece, quelli che non sono marchiati dal segno del messianismo, non sono che un semplice complemento dei tratti generali, una sorta di verruca che completa la fisionomia del viso. Sarebbe sbagliato, ci insegna Stalin, "basare la pratica comunista su questi tratti specifici". E questa massima, che si applica al partito nordamericano, britannico, sudafricano e serbo, non è applicabile, a quanto pare, al russo, la cui pratica si basa, non sui "tratti generali", ma precisamente sulle peculiarità proprie del paese.
1 Questo discorso, pronunciato il 6 maggio 1929, venne pubblicato agli inizi del 1930, in circostanze in cui veniva ad assumere un carattere specificatamente pragmatico.
2 Organo teorico quindicinale del Partito Comunista Sovietico
Ultima modifica 24.12.2003