PARTE PRIMA
1. La natura umana è incurabilmente depravata?
2. La questione agraria
3. Il sistema inglese dei partiti
4. I Parlamenti dei poveri
5. Democrazia: un passo avanti
6. Conoscere il nostro posto
7. L'eguaglianza
8. La proposta abolizione delle classi
9. Lo Stato e i bambini
10. I mostri generati dalla scuola
11. I misteri della finanza: la banca
12. Le illusioni del mercato monetario
13. Idee giuste e idee assurde in fatto di compensazione
14. Il vizio del gioco e la virtù dell'assicurazione
15. Le illusioni della finanza di guerra
1.
LA NATURA UMANA E' INCURABILMENTE DEPRAVATA? Se la natura umana è effettivamente depravata, leggendo questo libro
non farete che perdere il vostro tempo, e allora vi consiglio
senz'altro di cambiarlo con un romanzo poliziesco o con una piacevole
opera classica, a seconda dei vostri gusti. Infatti, sebbene questo
libro sia in certo modo un romanzo poliziesco, dato che mira a scovare
alcuni di quegli errori che nello spazio di venticinque anni ci hanno
regalato una stridente sperequazione nella distribuzione del reddito
nazionale e due guerre mondiali, sarà meglio per noi risparmiarci il
vano tormento di acquistare piena coscienza di tali errori, se ci
mancano parimenti la capacità politica e la sincera volontà di porvi
rimedio. Meglio allora attaccarci alle nostre illusioni, tenerci le
nostre speranze e il nostro amor proprio, continuando nei nostri vizi
e facendo quante più follie è possibile, prima che esse ci
distruggano.
Riconosco senz'altro che gli argomenti a nostro sfavore sono
suffragati dal fatto stesso che proprio in questo momento le nazioni
si stanno accanendo in un orrendo massacro reciproco, in una lotta di
distruzione. Basta leggere i "Viaggi di Gulliver" per apprendere dal
re di Brobdingnag come il semplice e nudo esame della storia
d'Inghilterra possa portare alla conclusione che l'umanità è
incorreggibilmente scellerata. Quando Swift si tolse di dosso la
maschera del re, descrisse un'Utopia governata da cavalli, nella quale
gli uomini erano poco più che vermi, e non si chiamavano nemmeno
uomini ma Yahoos. Eppure Swift non conosceva fino in fondo le vere
condizioni del genere umano, e nemmeno Goldsmith, sebbene il suo
"Deserted Village" dimostri come egli giungesse alla conclusione che
«quando il commercio prende il sopravvento, l'onore va in malora».
Solo nel diciannovesimo secolo, allorché Karl Marx strappò dalle
intonse pagine dei nostri rapporti ufficiali le relazioni dei nostri
ispettori di fabbrica e rivelò il capitalismo in tutta la sua
atrocità, il pessimismo e il cinismo si tinsero dei colori più foschi.
Marx dimostrò irrefutabilmente che il capitale, nel perseguire quello
che egli chiamò "Mehrwerth" e che noi traduciamo come plusvalore (esso
comprende rendita, interesse e profitto commerciale), è spietato e non
si ferma davanti a nulla: massacri e mutilazioni, schiavitù bianca e
nera, alcool e droghe, se questi promettono di fruttare uno scellino
per cento in più che non i dividendi della filantropia. Prima di Marx
vi era già stata abbondanza di pessimismo. Il libro dell'Ecclesiaste
nella Bibbia ne è pieno. Shakespeare, nel "Re Lear", nel "Timone di
Atene", nel "Coriolano", ne subì il fascino restandone avvinto.
Altrettanto accadde a Swift e a Goldsmith. Ma nessuno di essi poté
documentare il problema con fonti ufficiali come fece Marx. Egli venne
così a creare quell'esigenza di «un nuovo mondo» che non solo anima il
moderno comunismo e socialismo, ma nel 1941 diventò la parola d'ordine
perfino di zelanti conservatori ed ecclesiastici.
Essi convengono tutti che non si può cambiare il mondo senza cambiare
prima l'Uomo. Essi lo chiamano un «mutamento di cuore». Ma la Bibbia
ci dice che il cuore dell'uomo è menzognero e disperatamente cattivo;
e la storia sembra dar ragione alla Bibbia. Quanto più ci addentriamo
nella questione, tanto più ci appare evidente che non soltanto la
Grecia antica e Roma, ma anche una mezza dozzina di civiltà anteriori,
progredite e imponenti come la nostra, decaddero e crollarono. A
quanto sembra, l'incorreggibile cuore umano non volle saperne dei
mutamenti indispensabili per salvarle, dando così modo ai pessimisti
di convincersi che l'aspirazione a un mondo nuovo non ha probabilità
di essere attuata dall'attuale generazione di Yahoos, tutta occupata a
massacrarsi di gusto in una guerra che in fondo non è soltanto maniaca
ma insensata.
E tuttavia, se vale la pena di scrivere o di leggere questo libro,
tutto questo pessimismo e cinismo si rivela un puro abbaglio dovuto
non soltanto all'ignoranza della storia contemporanea, ma alle false
illazioni che da quel poco che se ne conosce si sogliono trarre. Non è
vero che tutte le atrocità del capitalismo siano l'espressione del
vizio e del malvolere degli uomini; al contrario, esse sono in gran
parte il prodotto delle virtù domestiche, del patriottismo, della
filantropia, dello spirito d'iniziativa, dell'amore del progresso, e
di ogni altra sorta di qualità di alto valore sociale. Gli avari e
coloro che arraffano senza scrupoli non sono appoggiati dall'opinione
pubblica. Dal capitalismo può risultare un inferno sulla terra; ma è
un inferno lastricato di buone intenzioni. Il capitalismo non è
un'orgia di scelleratezza umana: è un'utopia che ha abbagliato e
fuorviato molti uomini amabili e dotati di spirito civico, da Turgot e
Adam Smith a Cobden e Bright. I sostenitori del capitalismo sono
sognatori e visionari che, invece di fare il bene con intenzioni
malvage come Mefistofele, fanno il male con le migliori intenzioni.
Con tale materiale umano potremo anzi produrre una dozzina di nuovi
mondi, una volta che avremo imparato sia i fatti sia le lezioni di
scienza politica che questi fatti ci insegnano. Giacché prima che un
buon uomo possa tradurre in atto le sue buone intenzioni, egli deve
non soltanto accertarsi dei fatti, ma ragionare su di essi.
Quanto è detto qui sopra vale se miriamo a raggiungere la perfezione.
In pratica tutto ciò che possiamo fare è raccogliere quanto più
materiale informativo è possibile e in base ad esso agire nella
maniera più illuminata che il nostro fallibile giudizio ci consenta.
Anche il nostro materiale informativo può indurci in errore: può
essere a esempio onesto e accurato, ma non più attuale. Nozioni
validissime nel 1066 per Guglielmo il Conquistatore possono essere
viete per un Primo Ministro nel ventesimo secolo. Se la cultura non è
andata di pari passo col mutare dei fatti, quel Primo Ministro può
essere un anacronismo vivente. La maggior parte dei nostri Primi
Ministri lo è. Se le informazioni datano dal 1500, epoca in cui i
baroni feudali si erano in gran parte sterminati a vicenda, mentre che
i fatti, diventando commerciali, facevano appello di per se stessi
all'avventuriero del Galles che concluse la strage dei baroni
uccidendo Riccardo terzo e sostituendosi a lui come re, le Scuole
fondate allora saranno mercantiliste, favorevoli alla classe media,
antifeudali e perfino regicide. Ministri educati in esse combatteranno
i Premiers conservatori in veste di "leaders" di un'opposizione
liberale, dando inizio a una tradizione che fa di loro i
rappresentanti del progresso e della libertà individuale contro il
conservatorismo e il servaggio feudale. Quando la conseguente
rivoluzione industriale raggiunge il punto nel quale il capitale
necessario per l'intrapresa di grossi affari sale da centinaia di
migliaia a milioni di sterline, gli imprenditori perdono la loro
posizione di predominio e diventano schiavi dei finanzieri, i quali li
impiegano come amministratori stipendiati; con questo nuovo mutamento
dei fatti sorgono i discendenti della classe media proletarizzata che
denunciano il liberalismo come iniquo e rovinoso, mentre il Ruskin
College e i suoi simili educano capi laburisti e scagliano i principi
marxisti sia contro i conservatori feudali sia contro i liberali
mercantilisti.
Il guaio di questa evoluzione è che le nostre abitudini umane e le
nostre idee non cambiano in sincronia coi fatti. Nell'undicesimo
secolo l'Inghilterra fu feudalizzata dalla conquista normanna; la
terra divenne proprietà del re e i baroni ricevettero le loro
proprietà da lui in cambio di un gravoso servizio pubblico. Nel
diciannovesimo secolo questo sistema si era sviluppato (o era
degenerato) in un sistema a tre classi; la terra diventò virtualmente
proprietà di coloro che la possedevano per eredità o per compera, fu
coltivata da un proletariato troppo numeroso per poter ottenere lavoro
a condizioni superiori alla nuda sussistenza, sotto la direzione di
una classe media che vendeva ai proprietari la sua abilità commerciale
e professionale a prezzi di domanda e offerta; tutte e tre queste
classi apparivano politicamente "libere", ma in realtà erano in
condizioni di effettiva schiavitù economica. Cionondimeno le grandi
"public schools" istituite dall'alto clero e dai monarchi feudali nel
quattordicesimo e quindicesimo secolo, che servirono da modello alle
successive scuole fondate dai ricchi mercanti, continuano a insegnare
oggi in Inghilterra i sistemi feudali e i credi della Chiesa. Vi
sopravvive persino l'uso esclusivo del latino come lingua della
letteratura, religione, diplomazia e legge, sebbene il latino, come
lingua parlata, sia morto di morte naturale quindici secoli fa.
Questa tecnica e tradizione dell'educazione secondaria domina ancora
il nostro sistema scolastico. Una volta mi presi la briga di criticare
questo stato di cose alla presenza di un rettore del Collegio di
Winchester. Egli mi addusse orgogliosamente come prova della modernità
e del primato intellettuale della sua scuola il fatto che essa avesse
appena assunto un insegnante di matematica, raggiungendo così nel
ventesimo secolo il punto raggiunto da Archimede duemila anni prima.
Quando lo sviluppo del commercio obbligò le università ad aggiungere
ai loro programmi l'economia politica, ciò fu tollerato e anche ben
accolto, in quanto una politica economica ispirata al più puro egoismo
(chiamato molto educatamente individualismo) avrebbe assicurato
automaticamente lavoro continuo e salari sufficienti all'intera
popolazione, lavoro dato da una classe superiore abbastanza ricca per
accumulare capitali e mantenere la cultura; anche questa teoria si è
fossilizzata in una tradizione e si continua a insegnare così come fu
inventata dai fisiocrati francesi due secoli fa. Questa teoria non è
stata mai vera: ciò che in realtà essa produsse automaticamente fu
l'orribile miseria rivelata da Karl Marx; contro di essa gli umanitari
di tutti i partiti indissero una campagna a favore di leggi sociali,
col concorso di sindacati operai troppo potenti per essere
perseguitati come cospiratori contro l'ordine pubblico.
La nostra istruzione pubblica è quindi in ritardo tra i cento e i
duemila anni e produce lo strano fenomeno conosciuto col nome di "Old
School Ties"; il quale ha per effetto che Stati moderni siano
governati da gabinetti nei quali le idee di Noè e di Samuele, di
Guglielmo il Conquistatore e di Enrico settimo, di Cromwell e di Tom
Paine, di Adam Smith e di Robert Owen, di Gesù e di Darwin sulla
società sono commiste in un'indicibile confusione. Quando questi
gabinetti si trovano, come oggi accade, di fronte a dittatori
stranieri che hanno letto Karl Marx alla luce di una amara esperienza
personale di povertà proletaria e di persecuzione, e che quindi
conoscono la parte peggiore del mondo in cui vivono, la reciproca
incomprensione che ne risulta è tragica e comica insieme, e in ambedue
i casi disastrosa. Alle "Old School Ties" i dittatori appaiono come
ribelli ignoranti e incolti. Ai dittatori le "Ties" sembrano volgari
sfruttatori che vivono alle spalle dei poveri e sono decisi a
continuare a farlo per amore o per forza, ma più spesso per forza.
Ciò non toglie che ambedue le fazioni siano animate dalle migliori
intenzioni e si credano sulla strada di cessare di far male e di
imparare a far bene.
Qualche volta i partiti sono più pericolosi quando dichiarano d'essere
d'accordo che quando dicono di non esserlo. Quando H. G. Wells
prospettò una nuova Dichiarazione dei Diritti e la sottomise alla
discussione generale, io mi trovai perfettamente d'accordo, e questo
c'era forse da aspettarselo; mi trovai comunque perfettamente
d'accordo anche con tutti gli altri partiti intervenuti nella
discussione, comprese le persone che considerano le mie idee politiche
come sovversive e perfino diaboliche.
Questa apparente armonia da Regno di Dio fu infranta dal Primo
Ministro Winston Churchill, il quale, in risposta ad alcuni scettici
che stavano insistendo presso di lui per ottenere una più esplicita
dichiarazione sui nostri scopi di guerra, disse testualmente: «Se voi
cercherete di esporre partitamente quella che sarà l'esatta situazione
delle cose e il modo concreto di rimediarvi, vi accorgerete che nel
momento stesso in cui avrete abbandonato il campo delle pie
insulsaggini scenderete nell'arena delle più accese controversie».
Con questa mortale sentenza Churchill abbatté tutti i birilli in un
sol colpo, lasciandoci in quella regione astratta nella quale noi
appariamo come una nazione unita. Tale unanimità è utile in tempo di
guerra, quando tutti dobbiamo combattere per le nostre vite, ci
piaccia o no; ma chiunque pensi che ciò debba continuare a guerra
finita, quando dovremo cominciare a ricostruire e a far piazza pulita,
si lascia ingannare da frasi altrettanto inutili ai fini legislativi
quanto i simboli algebrici che rappresentano quantità ma non ci dicono
di che genere di quantità si tratti.
Fin quando descriviamo in termini astratti le virtù che bisogna
praticare e i vizi che bisogna fuggire, ogni retto pensatore, da
Confucio e Mosè a Gesù e Maometto, e da questi al papa e al presidente
della "National Secular Society", è d'accordo con noi di tutto cuore.
Ma nel momento in cui passiamo al particolare e sorge la questione se
alcuni specifici modi d'agire siano virtuosi o viziosi, permissibili o
criminali, l'accordo svanisce; piombiamo allora in controversie che
possono trasformarsi in crociate estremamente sanguinose. Noi tutti
ammettiamo la santità del matrimonio legale; ciò non toglie che
legalitari siano altrettanto l'indiano poligamo che conferisce la
propria casta a un centinaio di figlie di ricchi sposandole per un
certo periodo contro una ricompensa, il musulmano che convive con
quattro mogli, l'eroe e l'eroina di molti divorzi di Hollywood e le
coppie irlandesi legate tra loro in una indissolubile monogamia.
Siffatti vari tipi di istituzioni non possono che opprimersi a vicenda
o ammettere pacificamente di essere diverse; ma questo non è sempre
possibile. Fumatori e non fumatori non possono sentirsi egualmente
liberi nello stesso scompartimento ferroviario.
Per ottenere un accordo sostanziale sufficiente a fare un corpo di
leggi non basta un'omogeneità psicologica: l'omogeneità dev'essere
anche scientifica. Come afferma Wells, la legge comune presuppone
nozioni comuni. Ai fini legislativi essa presuppone anche conclusioni
tratte da queste nozioni. Gli abitanti dell'isola Pitcairn ne sanno
quanto i britannici, ma non si preoccupano dei problemi dell'alta
civiltà, perché aspettano in un prossimo futuro la seconda venuta di
Cristo che stabilirà il regno dei cieli sulla terra.
I miei studi sulla vaccinazione mi hanno convinto che essa è una
illusione dettata dall'ignoranza e che il volerla imporre al prossimo
costituisce spesso un atto di sconveniente tirannia; ma molti
scrittori che hanno avuto le stesse mie possibilità di sviscerare a
fondo il problema sono persuasi che la nazione sarà distrutta dal
vaiolo se tutti i cittadini non si vaccineranno a frequenti intervalli
di tempo. In Russia sono tutti comunisti e hanno una bellissima
costituzione del tipo di quella proposta da Wells; ma gli economisti
ufficiali, convinti dell'imprescindibile urgenza di nuove fabbriche,
centrali elettriche e ferrovie, contrastano inappellabilmente il
desiderio del popolo, che vorrebbe più orologi d'argento. E che cosa
devono fare le persone ipertoniche e rabbiosamente dinamiche che
desiderano lavorare sedici ore al giorno, spendere decine di migliaia
di sterline l'anno, ritirarsi a vita privata a 40 anni e morire
consunte a 60, di fronte alle persone ipotoniche che desiderano
lavorare quattro ore al giorno per trecento sterline l'anno, ritirarsi
a 60 e morire a 90, quando entrambe le categorie si trovano di fronte
a un Governo abbastanza progredito da guardarsi bene di scuotere la
stabilità sociale favorendo una seria sperequazione di reddito tra i
cittadini?
Vi è anche un'altra difficoltà; sapere chiaramente che cosa si deve
fare non significa sapere come si debba farlo. Dickens descrive le
nostre classi dirigenti come perfette maestre dell'arte di Come Non
Fare Qualcosa. Ma la realtà è che, essendo convinte di stare benissimo
così come sono, esse non hanno alcuna voglia di fare quel Qualcosa. I
governanti che onestamente e intensamente desiderano far Qualcosa
esercitano le loro funzioni in modo disastroso, perché non ne sanno
abbastanza.
Quando Maometto divise il calendario in dodici mesi lunari, egli
sapeva bene ciò che faceva e non si basò su teorie sorpassate, ma su
fatti visibili di fisica astronomica. Tuttavia le carovane si
trovarono presto nei guai, perché la sua misura, abbastanza precisa
fin là dove giungeva, non giungeva abbastanza lontano.
Ma non abbiamo bisogno di risalire al settimo secolo per trovare
esempi. Durante i dieci anni che seguirono la rivoluzione bolscevica
del 1917 in Russia, il Governo comunista, benché aggiornato e anzi in
anticipo sui tempi in fatto di teorie sociali e di conoscenza dei
fatti, fece tanti errori amministrativi e legislativi che la
sopravvivenza dello Stato comunista e dello stesso popolo russo sembra
ancora miracolosa e provvidenziale. I bolscevichi sapevano quello che
volevano, ma non sapevano come attuarlo. Se le teste delle nostre "Old
School Ties" si potessero svuotare di quanto di politico hanno
imparato a scuola o a casa e riattare con la cultura e la capacità
mentale di un Lenin, ripeterebbero gli stessi sbagli e porterebbero la
nazione ancor più vicino alla fame e alla rovina, senza alcuna
garanzia che le circostanze ci permettessero eventualmente di
cavarcela come Lenin.
Rimane dunque una cosa sola da fare: individuare e isolare il maggior
numero possibile di punti pericolosi e indicare chiaramente il maggior
numero possibile di strade giuste.
Proviamo a cominciare con la questione agraria. Essa è così
fondamentale che, se sbagliamo su di essa, ogni altra cosa risulterà
automaticamente sbagliata.
2.
LA QUESTIONE AGRARIA.
Non si può dubitare della loro buona fede. Credono onestamente di
difendere i fondamenti sociali dell'onore e della virtù pubblica e
privata, quando invece votano per l'ozio, lo sperpero, il lusso
vizioso, il parassitismo, la povertà, l'eccesso di lavoro e tutti gli
altri mali che conseguono all'egoistica proprietà privata fino a
intaccare le fonti primarie del pubblico benessere. Ma vediamo di non
precipitare nel pessimismo politico, dichiarando che essi hanno ciò
che si meritano per la loro stupida malvagità. Educateli come
contadini associati che pagano il loro fitto allo Stato per il bene
comune come ora pagano le tasse, e vedrete che gli stessi impulsi
etici che fanno ora di loro conservatori bigotti li faranno diventare
bolscevichi. La Russia lo ha già sperimentato.
Per capire la questione, bisogna cominciare col rendersi conto del
fatto che la terra non è né illimitata in quantità né ovunque dello
stesso valore. Esso varia da ettaro a ettaro, dai terreni della City
di Londra, che si valutano a piedi quadrati, al deserto del Sahara ove
non può esistere vita umana. Nelle Isole britanniche vi sono luoghi
ove gli abitanti raccolgono carbone a bassa marea portandoselo a casa
nei loro battelli senza spendere un soldo, e miniere nelle quali, dopo
vent'anni di costosa costruzione di gallerie, il carbone viene
faticosamente spaccato e poi trasportato alla luce da punti situati a
migliaia di metri sotto il livello del mare. Vi sono terre che
traboccano di latte e miele, terre che trasudano petrolio, terre piene
di diamanti e di pepite d'oro, eldoradi d'ogni genere, a fianco di
deserti di sabbia privi d'acqua, di paludi piene di malaria e di
giungle abitate da serpenti velenosi e da feroci leopardi. Nelle più
belle contrade dell'Irlanda dell'Ovest e della Scozia vi sono lande
pietrose, dalle quali il coltivatore non riuscirebbe a trarre il
proprio sostentamento neanche a prezzo del più duro lavoro, a meno di
non riuscire una volta l'anno a trovar lavoro altrove come bracciante
all'epoca del raccolto. Nelle vie suburbane gli affitti delle case
variano di chilometro in chilometro a seconda del prezzo delle tariffe
del tram, dell'autobus o della ferrovia che è necessario usare per
recarsi al più vicino mercato o al centro d'affari. Se gli affitti
variano da alcuni scellini alla settimana a migliaia di sterline
l'anno, ciò dipende dal fatto che la terra varia in rendimento e
ubicazione, e presenta vantaggi e svantaggi di ogni tipo. Questi non
sono punti di vista sul problema agrario: sono fatti. Sono fatti anche
le donne che devono allevare i loro figli col sussidio di guerra di 40
scellini la settimana, mentre ne pagano quattordici la settimana
d'affitto.
Se si divide la terra di un paese in piccoli appezzamenti e se ne
conferisce la proprietà agli occupanti, non si otterrà affatto come
risultato finale che i singoli individui siano ricchi in proporzione
alla loro industriosità, onestà, sobrietà e capacità. Alcuni di essi
saranno longevi e favolosamente ricchi; altri ancora saranno abbattuti
dalla febbre e mezzo morti di fame o se ne staranno per la strada come
derelitti vagabondi; gli altri si verranno a trovare in una condizione
intermedia tra questi due estremi. Quasi subito gli sfortunati
abbandoneranno le loro sterili sabbie e paludi e si offriranno di
coltivare le terre dei più fortunati allo scopo di ottenere un miglior
sostentamento, sacrificando il resto dei prodotti al proprietario come
prezzo dell'affitto. I fortunati diventano così non soltanto una
classe ricca ma, se preferiscono, anche una classe oziosa. A una buona
parte di essi piacerà di costituire una classe di signore e signori e
fondare una tradizione secondo la quale è vergognoso dover lavorare
per vivere e perfino portare un pacco per la strada. Camminare invece
di andare a cavallo o in carrozza equivale a decadere dalla propria
casta.
Oltre a ciò, quando tutte le terre sono state assegnate, coloro che
nascono dopo non avranno terre e diventeranno una nuova classe
schiava, detta proletaria, che vive vendendo il proprio lavoro ai
coltivatori, o pagando un affitto per la terra che occupa se si tratta
di contadini o di artigiani. Quando i proletari nascono in numero
superiore a quello che i coltivatori possono profittevolmente
utilizzare, il prezzo del lavoro proletario cade fino a un livello
tale da bastare a stento a sostenere una vita abbreviata da una lenta
inedia. Stando così le cose, i proprietari sono le uniche persone che
hanno più denaro di quanto debbano spendere. Essi conglobano
praticamente nelle loro mani tutti i risparmi del paese. Il denaro
risparmiato si chiama capitale; e i proprietari, già chiamati
proprietari terrieri e «che vivono di quello che posseggono»,
diventano capitalisti e prestano il loro capitale a uomini d'affari
per un affitto chiamato interesse, esattamente allo stesso modo in cui
hanno dato in affitto le loro terre. Il monopolio di classe del
capitale segue il monopolio di classe della terra, inevitabilmente
come l'inverno segue l'autunno.
Facciamo un po' di storia del problema. Guglielmo il Conquistatore è
ancora adesso una figura interessante, a otto secoli dalla sua morte,
come esempio del vantaggio che si ottiene dall'incrocio tra le classi.
Non aveva i quattro quarti di nobiltà; era il figlio bastardo di un
duca e il nipote di un volgare conciatore di pelli. Ma fu abbastanza
abile da mettere insieme un esercito di avventurieri normanni e
conquistare l'Inghilterra. Essendo di educazione feudale e monarchica,
divise la terra in grandi tenute, fortificate da castelli e
distribuite tra i suoi compagni d'armi francesi, o lasciate nelle mani
dei proprietari sassoni che non gli davano noia, permettendo che ne
facessero quello che volevano purché si interessassero della difesa
del paese, dell'amministrazione della giustizia nei loro domini, del
finanziamento delle istituzioni reali e, in genere, dello svolgimento
di compiti locali di civilizzazione, a condizione di serbare fedeltà a
lui quale re, di passare in eredità i loro possedimenti, all'atto
della loro morte, integralmente a un solo erede maschio capace di
assumersi tutte le loro responsabilità. Essendo un cattolico
battezzato, egli costruì, oltre ai castelli, chiese e abbazie che
affidò al clero insieme con le tenute relative, a condizione che esso
si prendesse cura del benessere spirituale del popolo.
Date le circostanze fu una sistemazione molto ragionevole e mantenne
per qualche tempo il paese in ordine, in una società agricola composta
di baroni, vescovi, contadini e servi. Ma soltanto per qualche tempo,
ovverossia fin tanto che i fatti corrisposero press'a poco agli schemi
del feudalesimo. Ma i fatti, a differenza degli schemi, non amano
restar fermi. Re e baroni, per quanto abili, sono semplici mortali;
l'abilità non sempre passa dal padre al figlio, al contrario spesso
muore col suo possessore. Tuttavia il sistema feudale, invece di
provvedere alla scelta di persone abili per la successione dei re e
dei baroni, previde soltanto che il successore dovesse essere un
maschio. E alla domanda «quale maschio?» rispose «il figlio maggiore
del morto». Questo provvedimento evitò lotte di successione ma non
garantì la competenza del nuovo governante nelle funzioni di giudice
civile e di capo militare. Il figlio maggiore di Guglielmo fu un
inetto e non gli succedette, sebbene avesse mosso guerra a suo padre
in Francia e lo avesse anche sconfitto. Tra i baroni furono molti gli
incapaci che succedettero ai loro padri, e combinarono guai disastrosi
o tirarono avanti facendo quello che facevano gli altri baroni. I
pochi che non furono né falliti né babbei, ma anzi veri e propri re
locali, contesero al re centrale il controllo del paese e perfino il
trono stesso. Il sistema aveva in sé fin dall'inizio il germe della
guerra civile.
Esso creò inoltre una classe di cadetti per la quale non fu preso
alcun provvedimento, e che in Inghilterra fu allevata secondo le
abitudini e la prodigalità dei baroni senza avere i redditi per
pagarsele. Essi dovevano vivere della generosità dei loro fratelli
maggiori oppure ottenere un impiego nazionale, quali ufficiali
dell'esercito o diplomatici, o anche benefici ecclesiastici e
vescovadi. I loro discendenti dovettero vivere praticando le libere
professioni, il che costituì un tale abbassamento che riesco ancora a
ricordarmi di quando il fatto che il dottore accettasse denaro per i
suoi servizi era trattato come un segreto vergognoso, e si pagava
quindi il dottore furtivamente come se si desse una mancia al
maggiordomo. La toga dell'avvocato ha ancora piccole tasche
posteriori, che ricordano il tempo in cui vi si faceva scivolare
dentro il suo onorario. Finalmente i discendenti dei cadetti figli più
giovani dovettero accondiscendere a darsi prima al commercio
all'ingrosso, poi alla carriera impiegatizia, indi alla vendita al
minuto, all'artigianato e infine al lavoro non qualificato, con la
conseguenza che si trovano molto spesso comunemente lavoratori inglesi
che sono "snobs" inveterati, che si considerano aristocratici, e
votano sempre per il candidato conservatore, mentre duchi e marchesi
sostengono alla Camera dei Lords il partito laburista.
Il sistema feudale si trovò di fronte non soltanto i suoi giovani
figli diseredati, ma anche il cinque per cento o poco più di borghesi
che per naturale abilità politica o commerciale acquistarono potere
spirituale o ricchezze materiali (potere d'acquisto) divenendo
cardinali o mercanti. I cardinali, organizzati nella Chiesa cattolica,
erano profondamente devoti alla santa povertà e all'umiltà; ma
trovarono che queste virtù non erano sufficienti senza l'appoggio del
potere temporale, e si mescolarono pertanto alla lotta per il
controllo dello Stato, mettendosi qualche volta dalla parte dei baroni
e qualche volta da quella del re, ma sempre contro gli eretici che
formavano una classe intellettuale non prevista dal sistema.
I mercanti costruirono città che divennero piccoli Stati e si misero a
competere per il potere sia con la Chiesa sia con il re. Carlo
Martello, che fu un grande capitano feudale francese dell'ottavo
secolo e virtualmente re della Francia, trattava le città in maniera
molto sbrigativa: le distruggeva con la stessa semplicità con cui
distruggeva i covi dei ladri. Ma più tardi i re non poterono fare a
meno del denaro delle città e dovettero tollerarle. Con quel denaro i
borghesi comprarono terre e vi costruirono città. Assoldarono eserciti
di proletari perché combattessero per loro contro la Corona, la Chiesa
e l'aristocrazia. Lottarono tenacemente per abolire tutte le
prerogative feudali connesse alla proprietà della terra e per fare di
questa una merce da commerciare come i beni mobili prodotti dalle loro
fabbriche. Ora, il libero commercio della terra non giovava loro gran
che senza il libero commercio del lavoro. La mano d'opera era
strettamente vincolata ai possedimenti feudali (servaggio della gleba)
talché i servi non potevano abbandonare le terre e vendere il proprio
lavoro (ovverossia se stessi) ai mercanti delle città. Il lavoro, come
la terra, doveva perciò diventare una merce commerciabile da potersi
comperare e vendere al pari di ogni altra. Così la classe commerciale
entrò nella lotta politica in veste di campione delle libertà
personali.
Ma si trattava pur sempre di una libertà in astratto; poiché quando i
servi fuggirono dalle campagne e dalle terre della Chiesa e vennero ad
affollarsi nelle città, essi saturarono il mercato del lavoro e
abbassarono il proprio prezzo a tal punto che la povertà, l'eccessivo
lavoro e la crudele subordinazione ai monopolisti del capitale li
obbligarono alla fine ad acquistare un'amara consapevolezza di se
stessi col generico nome di "proletariato", intendendo con ciò una
classe per la quale non vi è speranza né sotto il feudalismo né sotto
il capitalismo.
Essi cominciarono lentamente ad organizzarsi, prima nelle unioni
operaie ferocemente perseguitate dai proprietari terrieri, dai
banchieri e dalla Chiesa, e più tardi alleandosi con gruppi di
socialisti dottrinari, avendo gli uni e gli altri come scopo la
"dittatura del proletariato"; in questa alleanza i socialisti
fornivano la guida intellettuale e le unioni operaie il denaro.
Lo sviluppo di questo fenomeno provocò il miracolo di unire gli uomini
d'affari di città e i proprietari di campagna in una plutocrazia
solidamente organizzata contro il proletariato. Marx lanciò la sfida
nel 1861 col suo grido: «Proletari di tutti i paesi, unitevi» e
dichiarò la guerra di classe per l'abolizione della proprietà privata
coi relativi suoi illeciti guadagni e per l'organizzazione politica
della società come comunità cooperativa dei lavoratori.
I due partiti aprirono le ostilità nel 1871 con la sanguinaria
soppressione della Comune di Parigi da parte dei plutocrati; a cui
seguì cinquant'anni più tardi, nel 1920, il trionfo del proletariato
in Russia. Nel 1939 in Spagna il proletariato fu nuovamente sconfitto.
Nello stesso tempo però i plutocrati, che da principio si erano
furiosamente opposti a ogni interferenza governativa nelle loro
attività affaristiche, cambiarono idea al riguardo, grazie agli
insegnamenti degli economisti proletari i quali dimostrarono che il
pieno sviluppo della produzione moderna non può essere raggiunto coi
mezzi dell'iniziativa privata, ma soltanto mediante l'autorità dello
Stato e le sue risorse finanziarie. Se essi avessero potuto mantenere
il controllo dello Stato e profittarne per il proprio arricchimento
privato invece che per il bene generale, combinando così una
produzione socializzata con una distribuzione plutocratica, avrebbero
potuto accumulare fortune che i loro progenitori fedeli all'idea della
concorrenza non si erano mai sognati. Sorse così un movimento che,
appropriandosi il credo socialista, mirava a sostituire il capitalismo
di Stato al capitalismo privato, mantenendo intatta la proprietà
privata con tutti i suoi privilegi e corrompendo il proletariato con
sussidi e più alti salari. Questo movimento fu chiamato «fascismo» in
Italia e «nazional-socialismo» (o in modo abbreviato «nazismo») in
Germania; in ambedue i paesi esso si impossessò di capi proletari, li
finanziò e li pose al comando del Governo: vedi Benito Mussolini e
Adolf Hitler. In Inghilterra e in America, dove questo processo fu
molto meno chiaro, il movimento fu chiamato "New Deal" e "New Order",
ciò che assicurò loro una base in ambedue i campi, democratico e
plutocratico, ma a costo di una guerra con la Germania e l'Italia per
l'egemonia europea. Quando i nuovi dittatori fascisti invitarono
infatti gli Stati occidentali a unirsi a loro in un grande attacco
contro la Russia proletaria, essi furono respinti come rivoluzionari
pericolosi e sovversivi; in conseguenza di ciò i due dittatori si
accinsero da soli a soggiogare non soltanto la Russia, ma anche le
recalcitranti Inghilterra e America. L'unico alleato considerevole che
poterono assicurarsi fu il Giappone, ed essi vennero così a trovarsi
nella posizione di dover combattere sia i comunisti sia le
plutocrazie, combinati in un'alleanza paradossale ma formidabile che
doveva fatalmente distruggerli.
Questa è in termini concisi la situazione storica attuale. Ma torniamo
ora ai fatti spiccioli.
Per quanto io sia in teoria comunista e di professione commediografo,
sono di fatto e per posizione sociale un proprietario terriero e, ciò
che è peggio, un proprietario terriero assenteista; i miei beni si
trovano infatti in Irlanda. Quando li ebbi in eredità, ero già un uomo
adulto, responsabile e sposato; se fossi vissuto sotto Guglielmo il
Conquistatore, egli avrebbe preteso da me che amministrassi la
giustizia tra i miei fittavoli come fa un cadì all'ombra di una palma,
che li conducessi a combattere per lui, che controllassi e dirigessi
la coltivazione delle mie terre, e contribuissi in vari modi a
finanziarlo. Oso dire che avrei saputo fare tutto ciò non meno bene di
alcuni dei suoi baroni. Ma la prima cosa che scoprii fu che le mie
terre non mi appartenevano affatto e che non avevo alcun potere di
controllarle o amministrarle. Invece dei certificati di proprietà,
ricevetti un pacco di ipoteche e un altro contenente polizze di pegno.
La mia sorpresa non fu grande: mio zio infatti, dal quale avevo
ereditato la proprietà, era morto in stato di quasi assoluta povertà,
poiché la clientela che si era saputo conquistare come medico, e con
la quale un tempo viveva prosperamente curando i possidenti della
contea, era stata rovinata dalla trasformazione delle ville e dei
parchi di campagna in file di casette abitate da impiegati che
ricevevano salari di quindici scellini la settimana. Lo stipendio del
suo unico fedele servitore era di diciassette anni in arretrato; il
suo orologio d'oro era stato dato in pegno ed egli era obbligato a
contare le pulsazioni con un orologio d'argento che mi aveva regalato
molti anni prima e che poi aveva dovuto richiedermi in prestito...
Quando egli comprò l'orologio d'oro per trenta sterline io ero insieme
a lui. Lo aveva impegnato per tre sterline e dieci scellini, e per
molti anni si era sforzato di non perdere il diritto di riscattarlo,
prendendo a prestito da mia madre gli interessi della somma.
Ereditando questo diritto, versai la polizza di pegno al titolare del
prestito e riscattai l'orologio. Lo portai a Londra dove lo misi in
vendita all'asta. Lo vendetti per tre sterline e dieci scellini, che
ritirai debitamente, meno la provvigione per i diritti d'asta. Non
avendo tratto alcun profitto dall'affare e anzi avendo perduto
l'importo della provvigione, considerai questo risultato come tipico e
gettai le altre polizze di pegno nel cestino. Ricomprai poi i terreni
che giuridicamente erano di mia proprietà, pagando le ipoteche e
diventandone così effettivo proprietario. Non avrei potuto farlo se
non avessi avuto altri mezzi, all'infuori di quella proprietà.
Ma la storia non finisce qui. Non avevo mai capito perché quei terreni
mi fossero sempre stati descritti come «una bella piccola proprietà».
La terra non era più usata per coltivarla, ma vi erano state costruite
case d'abitazione e per uffici: in breve, era diventata parte della
città. Gli affittuari l'avevano subaffittata e i subaffittuari avevano
fatto a loro volta la stessa cosa dividendola in pezzi così piccoli
che, sebbene io potessi in teoria dichiarare certe case «di mia
proprietà», in pratica poi non ebbi mai modo di esercitare su di esse
un controllo qualsiasi o di apportarvi migliorie di sorta; potevo però
esigere da questo o quell'affittuario o subaffittuario qualche forma
di canone che rappresentava soltanto una parte del valore del terreno.
Soltanto tre case erano realmente in mano mia e sotto il mio
controllo; le loro condizioni erano così disastrose che, quando tentai
di ripararne una per renderla abitabile, essa crollò non appena i
muratori la toccarono. Era stata ipotecata per tutto il suo valore e
anche oltre. Mio zio non poteva permettersi di ripararla, né era in
condizioni di farlo l'affittuario; e il creditore ipotecario, dal
canto suo, non era tenuto a occuparsi della faccenda fin tanto che il
suo interesse veniva regolarmente pagato.
Come si vede, questa proprietà era veramente una bella piccola
proprietà. Infatti per la maggior parte non potevo disporne in alcun
modo, se si eccettua il canone che mi facevo versare da chi vi
abitava; ma ciò non mi attribuiva alcuno dei poteri e delle
responsabilità imposti dal sistema feudale. Io non sono né giudice, né
governatore, né custode o soldato, impiegato civile, direttore,
controllore, o qualsiasi altra cosa della pur minima utilità per il
paese. I poteri di vita e di morte che Enrico secondo aveva connessi
alle mie terre, e che egli avrebbe esercitato su di me se io li avessi
trascurati o ne avessi abusato, sempre che fossi stato abbastanza
forte per farlo, sono scomparsi; ma lo stesso è accaduto per i doveri.
Non resta quindi nulla se non una «bella piccola proprietà» che posso
vendere o ipotecare a un qualsiasi straniero che non ha nulla a che
vedere con la battaglia di Hastings o coll'incursione di Strongbow, e
che non può dimostrare in alcun modo di curarsi minimamente del bene
pubblico.
Questa trasformazione di una baronia feudale in una «bella piccola
proprietà» e di un responsabile servitore del paese in un
irresponsabile parassita divenne possibile e inevitabile quando il
mondo feudale dell'agricoltura e della cavalleria diventò il mondo del
commercio e della concorrenza. Esistono ancora grandi possedimenti sui
quali si sono sviluppate grandi città, e i loro proprietari sono
diventati enormemente ricchi ed esercitano tuttora poteri definibili
come poteri di vita e di morte, in quanto è loro facoltà di mettere
sulla strada i contadini e i braccianti, rimpiazzandoli con pecore,
negozianti, ricchi sportivi che si dedicano alla caccia al daino, o
qualsiasi altro individuo che paghi per l'uso delle loro terre più di
quanto possa permettersi un contadino. Abbiamo così le «belle grandi
proprietà» vicino alle piccole, i cui proprietari sono egualmente
irresponsabili. Essi possono essere più o meno filantropi; ma nella
loro educazione sociale non c'è nulla che impedisca loro di diventare
voracemente amanti del lusso; tutto anzi incoraggia in questo senso.
Si può facilmente dimostrare non soltanto il loro interesse
individuale, ma il loro dovere sociale di affittare la propria terra a
prezzi esorbitanti e di investire il loro capitale al più alto
interesse possibile.
Questa immunità dalla legge morale distingue la proprietà della terra
dalla proprietà ordinaria in modo così netto che gli avvocati la
chiamano proprietà reale, denominando l'altra proprietà personale. Si
crede che la distinzione sia stata abolita dalla legislazione del
1925, che pose fine alla primogenitura feudale; essa però sussiste
egualmente. Si permette al proprietario terriero di possedere un
fucile di sua personale proprietà, ma soltanto a condizione che, pur
potendo uccidere con esso alcuni animali e uccelli in certe stagioni e
in certe circostanze, egli non ne faccia analogo uso contro di me;
mentre invece se impianto una grossa fabbrica sulla sua terra o vi
costruisco sopra la mia casa, egli può prendermi la fabbrica o
cacciarmi via al termine dell'affitto senza il minimo riguardo per i
miei interessi.
Che questo stato di cose non provochi un massacro generale dei
proprietari terrieri può sembrare sorprendente a coloro che ne
comprendono l'enormità. Ciò è accaduto comunque di tanto in tanto.
Prima che in Irlanda entrassero in vigore le leggi sulla compravendita
della terra, i contadini irlandesi formarono le "Ribbon Lodges" per
uccidere i proprietari terrieri. Tra le manifestazioni sintomatiche
della rivoluzione francese vi furono gli incendi delle grandi case di
campagna dei proprietari terrieri (gli "chƒteaux") da parte dei
contadini. La stessa tattica ebbe una parte importante sulla creazione
del Libero Stato d'Irlanda. In Russia il Governo bolscevico, stabilito
nel 1917, ha abolito come istituzione la proprietà privata della terra
(proprietà reale), e punisce penalmente ogni tentativo di introdurla
di nuovo.
Ma il sistema non porta sempre conseguenze così intollerabili da
spingere alla rivolta e all'omicidio la gente che è stata educata a
considerarlo come onesto. Quando un uomo che non possiede terra
accetta di prendere in affitto un piccolo pezzo di terreno da un
proprietario terriero a un tanto l'anno, lo fa volontariamente e di
sua iniziativa, e si contenta di trarne quel provento che basti al suo
tenore di vita abituale, pensando che pagare l'uso della terra è
naturale quanto pagare un ombrello. Egli non capisce la questione
agraria e spesso mira a diventare lui stesso un proprietario terriero;
infatti sul mercato vi son sempre terre a sufficienza per chi ha
abbastanza denaro da comperarle. Anche se il compratore non ha denaro
bastevole, può sempre comperare la terra prendendo in prestito il
denaro con un mutuo.
La differenza che passa tra il comprare un ombrello dal fabbricante e
il prendere in affitto una terra da qualcuno che la trovò bell'e fatta
non sfuggì agli economisti. I contadini rivoltosi potevano soltanto
cantare: «Quando Adamo zappava ed Eva filava, il gentiluomo dove se ne
stava?».
Ma i colti fisiocrati francesi esaminarono la questione
scientificamente. I riformatori francesi anteriori alla rivoluzione,
in special modo il padre di Mirabeau, proposero l'abolizione delle
tasse sulle merci e la loro sostituzione con un'unica tassa sulla
terra, come mezzo per nazionalizzare la rendita fondiaria. Questa
proposta fu messa in ridicolo da Voltaire, il quale fece osservare che
essa non avrebbe toccato il reddito del capitale, e che, mentre il
proprietario terriero sarebbe morto di fame, il banchiere sarebbe
diventato più ricco di prima. La proposta fu tuttavia riesumata un
secolo più tardi con straordinaria eloquenza dall'americano Henry
George, il cui libro intitolato "Progress and Poverty" ebbe ampia
diffusione e tra l'altro attrasse la mia attenzione sull'argomento. Ma
in quel tempo la questione agraria aveva assunto proporzioni tali che
la critica di Voltaire era più forte che mai: era infatti evidente
che, se lo Stato confiscava la rendita senza esser preparato a
impiegarla immediatamente come capitale nell'industria, la produzione
sarebbe cessata e il paese sarebbe morto di fame. Nacque pertanto un
movimento, chiamato socialismo, che tendeva ad avocare allo Stato
l'organizzazione dell'industria per il beneficio di tutti.
Quando si presentò questa alternativa al capitalismo, gli economisti
ufficiali diventarono molto meno franchi sull'argomento della rendita.
Nello stesso tempo un francese aveva scritto un saggio intitolato "Che
cos'è la proprietà? Un furto". La gente facilona disse «quanto è
stupido!». La gente seria disse «che malvagità! che disonestà!». Ma il
francese (di nome Proudhon) non era né stupido né disonesto: aveva
analizzato la situazione e scoperto che il proprietario terriero e il
capitalista, in quanto consumano senza produrre, arrecano alla
comunità precisamente lo stesso danno che le fa il ladro.
Quel grande inglese profondamente rispettabile che era John Ruskin
toccò la stessa piaga quando rilevò che vi sono soltanto tre maniere
possibili di guadagnarsi da vivere: 1) lavorare; 2) chiedere la
carità; 3) rubare.
Dobbiamo quindi concludere che i nostri proprietari terrieri sono
ladri? William Morris, il più grande dei comunisti inglesi, rispose
bruscamente: «Sì, ladri dannati. Vivono depredando i poveri». Ma De
Quincey, il più bello spirito fra i "tories", definì i proprietari
terrieri «signori di campagna», aggiungendo: «chi più degno di loro?».
Marx li chiamò borghesia, termine che ora non è più esatto, poiché la
borghesia più povera è diventata proletaria per colpa dei grandi
affaristi e la più ricca è stata assorbita dalla plutocrazia.
Cairnes, uno dei principali economisti inglesi, li ha definiti
«pecchioni nell'alveare». Per quanto mi riguarda, io non mi considero
un ladro. Le mie intenzioni non sono disoneste; io non ho creato né ho
il potere di modificare il sistema legale in base al quale sono
diventato proprietario terriero, mi sia o meno piaciuto; devo però
dire che ho dedicato tutta la mia vita politica a mettere in chiaro
quanto ho detto più sopra, e cioè che io infliggo ai miei affittuari
lo stesso danno economico che avrei loro causato se fossi un ladro, un
borsaiolo, uno scassinatore di negozi o un bandito di strada. Io non
sono un barone brigante perché non sono barone, ma in pratica un ladro
lo sono senz'altro dato che pretendo che i miei affittuari mi
rimettano parte dei loro sudati guadagni, senza mai rendere o aver
reso loro in cambio un qualsiasi servizio. Che non sia colpa mia, e
che anzi questo stato di cose sia stato per me in certa misura una
disgrazia, non allevia loro per nulla il pagamento degli affitti. E'
egualmente irrilevante il fatto che, riscattando le ipoteche, io mi
sia comprato col sudore della mia fronte i miei poteri di
sfruttamento: il ladro deve ben pagare il suo grimaldello.
Come può dunque la nazione sbarazzarsi di me? Uccidermi, come fecero
col defunto Lord Leitrim i suoi affittuari, porterebbe soltanto a
sostituire al mio diritto di proprietà quello del mio più prossimo
parente. Perché lo Stato o il Municipio potesse prendermi la terra e
gettarmi sulla strada, sarebbe necessaria una rivoluzione bolscevica
che legalizzasse questo atto e un nuovo Dicastero che amministrasse
tutti i beni immobili del paese e fosse pronto a iniziare
immediatamente la sua attività al mio posto. La prima regola infatti
nel passare dalla proprietà privata alla proprietà pubblica è che il
Governo non deve confiscare nessuna proprietà, terra o capitale, se
non è già pronto a utilizzarla immediatamente con la stessa
produttività di prima. Se un campo non viene coltivato, non soltanto
vi nasceranno i cardi, ma questi si spargeranno anche sui campi
coltivati limitrofi.
La soluzione del mio caso singolo è abbastanza semplice. Appena il
Municipio della città ove è situata la mia proprietà avrà bisogno
della mia terra per costruirvi, poniamo, una stazione elettrica, o
bagni pubblici, scuole, una stazione tranviaria, una sede di polizia o
dei pompieri, una nuova casa comunale, un ufficio postale, un ufficio
di collocamento o che so io, l'unica cosa che dovrà fare sarà di
pagarmi la proprietà secondo il valore per cui è tassata, procurandosi
il denaro col mettere una tassa su tutti i valori tassabili della
città, compresa la mia proprietà.
Così il mio pezzo di terra diventa proprietà pubblica a spese di tutti
i proprietari terrieri, e io sopporto soltanto la mia parte di
espropriazione, invece di esserne rovinato, mentre i miei compagni
proprietari terrieri se la cavano gratis.
Non vi è niente di nuovo in questo affare: la gente è abituata alla
compra-vendita delle terre e a tasse che variano di anno in anno di un
penny in più o un meno per ogni sterlina. Io dovrei trovare un nuovo
investimento per il denaro così ottenuto, oppure, nel caso che avessi
usato la mia proprietà come abitazione o ufficio, una nuova casa per
viverci e lavorarci; ma la gente non si preoccuperebbe di questo
fatto, poiché ne accadono tutti i giorni.
Basta ripetere abbastanza spesso questa transazione evidentemente
normale per trasferire tutta la terra della città dalla proprietà
privata a quella pubblica ed estinguere così senza violenza la classe
dei piccoli proprietari terrieri. La stessa cosa può fare il Governo
nazionale coi proprietari di grandi tenute. Vicino a dove abito io,
una compagnia privata comperò uno di questi possedimenti e vi costruì
una città giardino. Il costo dell'operazione non fu sostenuto da una
tassa pubblica, bensì sottoscritto da speculatori privati. Io ero uno
di quelli, e sono così diventato proprietario terriero inglese oltre
che irlandese. Ma se il Governo dovesse un giorno decidere di
utilizzare la città per il benessere nazionale in maniera migliore di
quanto possiamo fare io e i miei amici per il nostro profitto privato,
esso potrà facilmente comperarla da noi e procurarsi il denaro a mezzo
di una tassa di redditi di tutti i proprietari terrieri del paese.
Anche in questo caso basta ripetere l'operazione abbastanza spesso
fino a effettuare la completa nazionalizzazione della terra, senza
discostarsi dall'usuale procedura, senza alcuna legislazione
rivoluzionaria, e senza menzionare la parola nazionalizzazione, o la
parola compensazione che ripugna ai teorici della nazionalizzazione.
L'unico procedimento legale all'infuori di questo sarebbe l'avocazione
della terra al re, sulle orme di una legge feudale che ancora esiste,
sebbene sia caduta in desuetudine e quasi dimenticata. L'ultimo re ad
applicarla in misura considerevole fu Enrico quinto cinquecento anni
fa. Guglielmo terzo ne fece qualche uso duecentocinquanta anni fa. Ma
ciò si basa sul presupposto che il re sia un re feudale, la qual cosa
perdette la sua attualità storica fin dal 1649. Oggi nella maggior
parte dei paesi europei e dell'America del Nord e del Sud non esistono
più re.
L'alternativa rivoluzionaria consiste nel dichiarare la terra
proprietà pubblica e decapitare tutti i proprietari terrieri che non
lasciano a tempo la campagna, come fu fatto durante la rivoluzione
francese nel diciottesimo secolo, oppure fucilare i pochi che si
oppongono attivamente e lasciare gli altri a sbrigarsela da soli con
le entrate decurtate e le case requisite, come avvenne in Russia nel
1917. Ma in ambedue i casi i nuovi Governi sorti dalla rivoluzione non
poterono far altro che dividere la terra agricola fra i contadini,
pochi dei quali erano capaci di sviluppare la sua produttività
potenziale. I contadini russi, che vivevano dei loro piccoli poderi e
aravano coi cavalli, impiegando altri paesani come lavoratori, furono
denunciati come "kulaki" ed espulsi dai loro campi come sfruttatori e
profittatori, col risultato che i campi andarono in malora. Il Governo
sovietico fu ben presto costretto a ricercare i derelitti kulaki e a
rimetterli al loro posto nei poderi con la stessa violenza con la
quale prima li aveva espulsi. Ma furono così pochi che ogni dieci
poderi coltivati col sistema e col rendimento dei kulaki (ancora molto
inferiore alle possibilità effettive) vi erano circa novanta
appezzamenti miseramente coltivati dai loro proprietari, i quali
vivevano in baracche di legno con un'unica stanza appena sufficiente a
contenere un pidocchioso letto di famiglia, una stufa e un pezzo di
pavimento fangoso. E quando contadini ordinari e kulaki si accorsero
che, quando essi producevano in misura tale da poter risparmiare
qualche soldo, il Governo sovietico glielo portava via con tasse che
equivalevano in realtà a un affitto, così come facevano i vecchi
proprietari terrieri, uccisero i loro cavalli e il loro bestiame e
distrussero le semenze piuttosto che farsele sequestrare dal Governo
per le tasse. I cosacchi produssero in tal modo carestie artificiali e
vennero pertanto lasciati morire di fame.
Il Governo sovietico fu costretto alla fine a sbarazzarsi dei
proprietari contadini, competenti e incompetenti, e a rimpiazzarli con
fattorie collettive e città giardino, che ebbero un successo immediato
e grandioso. Con una lezione simile sotto gli occhi, non vi sono più
scuse plausibili per insistere nel voler lasciare la nostra
agricoltura in mano a ignoranti contadini e a poco istruiti signori di
campagna, che tutti lottano fra loro invece di cooperare, e ognuno dei
quali dovrebbe essere contemporaneamente chimico agrario, allevatore
di bestiame, finanziere, statistico, uomo d'affari e ragioniere: in
breve un tale modello di versatilità quale non fu mai immaginato
neppure dal più stravagante dei romanzieri. Coltivare una tenuta è
lavoro collettivo e non individuale; nessun signore di campagna,
piccolo proprietario o contadino, può assommare in se stesso tutto un
personale tecnico, mentre in una fattoria collettiva l'esistenza di
questo personale è un fatto naturale.
L'avvenire della terra dal punto di vista produttivo sta nelle
fattorie collettive e nelle città giardino; non dovrebbe essere
permesso a nessuna persona, la cui opinione sulla riforma agraria si
limiti al progetto di trasformare i possedimenti agricoli in piccole
proprietà contadine e di lasciare le città così come sono (vi sono
molti di questi semplicioni), di immischiarsi di questioni politiche.
E' comunque psicologicamente consigliabile fare piani di fattorie
collettive e di città giardino in modo tale che ogni casa abbia
annesso un piccolo pezzo di terreno ove poter giocare, coltivare fiori
e verdura, e tenere la propria vacca o che so io?
Questa concessione all'intimità è stata trovata necessaria
nell'U.R.S.S., nonostante il successo delle fattorie collettive. Essa
soddisfa il senso domestico, che non è la stessa cosa
dell'agricoltura, mentre attualmente si verifica il fatto incongruo
che la casa colonica debba servire anche da casa di abitazione; e si
trova anzi naturalissimo che gli operai vivano nei mulini, nelle
officine e nei loro negozi, e in qualche paese perfino entro le
fabbriche. Questo è uno stato di cose intollerabile. La questione
agraria è una questione di vita privata non meno che di vita
produttiva. La vita privata produce bambini, che sono molto più
importanti del raccolto o della produzione di una fabbrica. Nessun
dubbio che le abitudini familiari subiranno una grande modificazione,
non appena i fatti dimostreranno che le sistemazioni in comune sono
più convenienti di quelle private. Per esempio tutte le critiche
suscitate dal fatto che il contadino sia costretto a vivere nel suo
podere, il mugnaio nel suo mulino, l'operaio nella sua fabbrica, si
applicano egualmente alla cuoca che deve vivere nella sua cucina e
alla sguattera confinata nel retrocucina. Il fornello e l'acquaio
seguiranno la stessa sorte della ruota da filare e del telaio a mano;
nei clubs e nelle trattorie, negli alberghi e nelle locande, negli
ospedali e nelle scuole, la vera intimità aumenterà di pari passo
coll'organizzazione comunitaria.
Il mestiere di allevare i figli, mestiere assai gravoso, è già in gran
parte passato dalle mani dei genitori e dall'ambiente casalingo a
quelle degli insegnanti nelle scuole: ovverossia dal dilettante al
professionista.
I socialisti sono così preoccupati dalla necessità di attuare riforme
in questo senso, che corrono il rischio di perdere di vista la
corrente contraria. Quando si parla di rivoluzione industriale, si
pensa all'energia idraulica e all'energia del vapore che abolirono il
telaio a mano e riuscirono a cacciare i proletari dalle loro casette
di campagna alle fabbriche, dove la divisione del lavoro rese
impossibile a qualsiasi lavoratore di imparare altro che una minima
parte nel lungo processo che va dalla raccolta delle materie prime
alla loro lavorazione e alla loro vendita. Fu una vera rovina per le
classi lavoratrici; nelle città industriali gli operai diventarono
automi dai sentimenti di esseri umani. Si ridussero ad abitare in
tuguri pestilenziali; e i loro bambini morirono come mosche, mentre la
ricchezza e il lusso dei proprietari terrieri e dei capitalisti
cresceva «a salti e a sbalzi», come disse Gladstone quando era
Cancelliere dello Scacchiere. Parve che l'umanità fosse condannata per
sempre a lavorare nelle fabbriche, negli opifici e nelle miniere,
poiché la forza che azionava la macchina per filare e il martello a
vapore non poteva essere distribuita ed era al di là delle possibilità
di chiunque eccetto i capitalisti.
Ma noi sappiamo ora che la forza idraulica e il vapore possono essere
trasformati in forza elettrica, distribuita di casa in casa come
l'acqua e il gas, e che anche un bambino può adoperarla per farsi luce
quando è a letto, o un artigiano per mettere in moto i suoi arnesi. Mi
ricordo ancora di quando usavo le candele di sego, che bisognava
accomodare continuamente con un paio di forbici o smoccolatoio, per
farmi luce a letto, e maleodoranti lampade a olio per leggere la sera.
A quei tempi mi trapanarono un dente cariato con un grosso chiodo.
Sono vissuto abbastanza perché i miei denti (quando ne avevo ancora)
potessero essere trapanati elettricamente, perché i miei capelli
potessero essere tagliati elettricamente e le mie stanze non soltanto
illuminate ma spazzate e spolverate elettricamente, col solo sforzo di
girare un piccolo interruttore nel muro.
Il primo uomo di Stato che vide in questo qualcosa di più che una
delle nove meraviglie fu il russo Lenin. Egli capì che l'unico modo di
rivoluzionare la Russia era quello di elettrificarla; e con la stessa
rapidità con cui poté essere attuata l'elettrificazione, le steppe
russe e i deserti asiatici diventarono fiorenti città prive di tuguri,
e i "barboni" delle tribù si trasformarono in esperti artigiani.
Anche in questo caso il mondo occidentale si rese conto soltanto delle
vaste imprese elettriche dell'U.R.S.S., della diga del Dnieper, dei
nuovi canali e delle fabbriche costruite in acciaio e vetro che
producevano decine e decine di trattori ogni giorno: opera tutta di
lavoratori irreggimentati sotto un'abile direzione e una ferrea
disciplina. Sinché non fu pubblicata la classica inchiesta di Sidney e
Mary Webb, noi non sapevamo (e anche allora non ce ne accorgemmo) che
l'artigiano isolato, il fabbro ferraio, l'ebanista, il vasaio, il
tessitore stavano risorgendo in Russia, proprio sotto il segno di quel
socialismo che si credeva dovesse estinguerli. Quello di cui ci
accorgemmo, fu che il governo della casa a base di cucine automatiche
e aspirapolvere smentì il vecchio detto: «il lavoro di una donna non è
mai finito», e di conseguenza alterò quel rapporto tra vita di casa e
vita in comune, che si era trasformato a scapito netto dell'intimità
sotto il giogo del capitalismo.
Quindi lo sbaglio più grande che un uomo di Stato moderno possa
commettere è quello di lasciarsi ossessionare dal lato collettivo
della questione agraria. Il fabbro ferraio Wayland che lavora «per
conto proprio» e definisce i suoi conti con lo Stato attraverso il
ricevitore delle imposte può diventare un fattore politico molto più
importante che non il burocrate della fabbrica di uno Stato
totalitario cui l'inglese, incorreggibile individualista, guarda con
tanto timore.
I miei timori sono di natura opposta. La mia arte di commediografo
potrebbe anche essere esercitata separatamente in un'isola deserta; ne
deriva che gli autori, anche per ciò che riguarda la difesa dei loro
interessi, sono più difficili a organizzare dei maiali. Sulla carta
essi sono modelli di ogni virtù: negli affari sono invece inveterati
anarchici, attaccabrighe, sentimentali incapaci di discutere senza
perdere la calma, nonché abituati a considerare ogni obiezione alle
loro opinioni come un insulto personale.
Il giornalismo, essendo una attività sociale, li civilizza; ma i
romanzieri che se ne stanno tutti soli e creano il mondo dalla loro
testa, senza nessuno che li contraddica o li corregga, non imparano
mai, a meno che non abbiano un forte senso di umorismo, come si deve
vivere in una società politica, e devono essere pertanto trattati
dagli uomini di Stato come gente che venga da un altro mondo. Possiamo
trovare forse una spiegazione di ciò nel fatto che la libertà dal
bisogno favorisce un eccessivo sviluppo di individualismo in coloro
che hanno un'individualità da sviluppare e che, a differenza dei
militari, non sono specialmente allenati a non pensare con la propria
testa. Gli autori non si disinteressano delle proprie questioni
pecuniarie, tutt'altro; ma chiunque ci tenga ai propri interessi
finanziari si guarderà bene dal darsi anima e corpo alla professione
del letterato. Vi sono ordini religiosi con un regolamento così
completamente monastico che ogni soldo posseduto dai loro membri
appartiene all'ordine. Essi non possono nemmeno scegliere il modello
dei vestiti che indossano. Ma il loro pane quotidiano è sicuro e,
ovunque vadano, sono loro concessi dall'ordine almeno tre giorni di
ospitalità. Chiesi a un mio amico che apparteneva a un simile ordine
se questo genere di vita producesse cattivi effetti sui suoi
confratelli. Egli ci pensò un momento e disse: «L'ordine cui
appartengo sviluppa in ciascuno un individualismo così spaventoso che
all'età di quarant'anni ogni membro diventa un perfetto rammollito».
Sarà interessante vedere se il comunismo cambierà i russi in una
nazione di automi o in una nazione di eccentrici.
Concludendo, devo insistere sul fatto che il punto centrale della
questione agraria è la teoria classica della rendita ricardiana,
battezzata da Ferdinand Lassalle come "legge ferrea dei salari".
Sfortunatamente essa non è così evidente come la rotondità della
terra. E' così contraria alla morale comune e così complicata
matematicamente che mi sarebbe più facile trovare cinquanta esperti di
calcoli delle tensioni che non cinque uomini di Stato avvezzi a
concepire la questione agraria in termini di legge della rendita.
Essa è il ponte dell'asino della matematica economica. I nostri uomini
politici non possono trarne conclusioni più di quanto Shakespeare
potesse trarne dall'"okapi" o dall'"axolotl": la verità è che essi non
si rendono conto della sua esistenza. Karl Marx facendo un assurdo
riferimento ad essa nel "Capitale" dimostrò di non averne capito
niente. John Ruskin, dopo aver esordito brillantemente come economista
coll'antitesi di valori di scambio e valori umani, dovette arrestarsi
di fronte a questa legge. E tuttavia Marx e Ruskin avevano più
intelligenza e un più acuto interesse alle questioni sociali che non
tre o quattro Consigli di ministri o tre o quattro milioni di normali
elettori. Essa è lo scoglio su cui è naufragato il liberalismo di
Cobden e su cui si è andato costruendo il socialismo nella lotta tra
plutocrazia e democrazia. Noi ci troviamo attualmente nel vivo della
lotta e, poiché rientra necessariamente nel mio lavoro il fare
propaganda ai miei scritti, sono tentato di aggiungere che chi non ha
letto il mio saggio sulle Basi Economiche del Socialismo nei "Fabian
Essays" non dovrebbe essere in alcun modo autorizzato a scrivere,
parlare, o agitarsi politicamente in questo infelice paese.
Coloro che sospettano che la legge ferrea sia una mia invenzione per
far trionfare il socialismo possono documentarsi al riguardo in modo
accademicamente ortodosso leggendo, circa la teoria delle rendite, il
libro di Ricardo: "Principi di Economia Politica e di Tassazione",
scritto prima che il socialismo avesse trovato un nome in Inghilterra,
e, per quanto riguarda l'affine teoria del valore di scambio, il libro
di Stanley Jevons: "Teoria dell'Economia Politica", che corresse gli
errori di Adam Smith, Ricardo e Karl Marx sull'argomento.
3.
IL SISTEMA INGLESE DEI PARTITI. Come stanno realmente le cose? Lasciate che ve lo dica con un piccolo
dramma storico; in tal modo mi riesce più facile spiegarle ed è anche
più divertente.
SCENA: "Althorp, residenza degli Spencer, conti di Sunderland. Sono
presenti re Guglielmo terzo di 45 anni, di gloriosa, veneranda e
immortale memoria, e il suo ospite Robert Spencer, secondo conte di
Sunderland, maggiore di lui di dieci anni, famoso anche alle corti di
Carlo secondo e Giacomo secondo per la sua completa mancanza di
scrupolosità e la sua abilità politica. Siamo nel 1695."
ROBERT: Vostra Maestà mi ha fatto un grande onore visitando la mia
umile residenza. Poiché non oso pretendere di meritarmelo, penso che
vi sia qualche ragione perché io possa essere utile a Vostra Maestà.
GUGLIELMO: E' infatti così. Non so più che pesci pigliare. Ho bisogno
di un consiglio. Ci si attende da me che io salvi la religione
protestante in Europa dalla Donna Scarlatta di Roma. Ci si attende da
me che io salvi il vostro paese (nonché l'Olanda, che è il mio) dai
Borboni. Ci si attende da me che io faccia tutto per tutti. E si
pretende anche che io faccia tutto senza denaro e senza un esercito
permanente. Io non posso fare neppure i piani di guerra per un anno, a
causa di questo odioso Parlamento inglese, che è eletto per governare
l'Inghilterra e fa invece soltanto ciò che tutti gli inglesi
desiderano: ovverossia non essere governati affatto. Esso è
capacissimo di lasciarmi da un momento all'altro senza un soldo e
senza un soldato. Il miglior generale di Francia, che ha vinto per
essa tutte le sue battaglie, è appena morto e ha lasciato così re
Luigi in mio potere. E questo è proprio il momento che il vostro
Parlamento sceglie per minacciarmi di fare la pace. E' intollerabile.
Al diavolo il vostro Parlamento! Me ne tornerò ad Amsterdam: meglio
essere un vero Stadtholder che un finto re. Questi imbecilli di
cavalieri vogliono la libertà. Bene, che se la tengano la loro
libertà: libertà di essere torturati sulla ruota per compiacere il
papa, libertà di essere vassalli della Francia, libertà di andarsene
al diavolo, nel modo che preferiscono, libertà da ogni interferenza di
Re o Consiglio. Io getterò loro la corona in faccia e mi scoterò dai
piedi la polvere d'Inghilterra, a meno che voi non possiate mostrarmi
il modo di far fare al Parlamento quello che dico io.
ROBERT: Questo non sono in grado di farlo; ma posso indicarvi un
sistema per impedire al Parlamento di fare qualsiasi cosa se non
votare i bilanci e ritardare al massimo la prossima elezione.
GUGLIELMO: Davvero? Gli unici bilanci che mi interessano sono quelli
di uomini e di denaro, per salvare i protestanti da quel grasso
bigotto di un Borbone. Se non posso averli, la vostra corona non mi
serve. Potete riprendervi Giacomo. Sapete bene dove trovarlo: in tasca
a Luigi. Sono sicuro che siete in corrispondenza con lui, intrigante
del doppio gioco che non siete altro.
ROBERT: Sono come mi hanno fatto i tempi; io mantengo la
corrispondenza con tutti: non si sa mai cosa accadrà in futuro. Ma io
vorrei poter distogliere per un momento l'attenzione di Vostra Maestà
dai protestanti e dall'esercito. Vorrei potervi convincere che ciò che
dovete combattere qui non è re Luigi ma il Parlamento inglese.
GUGLIELMO: Forse che non lo so? Non ve lo stavo dicendo?
ROBERT: Va bene, Maestà. D'accordo che sono un intrigante?
GUGLIELMO: Siamo d'accordo, per Dio, d'accordo!
ROBERT: Vostra Maestà vuole arrivare forse fino al punto di ammettere
che sono un intrigante sufficientemente abile?
GUGLIELMO: Un intrigante diabolicamente sottile, direi. E allora?
ROBERT: Ho la mia idea circa la maniera di comportarsi col Parlamento,
sebbene finora non abbia mai trovato un re abbastanza furbo da
capirla.
GUGLIELMO: Provate con me.
ROBERT: Voi, Sire, siete l'ultimo re sulla terra che possa capirla. Ma
la deporrò ugualmente ai vostri regali piedi. Voi scegliete i vostri
ministri in base ai loro meriti e alla loro capacità senza alcun
riguardo ai loro partiti, un "whig" qui, un "tory" là, ciascuno nel
suo dicastero, che voi chiamate il suo Gabinetto; la loro assemblea
forma il vostro Consiglio, che si potrebbe chiamare anche il vostro
Gabinetto.
GUGLIELMO: Proprio così. Trovate che c'è qualcosa che non va?
ROBERT: La mia opinione è che Vostra Maestà dovrebbe scegliere in
futuro tutti i suoi ministri dallo stesso partito, e che questo
partito dovrebbe essere quello che ha la maggioranza alla Camera dei
Comuni.
GUGLIELMO Ma siete pazzo! Chi ha mai sentito cose simili?
ROBERT: Ogni cosa deve avere un inizio, Sire. Pensateci.
GUGLIELMO: Ci sto pensando. E ricordo anche ciò che avete dimenticato.
ROBERT: Che cosa, Maestà?
GUGLIELMO: Che la maggioranza alla Camera dei Comuni è attualmente una
maggioranza "whig".
ROBERT: Non l'ho dimenticato, Sire. Dovete sbarazzarvi subito di tutti
i vostri ministri "tories" e rimpiazzarli con quelli "whigs".
GUGLIELMO: Ma io, perdinci, sono un "tory". State diventando pazzo?
ROBERT: Un giorno i "tories" avranno la maggioranza e sconfiggeranno
il Governo "whig" su qualche provvedimento. Voi allora scioglierete
immediatamente il Parlamento; e quando i "tories" avranno ottenuto
dalle elezioni generali la maggioranza, sceglierete soltanto ministri
"tories".
GUGLIELMO: Ma qual è lo scopo di questa assurdità? State parlando con
la stessa freddezza che se diceste cose serie. Perché allora dite
stupidaggini?
ROBERT: Se Vostra Maestà vorrà degnarsi di fare ciò che io le
consiglio, garantisco sulla mia parola che...
GUGLIELMO (scetticamente): Hum!
ROBERT: Scusate: avrei dovuto dire che garantisco sulla mia
reputazione di intrigante. Ebbene, garantisco che, dal momento in cui
Vostra Maestà adotterà questo piano, nessun membro della Camera dei
Comuni voterà più secondo i suoi principi, le sue convinzioni, il suo
giudizio, la sua religione o alcun'altra delle sue ubbie. La gente
crederà che egli voti per la tolleranza, per la pace o per la guerra,
o per l'opportunità o meno di passare la Corona all'elettore di
Hannover qualora i figli di vostra cognata continuino a morire; o
sulla soppressione del demanio comunale o sull'obbligo di alloggiare i
soldati o sulla tassa alle finestre o su qualsiasi altra cosa; ma la
vera questione su cui egli voterà sempre è se il suo partito resterà o
meno in carica o se lui stesso dovrà spendere metà del suo patrimonio
per essere rieletto, con l'alea di perdere il seggio se il suo
oppositore ha qualche migliaio di sterline da spendere più di lui.
GUGLIELMO: Non siate stupido, Robert. Io diventerei lo schiavo della
maggioranza, comunque votassero i deputati. Ma tutto questo che
c'entra con l'esercito e il denaro per pagarlo?
ROBERT: Vi sarebbe sempre un solo sistema per votare sulla guerra o su
qualsiasi altra cosa; e voi potreste sempre contarci. Nessuna
maggioranza, "whig" o "tory", oserà mai votare per la resa ai nostri
nemici naturali: i francesi e il papa.
GUGLIELMO: Il papa è dalla mia parte.
ROBERT: Fortunatamente soltanto pochi di noi conoscono questo fatto
curioso. La miglior carta che potete giocare in Inghilterra è sempre
questa: niente papa.
GUGLIELMO: Voi mi state tendendo una trappola. Volete fare della
maggioranza ai Comuni quella che tira i fili e ridurre il monarca un
burattino. E poiché la maggioranza è sempre condotta per il naso da
qualche ambizioso intrigante dotato come voi del genio dell'eloquenza,
costui sarebbe capace di dettarmi legge, come se lui fosse il re e io
una nullità.
ROBERT: Non sarò mai un dittatore sinché voi vivrete, perché voi,
Sire, non sarete mai una nullità. Ma io vi do un'altra garanzia
ancora, e cioè che se voi fate come vi consiglio non avrete mai nulla
da temere dal più audace e scaltro avventuriero, anche se questi
dovesse essere Cromwell stesso o Lilburne il "livellatore". Egli
spenderà metà della sua vita e la maggior parte dei suoi averi per
entrare in Parlamento; e quando finalmente vi arriverà, non penserà ad
altro che a entrare nel Gabinetto di Vostra Maestà. Quando a forza
d'intrighi avrà raggiunto quella posizione, sarà abile solo nel gioco
dei partiti e in niente altro. Verrà a prendere il cibo dalla mano di
Vostra Maestà. E la gente crederà di essere libera perché ha un
Parlamento. Potrete allora combattere contro tutta l'Europa per tutto
il tempo che vorrete.
GUGLIELMO: Non lo capisco e non ci credo. Ma poiché non posso andare
avanti in questo modo senza saper dove andare a pescare nuovi
reggimenti e nuovo denaro, proverò il vostro piano sinché non avrò
ricacciato Luigi nel suo porcile. Se il piano fallirà, vi farò
tagliare la testa.
ROBERT: Va bene, Sire. E' già stata troppo tempo sulle mie stanche
spalle.
"Passano 25 anni. Guglielmo e Sunderland, morti nello stesso anno,
sono già da diciotto anni nelle loro bare. La regina Anna è morta e
Giorgio primo è re. Carlo, figlio di Sunderland, di 45 anni, è membro
del Governo "whig". Robert Walpole, di anni 44, sebbene sia un noto
parlamentare "whig", è capo dell'opposizione contro il progetto di
legge sulla paria. I due si incontrano una mattina nel parco di S.
Giacomo, dove sono venuti a prendere una boccata d'aria. Walpole
vorrebbe passare avanti, salutando con un cenno della mano; ma
Sunderland è deciso a intavolare una conversazione con lui e non lo
molla. Dopo i soliti convenevoli, Sunderland arriva alla questione che
gli sta a cuore."
SUNDERLAND: Vorrei avere il vostro appoggio per questo mio progetto
sulla paria. Francamente temo che mi sconfiggerete se vi opponete.
Perché non venite in mio aiuto? Non è una questione di partito: noi
siamo tutti "whigs" e tutti egualmente interessati.
WALPOLE: Come potete provarlo?
SUNDERLAND: Bene, non è forse chiaro come la luce del sole? Noi
"whigs" siamo prima di tutto gli uomini del Parlamento: per noi
inglesi libertà significa supremazia del Parlamento. Il Parlamento ha
due forze rivali da temere: il re e la folla degli elettori. Il mio
venerato padre, del cui genio politico pretendo di aver ereditato un
grano o due, ci salvò dalla tirannia della folla col sistema dei
partiti. Egli vi ha fatto diventare ciò che adesso siete: il più
grande capo di partito del mondo: voi dovete la vostra preminente
posizione alla sua invenzione.
WALPOLE: Costa troppi denari. Ogni uomo ha il suo prezzo.
SUNDERLAND: Ragione di più per assicurarci il denaro per noi e per la
massa. Ma cosa ne pensate dell'altro rivale del Parlamento, il re?
WALPOLE: La questione del re è stata sistemata 71 anni fa.
SUNDERLAND: No, mio caro Walpole; non si può uccidere la monarchia con
un solo colpo di scure a Whitehall. La Restaurazione ha riportato con
sé la Camera dei Lords e ha restituito al re il potere di riempirla di
suoi fedeli creando sui due piedi tutti i nuovi pari che vuole.
L'unico scopo del progetto di legge sulla paria è di distruggere quel
potere. Esso renderà impossibile al re di creare foss'anche un solo
pari in più del numero attuale. Sicuramente siete d'accordo con me.
WALPOLE: Credo di no. Il vostro venerato padre convinse re Guglielmo
che il sistema dei partiti gli avrebbe dato il controllo del
Parlamento. Ma in realtà esso dette alla maggioranza parlamentare il
controllo sul re. Ciò dovrebbe tornarvi assai comodo, perché voi avete
il controllo della maggioranza, fino a che non lo riavrò di nuovo io,
come avverrà dopo che avrò sconfitto il vostro progetto.
SUNDERLAND: Ma perché sconfiggermi su questo progetto, che è
altrettanto nel vostro interesse quanto nel mio? Potete scegliere
qualche altra occasione.
WALPOLE: Non è altrettanto nel mio interesse quanto nel vostro. Voi
siete un pari: io sono un borghese. Voi volete fare dei Lords la
massima autorità, distruggendo per mezzo loro il potere del re. Io
voglio che il re mantenga il suo potere sui Lords e che i Comuni
mantengano il loro sul re. So vedere attraverso il vostro gioco. Ho un
cervello inglese, non olandese.
SUNDERLAND: Vedo che siete troppo abile per me. Ma riflettete un
momento. Voi siete un borghese, ma non sarete sempre un borghese.
Sarete presto uno dei nostri. Sapete che vi è una contea pronta per
voi, appena vorrete allungare una mano per prenderla.
WALPOLE: Sì, ammesso che il re mantenga il suo potere di farmi
diventare conte. Il vostro progetto potrebbe privarlo di tale potere.
SUNDERLAND: Puh! Vi è sempre un posto vuoto.
WALPOLE: Anche così, una contea sarebbe la mia fine. Non m'aspetto di
essere spinto in alto a calci. La Camera dei Lords è per voi il
trampolino dal quale siete saltato nella politica all'età di ventun
anni. Per me sarà lo scaffale su cui sarò archiviato a settant'anni.
SUNDERLAND: Questo può essere il vostro caso personale. Ma guardate il
problema da un punto di vista più ampio. Considerate gli interessi
della nazione. La Camera Alta, con tutti i suoi difetti, si frappone
come una barriera tra l'Inghilterra e la folla dei commercianti
arricchiti che vogliono fare denari a spese della nazione; denari,
denari e ancora denari. Voi non siete un arricchito, siete un signore
di campagna.
WALPOLE: Sì, e voi siete ingolfato fino al collo in questa pazzia
commerciale dei Mari del Sud. Sarà la vostra rovina. Io vi avverto:
sarà la fine della vostra carriera politica fra un anno, a partire da
oggi.
SUNDERLAND: Voi siete impossibile. (Bruscamente) Buon giorno.
"Si allontana velocemente lasciando Walpole a finire la sua
passeggiata da solo."
***
Se il terzo conte di Sunderland fosse stato capace di imbrogliare
l'inglese Walpole così come suo padre riuscì ad imbrogliare l'olandese
Guglielmo, la legge sulla Riforma del 1832 non sarebbe forse passata
senza una guerra civile; e quando il nuovo partito laburista andò al
potere un secolo più tardi, avrebbe rischiato di rimanere senza
rappresentanti tra i Lords. Stando invece le cose così come sono, i
Lords sono sempre costretti a cedere sotto la minaccia di nuove
nomine. L'ultima parola rimane ai Comuni; cioè, in pratica, alla
plutocrazia. E questo è il punto a cui la questione è giunta ai nostri
giorni.
Per farvi un'idea di cosa sia diventato ora praticamente il sistema
dei partiti, guardate la descrizione che se ne fa in un romanzo
intitolato "Bleak House" e più diffusamente in un altro intitolato
"Little Dorrit", ambedue scritti da Charles Dickens, già reporter
parlamentare e giudiziario.
Studiate poi le esperienze parlamentari di scrittori scientifici come
John Stuart Mill e Sidney Webb, e la carriera di gente come Charles
Bradlaugh, Keir Hardie, Ramsay MacDonald e altri intransigenti, che
riuscirono a entrare in Parlamento e si fermarono lì sino alla fine
dei loro giorni. Confrontate quella che è la sterilità del Parlamento
in ogni campo, tranne quello dell'oratoria di banchetto, con lo
sviluppo del socialismo municipale nei municipi, dove non vi sono
Gabinetti, nomine reali, elezioni generali eccetto che a date fisse;
dove in breve non vi è alcuna possibilità di un sistema di partiti. "A
chi non sa vedere fino in fondo cosa si celi dietro lo stratagemma di
Sunderland e capirne la sua storia, non dovrebbe essere affidato né
voto né funzione parlamentare, e non dovrebbe nemmeno essergli
permesso di pronunciare in pubblico la parola «democrazia»".
Questo ci porta all'inattesa conclusione che un Governo parlamentare
modellato sul sistema inglese dei partiti è ben lungi dal costituire
una garanzia di libertà e di illuminato progresso e deve pertanto
essere decisamente respinto, in pieno accordo con Oliver Cromwell,
Charles Dickens, John Ruskin, Thomas Carlyle, Adolf Hitler, Pilsudski,
Benito Mussolini, Stalin e chiunque in genere si sia provato a
governare per suo mezzo in modo efficiente e senza corruzione o ne
abbia studiato gli effetti conoscendo la sua storia e quella della
Rivoluzione Industriale. Mettete a confronto quello che ha fatto il
Parlamento con quello che avrebbe potuto fare un Governo efficiente e
patriottico durante i due secoli della sua deplorevole esistenza, o
con quello che il Governo sovietico ha compiuto in 20 anni, e tutte le
nostre teorie "whigs" attinte a Macaulay scompariranno davanti ai
fatti.
Ciò nondimeno la pianta parlamentare non deve essere estirpata dalle
radici. Stalin e Hitler, i più fedeli discepoli di Cromwell e Dickens
in questo campo, sono anche i più convinti assertori della tesi che un
Governo non può operare grandi mutamenti finché una lunga propaganda
mirante a inculcare i suoi principi e le sue speranze non abbia
persuaso la massa del popolo, se non a capirli criticamente, almeno a
seguire le bandiere e a fare eco alle parole d'ordine dei suoi
sostenitori. Un club di filosofi politici non potrà mai diventare un
Governo se prima non si sarà tenuto per anni a contatto con la
comunità mediante libri, opuscoli, e soprattutto, come Hitler
sostiene, discorsi alla folla ora enormemente suffragati in efficacia
dalle conversazioni radiofoniche, che mettono direttamente a contatto
lo studio dell'oratore col focolare dell'ascoltatore.
Fu in questa maniera che i bolscevichi, i quali all'inizio non erano
che un club marxista, diventarono il Governo comunista della Russia,
con l'appoggio dei contadini e dei soldati contadini, né gli uni né
gli altri comunisti, ma tutti più o meno indotti a credere mediante
discorsi, opuscoli e giornali che soltanto i bolscevichi avrebbero
dato loro la terra e la pace. Seguendo lo stesso metodo, Adolf Hitler
divenne l'autocrate della Germania, politicamente sostenuto da milioni
di tedeschi, ai quali egli aveva fatto credere con discorsi e scritti,
di essere nientemeno che il Messia. Se un Governo vuole essere
efficiente, dev'essere popolare tra coloro che governa e bene accetto
ai più. Esso deve avere cioè il favore popolare. Il favore popolare
può essere non intelligente ed equivalere a una ignorante idolatria;
ma deve esistere ed essere galvanizzato con un'attiva propaganda.
Non voglio dire con questo che il signore e la signora Ognuno dovrebbe
essere autorizzati a eleggere il signore e la signora Qualunque quali
governanti, sebbene i nostri uomini politici democratici a quanto pare
pensino ancora così. Questo metodo lo stiamo sperimentando sin da
quando si emanciparono le donne, e abbiamo dovuto constatare che esso
produce non soltanto uno stagnante conservatorismo, ma addirittura un
regresso, frenato unicamente dal buon senso dei plutocrati. Tuttavia
il Parlamento deve sopravvivere come Congresso di signori Qualunque,
lamentevoli e rumorosi, aventi l'illimitato permesso di disapprovare,
criticare, denunciare, domandare, suggerire, fornire e discutere
notizie di prima mano, sollecitare risoluzioni e dare un voto su di
esse: in breve tenere aggiornato il Governo sull'opinione pubblica.
Questo è in linea di massima ciò che fanno oggi i Parlamenti e i
Congressi. Nella Camera dei Comuni britannica, per esempio, quando una
guerra, obbligando i partiti a coalizzarsi, fa sospendere il sistema
dei partiti, sia i deputati di destra sia quelli di sinistra sono
liberi di dire ciò che vogliono, e cominciano allora a diventare
utili. Al difuori del Parlamento possono essere convocate e
organizzate da chiunque ne abbia la capacità pubbliche riunioni
nazionaliste non di partito e dimostrazioni d'ogni genere; il diritto
a tale attività e all'uso delle strade e dei luoghi pubblici dovrebbe
essere gelosamente mantenuto; se infatti non si fanno conoscere con
molto rumore le lagnanze e i desideri del pubblico, non ci si può
aspettare che il Governo li prenda in considerazione e trovi qualche
rimedio. Essi forniscono una tribuna allo spirito d'iniziativa che
ribolle continuamente nella massa dei cittadini. I più saggi
governanti non sono sempre coloro che hanno maggiore inventiva: essi
sono in massima parte abbastanza vecchi da aver esaurito le proprie
doti d'immaginazione e perduto il gusto della novità. I giovani devono
avere invece una piattaforma da dove gridare; un Governo deve infatti
sapere che cosa hanno da dire i giovani Calvini, Napoleoni, Hitler e
Ataturk, e fino a qual punto essi siano in grado di convincere il
pubblico e di farsi fischiare dal medesimo.
Senza questo contatto i savi che governano rischiano di estraniarsi
pericolosamente dallo spirito del loro tempo.
Ma queste assemblee di agitatori e di postulanti non devono avere il
diritto di legiferare. E' necessario abolire le invenzioni pseudo-
democratiche come l'iniziativa legislativa e il referendum, che
offrono al signore e alla signora Ognuno la facoltà diretta e
immediata di fare e disfare, poiché anche quando costoro sanno
esattamente che cosa vogliono non sanno come realizzarlo; come a dire
che possono volere un'automobile, ma non sanno fare il disegno che
serve all'ingegnere per poterne costruire una.
Il legiferare deve essere compito delle persone d'"élite" e non della
massa.
Quando si usano termini come "élite" e massa non bisogna mai
dimenticare che essi non indicano due classi di persone totalmente
differenti. Si tratta invece delle stesse persone. Nella letteratura e
nell'arte del drammaturgo io appartengo per esempio all'"élite". Nella
matematica, nell'atletica, nella meccanica, io sono uno della massa e
non soltanto mi sottometto e obbedisco a chi ne sa più di me, ma
reclamo il diritto che mi si dica che cosa devo fare, da coloro che ne
sanno più di me. Il migliore di noi è per il 99 per cento massa e per
l'uno per cento "élite"; i «palloni gonfiati» sono soltanto coloro le
cui menti sono così occupate dalle poche cose che conoscono, che non
vi è rimasto posto per le innumerevoli cose che non conoscono. Io
faccio alcune cose molto bene; ma la stima che ho di me stesso è
schiacciata dalla quantità di cose delle quali sono inguaribilmente
ignorante. Nel sostenere i diritti della massa, io difendo i miei.
Chi deve scegliere e designare la "élite"? Attualmente il re ove
esiste il re, o il presidente ove c'è il presidente; ma nessuno crede
che il re d'Italia avesse molte alternative dinanzi a sé quando scelse
Benito Mussolini, né il maresciallo Hindenburg quando scelse l'ex
caporale Hitler, né la regina Vittoria quando scelse Palmerston o
Gladstone. Anche il presidente degli Stati Uniti, che ha più libertà
di scelta di qualunque re perché lui stesso è scelto da un plebiscito,
non può scegliere il signor Qualunque. Deve scegliere tra le persone
preminenti; e la preminenza si guadagna con l'autoaffermazione,
approfittando delle circostanze favorevoli e della fortuna; possiamo
così dire che i nostri governanti sono in parte autoeletti e in parte
il risultato di una naturale selezione darwiniana; ovverossia della
pura fortuna. In questo modo ci troviamo talvolta di fronte a grandi
capi come Lincoln, Brigham Young, Ferdinand Lassalle e Kemal Ataturk
(per non parlare degli esempi viventi) che riuscirono ad affermare se
stessi, guadagnandosi il loro seguito grazie all'idolatria prodotta
dalla forza della loro personalità, più che dalla loro saggezza;
infatti molte persone energiche e ambiziose hanno raggiunto la
preminenza e il potere servendosi di ben poca saggezza.
Che dire dei periodi, qualche volta molto lunghi, durante i quali non
sorge alcun capo del genere e ciò nondimeno gli affari di Stato devono
procedere senza un momento di pausa? Un simile Governo non è possibile
sotto il feudalesimo, dove l'autorità è legalmente ereditaria, né
sotto la plutocrazia dove è in gran parte virtualmente ereditaria. In
ambedue le forme di Governo, gli stupidi non soltanto non sono
esclusi, ma molto frequentemente sono scelti proprio come governanti.
Quando essi si trovano di fronte a un sistema stabile (quello che noi
chiamiamo Costituzione) su cui regolarsi, possono bordeggiare per
lunghi periodi senza pericolo di fare naufragio. Ma la risposta
principale è che la Natura fornisce costantemente un numero adeguato
di persone aventi le richieste capacità mentali. Il problema è questo:
come scegliere le persone capaci; di gente capace ve n'è infatti
sempre.
Nella vecchia Roma gli imperatori Antonini sceglievano i loro
successori con risultati molto migliori di quelli che avrebbero
ottenuti adottando la successione ereditaria. Ma se si escludono i
casi di considerevole attività, che portano i governanti alla prova
del fuoco, non è sempre facile scoprire il successore più capace.
Anche un governante abile come Cromwell credette che non vi fosse
persona più indicata di suo figlio a succedergli come Lord Protettore;
e il risultato fu un fallimento completo e quasi immediato. Il
tentativo di Napoleone di fondare una dinastia bonapartista fu un
ridicolo fallimento. Una dinastia può scegliere un'altra dinastia,
come quando i gallesi Tudor scelsero gli scozzesi Stuart a governare
l'Inghilterra; ma il quarto re Stuart era uno stupido e fu
detronizzato da un olandese che aveva sposato sua figlia.
Bisogna fare piazza pulita con la tradizione dell'ereditarietà. Basta
studiare le vite, non dei grandi uomini, ma dei loro padri, madri,
figli e figlie, per imparare che l'abilità politica si eredita in
quantità così infinitesimali, che una persona straordinaria può
generare figli del tutto normali, mentre una coppia comunissima può
produrre un genio. In clima di democrazia si dovrebbe partire tutti da
quota zero, senza tener conto delle parentele illustri. Le nostre idee
attuali in proposito sono disordinate e incoerenti. La proposta di
rendere ereditaria la Presidenza degli Stati Uniti scandalizzerebbe
gli americani; e tuttavia per loro è naturale che l'amministrazione di
un'impresa debba andare dal padre al figlio. Noi non ci sogneremo mai
di permettere al re di stabilire che cosa la nazione dovrà fare dieci
anni dopo la sua morte; tuttavia permettiamo che i cittadini diano per
testamento disposizioni fantastiche, ingiuste, bigotte e
dispettosamente malvagie da attuarsi nei riguardi delle loro proprietà
dopo la loro morte, e attribuiamo a questi testamenti valore di legge.
Noi non conferiamo a un uomo la carica di giudice per il fatto che suo
padre era giudice, né gli diamo un diploma di chirurgo perché suo
padre era chirurgo, né lo mettiamo al comando dell'esercito perché suo
padre era Maresciallo. Un secolo fa gli ufficiali dell'esercito (ad
esempio Burgoyne e Wellington) reclamavano le promozioni come un
privilegio da acquistare contro pagamento e riservato al loro rango di
aristocratici, e avrebbero considerato una richiesta basata su di un
onorato e fortunato servizio come la pretesa di un presuntuoso; oggi
invece ogni altra richiesta cadrebbe nel ridicolo perché farebbe
l'effetto di una pretesa da snob. Queste incongruenze e contraddizioni
costituiscono gli imprevisti di una società non perfettamente
organizzata, nella quale, in mancanza di un superiore controllo sulla
proprietà, bisogna permettere alla gente di disporne come meglio le
aggrada. Poiché l'organizzazione sociale progredisce e si sviluppa, e
gli affari che ora sono privati si vanno vieppiù trasformando in
pubblici affari, le nostre attività e libertà personali verranno
limitate da condizioni quali ora neppure ci sogniamo. Ad esse non
tarderemo ad abituarci; e intanto, se non ci garbano, dobbiamo fare
buon viso a cattiva sorte.
Dal momento che dobbiamo affidare l'autorità a coloro che sono capaci
d'usarla, se vogliamo salvare la civiltà, la nostra tradizione pseudo-
democratica di governare mediante comitati e relative maggioranze si
scontra col fatto che il criterio della maggioranza non è conforme
alla natura delle cose; i governanti capaci sono infatti sempre una
minoranza, sebbene la natura, purché non ostacolata, ne produca
abbastanza da consentire una buona scelta. Il criterio maggioritario
distrugge inoltre la responsabilità. Un uomo di Stato che accetta di
ricoprire una carica pubblica a condizione di essere processato ed
eventualmente fucilato se fallirà, o almeno rimosso dall'incarico e
discreditato, è veramente un ministro responsabile. Ma un ministro che
deve fare soltanto ciò di cui riesce a persuadere una maggioranza di
Parlamento o di Comitato, non ha alcuna responsabilità; né alcun altro
può essere responsabile in sua vece, poiché le maggioranze non possono
essere fucilate se non con il loro consenso, né possono essere
degradate, poiché non hanno grado.
Una delle migliori descrizioni di questo stato di cose si trova
nell'autobiografia di Adolf Hitler intitolata "Mein Kampf". Quando nel
1919 egli cominciò il suo lavoro di organizzazione del nazional-
socialismo in Germania all'età di 30 anni, si trovò a essere membro di
un comitato di sei sconosciuti, il cui patrimonio collettivo non
arrivava a uno scellino. Essendo del tutto privi di responsabilità,
essi non potevano fare altro che discutere tra di loro. L'esperienza
fatta da Adolf in sei anni di vita militare gli aveva insegnato che
gli uomini non possono diventare efficienti e attivi se non si combina
l'autorità con la responsabilità, e ciò non è affatto possibile in un
Governo di maggioranza: è questo un fatto che noi ci nascondiamo con
il semplice e familiare espediente di chiamarlo Governo responsabile
anziché irresponsabile. Il Fhrer non si fece ingannare da questa
fandonia: una dura esperienza e la sua abilità di farne tesoro gli
avevano insegnato qualcosa di meglio. Quando fu fatto presidente di un
comitato, si guardò bene dal partecipare alle riunioni, e mentre gli
altri parlavano badò a lavorare. Quando diventò capo del movimento per
i suoi meriti personali (o demeriti, se vi è antipatico) e dovette
organizzare uno Stato Maggiore, dette ai suoi aiutanti autorità
militare e li considerò militarmente responsabili dell'uso che ne
facevano. Quando con questo metodo riuscì a diventare in 14 anni, da
oscuro e ultimo adepto di un piccolo gruppo di sei persone, capo
ufficiale di 60 milioni di tedeschi e Cancelliere a vita del Reich
germanico, continuò la sua propaganda orale facendo di tempo in tempo
dal Reichstag discorsi radiodiffusi a 60 milioni di persone, ma non
era il Reichstag che governava: l'autorità e la responsabilità erano
del Fhrer; e nelle sue mani e sulle sue spalle vi erano realmente
autorità e responsabilità. Dopo cinque anni quei 60 milioni ancora lo
adoravano e lo fecero Comandante in Capo di tutte le loro forze
combattenti.
Prendiamo questo esempio di vita contemporanea come il punto estremo a
cui si possono spingere in pratica l'autorità e la responsabilità.
L'estremo opposto è rappresentato dal Parlamento britannico in tempo
di pace, quando l'autorità, la responsabilità e l'attività sono
ridotte al minimo, e dove occorrono trent'anni per fare il lavoro di
quindici giorni, a meno che una guerra non obblighi il Parlamento ad
abbandonare il sistema dei partiti e si facciano allora sforzi
disperati per compiere trent'anni di lavoro in una quindicina. Il
nostro problema è di trovare la via di mezzo più conveniente fra
questi due estremi.
Dobbiamo respingere il piano di Hitler, poiché, sebbene abbia successo
nell'esercito, dà a un uomo più autorità e responsabilità di quanta ne
possa sopportare. Se costui è debole, si lascia corrompere dal suo
stesso potere: se è forte, esso gli dà alla testa, e come Alessandro,
Hitler e Napoleone egli cerca allora di sottomettere il mondo al suo
dominio, diventando in tal modo nel peggiore dei casi un tiranno e un
flagello, e nel migliore un esploratore e un avventuriero come Giulio
Cesare o Guglielmo il Conquistatore. Quante più conquiste, avventure
ed esperimenti sociali egli intraprende, tante più autorità egli deve
delegare e distribuire, per l'impossibilità di essere dovunque e di
occuparsi di tutto. I suoi sottocapi diventano allora corrotti o
pazzi; da ultimo, il sistema diventa intollerabile, provoca una
rivoluzione o una reazione libertaria in senso anarchico, e non ha
importanza che il capo supremo sia Cromwell, Luigi quattordicesimo, il
Kaiser oppure il signor Hitler. Le scope scopano bene quando sono
nuove; ma quando sono consumate, la sporcizia si accumula come nelle
stalle di Augia.
Quali precauzioni si possono prendere contro un simile stato di cose?
Ovviamente, tanto per cominciare, eleggere e rieleggere governanti per
periodi abbastanza brevi da far sì che essi non si dimentichino di
dipendere dalla sottomessa approvazione dei sudditi. Prendete il caso
del Presidente degli Stati Uniti d'America. Sebbene il suo incarico
fosse stato creato dal successo della rivoluzione contro la tirannia
del Governo inglese personificata in re Giorgio terzo, gli venne
tuttavia data, in base a principi schiettamente hitleriani,
un'autorità molto più assoluta di quella che ebbe mai re Giorgio.
Neanche una sconfitta in seno a un Comitato o al Congresso può
spodestarlo. La descrizione che Byron fa di Giorgio terzo come di «un
povero matto cieco» e di «un vecchio re disprezzato» non è molto
applicabile a lui. Se qualche suo provvedimento non è costituzionale,
si ricorre alla Corte Suprema. In alcune questioni egli deve ottenere
il consenso di almeno i due terzi del Senato, il quale fra l'altro
deve per esempio approvare la scelta dei ministri che formano il suo
consiglio. I singoli Stati dell'Unione hanno governatori che sono
forniti di analoghi poteri e restrizioni, che sono analogamente
responsabili e vessati dal Parlamento, guardati con fiducia, ma anche
con sfiducia, liberi da restrizioni per quanto riguarda religione,
sesso e colore, ma sottoposti a certe limitazioni in fatto d'età e di
nazionalità, nonché di luogo e durata di residenza. Tutto sommato, uno
strano miscuglio di precauzioni contro la tirannia con misure atte a
garantire la sicurezza della legge e dell'ordine.
In futuro dovremo impegnare di più la nostra intelligenza nel redigere
la nostra Costituzione. Bisogna gettare nella pattumiera la nostra
idolatria per il Parlamento e i nostri "slogans" sulla libertà inglese
e americana e sul fatto che "i britannici non sono mai stati schiavi".
Allora scopriremo che ciò di cui abbiamo bisogno non è soltanto
riformare il nostro vecchio Parlamento, ma crearne di nuovi. Le
decisioni politiche non devono essere capricci o fobie di uomini resi
pazzi dalla loro autorità assoluta come Nerone e lo zar Paolo (per non
citare esempi più recenti), contro i quali non c'è niente da fare
finché la guardia del corpo o i cortigiani stessi non s'incaricano di
assassinarli. Abbiamo bisogno di Consigli comunali, Consigli
professionali, Consigli industriali, Consigli di cooperative dei
consumatori, Consigli finanziari, Consigli scolastici; di Consigli che
facciano progetti e servano di coordinamento, così come di congressi
parlamentari (a intervalli non troppo frequenti) per discutere dei
mali nazionali e prendere in esame le eventuali proposte del signor
Ognuno. Questo è ciò che è accaduto nella ultrademocratica Russia
sotto le inesorabili necessità della natura umana e delle circostanze.
Il sistema russo non si discosta fondamentalmente dal nostro in senso
rivoluzionario. Noi siamo governati più dai sindacati operai, dalle
società cooperative, dalle associazioni professionali di dottori e
avvocati, dalla magistratura, dai comitati del Consiglio Privato,
dalla burocrazia e da Consigli di ogni genere, che non dal Parlamento.
Il Ministero del Tesoro dirige la Borsa in modo molto più costante ed
efficace di quanto non faccia la Camera dei Comuni; analogamente il
Ministero degli Esteri dichiara la guerra e ci manda in trincea senza
consultare il Parlamento, che viene avvertito semplicemente il giorno
dopo, come accadde nella Guerra dei Quattro Anni, o con un'ora di
ritardo, come nella guerra attuale, di quanto è stato fatto
irrevocabilmente dietro le sue spalle. L'abdicazione di re Edoardo
ottavo fu preparata e portata a termine senza che ne venisse fatta
parola alla Camera dei Comuni o agli altri organi costituzionali. I
funzionari delle prigioni impediscono al pubblico di visitare le
carceri, e hanno la facoltà di renderle a loro piacere molto più
crudeli dei campi di concentramento, come avviene ad esempio per la
prigione di Dartmoor.
Una trasformazione del nostro sistema in quello russo non sarebbe
affatto un mutamento per quanto concerne la molteplicità degli organi
governativi. Tali organi non possono essere aboliti; essi sono
necessari e dovrebbero essere controllati e coordinati nell'interesse
del benessere generale, e composti di persone competenti e
responsabili. Attualmente essi non sono che un groviglio di
vegetazioni bizzarre, spesso impopolari perché non sempre all'altezza
dei tempi, vengono diretti da uomini politici di partito, e
amministrati da imbecilli tirannelli, da ignoranti, o da incurabili
parassiti che sono virtualmente inamovibili. Ma questo stato di cose
non è poi irrimediabile. In Russia gli organi governativi vengono
epurati e i negligenti «liquidati» (vale a dire anche fucilati nei
casi gravi) senza por tempo in mezzo, quando sono colti in fallo. Ciò
che fanno i russi possiamo ben farlo anche noi.
Competenza, responsabilità e coordinamento si dimostrano urgentemente
necessari tanto nelle associazioni volontarie e nelle imprese
commerciali quanto negli affari di Stato. Gli Stati capitalisti,
fascisti e comunisti ne hanno egualmente bisogno, sebbene soltanto
nello Stato comunista sia possibile impedire l'opera di corruzione
esercitata dagli interessi privati. In ogni modo l'istituzione di
simili organi è necessaria, e non comporta affatto un catastrofico
capovolgimento di tutte le istituzioni esistenti. La gente per bene,
che è portata spesso a credere perfette le istituzioni nazionali per
il solo fatto che sono quelle della patria beneamata, non si
accorgerebbe quasi del mutamento. Al massimo ripeterebbe il proverbio
francese: «quanto più si cambia, tanto più le cose rimangono le
stesse». I sognatori di «nuovi mondi» non dovrebbero dimenticarlo; e,
se lo dimenticano, si espongono a una forte delusione.
Poiché questa esigenza non è nuova, e suppone un sistema di educazione
e un sistema di cernita basato su determinate qualifiche, ci si potrà
chiedere perché la tradizione liberale si opponga tanto aspramente a
qualsiasi forma di qualifica (speciale) restrittiva che da qualche
secolo a questa parte s'è cercato piuttosto di abolire quelle
esistenti che non di rafforzarle o crearne altre.
La risposta è che tali qualifiche sinora non hanno affatto giovato ad
assicurare l'uguaglianza di opportunità e a lasciare «la carriera
aperta agli uomini d'ingegno»; condizioni queste entrambe essenziali
alla democrazia. Alcune di esse erano veramente insulse; per esempio
il requisito dell'appartenenza alla Chiesa d'Inghilterra per i membri
del Collegio dei Medici. Il re d'Inghilterra deve essere protestante,
e deve esplicitamente ripudiare, all'atto dell'incoronazione, la
Chiesa Romana e implicitamente tutti gli altri credi orientali,
sebbene la maggior parte dei suoi sudditi siano ebrei, musulmani,
indù, buddisti, cattolici romani, atei o agnostici, e ciascuno di
questi consideri gli altri come eretici, pagani e idolatri.
Gli ebrei e gli atei una volta erano esclusi dal Parlamento inglese. I
comuni sacerdoti della Chiesa d'Inghilterra sono esclusi dalla Camera
dei Comuni, sebbene i suoi prelati siedano alla Camera dei Lords.
Tutta la questione diventò così assurda che l'abolizione dei requisiti
e l'apertura di tutte le professioni e delle pubbliche carriere ai non
conformisti, ebrei, atei e settari di ogni sorta, purché non fossero
veri e propri criminali come i Thugs e i cultori di Vudu, mise
profonde radici nel programma liberale.
Sfortunatamente la reazione contro i requisiti religiosi ha prodotto
un movimento anticlericale che sta diventando altrettanto assurdo
quanto i requisiti religiosi. In Russia, soltanto gli atei dichiarati
sono ammessi al partito comunista (l'unico tollerato), che è quello
che in realtà elegge i Sovieti. Non vi è nulla di nuovo in questa
esclusione: è il sistema della Chiesa cattolica e di tutte le Chiese.
Ne è derivato che il partito comunista russo, avendo per fine la
completa eliminazione del potere temporale del clero, è diventato esso
stesso un clero. Per eliminare l'ortodossia, ha istituito la più
intollerante ortodossia del mondo. Per sbarazzarsi degli ordini
religiosi ha fondato la Lega dei Senzadio, con medaglie ed emblemi
simili a quelli dei Sette Dolori o del Sacro Cuore: capita di vederne
in Russia più frequentemente che non scapolari in Irlanda. L'Europa,
dopo essersi spinta dall'Età della fede all'Età dello scetticismo
scientifico e dell'Umanesimo, trova ora che nulla può salvare la sua
civiltà se non una nuova fede democratica, intollerante non soltanto
verso i credi rivali, ma anche verso i partiti rivali. La
conservatrice Inghilterra, convinta dalle argomentazioni di Macaulay,
non solo emancipò gli ebrei ma fece un ebreo Primo Ministro. Ma la
Germania, trasformando il liberalismo in nazional-socialismo sotto
direzione proletaria, è giunta non soltanto a perseguitare gli ebrei,
ma a sterminarli.
Accade sempre così. Il liberalismo popolare, che è in pratica una
anarchia sorvegliata, caccia il Governo fuori dalla porta, per vederlo
poi rientrare dalla finestra. I re dispotici e gli zar sono
rimpiazzati da Primi Ministri, Capi, Dogi e Duci, che hanno mignoli
più grossi dei lombi dei monarchi.
Il liberalismo e il libero pensiero, ben lungi dal trovare il loro
culmine e il loro trionfo finale nel socialismo, perderanno le prime
battaglie contro la dittatura del proletariato. Ma essi non sono
ancora morti. Sono soltanto in una trance catalettica, e risorgeranno
poderosamente quando il socialismo produrrà quell'agiatezza senza la
quale non esiste vera libertà, e quando la gente, giunta a viver bene
con sole ventiquattro ore di lavoro la settimana, chiederà libertà di
iniziativa e libertà di pensiero.
Tralasciamo ora per un momento la democrazia e torniamo a esaminare i
Parlamenti nella forma in cui esistono oggi in Inghilterra.
4.
I PARLAMENTI DEI POVERI
Vi descriverò adesso una scena tipica, alla quale io stesso presi
parte.
Una delle mie prime esperienze quale membro del consiglio di una
parrocchia di Londra, che regolava la vita civica di un quarto di
milione di persone, fu una seduta nella quale si dovevano stabilire le
tasse per il corrente anno. Il comitato incaricato della finanza ci
presentò un bilancio del costo dei pubblici esercizi e la tassa
necessaria per coprirlo. Io, che ero nuovo a tali cose, mi aspettavo
naturalmente che questa appunto dovesse essere la tassa proposta dal
comitato. Invece no: mentre la tassa necessaria era di 14 pence per
sterlina di reddito, la tassa proposta era di uno scellino (dieci
pence). Poiché non veniva data alcuna spiegazione di questo deliberato
passo versa l'insolvenza, proposi un emendamento perché la tassa fosse
di 14 pence. L'effetto fu spaventoso. Un vecchio parrocchiano barbuto,
che sedeva vicino a me, si mise a piangere come un bambino, e mentre
le sue lacrime cadevano rapide sul tavolo mi rimproverò di non avere
alcuna pietà per i poveri. I membri che versavano in men peggiori
condizioni finanziarie mantennero un tetro silenzio. Essi sapevano che
io avevo perfettamente ragione; ma votarono contro di me in modo così
unanime, che non mi immischiai mai più nella questione delle tasse,
aspettando che giungesse anche per loro, prima o dopo, il giorno del
giudizio.
Venne abbastanza presto. Fu approvata una legge sulle amministrazioni
locali che trasformò la parrocchia in un Consiglio Municipale, e ci
obbligò a far rivedere i nostri conti dal Consiglio Amministrativo
locale invece che da noi stessi. Venne così a galla che il nostro
conto corrente in banca era in passivo di 70000 sterline; il nuovo
revisore, senza nemmeno dire «se avete lacrime, preparatevi a
spargerle», ci ordinò di pagare immediatamente la somma imponendo una
tassa che ci avrebbe seriamente compromessi alle prossime elezioni.
Non ricordo come fosse sistemata la questione, perché in quel periodo
di tempo ero lontano. Credo comunque che le nostre umili suppliche
poterono farci guadagnare abbastanza tempo da rateizzare il sacrificio
nello spazio di qualche anno. Ciò non toglie che la tassa crebbe d'un
salto di sei pence per sterlina; e i "candidati dei contribuenti"
furono spazzati via nella successiva elezione.
Ora, questo problema delle tasse era così semplice, che sarebbe
assurdo voler concludere che la differenza tra il mio modo di agire e
quello del mio barbuto collega che si mise a piangere e si adirò
contro di me fosse la differenza tra un'alta intelligenza politica e
una relativamente bassa. Egli non sapeva scrivere commedie e libri; ma
sapeva quanto me che uno scellino non può comprare merci che valgano
14 pence. La differenza era che lui era un povero diavolo che viveva
in uno stato di cronica ristrettezza pecuniaria, mentre io ero una
persona ricca, e non mi occupavo in pratica della questione delle
tasse, se non in quei pochi momenti in cui, una volta l'anno, firmavo
l'assegno relativo senza neanche preoccuparmi di guardare a quanto
ammontava. Se fossi stato povero come lui avrei senza dubbio pianto e
votato come lui. Ne trassi pertanto la conclusione che se il requisito
di possedere un reddito annuo di mille sterline fosse stato richiesto
tanto per i membri del consiglio quanto per i votanti, il consiglio di
parrocchia sarebbe stato perfettamente solvibile, più efficiente e
molto meno alla mercè dei suoi funzionari, che lo detestavano e
consideravano le riunioni come una seccatura che avrebbe dovuto
ridursi a due volte l'anno o anche meno. Gli stessi membri che
sedevano silenziosi in attonito assentimento, quando dovevano votare
un conto di 20000 sterline per macchine elettriche, avevano il
coraggio di prolungare le sedute per una notte intera per discutere
furiosamente intorno a un conto di tre scellini e sei pence sotto la
voce "rinfreschi".
Soltanto assemblee di persone libere da preoccupazioni economiche,
scelte da elettori ugualmente sicuri della loro posizione finanziaria,
offrono quella garanzia di immaginazione e di audacia che sono
indispensabili per l'amministrazione del denaro pubblico ai nostri
tempi.
E non si creda che il Parlamento sia libero dal timore della povertà
per il semplice fatto che per la maggior parte dei suoi membri la
somma di cento sterline rappresenta una spesa minore che non cinque
sterline per il contribuente medio. In regime capitalista
l'indipendenza è una conseguenza della povertà proletaria. Attualmente
i giornali stanno pubblicando bilanci familiari nei quali le entrate
sono di quaranta scellini e il solo affitto di quattordici. Però tutte
le lagnanze riguardano l'esiguità dei guadagni, non l'enormità di
quanto di essi viene confiscato dal padrone di casa per mezzo del suo
esattore, che è appoggiato dagli ufficiali giudiziari, dalla polizia,
e dall'intero esercito, marina e aviazione britannica, se l'affitto
non viene pagato. Ogni acquisto fatto con i rimanenti scellini deve
servire a compensare l'affitto che il venditore deve pagare a sua
volta.
La ricchezza dei membri del Parlamento e dei pari consiste in quei
quattordici scellini più la differenza tra i salari dei lavoratori e i
prezzi che i datori di lavoro ottengono per i prodotti.
I legislatori possono guarire la povertà dei loro elettori soltanto
rovinando se stessi, a meno di non possedere il genio industriale
necessario ad aumentare la produttività del lavoro in maniera tale da
prendere due piccioni con una fava. Quando in questo campo tutto è
stato tentato, non resta al proletariato che la scelta fra la
schiavitù, mitigata soltanto dagli artifici usati per tenere in vita
la gallina che fa le uova d'oro, e un completo capovolgimento politico
che stabilisca la dittatura del proletariato.
Nello stesso tempo i ricchi temono la povertà ancor più dei poveri,
che vi sono ormai abituati. Anche i milionari non possono mai essere
sicuri che un giorno non morranno poveri. Le loro rendite possono
essere ridotte a zero da una bancarotta, da scoperte e invenzioni, o
anche, quando i loro beni sono investiti in titoli di Stato, dalle
enormi tasse e dall'inflazione causate dalle guerre moderne. Questo
timore li obbliga a una continua preoccupazione per i loro interessi
privati, mentre una perfetta onestà nei pubblici affari equivarrebbe
al suicidio. Ricchi e poveri hanno preoccupazioni comuni e interessi
opposti.
Questo è il risultato della plutocrazia; il rimedio è la democrazia.
Abbiamo appena visto che nei nostri Parlamenti centrali e locali
dominati dalla plutocrazia e dalla povertà (che i matematici
potrebbero chiamare plutocrazia negativa), la democrazia è
inevitabilmente sconfitta. Esaminiamo ora la questione più a fondo.
5.
DEMOCRAZIA: UN PASSO AVANTI
La maggiore difficoltà che si opponga alla sua realizzazione consiste
nel credere che, per attuarla, sia necessario dare il voto a tutti,
ciò che costituisce invece l'unico metodo sicuro per distruggerla. Il
suffragio universale la uccide. Le persone di alta levatura morale e
mentale la desiderano; ma esse sono in trascurabile minoranza nelle
sezioni elettorali. Il signor Ognuno, come Voltaire lo chiamò (e noi
dobbiamo ora aggiungere la signora e la signorina Ognuno), ha il
terrore di esser governato, un'intensa ripugnanza a essere tassato e
una forte avversione a ricevere ordini da un funzionario governativo,
anche quando in caso contrario rischia di essere reso schiavo e
spogliato dei suoi averi da gente sua pari, priva di responsabilità e
autorità. La sua mente, quando riesce a oltrepassare la cerchia
ristretta dei suoi affari personali e familiari, è piena del
romanticismo della guerra vista da un punto di vista cavalleresco, e
la sua immaginazione si lascia trasportare dall'adorazione del suo
oratore favorito o di famosi capitani di terra e di mare, che hanno
ucciso il maggior numero di stranieri. Egli è favorevole a qualsiasi
legge negativa che si frapponga tra lui e il potere dello Stato: alla
Magna Carta, all'Habeas Corpus, alla libertà di parola per se
medesimo, per il giornale e per le pubbliche adunanze del suo partito,
concessioni che egli estende con riluttanza anche agli altri a patto
che essi condividano le sue idee e le sue preferenze; ma un semplice
accenno a qualsiasi legislazione positiva fa sì che lui e i suoi
innumerevoli simili si precipitino a votare contro. Si può governarlo,
soltanto ingannandolo fin dall'inizio. E' stato quindi sempre
necessario ingannarlo più o meno; ma al momento di rendere il
Parlamento realmente rappresentativo, il diritto di voto di cui egli
dispone ha reso la democrazia impossibile ad attuarsi. Nonostante
tutti i suoi pregiudizi, le sue superstizioni e le sue romantiche
illusioni, egli si conosce troppo bene per votare per se stesso. Ciò
non toglie che egli si risentirebbe se gli fosse tolto il diritto di
voto. Rimane da vedere fino a qual punto i veri democratici possono
ingannarlo fino a farlo votare per la propria emancipazione.
Nel 1920 Sidney e Beatrice Webb, le nostre massime autorità in
materia, dimostrarono in modo molto convincente, in un libro
intitolato "Progetto di costituzione per la comunità socialista", che
un unico Parlamento, anche se non infestato dai partiti, non può
governare una civiltà complicata come la nostra. L'uomo che sa fare
tutti i mestieri non è esperto in niente. I Webb proposero la
creazione di due Parlamenti: l'uno politico e l'altro sociale. Gli
argomenti e i fatti da essi addotti erano incontestabili: di
conseguenza il problema fu risolto, come di consueto, non facendo
alcuna attenzione alla loro proposta. Ora è facile ignorare un libro o
i suoi autori; se non fosse che i fatti rimangono, l'affare sarebbe
bell'e chiuso. Ma se i fatti sono ignorati troppo a lungo, le cose
cominceranno ad andar male. E uno dei fatti è che se tutti i problemi
sociali, politici, commerciali, culturali e artistici sono
amministrati da un solo organismo, e il voto per l'elezione di tale
organismo deve essere perciò un voto onnivalente dato ogni cinque anni
o giù di lì dal signor Ognuno, questi ha diritto di essere compatito.
Immaginate la sua perplessità in una elezione generale! «Sono stato
appena convinto da un candidato del partito laburista» egli dice «che
se le miniere saranno nazionalizzate potrò comperare il mio carbone a
metà del prezzo che pago ora. Ma egli ha promesso al mio vicino Smith
che voterà per la revisione del Libro delle Preghiere; ora questo non
potrei sopportarlo: per me è basso ateismo. Il candidato conservatore
mi dice che difenderà fino alla morte il Libro delle Preghiere; ma
egli è proprietario di metà di una miniera di carbone nel Durham e non
vuol sentir parlare di ribasso dei prezzi del carbone. Mi dicono che
egli sia un anglicano cattolico, il che è per me poco meglio che un
cattolico della Chiesa del papa; perché io, grazie a Dio, sono un
inflessibile protestante. Sono d'accordo con tutto ciò che dice il
candidato liberale sulla libertà e sulla necessità di sbarazzarsi di
tutti questi asfissianti ispettori che vengono a interferire nei miei
affari con i loro regolamenti, il controllo governativo e altre cose
del genere; ma egli è un repubblicano e ha la sfrontatezza di dirlo;
io sono invece per il re e la Nazione. L'indipendente sembra essere il
più simpatico di tutti; ma vuol fare una pace negoziata e renderci
tutti schiavi di Hitler. Inoltre non ha alcuna probabilità contro gli
uomini di partito, e a me non garba che il mio voto vada sciupato.
L'altra volta c'era un comunista, ma ci rimise il suo deposito
elettorale. Robinson votò per lui, ma vi assicuro che aveva l'aria di
un pazzo. Per fortuna questo è un paese libero e non sono costretto a
votare se non ne ho voglia. Così non voterò affatto. Al club ognuno
crederà che abbia votato per il suo candidato. In ogni modo queste
elezioni sono una bella turlupinatura; i candidati ottengono i nostri
voti promettendoci una determinata cosa, e appena sono eletti fanno
proprio l'opposto. Guardate la storia della parità aurea! Guardate la
"pace con onore" di Monaco! Puh!».
La proposta dei Webb sistemerebbe il Libro delle Preghiere, le miniere
di carbone e molte altre questioni, in scompartimenti separati; ma il
successo avuto dal nuovo sistema sovietico in Russia ci convince che
la soluzione del problema va al di là del progetto dei due Parlamenti.
Il signor Ognuno in Russia può dividere i suoi voti tra una dozzina di
organismi governativi; i candidati sono persone che egli conosce e i
cui figli potrebbero sposare le sue figlie o viceversa senza
degradarsi. Il signor Ognuno inglese crede di essere governato
soltanto da due autorità: la Camera dei Comuni, eletta dal suo voto, e
la Camera dei Lords, che egli spera sarà presto abolita, sebbene
quest'ultima lo rappresenti in fondo assai meglio, dato che nasce
anch'essa per caso come lui. In realtà egli è governato da altrettante
autorità quante ne esistono in Russia: dal suo Sindacato o
Associazione professionale, dalla sua Società Cooperativa, dalla sua
Federazione di datori di lavoro, dalla sua Chiesa, dai suoi banchieri,
dai suoi imprenditori e dai suoi padroni di casa. La maggior parte di
questi organismi esercita su di lui un potere (praticamente senza
alcuna responsabilità) quale nessun Ministero responsabile
pretenderebbe di avere. L'uomo qualunque può essere privato del suo
impiego ed essere gettato sulla strada a morire di fame o a vivere di
sussidi forniti dal suo datore di lavoro, senza una ragione plausibile
o un utile rimedio. Il medico può essere inabilitato e rovinato,
l'avvocato espulso dai ruoli, il prete o il parroco interdetto,
l'agente di cambio o lo speculatore espulso dalla Borsa, se si oppone
a regolamenti per i quali non gli è stato mai chiesto il consenso.
Egli non può essere registrato quale membro di nessuna professione o
mestiere qualificato, a meno che non sottostia a esami e a corsi di
apprendista, sui quali non ha alcun controllo. Le dittature
commerciali e professionali tengono ben poco conto delle sue
aspirazioni di libertà; esse lo tassano e lo controllano a ogni passo;
tuttavia, ogniqualvolta qualcuno propone di mettere questi controllori
sotto il controllo dello Stato, egli urla che gli stanno distruggendo
la sua libertà. Grida come un'oca spennata che non vuol diventare a
nessun costo schiavo, perché, non avendo esperienza della vera
libertà, non sa che cosa sia.
Non bisogna però prendersela col moltiplicarsi delle autorità; al
contrario quante più autorità separate e specializzate esistono, tanto
più è possibile passare dal ridicolo principio «Ogni uomo, un voto»
del sistema dei partiti all'ideale democratico «Ogni questione, un
voto». Ma bisogna che vi sia qualche pubblico controllo delle
autorità, per garantire il benessere della comunità contro le
scandalose tirannie che si generano quando manca ogni controllo. E se
la democrazia vuol essere un principio centrale deve avere un organo
centrale. L'organo può avere un centinaio di registri, ognuno con la
sua separata fila di canne; ma qualcuno deve suonare l'organo; e
sebbene il signor Ognuno possa essere del tutto incapace di usare la
tastiera, tuttavia chiunque la maneggi deve suonare musiche che
piacciano al signor Ognuno, altrimenti un giorno o l'altro egli
romperà l'organo, ucciderà l'organista e morrà per fame di musica, a
meno che non abbia la pazienza di aspettare che venga costruito un
nuovo organo e che sia stato trovato un nuovo organista, col rischio
di averli poi nettamente inferiori a quelli di prima. Se il signor
Ognuno si costruisce da solo un organo e si prova a suonarlo lui, sarà
certamente peggio. Se poi non viene consultato in proposito, e non gli
piace la musica, il nuovo organo farà la stessa fine di quello
vecchio. Esiste qualche sistema per uscire finalmente da questo vicolo
cieco?
Certo che esiste. Ma prima di inculcarlo nella testa del signor Ognuno
devo sgombrarla da molti rifiuti per farvi posto. E per cominciare
devo rendere giustizia a quel signore. In un recente romanzo di H. G.
Wells, il signor Ognuno è rappresentato da un certo signor Albert
Edward Tewler. In una mia recente commedia la signora Ognuno è
rappresentata da una certa signorina Begonia Brown. Ambedue
appartengono alla piccola borghesia. Tewler è un uomo di vedute
ristrette e un idiota ignorante, per i cui poteri di comprensione
Kentish Town è già troppo grande. Begonia ha vinto premi alla scuola
della contea e ha un enorme concetto di se stessa; ma il suo ardente
patriottismo consiste nell'essere pronta a morire in difesa della sua
nativa Camberwell contro Peckham. (I londinesi capiranno da questo chi
siano Tewler e Begonia; ma per gli altri devo spiegare che Kentish
Town, Camberwell e Peckham sono soltanto sobborghi confinanti fra di
loro della stessa metropoli.) Begonia diventa la prima donna che
assuma la carica di Primo Ministro, ma troppo tardi per figurare nella
commedia in tale veste.
Ora, non è certamente vero che tutti gli abitanti di Londra, e tanto
meno quelli delle isole britanniche, debbano essere altrettanti Tewler
e altrettante Begonie. L'intelligenza del signor Wells è certamente
più grande di quella di Tewler, e quella di Bernard Shaw più
cosmopolita di quella di Begonia. Dietro a Wells e a Shaw esiste una
considerevole categoria di persone abbastanza intelligenti da comprare
i loro libri e divertirsi alla loro lettura, o almeno criticarli. Esse
formano attualmente soltanto una "intellighentzia"; ma sono il nucleo
germinale di una vera aristocrazia, il cui avvento è ormai prossimo.
Siccome costoro però sono molto meno numerosi dei Tewler e delle
Begonie aventi diritto di voto, e sono da loro incompresi, sospettati,
temuti e odiati, mentre d'altra parte vengono disprezzati quali
intellettuali nei più ricchi quartieri commerciali e tollerati dalla
"crema" della società solo come servi di categoria superiore e geni
divertenti ("giullari di società") purché non si occupino di politica,
è impossibile che siano eletti a posizioni di responsabilità nei
pubblici affari.
Poiché inoltre la loro capacità permette loro di guadagnare bene e di
farsi una posizione agiata lavorando per se stessi, essi sono indotti
a stare alla larga dalle agitazioni popolari e dalla sporcizia della
politica e a formare una aristocrazia privata, lasciando che il
proletariato sofferente e la plutocrazia politicante vadano a farsi
benedire insieme. Così, mentre nelle strade di Parigi e di Pechino
venivano esposti a scopo di edificazione del popolo criminali
torturati sulla ruota o tagliati in mille pezzettini, le più eleganti
raffinatezze della civiltà venivano godute dall'"intellighentzia"
francese del diciottesimo secolo e dai mandarini cinesi del
diciannovesimo. Sebbene da noi oggi non si pongano più sul lastricato
del cortile della prigione le persone indiziate che si rifiutano di
rispondere alle contestazioni mosse contro di loro, come fanno spesso
i membri dell'esercito repubblicano irlandese, e non si ammucchino più
su di loro dei pesi finché muoiano o acconsentano a parlare, e sebbene
quando condanniamo un prigioniero a ricevere novanta frustate gliene
diamo dieci col gatto a nove code, tuttavia il nostro codice penale è
ancora orribilmente crudele e spietato e potrebbe essere chiamato
addirittura brutale e barbaro se si riscontrasse in qualche animale o
in qualche tribù primitiva la colpa di mantenere istituzioni simili
alle prigioni di Dartmoor o di Mountjoy. Tredici anni a Dartmoor sono
molto più crudeli di una tortura sulla ruota; ma poiché ciò avviene
lontano dagli occhi degli intellettuali, essi possono permettersi di
ignorarlo. E infatti lo ignorano. Vi è soltanto un pubblico servizio
che li obbliga a entrare in contatto con questo stato di cose: il
servizio di giurato. Come membro dell'"intellighentzia", anch'io
dovetti assoggettarmi a questo servizio fintanto che non fui colpito
dai limiti d'età. Ben lungi dal pretenderlo come un diritto, cercai
ogni artificio per tenere il mio nome lontano dalla lista dei giurati,
e in questo fui fortunato. Così facendo fui senza dubbio un perfetto
rappresentante della mia classe.
Nulla impedisce agli intellettuali di prender parte alla vita politica
della nazione; soltanto essi sono troppo ansiosi di starne fuori. Di
tanto in tanto qualche famoso assassinio li induce a fare schizzinose
proteste contro la pena capitale; ma appena il ministro degli Interni
è indotto a sospendere la condanna e pone l'assassino in salvo a
Dartmoor o in qualche simile posto infernale, essi si ritengono
soddisfatti e il caso viene dimenticato per sempre dai giornali.
Lo slancio evolutivo però non va soggetto al suffragio universale.
Esso specializza una parte degli intellettuali per gli affari pubblici
così come specializza altre persone per la poesia, la pittura, la
musica, il diritto, la medicina, la religione, il combattimento, lo
sport e il delitto. Da Confucio e Lao Tse, Socrate e Platone, Gesù,
Budda e Maometto, Marx, Engels, Bentham, Richard Wagner, Ruskin,
Morris, Stuart Mill, i Fabiani, Lenin, Trotsky e Stalin, la
successione apostolica dei rivoluzionari non si è mai interrotta. Ma
sebbene essi abbiano governato città per breve tempo come Calvino a
Ginevra, il mutamento è stato soltanto nominale: i nuovi Governi sono
altrettanto brutali dei vecchi. Gli adoratori di Gesù instaurano
l'Inquisizione spagnola e intraprendono in suo nome la guerra dei
trent'anni; i militanti nazisti in Germania credono di essere buoni
seguaci di Nietzsche e sono guidati da un discepolo di Wagner, le cui
ultime parole al mondo furono: «alla saggezza attraverso la pietà»
("durch Mitleid wissend"). E' pur sempre vero, come ho detto in
qualche altro libro, che la conversione dei selvaggi alla cristianità
è in realtà la conversione della cristianità alla barbarie.
Non vedo nessuna via di uscita da queste difficoltà, fintantoché i
nostri democratici insistono nel dire che il signor Ognuno è
onnisciente e onnipresente e si rifiutano di riesaminare il suffragio
universale alla luce dei fatti e del buon senso. In che misura il
signor Ognuno ha bisogno del controllo del Governo per essere protetto
dalla tirannia? In che misura è egli capace di esercitare questo
controllo senza rovinare se stesso e far naufragare la civiltà? Sono
queste domande veramente senza risposta? Non lo credo.
Sono d'accordo nel riconoscere che il signor Ognuno deve essere
autorizzato a scegliere i suoi governanti, non fosse altro che per
salvarlo dal pericolo di essere governato in maniera intollerabile. Ma
fino a che punto dovrebbe poterli scegliere? Gli si potrà permettere
di scegliere un vitello d'oro come fece nel deserto del Sinai, o un
gatto come fece in Egitto, o un idolo come fa ora una setta chiamata
"I testimoni di Jehovah", o Titus Oates o Lord George Gordon o Horatio
Bottomley, per non parlare degli idoli ora viventi? Sicuramente no.
Sarebbe come lasciare in libertà un asilo infantile tra i veleni di
una farmacia, o aprire le gabbie a tutti gli animali dello zoo. Vi è
abbastanza possibilità di scelta tra la gente per bene da consentirci
di dare al signor Ognuno tutta la facoltà di controllo che gli spetta.
Questo è così ovvio, che quando la democrazia cominciò con i
parlamenti noi li tutelammo richiedendo ai candidati un certo censo,
che assicurasse ai nostri legislatori una istruzione elementare;
senonché questi abusarono del loro potere in modo così disastroso nel
loro interesse di classe, che il requisito del censo fu messo da parte
a favore di coloro che non avevano alcuna qualifica, il che costituì
un salto dalla padella nella brace, del quale stiamo ora scontando le
conseguenze.
Che gli uomini siano assai diversi in fatto di competenza politica, è
una questione di semplice storia naturale. Tale competenza varia
infatti non soltanto da individuo a individuo, ma secondo l'età dello
stesso individuo. Di fronte a questo fatto positivo, è sciocco
continuare a pretendere che la voce del popolo sia la voce di Dio.
Quando Voltaire disse che il signor Ognuno era più saggio del signor
Qualcuno, non aveva mai visto il suffragio universale all'opera. Per
fare un mondo occorrono tutti i generi di persone, e per mantenere una
civiltà alcune di esse devono essere uccise come cani arrabbiati,
mentre altre devono essere messe al comando dello Stato. Fintantoché
le diverse attitudini non siano esattamente classificate, non potremo
mai avere un suffragio scientifico, e senza un suffragio scientifico
ogni tentativo di democrazia fallirà, come è accaduto sempre.
La classificazione è quindi il primo passo verso una democrazia
genuina, e di conseguenza è giusto che essa abbia un capitolo a sé.
6.
CONOSCERE IL NOSTRO POSTO
Ne deriva immediatamente la domanda: quale azione? Stanley trovò che
una persona su venti poteva assumere le sue stesse funzioni di comando
in Africa. Ma se egli avesse avuto bisogno di un Giulio Cesare, non
avrebbe certamente trovato un uomo su venti e neppure uno su mille, ma
soltanto un uomo in tutto il mondo conosciuto: vale a dire, non
avrebbe avuto nessuna possibilità di scelta. Il papa Giulio secondo
avrebbe potuto trovare una quantità di pittori per decorare la
Cappella Sistina, ma un Michelangelo solo. Il nostro re Giacomo aveva
dozzine di drammaturghi a sua disposizione, ma soltanto uno
Shakespeare, e dopo la morte di Shakespeare non si trovò più nessuno
come lui. Giacomo secondo non avrebbe potuto trovare un altro
Shakespeare né per amore né per forza.
Tra questi casi estremi, ovverossia tra l'apparizione di un superuomo
nel corso di quindici generazioni o giù di lì, e il cinque per cento
giornaliero di Stanley, vi sono molte vocazioni e molti gradi di
capacità in ciascuna di esse. Io non oso pretendere di essere il
miglior commediografo di lingua inglese, ma sono convinto di essere
uno dei migliori dieci, e posso quindi forse essere qualificato fra i
migliori cento.
All'infuori della sua vocazione naturale, il più grande genio può
essere una persona del tutto insignificante. A teatro io sono una
persona che rende; in un osservatorio astronomico sarei licenziato
alla fine della prima settimana, o al più sarei incaricato di
spolverare e pulire i telescopi, cosa che farei anche peggio di una
qualsiasi buona cameriera. Ora, il successo di ogni iniziativa dipende
dal fatto che chi se ne occupa sia per vocazione naturale al suo
giusto posto: un conservatorio di musica non può essere infatti
diretto con successo da un sordo, né un'accademia di pittura da un
daltonico, come hanno provato alcuni esperimenti in proposito. Il più
grande e difficile problema del mondo è l'organizzazione, e
l'amministrazione di un moderno Stato democratico, che deve trovare
per ogni cittadino un'utilizzazione rimunerativa, senza mai
costringerlo a ricorrere al sussidio per la disoccupazione. Se lo
Stato sarà governato da persone inadeguate al loro compito o sciupate
nel posto loro assegnato, esso piomberà nei peggiori disastri e dovrà
per forza ricorrere a qualche avventuriero napoleonico, abbastanza
folle da essere ambizioso e tuttavia abbastanza abile, come ebbe a
dire Mussolini, da ripulire le stalle di Augia.
Bisogna ora fare un'altra distinzione. Sessanta anni fa, mentre
passeggiavo una domenica in Hyde Park, dove qualsiasi riformatore
sociale o apostolo religioso può radunare attorno a sé una folla
semplicemente fermandosi e cominciando a parlare all'aria, mi
incontrai con un certo capitano Wilson, che ora temo sia stato
dimenticato. Costui stava predicando un vangelo, che chiamava
comprensionismo, e invitava i suoi ascoltatori a diventare
comprensionisti. Ma un mondo di persone che comprendono potrebbe
essere, o forse sarebbe, un mondo di incapaci. La comprensione è una
cosa molto differente dalla facoltà di esecuzione. Gli uomini
d'azione, abili e pronti nelle questioni pratiche, raramente sono
pensatori. Il mondo è pieno di solerti avvocati che non hanno alcun
senso del diritto, di dottori per i quali la biologia potrebbe anche
non esistere, di preti senza un barlume di religione, di giornalisti
sconsiderati che ripetono abitualmente decine e decine di frasi fatte,
di consigli di amministrazione che fanno soltanto quello che fu fatto
l'ultima volta, di lavoratori specializzati che del loro lavoro
conoscono poco più che non le macchine che stanno maneggiando, così
come di Cancellieri dello Scacchiere i quali, convinti che quanto più
una nazione esporta tanto più è ricca, ritengono che l'ideale della
prosperità per una nazione sia di non produrre niente per uso interno
e tutto per il commercio estero. Credo che sia stato Palmerston, il
nostro più grande ministro degli Esteri, a dire: «Se desiderate essere
informato male su di un paese, consultate un uomo che vi sia vissuto
per trent'anni e ne parli la lingua come uno del luogo».
Gli utopisti non devono concludere con questo che nessuno dovrebbe
essere autorizzato a praticare un mestiere o una professione se non ne
è perfettamente edotto. Sarebbe come sostenere che un bambino non
dovrebbe essere messo al seno della madre finché non si sia fatta una
cultura sul metabolismo del cibo. Gran parte dei nostri affari deve
essere trattata da gente che non capisce quello che sta facendo, ma sa
farlo anche senza capirlo. Lo farà o meno nel modo migliore; ma
bisogna pure farli in qualche modo, i nostri affari; ed è sempre
meglio farli nel modo peggiore, piuttosto che non farli per niente. I
genitori a esempio devono attualmente curare che i loro figli ricevano
il nutrimento. Ne consegue che alcune madri, pur molto affettuose,
nutrono i loro figli con gin o aringhe affumicate, e i loro mariti con
carne e bevande distillate o fermentate, perfettamente convinte che
senza di queste non potrebbero mantenersi in forza. Esse dovrebbero
essere istruite meglio alle scuole elementari. Ma nello stesso tempo
bambini e mariti devono pur nutrirsi in qualche modo. Le aringhe
affumicate, il gin, la carne di bue e la birra possono essere peggiori
dei cereali, delle verdure e delle bevande leggere; ma sono sempre
meglio che niente.
L'istruzione è però limitata dalla capacità di assimilarla, nonché dal
tempo a disposizione dell'allievo e dalla necessità di scegliere le
materie più proficue per la vita. Anche i geni più dotati non possono
studiare tutto. Io sono un competente commediografo; ma nulla potrebbe
fare di me un competente matematico. So maneggiare una macchina
calcolatrice, e oso dire che mi si potrebbe insegnare a usare le
tavole dei logaritmi così come uso una macchina calcolatrice; ma
impiego meglio il mio tempo a scrivere libri e commedie. Quanto al
resto, o non lo faccio o devo trovare qualcuno che lo faccia per me,
oppure, se lo faccio io, devo farlo alla carlona, usando il metodo
senza pretendere di capirlo. Nella letteratura e nell'arte drammatica
io sono una celebrità: in una fabbrica di aeroplani sarei considerato
un deficiente. Quando considero quello che so e quello che ho fatto
(per quanto non tutto quello che ho fatto), ho un'alta opinione di me
stesso. Quando considero quello che non so e quello che non so fare (e
che sono spesso costretto a fare), mi sento come si sentirebbe un
verme se potesse sapere quanto è grande il mondo.
Ma vi prego di non concluderne che, essendo io assolutamente un
profano in fatto di meccanica e matematica, non possa capire l'immensa
importanza democratica della matematica e della fisica. I calcolatori
prodigio e i grandi inventori non possono avere una simile
comprensione. Newton fu così grande matematico che, quando inventò il
calcolo infinitesimale, lo tenne segreto come un artificio
extraprofessionale, sinché Leibniz lo inventò anche lui e ne fu
altamente lodato. Tuttavia Newton, nell'attento studio che compì sulla
cronologia storica, fu credulo come un bambino. Confondendo colui che
agisce con colui che capisce, siamo arrivati in Inghilterra a credere
che i metafisici e filosofi siano dei pazzi e gli uomini pratici delle
guide sicure. Non vi è dubbio che gli uomini pratici sappiano dove si
trovano, ma non sempre sanno dove stiano andando, mentre i pensatori,
che sanno dove stiamo andando, non sempre sanno dove stiamo.
La democrazia dovrà fare i conti non soltanto con le diversità di
vocazione ma con il grado di abilità nelle singole vocazioni. Quando
fu iniziato uno studio sistematico sul benessere del bambino, si trovò
subito che l'autore della popolare canzone «si dice che nessuno può
prendere il posto della madre» sapeva ben poco di madri e di bambini.
D'altra parte, quando William Morris disse che è dubbio quali siano le
persone più adatte a prendersi cura dei bambini ma che senza dubbio i
genitori sono le peggiori, egli presentava la sua tesi con evidente
esagerazione. E' sempre necessario esagerare in partenza, per ottenere
che la gente si disponga ad ascoltare e resti impressionata. Io lo
faccio abitualmente e deliberatamente.
Quando alcune persone presero a considerare il benessere dei bambini,
che era un settore trascurato dall'assistenza sociale, i fatti le
costrinsero presto a classificare le madri in tre categorie: a) madri
che potrebbero allevare i loro bambini (o quelli degli altri) meglio
di quanto ogni altra persona potrebbe o vorrebbe fare; b) madri che
potrebbero farlo abbastanza bene, con un po' di istruzione e di guida;
c) madri che sono assolutamente e incorreggibilmente incapaci di
educare bambini; in queste ultime sono comprese non soltanto quelle
che allevano i loro bambini in modo tale da farne ladri e prostitute,
o quelle violente e crudeli ma quelle che rovinano i figli adorandoli
stupidamente e gelosamente. Dovremmo anche considerare quei genitori
che per la loro povertà sono costretti a mandare i loro bambini a
guadagnare un po' di denaro con lunghe ore di lavoro faticoso, invece
di educarli o dar loro opportuni svaghi. Questo è comunque un problema
che bisogna risolvere mediante leggi sulle fabbriche e sull'educazione
o mediante una migliore distribuzione del reddito nazionale. La rozza
divisione in tre categorie, media, superiore alla media e inferiore
alla media, è una divisione naturale e continuerà sempre ad esserci a
dispetto di ogni sviluppo della legislazione sulle fabbriche o del
socialismo.
Poiché la critica delle nostre istituzioni si è andata interessando
sempre meno delle sofferenze individuali e sempre più delle
organizzazioni sociali, questa rozza divisione in persone comuni,
teste dure e geni è affiorata da tutte le parti. Nella professione
medica, nella quale un praticante con un vecchio diploma conferito 50
anni fa può intraprendere le più moderne operazioni o prescrivere cure
da lungo tempo ripudiate dalle scuole mediche, troviamo che i dottori
sono come le madri: la maggior parte di essi capace di cavarsela nei
casi difficili con la guida di altri medici chiamati a consulto, che
formano l'aristocrazia della professione, e una percentuale deteriore
di gente che non dovrebbe essere mai autorizzata a entrare nella
stanza di un ammalato, poiché la sua presenza diminuisce grandemente
la probabilità di guarigione del paziente. Vi sono avvocati famosi per
il numero dei loro clienti impiccati benché innocenti; predicatori le
cui prediche, per quanto brevi, sono insopportabili; generali il cui
inevitabile destino è il disastro; e nel mazzo si possono contare
coloro che sono un fallimento totale, le celebrità e i tipi medi.
Nulla può alterare la naturale differenza di grado nelle specifiche
facoltà umane.
In una società come la nostra, dove la proprietà privata delle fonti
di produzione ha prodotto una mostruosa disparità nella distribuzione
del reddito nazionale, con la conseguenza di un sistema di caste che
preclude tutte le professioni alle persone prive del censo considerato
indispensabile per esse, non dobbiamo meravigliarci molto
dell'incompetenza e della deficienza che ci affliggono; questo è
l'effetto della pressione sociale che si sforza di continuo di far
entrare pioli quadrati in buchi tondi. Uno dei miei nonni era molto
dotato per il lavoro manuale. Il suo "studio" era attrezzato come una
bottega di falegname. Egli si costruiva da sé le sue barche e, se
fosse vissuto del suo genio di artigiano, sarebbe stato un utile
membro della società. Sfortunatamente la sua condizione era quella di
un gentiluomo di campagna a cui era proibito di fare denari con il
dono della sua abilità manuale. Egli non aveva la minima attitudine
per l'amministrazione dei suoi possedimenti. Anzi, non ci viveva
nemmeno: poiché lì non c'era la possibilità di fare del buono sport,
se ne andava in un altro paese ancor più selvaggio, dove cacciava,
sparava e pescava (nella barca che si era costruita lui stesso) a
sazietà; sapeva montare qualsiasi cavallo, anche difficile da
maneggiare, e centrava il bersaglio con ogni tipo di arma da fuoco.
Nello stesso tempo, tutto quello che fece come proprietario terriero
fu di lasciare il suo possedimento alle cure di un agente e di
ipotecarlo al punto di non poterlo più riscattare. Egli non era per
natura incompetente o inattivo, anzi del tutto l'opposto: era soltanto
un piolo quadrato in un buco tondo. In una società organizzata
intelligentemente, avrebbe fatto una utile e redditizia carriera come
artigiano. Come membro della classe proprietaria era... ciò che era.
Uno dei miei bisavoli se la cavò meglio mediante una straordinaria
frode sociale. Egli si presentava in tutto e per tutto come un tipico
gentiluomo di campagna sposato con il miglior sangue irlandese.
Tuttavia contemporaneamente ammassava ricchezze facendo l'usuraio in
uno dei più poveri quartieri di Dublino. E' per me un mistero
biologico come egli potesse avere un nipote sfornito delle sue qualità
come me. Difficilmente avrei potuto superare gli anni di una povertà
giovanile impostami dagli editori, se non fosse stato per la parte
rimastami dei profitti della sua usura.
Ma tralasciando questi casi, che scompariranno, se e quando la società
si organizzerà in modo più intelligente e tutti i pioli quadrati
troveranno non soltanto buchi quadrati, ma saranno anche obbligati
dalla pressione sociale a stare dentro di questi invece che fuori, vi
sarà sempre un irriducibile minimo di diversità nell'abilità pratica
in ogni professione. Non voglio dire con questo di aver fatto una
grande scoperta: infatti tutti gli Stati, democratici o plutocratici,
tengono conto di questo principio, istituendo corsi di apprendista,
esami, diplomi, registri, regolamenti, ordini professionali e altri
espedienti, per affidare l'esercizio dei mestieri e delle professioni
alle persone che si sono qualificate mediante anni di studio e di
pratica, come meccanici specializzati, dottori, dentisti, avvocati,
parroci, ragionieri, architetti e così via.
Vi sono però varchi pericolosi nelle barriere create intorno alle
professioni. Per esempio, una persona di abilità affaristica di
prim'ordine, che abbia creato un'impresa per la produzione di beni o
servizi vitali dando in tal modo lavoro a migliaia di proletari, può
lasciarla in eredità a un parente, in genere al figlio, la cui
capacità può essere di secondo o terz'ordine o anche del tutto
negativa; così l'impresa, sebbene vada avanti sui vecchi binari, non
può adattarsi ai nuovi processi o ai cambiamenti delle condizioni
sociali, e finisce per morire di vecchiaia. In un'impresa socializzata
questo non può accadere: nessuno si sogna ora di permettere che i
posti nel corpo dei funzionari siano riempiti per eredità, eccettuata
la Corona, la cui successione, se lasciata incerta o aperta a ogni
concorrente, potrebbe causare una guerra civile a ogni morte di re;
d'altronde il trono non può essere dissipato al gioco in una sola
notte o lasciato a qualche parente o conoscenza favorita, come avviene
in un'impresa privata.
La lacuna più pericolosa consiste tuttavia nell'omettere
l'intelligenza comprensiva dalla lista delle professioni
specializzate. Si ammette generalmente che tutti siano capaci di
condurre un'impresa e che del pari sappiano scegliere la persona più
adatta alle funzioni di Primo Ministro. Ne risulta che molti dei
nostri affari sono amministrati da persone che non sanno comprenderli
in una visuale ampia; analogamente i Primi Ministri capaci di una
politica intelligente sono in verità molto rari. Il signor Ognuno è
libero di provarsi nell'uno e nell'altro mestiere e fare del suo
peggio in entrambi.
Ma vi è una particolare esigenza democratica, nel caso della famiglia
del signor Ognuno, che fa sì che ogni tentativo di restringere le sue
attività politiche sollevi una feroce opposizione. Quando la legge
diventa uno strumento di oppressione, come lo sono molto spesso le
leggi, specialmente prima che siano state emendate alla luce
dell'esperienza, sono i signori Ognuno che sanno dove la scarpa
stringe. Bisogna quindi che essi abbiano delle assemblee nelle quali
possano sfogare le loro lamentele, agitarsi per invocare i rimedi cari
al loro cuore, promuovere risoluzioni e voti di fiducia o di sfiducia,
proporre progetti di legge, rivolgersi al Governo perché li adotti e
li metta in opera e criticare impunemente il Governo in tutta la
misura del possibile. E poiché a tali assemblee devono presenziare i
governanti, che non potrebbero d'altronde mandare avanti gli affari
dello Stato se dovessero stare a sentire le doglianze del signor O.,
della signora O. o della signorina O. per più di poche settimane ogni
due anni, una libera e quotidiana discussione e agitazione deve
effettuarsi a mezzo dei giornali e dei libri, che dovrebbero avere gli
stessi privilegi dei comizi. Ciò che noi chiamiamo libertà di
riunione, libertà di parola, libertà di agitazione, libertà di stampa,
sono dunque necessità democratiche. Dovendo poi le assemblee
rappresentare quanto più è possibile gli uomini qualunque,
bisognerebbe che esse fossero formate mediante sorteggio come le
giurie, o con qualche altro metodo che renda impossibile la
distinzione in partiti. I legislatori e i governanti dovrebbero al
contrario rappresentare il meno possibile l'uomo qualunque, senza però
arrivare al punto di essere inumani.
L'assemblea degli uomini qualunque ci darà tutto ciò che di buono c'è
attualmente nel Parlamento. Nel privare il Parlamento di poteri che
esso non possiede realmente, che non ha mai posseduto e che non può
possedere, noi non perderemo niente. La preminenza del nostro
Gabinetto è altrettanto assoluta quanto quella del Politburò o
Sovnarkom russo (o comunque essi chiamano il loro Gabinetto di uomini
politici e industriali in questi tempi di mutevoli denominazioni). Ma
il male è che, siccome il Parlamento può dare il potere a chiunque gli
piaccia senza esigerne alcuna prova scientifica di capacità politica,
noi abbiamo Gabinetti e anche Primi Ministri che sono fanfaroni e
buoni a nulla, bigotti, plutocrati, conservatori e reazionari,
pericolosi, indesiderabili, analfabeti, anti-intellettuali e ridicoli
fantocci di tutti i generi. Resta il problema di come limitare la
facoltà di scelta del signor Ognuno alle persone politicamente
competenti, classificate e graduate secondo il loro grado di
competenza. Questo non lo possiamo fare, finché non sappiamo chi siano
le persone competenti. Bisogna perciò cominciare in qualche modo a
compilare elenchi di persone mentalmente capaci di funzionare in
maniera soddisfacente come consiglieri di parrocchia, consiglieri di
distretto e di contea, assessori municipali, ministri di Stato per gli
Interni, per il Tesoro, la Finanza, gli Affari Esteri e così via.
Sarebbe bene chiamare albi questi registri, poiché abbiamo tutti
confidenza con gli albi dei medici e possiamo quindi facilmente
abituarci agli albi dei Primi Ministri.
Ma non potremo riuscire a questo senza prove e misure antropometriche.
Il nostro metodo attuale per collaudare l'attitudine di qualcuno alle
funzioni legislative è dato dalla maggioranza dei voti da esso
ottenuti in località che variano talmente quanto a popolazione e
carattere da non poter fornire nessun criterio sicuro di competenza.
Per le più alte cariche abbiamo la selezione fatta dal Primo Ministro,
che raccomanda al re la persona adatta. Ma poiché né il Primo Ministro
né il re possono conoscere tutte le persone tra cui potrebbe avvenire
la scelta, questa è limitata al circolo delle loro conoscenze, che è
molto più piccolo del numero delle persone qualificate disponibili. Lo
stesso sistema evidentemente non è neppure applicabile alla burocrazia
permanente, che deve essere reclutata tra molte migliaia di persone
assolutamente sconosciute a Downing Street o a Buckingham Palace. Per
costoro, dopo aver provato a lungo il sistema delle raccomandazioni in
alto e del lavoro obbligatorio in basso, ci siamo ridotti ad adottare
il sistema cinese del concorso con l'aggiunta di visite mediche e di
colloqui personali con i candidati. Negli ultimi tempi sono venute di
moda le "prove d'intelligenza" con sistemi più semplici; ma esse sono
soltanto un'estensione del sistema del concorso e non cambiano nulla
nella faccenda.
Non abbiamo veramente nessun'altra alternativa al sistema del
concorso, ora che ci troviamo di fronte all'esigenza democratica di un
censimento della capacità politica e di una gerarchia di albi basata
su di essa? Anche questo argomento meriterà un capitolo a sé, più
avanti.
7.
L'EGUAGLIANZA
Tutte le comunità civili consistono in massima parte di classi entro
le quali gli stipendi o i salari sono gli stessi; la misura varia da
classe a classe secondo il livello di vita usuale, ma non da individuo
a individuo, per quanto differenti possano essere i caratteri e
gl'ingegni. Le differenze di carattere e d'ingegno non possono essere
stabilite in danaro: nessuno per esempio può dire che siccome il
signor Joe Louis, campione del mondo dei pesi massimi, può guadagnare
in 15 riprese di tre minuti più di quello che guadagna Einstein in 15
anni, la sua attività valga 180.00 volte più di quella di Einstein.
Nessuno riuscirebbe ad assolvere l'incarico di fissare i guadagni di
entrambi in base ai loro meriti: sarebbe come cercar di misurare in
danaro la differenza di valore che per la stessa famiglia possono
avere una padella e una Bibbia.
I prezzi delle padelle e delle Bibbie sono fissati non secondo i
rispettivi valori intrinseci, ma secondo il loro costo marginale di
produzione: cioè a dire, di quella produzione che si svolge nelle
circostanze meno favorevoli. Le Bibbie sono più a buon mercato che non
le bottiglie di liquore, e i tagli di vestiti che non gli anelli di
diamanti, sebbene abbiano un valore infinitamente più grande. Il
rimedio è che il Governo controlli la produzione in base alle esigenze
sociali, così che nessuno possa comprare un anello di diamanti finché
vi sono bambini che vanno in giro nudi e cenciosi, e che esso provveda
a che i cittadini non paghino per i beni necessari più del loro costo
medio di produzione. Ma prima di raggiungere questo grado di
socialismo, o di civiltà, o di umanesimo scientifico o come altrimenti
volete chiamarlo, il Governo dovrà provvedere il paese di ordinanze e
di ammiragli, e fissare conseguentemente i loro prezzi. Ora è facile
per un uomo di Stato democratico arrivare alla conclusione che,
siccome tutti costano lo stesso per quanto riguarda vitto, vestiario e
un alloggio decente, e senza che entrino in gioco le differenze di
abilità, la soluzione più semplice sia quella di dare a tutti la
stessa quota di reddito nazionale. Una simile conclusione lo porterà
però a urtare contro il fatto che costa di più produrre un ammiraglio
che un'ordinanza, sebbene i loro bisogni, come esseri umani, siano gli
stessi. Se noi li riduciamo tutti a un comune denominatore, avremo
un'eccedenza di ordinanze e nessun ammiraglio.
Il costo di produzione di un lavoratore varia secondo il genere di
lavoratore richiesto. In Giappone il costo di un operaio che lavora il
cotone è di un penny all'ora. Nel Lancashire è di 20 pence. Nella
Russia zarista il costo di produzione di un lavoratore comune era di
24 scellini al mese. Nel Commonwealth britannico i coloni bianchi
ritengono che i lavoratori negri dovrebbero essere grati perché
ricevono una capanna, un pezzetto di giardino, il privilegio di essere
sudditi britannici, l'insegnamento della dottrina cristiana da parte
di missionari, e otto scellini al mese di paga.
Ora non è possibile procurarsi nello stesso modo legislatori e
amministratori, tecnici ed eruditi, avvocati, dottori e preti, artisti
e filosofi: essi costano istruzione, cultura, nutrimento adatto,
isolamento, decoro e qualche agio. Quando il Governo sovietico in
Russia volle dare a tutti i lavoratori una quota eguale del reddito
nazionale che il loro lavoro produceva, trovò che essi non producevano
abbastanza perché si potesse dare a ognuno di loro qualcosa di più
dell'elemosina guadagnata dall'operaio peggio pagato sotto il Governo
degli zar. I Sovieti dovevano o aumentare il reddito nazionale sino a
renderlo bastevole a pagare ogni lavoratore in base al suo valore
professionale, il che non era immediatamente possibile, o fare a meno
di una classe tecnica e burocratica, il che avrebbe significato
esporre l'esperimento comunista a una bancarotta sicura. Si dovette
pertanto rinunciare all'eguaglianza dei guadagni, in via provvisoria;
e non sarà possibile ritornarvi sinché il dividendo nazionale non
raggiungerà il livello professionale. Questo livello è raggiungibile e
si profila già la possibilità di raggiungerlo in breve tempo; ma
intanto la Russia ha una burocrazia e una classe di professionisti che
guadagnano 10 volte più degli spaccalegna e degli idraulici.
Lo statista che miri a una eguale distribuzione dei guadagni troverà
che deve fissare un livello di paga tale che nessun uomo di genio sia
impossibilitato a raggiungere il suo pieno sviluppo creativo per
mancanza di mezzi. Poiché questo livello sorpasserà all'inizio quello
che si ottiene dividendo tutto il reddito nazionale per il numero
degli abitanti, egli dovrà mantenere i guadagni della burocrazia e dei
professionisti al livello prescelto, a carico del reddito nazionale.
Dovrà poi distribuire il resto nel miglior modo possibile, usando ogni
mezzo per incrementare il reddito nazionale e adoperando questo
aumento per portare le paghe più basse a un livello sempre più alto,
finché tutte siano giunte al livello prescelto e sia così ottenuta
virtualmente, se non matematicamente, l'eguaglianza dei guadagni.
L'eguaglianza matematica non è infatti fine a se stessa. Gli uomini
politici con cui Stalin perse la pazienza, chiamandoli in tono di
derisione mercanti dell'eguaglianza, non soltanto stavano protestando
per ottenerla prima che fosse possibile organizzarla, ma non previdero
che, quando fosse stata raggiunta, avrebbe perso la sua importanza.
Anche nella società capitalista vi è un livello, raggiunto il quale
essa cessa di avere importanza. La differenza tra una classe di
persone che guadagna un paio di centinaia di sterline l'anno o meno, e
quella che ne guadagna un paio di migliaia o più, è disastrosa, perché
alla classe che ne guadagna duecento, fisicamente vigorosa e
abitualmente industriosa, la povertà preclude la possibilità di
coltivare le sue naturali doti di comando e il suo ingegno; la classe
che ne guadagna più di duemila, debilitata dall'ozio e dal
parassitismo, è esclusa dalla possibilità di mescolare il suo sangue
con quello dei lavoratori. Ma tra la classe di chi guadagna 5000
sterline l'anno e quella di chi ne guadagna 50000 (i milionari),
questa restrizione nella selezione eugenetica non esiste. La loro
educazione è la stessa. Tutte le carriere sono egualmente aperte a
coloro che hanno ingegno. Essi si associano a condizioni di parità:
appartengono agli stessi clubs, mangiano cibi eguali, indossano
vestiti eguali, vivono nelle stesse strade dello stesso quartiere
elegante della città. Alcuni di loro possono avere cinque case e altri
soltanto due; ma possono vivere soltanto in una alla volta. Usano gli
stessi avvocati e gli stessi dottori; fanno le spese negli stessi
negozi. In breve, possono sposarsi gli uni con gli altri. Vi è un così
piccolo vantaggio personale nell'essere 10 volte più ricco del proprio
vicino, che i milionari come Carnegie e Pierpont Morgan, Ford e
Morris, fanno dono del proprio denaro superfluo e istituiscono
fondazioni come il Rockefeller Trust o il Pilgrim Trust, per
sbarazzarsi del denaro di cui non hanno bisogno usandolo per "opere di
bene".
Un lascito di 20000 sterline, che costituisce un sogno dorato per un
pover'uomo, fa bestemmiare un ricco perché gli dà la noia di esigerlo
e di investirlo. Di conseguenza, quando tutta la popolazione sarà
stata portata al livello delle 5000 sterline di guadagno, i principali
fini dell'eguaglianza di reddito saranno assicurati; e il Governo, pur
continuando a curare che nessuna classe diventi più povera, non avrà
bisogno di impedire ai singoli di diventare più ricchi se vi riescono
e pensano che ne valga la pena. Una tale ambizione può anzi essere
incoraggiata, quando costituisca un incentivo ad aumentare la
produzione. Nell'U.R.S.S. è stato riscontrato che era impossibile
aumentare la produzione o anche mantenerla allo stesso livello, finché
non fu introdotto il pagamento a cottimo, invece di quello proposto
dai mercati di eguaglianza. Quando il socialismo democratico avrà
raggiunto la sufficienza dei mezzi, l'eguaglianza delle opportunità e
la possibilità per tutti di sposarsi l'uno con l'altro, organizzando
la produzione nel suo ordine naturale, dalle cose necessarie a quelle
di lusso, e i tribunali non saranno più corrotti da avvocati
mercenari, il suo lavoro sarà compiuto; queste cose, infatti, e non
astrazioni matematiche come l'uguaglianza dei redditi, sono il suo
vero fine. L'attuale stratificazione della società sarà livellata fino
al punto in cui le varie possibilità della natura umana non saranno
più soffocate; ma rimarrà sempre la natura umana con le sue
iniziative, le sue ambizioni ed emulazioni, con le persone superiori
che faranno da pionieri, con le persone di valore medio che saranno
conservatrici, e con quelle relativamente inferiori addette ai compiti
loro più conformi, tutte ben nutrite, istruite al massimo della loro
capacità, libere di sposarsi tra di loro. L'uguaglianza non può essere
spinta più lontano.
8.
A PROPOSTA ABOLIZIONE DELLE CLASSI
Ciò nondimeno la divisione di classi creata dalla differenza di
reddito produce effetti indipendenti dalle differenze dei redditi e
spesso contrari. Il sarto di mio padre, che era un uomo molto più
ricco di mio padre e conosceva per esperienza personale la mancanza di
fondi di quest'ultimo, lo trattava come una persona a lui socialmente
superiore, poiché ambedue ritenevano che un negoziante sia socialmente
inferiore a un commerciante; e mio padre, quando entrò negli affari,
era un commerciante all'ingrosso. Quando io da ragazzo avevo bisogno
di un vestito nuovo, mio padre comprava alcuni metri di stoffa e li
portava da un sarto più povero, che sedeva a gambe incrociate sulla
tavola del suo minuscolo negozio e non era certamente un gentiluomo.
Una vecchia consuetudine aveva stabilito che un gentiluomo non potesse
avere rapporti privati con l'uomo che gli cuciva la giacca e i
calzoni. Questo modo di fare durò anche dopo che i principali sarti di
Savile Row a Londra o di Dawson Street a Dublino erano diventati dei
principi del commercio e i loro cognomi erano diventati familiari nei
più eleganti circoli della città. Il pronipote di un duca poteva anche
diventare un poveraccio, in condizioni di non poter pagare il suo
ricco fornitore di formaggio; ma il fornitore di formaggio, per quanto
ricco, non si sarebbe mai arrogato di mettere in discussione la sua
supremazia sociale.
Mi ricordo dell'epoca in cui la paga media di un impiegato a Londra
era di 15 scellini la settimana, mentre quella di un operaio
specializzato era di 2 sterline; tuttavia la gente faceva fare ai
figli la carriera dell'impiegato e non quella del muratore, falegname
o aggiustatore, perché il vestito nero, il colletto duro e la penna
erano più rispettabili della giacchetta di fustagno, dei calzoni alla
cacciatora, del cesello, della sega e del martello. L'impiegato, ben
più povero del meccanico, era almeno più ricco del contadino con i
suoi 13 scellini o del bracciante dell'Oxfordshire coi suoi 8 scellini
e due o tre bambini. Io richiamo alla memoria questi oggi pressoché
incredibili dati inglesi per norma di coloro che ripudiano a priori
qualsiasi cambiamento come utopia, in base al concetto che la natura
umana (e intendono parlare della condotta umana, che è infinitamente
mutevole) non può essere mutata.
Mi vien fatto di riandare col pensiero le più strampalate convenzioni
di classe. Sessant'anni fa, prima che scomparissero dalle case i
martelli delle porte e quando l'andare a toglierli via di notte era un
passatempo da bellimbusti, io, che mi considero un gentiluomo,
domandavo il permesso di entrare con un susseguirsi di colpi
assolutamente personale che sembrava il crepitio di una
mitragliatrice. Una persona di basso ceto era però autorizzata a
battere soltanto un colpo, a meno che non fosse il postino, nel qual
caso egli dava due colpi, decisi e violenti, grazie al suo incarico.
Poiché i campanelli non si potevano maneggiare in questo modo, la casa
di un signore aveva due campanelli, uno per i visitatori e uno per i
fornitori. Non era allora concepibile che si potesse bussare o suonare
il campanello in maniera non consona al proprio rango sociale.
Cominciammo pertanto inevitabilmente ad associare mentalmente il colpo
singolo alla persona povera, con ragione, e finimmo, senza ragione,
per rispettare la persona povera che bussava a ritmo di una
mitragliatrice e disprezzare quella che dava un solo colpo, anche se
era più ricca della prima.
Ora, è molto più difficile sbarazzarsi di questi riflessi
condizionati, come li chiamano adesso i nostri scienziati, che non
delle distinzioni di classe, dovute unicamente all'incompatibilità tra
il modo di vivere del ricco e quello del povero. Queste differenze
scompariranno, quando quella quota base del reddito nazionale che noi
chiamiamo stipendio minimo sarà salita fino al punto in cui 10000
sterline in più di reddito annuo non possano più dare al beneficiario
privilegi di vitto, vestiario, alloggio e istruzione inaccessibili al
signor Ognuno e non lo esimano dal fare giornalmente la sua parte di
lavoro per la nazione, così come non lo esimono oggi dal servizio
militare.
Finché ci saranno distinzioni di classe basate sulle differenze di
reddito, e dovranno essercene ancora per un considerevole periodo di
tempo, non vi è nulla di più stupido e crudele che cercare di porvi
rimedio ignorandole. Le nostre principali scuole pubbliche, fondate
per l'istruzione dei poveri, sono diventate riserve dei ricchi; i
nostri più sconsiderati riformatori propongono di correggere questa
situazione ingiusta, introducendo nelle scuole dei ricchi gli scolari
vincitori di borse di studio delle scuole elementari; così Eton e
Harrow verrebbero ad avere, a detta di costoro, dal dieci al quindici
per cento di ragazzi provenienti da famiglie i cui precari guadagni
vanno da due a quattro sterline la settimana, e dall'ottantacinque al
novanta per cento di alunni provenienti da famiglie i cui guadagni
vanno da trenta a mille sterline la settimana. Non si potrebbe
immaginare un compromesso peggiore. Il ragazzo delle due sterline e
quello delle trenta sono, si voglia o no, due animali del tutto
differenti. Ambedue sono casi estremamente indesiderabili e dovrebbero
essere portati allo stesso livello senza guardare in faccia a nessuno;
ma quello di metterli a prematuro contatto non è il sistema migliore
per arrivarvi. Uno degli attuali vantaggi della scuola di Eton è che
al disopra di un certo livello le manifestazioni snobistiche non sono
permesse. Il ragazzo delle mille sterline alla settimana può anche
darsi delle arie nei riguardi di quello delle trenta sterline o del
figlio del povero prete che è obbligato per tradizione a considerare
l'educazione in una «scuola pubblica» come un'assoluta necessità e che
ci arriva solo con una borsa di studio. Se il padre del ragazzo è un
professore, questi è altrettanto rispettabile che se suo padre fosse
un marchese. A scuola, i due ragazzi fanno la stessa vita: il cibo è
lo stesso, l'alloggio lo stesso, le abitudini di tavola le stesse; i
vestiti gli stessi; l'accento lo stesso; il modo di fare e il tono
della voce gli stessi; la politica, la religione, i pregiudizi, gli
interessi pecuniari sono gli stessi. I ragazzi sono dei giovani
signori; mentre i ragazzi delle due sterline nelle scuole elementari
sono dei «cafoni». I «cafoni» chiamano i giovani signori: damerini. Un
cafone abbastanza sfortunato da finire in una comunità di damerini
deve o trasformarsi in un signore, senza avere le abitudini e
l'accento che tale pretesa presuppone, o rassegnarsi a essere un
infelice e un pesce fuor d'acqua, così come lo sarebbe un damerino in
una scuola sovrappopolata di bambini provenienti dagli "slums".
Il rimedio non è pertanto quello di obbligare in modo violento i
cafoni e i damerini a stare nella stessa scuola, ma di modificare la
distribuzione del reddito nazionale in tal maniera, che il livello di
vita e di cultura di Eton possa essere anche raggiunto da coloro che
dimorano nei quartieri popolari, i quali in seguito a ciò
abbandoneranno i loro sporchi rioni ed educheranno i loro figli in
modo altrettanto dispendioso di come sono educati quelli di Eton.
Poiché Eton deve già mantenersi dentro le possibilità dei genitori che
hanno un reddito di quattro cifre e tratta nello stesso modo anche i
figli di genitori con un reddito a sei cifre, si può lasciarla
continuare per la sua vecchia strada sino a che un bel momento cessi
di essere una riserva di plutocrati viziati e di nobili lupacchiotti,
destinati a sfruttare e comandare vasti greggi di cafoni, e si
trasformi invece in una scuola ordinaria dove i ragazzi dovranno
essere educati a guadagnarsi il pane, lavorando socialmente in comune
con tutti i loro concittadini in un mondo dove non vi siano più cafoni
e dove l'attuale parassitismo del ricco venga considerato come una
disgrazia invece di essere motivo di onore e di riverenza. Eton
pertanto non ha che due alternative davanti a sé: uniformarsi alle
altre scuole, o mantenere la sua unicità specializzandosi in qualche
dimenticato ramo di cultura, di scienza, di belle arti o anche di
galateo.
Nel frattempo, però, sarà meglio che l'esclusività di cui questa
scuola è simbolo si coltivi in scuole separate per ricchi e poveri,
con distintivi gelosamente differenti. Bisogna insegnare ai cafoni a
vergognarsi delle loro strade sporche e della loro povertà, ma ad
essere nello stesso tempo profondamente orgogliosi della loro dignità
di lavoratori e fieramente sdegnòsi nei confronti dei ricchi
parassiti. A loro volta i damerini dovrebbero essere incoraggiati a
rifiutare di accettare in sorte una squallida povertà e l'ostracismo
sociale, o di distruggere le loro tradizioni eroiche o la pretesa che
le loro scuole siano un vivaio di uomini di Stato potenziali. I
damerini di Eton e i cafoni del Politecnico dovrebbero venire a
contatto gli uni con gli altri soltanto in zuffe stradali, la cui
organizzazione potrebbe essere considerata come legittima parte dei
loro esercizi fisici, oppure nelle aule di esame e nei laboratori,
dove le loro capacità e le loro pretese saranno saggiate in modo
imparziale.
Non immaginiamoci però che la scomparsa della divisione in classi,
basata sulle differenze di reddito, possa produrre un fronte unico che
comporti per tutti l'obbedienza all'esortazione fatta da Cristo ai
suoi discepoli, di amarsi gli uni con gli altri. Quando non vi saranno
più paria e saremo tutti intersposabili, la società sarà più compatta,
ma non sarà per questo più quieta né meno incorreggibilmente
litigiosa. L'uguaglianza di redditi, l'abolizione dei privilegi e la
possibilità di sposare persone di ceto diverso già esistono
attualmente a vari livelli, nei mestieri, nelle professioni, nei ceti
e nelle classi. Tuttavia a ogni livello vi sono differenti fedi
religiose, partiti politici, tendenze, combriccole, gusti e capacità,
molti dei quali possono generare guerre civili di estrema violenza.
Attualmente abbiamo una quantità di proletari, che sono troppo
preoccupati della loro lotta per l'esistenza e delle lunghe ore di
lavoro per occuparsi di politica o di religione. E al vertice della
società abbiamo persone che, non avendo preoccupazioni economiche, né
alcun lavoro da fare, e consumando sette pasti al giorno, sono troppo
indolenti per poter discutere di questioni religiose o politiche.
Quando questo stato di cose sarà superato, il numero di coloro che
discuteranno aumenterà fortemente e tutta la società diventerà
polemista e partigiana. Il leone può starsene in pace con l'agnello, o
almeno astenersi dal mangiarlo; ma quando mai potrà il monarchico
starsene con il repubblicano, il quacchero con il ritualista, il
deista con l'ateo, il cattolico romano con l'anglicano e l'uno e
l'altro con il protestante, il bergsoniano col darwiniano, il
comunista con l'anarchico, l'imperialista con l'idealizzatore del
Commonwealth, il giainista col bramino, il musulmano con l'indù, lo
scintoista col buddista, il nudista col pudico eccetera eccetera? Le
controversie tra costoro non sono ancora finite: sono state soltanto
momentaneamente dimenticate nella suprema emergenza della lotta tra
capitale e lavoro, proprietà privata e proprietà pubblica. Quando
questa lotta sarà decisa e finita, ritorneranno tutte a galla, con
molte altre nuove per ingarbugliare ancora la matassa.
La gente priva di immaginazione disprezza il socialismo, perché teme
che riduca la vita a uno stagno. Nessuna apprensione fu mai più
ingiustificata. Milioni di cittadini arroganti e ben nutriti, con un
sacco di tempo a disposizione per litigare, procureranno a tutti un
eccitamento tale da soddisfare anche gli spiriti più inquieti.
Qualunque sia il limite entro cui riusciremo a contenere la nostra
incorreggibile litigiosità britannica, dovremo ancora separarci in
partiti, fedi e tendenze. Quando le differenze di grado e di guadagno
saranno state dimenticate, le differenze di temperamento e capacità
produrranno una separazione analoga a quella che capita tra i figli di
un stessa famiglia. Anche nelle famiglie le separazioni vengono con
l'adolescenza. Ho conosciuto numerosi uomini eminenti che avevano dei
fratelli. Chiesi a uno di essi di suo fratello. Egli disse: «Oh, siamo
ottimi amici. Naturalmente non potrei stare in sua compagnia nemmeno
due giorni; ma poiché non ci vediamo mai, tutto va sempre bene». Tutti
avranno osservato come spesso i parenti vicini, anche quando sono in
apparenza molto uniti, si tengano a distanza gli uni dagli altri. Un
figlio e una figlia possono per temperamento preferire un gruppo di
persone in mezzo alle quali padre e madre si sentirebbero intrusi. A
sua volta la cerchia dei genitori può essere tale che i figli, o
alcuni di essi, vi si sentano così a disagio, che il successo della
loro vita dipende dal sapersene districare completamente. Abramo
Mendelssohn ebbe la sfortuna di essere il padre di un famoso
compositore e il figlio di un famoso teologo. Il padre di Dickens ben
difficilmente avrebbe potuto trovarsi a suo agio con Maclise,
Stanfield, Macready e tutto lo stuolo di celebrità di cui suo figlio
era il centro. La figlia di Dickens mi disse di non poter immaginare
niente di più terribile che il destino di un genio costretto a vivere
in una famiglia di gente comune. Quei figli che, per avere ereditato
il nome del padre e presa la stessa professione, si crede possano
ereditarne il genio (pensate al figlio di Mozart e a quello di
Wagner), farebbero bene a cambiar nome e a tener segreta la loro
parentela per evitare l'inconveniente di essere classificati come
buoni a nulla anziché essere rispettati come competentissime
mediocrità.
Nelle famiglie generalmente il massimo che possa capitare è che ci si
dichiari amichevolmente d'accordo sul fatto di avere idee differenti:
il disaccordo non arriva mai fino al punto di provocare una guerra
civile. Le guerre civili, nelle quali possono trovarsi a combattere
nelle parti opposte i parenti più stretti, sono però possibili sia in
regime socialista sia in regime capitalista. Considerate per esempio
il fatto che alcune persone sono piene d'energia e altre relativamente
pigre. Vi è gente che fa colazione a letto e si alza alle undici del
mattino, e gente che preferirebbe lavorare 10 ore al giorno e
ritirarsi a vita privata all'età di 40 anni. Altri sarebbero invece
molto soddisfatti di ritirarsi all'età di 60 anni, dopo aver lavorato
4 ore al giorno. Questi ultimi potranno a loro volta suddividersi in
gente che desidera lavorare tre giorni alla settimana fino alle ore
piccole per avere poi tre giorni di riposo, e altri che desiderano
invece una settimana ininterrotta di lavoro a orario ridotto. Gli
artisti come me, che aborrono il tran tran dell'ufficio e il lavoro di
fabbrica, chiederanno che le giornate lavorative impiegate
macchinalmente in attività da automi siano il più possibile brevi,
così da poter avere ogni giorno il massimo di tempo per scrivere
libri, comporre musica, dipingere quadri o modellare statue, finché il
successo non permetta loro di praticare queste arti come
professionisti e li liberi per sempre dagli uffici, dalle fabbriche,
dalle miniere e dai campi. Altri non ne vorranno sapere di essere
automi e vorranno lavori interessanti che tengano desta la mente.
Vi è poi la questione del reddito. Anche quando tutti saranno
sufficientemente educati a capire la necessità dell'uguaglianza dei
redditi, il che comporta un reddito tipo al quale tutti gli altri
devono tendere, con ciò non avremo ancora definito quale debba essere
questo reddito, ma soltanto aperta la discussione in proposito. E
allora saranno gatte da pelare.
Alcuni diranno: «fateci vivere con 20000 sterline all'anno e metteteci
in condizioni di guadagnarle». Altri diranno: «dateci una vita
semplice e altamente intellettuale con un modesto guadagno di 1000
sterline all'anno».
Nessun Governo, per quanto socializzato, può scansare tutte queste
difficoltà lasciandoci fare quello che ci pare e piace. Esso deve
fissare la misura del reddito nazionale. Deve fissare le ore
lavorative e l'età del collocamento a riposo. Le sue decisioni
provocheranno l'ira di numerosi gruppi di cittadini; alcuni
invocheranno, senza sapere ciò che dicono, un ritorno ai giorni felici
(come essi credono) del diciannovesimo secolo e all'immaginaria
libertà di cui esso si vantava. Il Governo dovrà mettersi d'accordo
con le unioni operaie su quanto debba ricevere l'operaio in denaro da
poter spendere come gli pare e piace e quanto debba ricevere in generi
di prima necessità e in divertimenti. Il pane e il latte si possono
collettivizzare con la stessa facilità con cui ciò è già avvenuto per
l'acqua e l'illuminazione stradale, perché sono generi che tutti
consumano; ma sarebbe ridicolo impiantare un rifornimento generale di
microscopi, tromboni, ciclotroni e telescopi da osservatorio. Anche la
produzione di generi alimentari non potrà essere comunizzata senza che
sorgano conflitti tra carnivori e vegetariani. Ci attendono tempi
piuttosto animati, a quanto pare.
Alcune difficoltà saranno sistemate o si sistemeranno da sé, senza
spargimento di sangue; ma ve ne sono altre che bisognerà affrontare
molto seriamente. L'uomo energico e attivo e quello pigro e facilone
possono essere messi d'accordo variando le condizioni del loro
servizio; ma cosa dire dei conflitti tra genitori e insegnanti
riguardo all'educazione religiosa dei figli? Il genitore può essere
cattolico e l'insegnante protestante; nei protestanti sono compresi i
glasiti, i fratelli di Plymouth, i seguaci di Jehovah e i pilastri di
fuoco, i presbiteriani, i prelatisti, i neoplatonisti, la Chiesa alta,
bassa e lunga, mentre i cattolici comprendono i cattolici romani, che
dicono di essere supernazionali, così come lo dicono tutti i
cattolicesimi nazionali, gli anglicani, i greci, e tutti gli altri.
Quando tutta l'istruzione sarà obbligatoria e comunizzata, come lo è
oggi l'istruzione elementare, e il suo scopo sarà quello di fare di
tanti piccoli selvaggi dei buoni cittadini, il Governo non dovrà
permettere fantastici insegnamenti settari a capriccio dei singoli
genitori. Esso deve proteggere il ragazzo contro questo proselitismo e
proibire apertamente che gli venga inculcata l'adorazione per Jehovah
e la teoria della espiazione col sacrificio di sangue, di cui è pieno
il nostro libro di preghiere. L'istruzione laica, richiesta dalla
società nazionale secolare e dagli agnostici, è stata messa in
discredito dagli studenti americani di psicologia giovanile. Gli
psicologi americani, che hanno studiato le menti dei ragazzi, mi
dicono che le prime cinque domande di un ragazzo sono: Che cosa? Dove?
Quando? Come? Perché?. La Scienza laica può rispondere alle prime tre
e rispondere in parte o sperare di rispondere alla quarta; ma la
quinta, il Perché? non trova risposta dagli scienziati. Quando ero
giovane e il darwinismo era alla sua prima fioritura, gli scienziati
amavano dire che tutti i libri della biblioteca del British Museum
avrebbero potuto essere scritti dalla selezione naturale senza
intervento della coscienza umana, e che sarebbero stati gli stessi
parola per parola. Quest'esempio della stupidaggine di cui sono capaci
i laici e gli scienziati non è ormai neppure divertente. Bisogna
insegnare al ragazzo che egli deve essere un buon ragazzo; e se,
quando il ragazzo domanda «perché dovrei essere un buon ragazzo»,
l'insegnante non ha altra soddisfacente risposta che l'agnostico «non
so», il ragazzo perderà ogni rispetto per l'autorità dell'insegnante e
si sentirà dire, come accadde a Winston Churchill nella sua scuola
preparatoria, che se farà domande irrispettose sarà severamente
frustato. Quando ero bambino mi dicevano che se facevo il cattivo
avrei passato l'eternità dopo la mia morte a bruciare in un inferno di
zolfo, morendo di sete e torturato da una magica combustione che non
mi avrebbe mai consumato. Questa favola fece il suo effetto, fintanto
che fui abbastanza giovane da crederci; ma quando diventai abbastanza
grande da riderci sopra, rimasi senza una plausibile ragione del
perché dovessi comportarmi bene, e con l'abitudine di deridere tutti
gli insegnamenti religiosi come fraudolenti, ridicoli e impartiti da
pazzi superstiziosi e imbroglioni. Fortunatamente in quel periodo mi
si era sviluppato il senso dell'onore, che impedì lo svilupparsi dei
miei peggiori impulsi e mi indirizzò verso quelli migliori; conclusi
pertanto nella mia nuova esperienza di ragazzo ateo che questo
naturale senso dell'onore, che non è menzionato in nessun luogo della
Bibbia, era la vera fonte del comportamento onorevole ed era del tutto
indipendente dall'istruzione religiosa. Io lo classificai allora, e lo
classifico ancora oggi, come una passione.
Ma prima che questo senso dell'onore diventasse imperativo, passai
attraverso un periodo di incredulità, durante il quale diventai a
scuola un bugiardo senza scrupoli e svergognato nel trovare scuse per
non aver frequentato le lezioni e per non aver fatto i miei compiti,
mentre la vera ragione era che ero troppo occupato a leggere libri
leggibili (i libri di scuola erano terribilmente illeggibili), ad
ascoltare musica, guardare quadri e girovagare per la collina di
Dalkey: a fare cioè cose che mi educavano veramente e mi facevano
aborrire la mia prigione scolastica, dove l'arte e la bellezza non
avevano posto e dove gli insegnanti, benché infarciti di latino e di
greco e nella maggior parte candidati al pulpito, erano relativamente
ignoranti da un punto di vista squisitamente culturale. E' comunque
facile dire che non dovremmo più raccontare ai ragazzi bugie nella
forma attraente di favole e di leggende, e persuaderli che, se
prendono in giro le persone anziane, gli orsi usciranno dal bosco e li
mangeranno. Perché non dire loro la verità, come la diciamo alle
autorità del fisco quando riempiamo i moduli della tassa sul reddito?
Ebbene, supponiamo di constatare che i ragazzi all'età di cinque anni
sono completamente restii alla verità scientifica; che essi
continueranno a beffarsi delle persone anziane a meno di non credere
che in tal caso gli orsi li mangeranno; che essi possano credere nei
serpenti e nelle scimmie parlanti, in un'arca non molto più grande di
una barca e contenente le coppie di ogni specie vivente, e nei profeti
che vivono tre giorni nel ventre di un grosso pesce, mentre le
Istituzioni di Calvino, il trattato di Bergson sulla Evoluzione
Creatrice e il Manifesto comunista non significano niente per loro e
non hanno alcun effetto sulla loro condotta! Questo è ciò che accade
in realtà. Io ero in grado di leggere il "Pilgrim's Progress" con
grande interesse, quando avevo cinque anni; ma un'esposizione
dialettica di Marx sarebbe stata arabo per me.
Ora, il Ministero dell'Istruzione ha da fare con ragazzi che hanno da
due a cinque anni, per i quali i primi versetti del Vangelo di
Giovanni non significano nulla, mentre il primo capitolo della Genesi
è intelligente, divertente e interamente credibile. Bisogna educarli
per mezzo di favole, leggende, allegorie e parabole, oppure a colpi di
pantofola, righello, bacchetta o mediante altre punizioni dolorose,
che non insegnano altro che la paura di essere scoperti e fanno
dell'insegnante un carnefice ostile e odiato anziché una guida, un
filosofo, un amico e un genitore suppletivo.
Coi ragazzi di dieci anni la situazione è diversa: i ragazzi non
credono più ai serpenti tentatori, agli asini che protestano e agli
orsi che fanno i giudici. Se essi continuano irriflessivamente ad
ammettere che esistessero in un remoto passato siffatti grotteschi
moralisti, e se si deve insegnar loro a pensare onestamente e
seriamente, sarà necessario dir loro con franchezza, quando vengono
promossi e ammessi alla classe corrispondente alla loro età, che le
storie degli orsi erano discorsi da bambini, che devono essere messi
ora da parte per far posto alle lezioni di storia naturale e di
astronomia, le quali ne dimostreranno irrefutabilmente
l'inverosimiglianza.
Il passaggio all'adolescenza deve essere similmente accompagnato da
iniziazioni e dalla caduta di altre illusioni, riprendendo così una
istituzione delle antiche tribù che, per quanto barbara nel rito,
corrispondeva però a una necessità sociale.
Un codice scolastico che regoli tutto questo processo non potrà
certamente essere messo in pratica senza generare aspri conflitti di
opinione. Alcuni dei nostri adulti rimangono bambini di cinque anni in
fatto di religione, mentre ne hanno invece cinquanta in fatto di
tecnica e commercio. Mi torna nuovamente alla memoria Newton, quando
volle applicare la sua prodigiosa capacità matematica a una cronologia
del mondo nella supposizione che esso fosse stato creato nell'anno
4004 avanti Cristo, e Cromwell, grande governatore e guerriero, alle
prese con immaginari accordi tra Abramo e Jehovah, entrambi i quali
costituiscono ora per me, che non sono né un governatore né un
guerriero, miti infantili e certamente non edificanti.
Mi rendo conto che la previsione di una società così scientificamente
civilizzata, libera da tutte le distinzioni economiche di classi,
intersposabile in tutti i ceti, per quanto incoraggiante e
rassicurante possa essere per giovani discepoli di Nietzsche che
aspirano a vivere pericolosamente quali esploratori di tutte le
attività umane, lascerà terribilmente delusi coloro che guardano al
socialismo come a un eterno paradiso. Circa 60 anni fa chiesi a un
ragazzo molto intelligente (egli aveva finito di scrivere proprio
allora un libro di poesie) quale professione volesse intraprendere.
Egli mi rispose molto seriamente che, tra breve tempo, non sarebbero
più esistite professioni di sorta, poiché il discorso del capo
socialista Henry Mayers Hyndman lo aveva convinto che nel 1889,
centenario della rivoluzione francese, vi sarebbe stata la rivoluzione
in Inghilterra. Io gli ricordai che anche nel più perfetto Stato
socialista la gente avrebbe continuato a rompersi le gambe e che
pertanto ci volevano chirurghi per accomodarle, che le case non si
potevano costruire senza tecnici e capimastri e che i bambini non
potevano nascere senza levatrici; in breve, che in regime socialista
vi sarebbero state le stesse professioni e gli stessi mestieri di ora,
se non anche di più.
Sebbene questo sia chiaro come il sole, lui non ci aveva mai pensato.
Aveva considerato il socialismo come una organizzazione nella quale
nessuno avrebbe mai sofferto la fame o il freddo, nessuno sarebbe
stato malato o ignorante o comunque infelice. Gli avevano insegnato a
credere nel paradiso e nell'inferno e lui, invece di prendere in esame
queste credenze e di respingerle come favolose, le aveva semplicemente
trasferite nell'antitesi di socialismo e capitalismo. Aveva
immaginato, invece di uno Stato in cui tutti devono lavorare, uno
Stato in cui il denaro non è necessario e nel quale nessuno deve
lavorare.
Il suo caso non è poi raro. Di questi tempi si parla molto di un nuovo
ordine che verrà dopo la guerra. Vi potrà essere un nuovo ordine, ma
questo sarà ancora soggetto come il vecchio alla eterna tirannia della
natura, che non è affatto possibile eludere o abolire, anche se la si
può democratizzare distribuendone con equità il retaggio di fatica e
travaglio. I problemi principali che il socialismo spera risolvere
sono quegli stessi che il feudalismo e il capitalismo hanno a loro
volta tentato di risolvere, senza riuscirci; molti cittadini
rimpiangeranno in futuro quelli che essi chiameranno i bei tempi
antichi; essi non capiranno infatti il socialismo più di quanto non
capiscano ora il capitalismo, sotto il quale brontolano o gemono. Alla
fine dei loro giorni essi avranno ancora cinque anni, dal punto di
vista politico. Temo pertanto che sia necessario privarli dei loro
diritti e farli governare da coloro che non potrebbero leggere questo
libro senza addormentarsi alla prima pagina.
Differenze di classe sotto il socialismo? Partiti, fedi, unioni
operaie, associazioni professionali, clubs, sette e combriccole e in
più i nuovi albi e registri? Sì: abbondanza di tutto ciò, in un clima
forse battagliero, ma che sempre permetta la discussione e il
matrimonio: cioè in un clima di eguaglianza.
9.
LO STATO E I BAMBINI
Ma i nostri bambini, presi nella massa, non crescono mai. L'infanzia,
dal punto di vista dello Stato, non è una fase transitoria: è
un'istituzione permanente. Come l'infanzia, così la maturità e così la
seconda infanzia, cioè la vecchiaia. Le singole unità si spostano da
una all'altra fase, ma in ogni fase vi sono sempre tanti milioni di
unità come prima. E ogni fase deve essere per i suoi appartenenti un
mondo stabilito, organizzato e riccamente dotato, così come lo è una
università. Quando un bambino esce dal mondo dei cinque anni, bisogna
che vi sia un mondo di dieci anni che lo aspetti, e oltre a questo
altri mondi separati per l'adolescenza, sia iniziale sia tarda.
E' ora evidente che questi mondi non devono essere quelle prigioni
infantili che noi chiamiamo scuole e che William Morris chiamò
coltivazioni di bambini. Questi inferni sono basati, non su quanto
serve per l'educazione, ma sul fatto naturale e sicuro che qualsiasi
tentativo fatto da una persona grande per divertire un bambino
esaurirà il più forte campione dei pesi massimi molto prima che il
bambino, dopo mezzo minuto di riposo a ogni ripresa, si sia stancato a
furia di giochi importuni, rumorosi e fisicamente violenti e possa
essere messo a letto in modo da sbarazzarsene per la notte. Se questa
è l'esperienza del padre, che se ne sta per la maggior parte del
giorno fuori di casa, possiamo immaginare quale sia lo sforzo della
madre che deve non soltanto far divertire il bambino, ma aver cura di
lui sotto ogni riguardo ed evitare che le metta la casa a soqquadro.
E' facile cantare «si dice che nessuno può prendere il posto della
madre» oppure «casa, casa: dolce dolce casa»; le melodie sentimentali,
per quanto possano soddisfare il naturale e reciproco affetto tra
genitori e figli, non modificano il fatto che i bambini, nella loro
libera e sana attività, sono seccature insopportabili per gli adulti.
Bisogna o terrorizzarli in casa o lasciarli liberi per la strada.
Qualunque madre non sfrutti i suoi figli come piccoli schiavi infelici
è ben contenta quando la legge o l'abitudine sociale la costringono a
mandarli a scuola. Così la scuola diventa in primo luogo una prigione
dove si chiudono i bambini per evitare che essi importunino ed
esauriscano i loro genitori. E i guardiani, per non essere importunati
sino alla pazzia dai loro prigionieri, devono mascherarsi da
insegnanti e considerare il muoversi o il parlare in classe senza
autorizzazione una colpa da punirsi con la bacchetta. E come in una
prigione per criminali i detenuti cospirano continuamente contro i
loro guardiani, così nella scuola i bambini sono in continua
cospirazione contro i loro insegnanti. La prima lezione loro impartita
per farli diventare buoni cittadini si trasforma così in una lezione
di ostilità verso la polizia, che è la negazione del diritto di essere
cittadini. Le loro uniche armi sono le menzogne, e il loro principale
divertimento il sabotaggio.
Questo stato di cose, sebbene si verifichi in quasi tutte le scuole, è
troppo inumano per essere portato nella pratica alle sue estreme
conseguenze. Tra gli Squeers e le Montessori vi sono insegnanti di
ogni sorta. Ci sono scuole in cui i bambini sono più liberi e più
felici che non a casa. Ma non abbiamo nulla di simile a quella specie
di scuola che Goethe prospettò nel "Guglielmo Meister"; e anche se
l'avessimo, diventerebbe una scuola da Goethe in erba, piuttosto che
una comune scuola di giovani.
Ciò di cui i bambini hanno bisogno non è soltanto una scuola e una
casa abitata da persone adulte, ma un mondo di bambini del quale essi
possano essere i piccoli cittadini, con leggi, diritti, doveri e
divertimenti adatti alle loro capacità e incapacità. Per ciò che
riguarda la loro fede religiosa dovremo prospettare loro alcune
finzioni; non è infatti utile mettere il trattato sulla "Volontà" di
Schopenhauer o l'"Evoluzione Creatrice" di Bergson nelle mani di un
bambino che non può capire altro che le favole di Esopo, il libro
della Genesi e il "Pilgrim's Progress". Quando il bambino passa dal
mondo dei cinque anni a quello dei dieci, potrà trovare qui punti di
vista più scientifici e meno immaginari che non le vecchie favole. Non
bisogna mettere da parte i vecchi libri; il bambino stesso cambierà, e
ricaverà dai libri un profitto sempre maggiore; o minore. Non è
necessario che le opere d'arte, di letteratura o altro siano purgate a
uso dei bambini. Un bambino di sei anni può leggere l'edizione
integrale delle "Notti d'Arabia" senza venire colpito dai passaggi
pornografici.
L'istruzione non si limita soltanto ai ragazzi: l'educazione liberale
è infatti in massima parte un'educazione per adulti, e continua per
tutta la vita nelle persone che hanno uno spirito attivo e non
abitudini mentali di seconda mano. Ma l'educazione degli adulti è una
cosa a sé stante: tutto ciò che lo Stato può fare è di mettere a loro
disposizione i materiali necessari, biblioteche, gallerie d'arte,
orchestre, e abbondanza di spazi aperti. Per gli adulti bisogna che vi
sia libertà di discussione e di critica; un'istruzione dogmatica è
infatti perfettamente inutile come strumento di educazione liberale.
Un cittadino che non conosca il suo argomento in modo da poterne
discutere farebbe meglio a non interessarsene dal punto di vista
politico. I più dannosi e ignoranti dei nostri governanti sono quelli
che, avendo ricevuto nelle nostre scuole pubbliche un'istruzione
dogmatica, credono a quello che è stato loro insegnato e ne sono
soddisfatti. L'uomo comune che crede che la terra sia piatta può
essere sotto molti aspetti una guida più sicura dell'erudito il quale
ha imparato che è tonda, ma si trova in un imbarazzo tremendo quando
viene sfidato sull'argomento da un convinto assertore della teoria che
essa è piana, il quale conosca altresì tutti i lati della
controversia.
I bambini però non devono essere annoiati con le discussioni. E'
necessario insegnare in modo dogmatico a un bambino a vestirsi, almeno
dodici anni prima che egli possa essere arringato da un propagandista
del nudismo. Bisogna fargli capire che alcune parole e alcuni
argomenti non devono essere toccati in una conversazione comune; che
non deve chiedere denaro, se non ai suoi genitori; che deve venire a
tavola con le mani e i vestiti puliti; che deve obbedire a nove dei
dieci comandamenti e ad altri ancora, senza fare domande. Bisogna
insegnargli a fare le somme prima che capisca l'aritmetica, e
insegnargli le regole grammaticali a memoria, prima che si interessi
della lingua. Se quando gli si dice di fare o di non fare qualcosa
egli ne chiede la ragione e le vere ragioni sono al di là del suo
potere di comprensione, può essere necessario raccontargli una bella
storia o dirgli che se non obbedisce andrà all'inferno dopo la morte,
o che sarà frustato o che non gli daranno più denari o che gli angeli
non l'ameranno più, o che la mamma ne sarà addolorata; in questo campo
le più severe bambinaie e le più bigotte governanti possono avere
subito più successo dei profondi filosofi, specializzati in psicologia
dei bambini; ma poiché un regime di terrore può fare di loro dei
nevrastenici e dei vigliacchi per tutta la vita, sarebbe molto
desiderabile che si ragionasse con i bambini in maniera adeguata alla
loro capacità quanto più presto e accortamente è possibile, e anche
quando le ragioni fornite non sono le vere ragioni: in breve, quando
bisogna dir loro bugie, le bugie dovrebbero essere piacevolmente
incoraggianti, finzioni poetiche e non volgari bugie. Quando io ero
bambino e tormentavo le persone più grandi con «che cosa, e dove, e
quando, e come, e chi» la bambinaia mi diceva «non fare domande e non
ti saranno dette bugie»; ciò che era vero, ma non edificante. Mio
padre, che era per me onnisciente e infallibile, fu la mia principale
vittima, e uno dei miracoli che ancora mi rende perplesso è la maniera
con la quale, sotto questa mia pressione, egli mi dette tante
informazioni su argomenti nei quali doveva essere ignorante come me.
La domanda finale del bambino, che è sempre «perché», rimane senza
risposta, e bisognerebbe forse sempre rispondere con un franco
«nessuno lo sa», sebbene gli scienziati stupidi si mettano nel torto,
confondendo troppo spesso i «come» coi «perché». Noi tracciamo una
linea tra vita giovanile e vita adulta a 21 anni di età; ma questa
linea non esiste in natura. Un corridore velocista è troppo vecchio a
19 anni e un uomo di Stato troppo giovane a 70. Un Governo deve
fissare i limiti di età per il diritto di voto e per la messa in
pensione dalle carriere pubbliche, perché bisogna pure tirare una
linea da qualche parte; ma la vita umana non sa nulla di queste
stazioni ufficiali, dove la gente deve cambiare treno; noi continuiamo
a crescere e a invecchiare, guadagnando dal punto di vista
intellettuale e perdendo nello stesso tempo dal punto di vista fisico,
e passando attraverso fasi di offuscamento e di perspicacia, di
successo e insuccesso, di fortuna e sfortuna, di infelice inefficienza
come pioli quadrati in buchi tondi, o di facile e felice attività in
buchi adatti a noi, rendendo impossibile allo Stato di classificare i
suoi soggetti dopo che hanno raggiunto la loro piena statura, sebbene
essi pensino già per conto loro a classificarsi in ogni senso in
classi, caste, combriccole, tendenze, sette, partiti, gusti, idee
eccetera eccetera; ma l'uomo immaturo deve essere separato dall'uomo
cresciuto e istruito, dall'età di due anni fino all'adolescenza, se
deve essere reso capace di diventare cittadino quando sarà
completamente cresciuto.
Ma la separazione come tutte le generalizzazioni verbali, è soltanto
una parola vuota se non se ne definiscono i limiti. Fino a che punto è
possibile o desiderabile una separazione? Un'eccessiva separazione
presenta difficoltà a cui gli statisti non hanno ancora cominciato a
pensare. Prendiamo un esempio curioso.
Un uomo che si era fatto una grande fortuna esercitando il mestiere di
negoziante comprò un possedimento nel Surrey e lo attrezzò a luogo di
ritiro e di riposo per donne che avessero lavorato (governanti e
simili) e fossero riuscite a mettere da parte un po' di denaro, ma non
abbastanza per la vecchiaia. Un minimo di risparmio era obbligatorio,
in quanto garantiva un minimo di carattere. Il possedimento era per
loro un paradiso. Ma invece di essere perfettamente felici, esse
diventavano pazze, e il manicomio ne fu pieno prima che i direttori
potessero rendersi conto delle cause. L'unica compagnia delle vecchie
signore era la loro stessa compagnia: una compagnia di vecchie
signore. I direttori dovettero impiantarvi campi da tennis, da croquet
e simili, e invitare tutti i giovani della contea ad andarvi a giocare
e a fare dello sport. Essi vennero, chiacchierarono e presero il tè
con le vecchie signore, che tornarono immediatamente in sé e in
normale salute. Senza dubbio, questi contatti erano necessari sia
all'educazione dei giovani sia alla salute mentale delle vecchie;
ancor più importanti dei contatti dei bambini con gli adulti. I
bambini non sono sempre infantili, e i vecchi non sono sempre
rimbambiti; io sono stato un bambino e sono ora un vecchio rimbambito,
e me ne intendo. La sapienza e le cognizioni di cui è provvisto un
bambino alla nascita non si limitano alla digestione del cibo, al
cambiamento dei denti, e alla sostituzione al latte materno di una
dieta più ricca di minerali. Questi sono risultati meravigliosi; ma vi
sono anche eredità mentali non meno notevoli. Sotto alcun riguardi la
saggezza dei bambini e dei poppanti, così come la loro digestione, è
più sicura di quella che essi avranno quando saranno cresciuti e anche
dopo che saranno stati membri del Governo in una mezza dozzina di
legislazioni. E i vecchissimi, se ancora continua il processo
evolutivo, possono essere dei giovani nel primo albeggiare di una
nuova facoltà. Di conseguenza, né la scuola infantile né la tenuta del
Surrey rappresentano una soluzione del problema sociale per i
giovanissimi e i vecchissimi. Alcuni bambini sono mentalmente più
vecchi dei loro genitori, e alcuni settuagenari più giovani dei loro
nipoti.
Noi provvediamo in parte a questo mescolando la vita di scuola con
quella di famiglia. La giornata del ragazzo è divisa nelle sue 24 ore
tra queste due attività. Il collegiale ha le sue vacanze. Ma né l'uno
né l'altro dei due espedienti sono soddisfacenti. Non basta
organizzare le ore di lavoro del bambino: bisogna organizzare anche
quelle di riposo. I nostri collegi pubblici cercano di farlo con i
giochi obbligatori. Il generale Baden Powell fece molto meglio,
creando i "boy scouts" e le "girl guides", che sono i primi seri
tentativi di organizzazione della vita dei ragazzi. A parte il codice
penale, non posso immaginare niente di più crudele e di più dannoso
che obbligare un ragazzo che abbia la tendenza del naturalista, del
poeta, del pittore, del musicista o del matematico, a farsi schiavo
del foot-ball o del cricket, mentre dovrebbe starsene a passeggiare o
a fare schizzi in campagna, o a leggere o a suonare uno strumento o ad
ascoltare un'orchestra alla radio.
Vi è poi la questione dell'isolamento. Vi sono persone che non possono
stare sole, talvolta perché ciò le terrorizza, più spesso perché la
compagnia è l'unico loro passatempo. Altri sono misantropi; essi
possono dire «la mia mente è il mio regno»: prediligono la solitudine
e riducono i rapporti con gli altri al minimo indispensabile. Tra
questi estremi esiste ogni possibile grado di socievolezza, in quanto
tutti hanno bisogno, in qualche momento della giornata, di una stanza
solitaria e di un posto per se stessi.
Tra parentesi, l'organizzazione della vita del bambino non deve
diventare uno sport di dottrinari che si credono democratici perché
vanno pazzi per l'autogoverno attuato mediante il suffragio
universale. Uno Stato controllato da bambini e non sorvegliato da
adulti sorpasserebbe presto Nerone e lo zar Paolo in crudeltà, ed essi
si batterebbero per il puro piacere di battersi, come i Maori.
Le atrocità commesse dagli adulti con l'appoggio dei plebisciti sono
abbastanza malvage; ma preferisco non immaginare quello che potrebbero
fare i bambini, se lasciati a se stessi. I bambini devono essere
educati all'obbedienza verso gli adulti, non perché gli adulti sono
fisicamente più forti, ma perché ne sanno più di loro. E gli adulti
devono governare, non sempre con la mano forte, che è utile soltanto
per la coercizione pura e semplice, ma per il fatto che ne sanno
realmente di più e perché hanno l'autorità e il coraggio delle loro
idee.
Ora, questa deferenza verso la cultura superiore e verso il carattere
non è una servile abbiezione da gettar via quando si diventa adulti e
da rimpiazzare con risolute asserzioni di democrazia e di eguaglianza.
I bambini imparano nei loro giochi e nelle loro lezioni che essi
differiscono molto gli uni dagli altri nelle loro specifiche capacità,
e che non possono sperare di eccellere in tutto. Un futuro Newton,
capace di sviluppare in un calcolo nuovo quanto ha imparato
dall'insegnante di matematica, può essere un incapace nel gioco del
cricket; lo stesso lanciatore di palla nel cricket può essere incapace
di fare il capovoga in una regata di "outrigger" da Putney a Mortlake.
Tuttavia Newton può conoscere le regole del cricket assai meglio del
miglior giocatore; e il giocatore di cricket che non sa tenere in mano
un remo meglio d'un qualsiasi barcaiolo può allenare un armo da regata
meglio del capovoga. Il capire e il saper giudicare, ovverossia la
saggezza, sono le arti di un buon governante; e la natura, per quanto
prodiga, non sciupa i suoi doni riversandoli su tutti, certa che la
società abbisogna di pochi governanti e di molti falegnami, muratori,
fornai, tessitori, artigiani e tecnici di ogni genere, compresi i
padri e le madri, le levatrici e le bambinaie. La natura provvede
abbastanza governanti da dare alla democrazia una scelta sufficiente,
nel caso qualcuno debba essere squalificato per povertà, ignoranza e
trascuratezza; e la democrazia è l'esercizio di questa limitata scelta
dei governanti da parte dei governati. Finché i bambini non saranno
educati a capire questo, diventeranno sempre cattivi cittadini, come
accade attualmente per la maggior parte di loro.
Ho incluso anche le madri e i padri tra i tecnici necessari alla
società umana, per quanto essi siano invero tecnici primitivi. Essi
vengono anche prima dei mariti e delle mogli, i genitori esistono
anche prima dell'istituzione del matrimonio. Quella dei genitori è una
professione molto importante; ma per essa non è stata mai chiesta
nessuna prova di attitudine nell'interesse dei bambini. Le tribù
possono limitare questa professione con l'esogamia o l'endogamia. Le
nazioni civili possono limitarla con le leggi sul matrimonio, con le
tavole di consanguineità, con convenzioni private come la classe e il
reddito, e considerando il maltrattamento e la trascuratezza dei
bambini come un reato. In alcuni rari casi, come quelli del poeta
Shelley e di Annie Besant, lo Stato può prendere i bambini dalle mani
dei genitori e metterli sotto tutela del Tribunale, per evitar loro il
pericolo di un'educazione atea; questa squalifica data ai genitori può
essere paragonata con l'espulsione di un dottore o di un avvocato dai
ruoli, o con la sospensione di un sacerdote "a divinis". In Cina lo
Stato può intromettersi e sciogliere un matrimonio, consenzienti o
meno le parti, se esso è indesiderabile dal punto di vista della
comunità. Ma queste sono considerate misure di eccezione, poiché
l'opinione generale ritiene che il matrimonio benché libero deve
essere indissolubile nella misura che la nostra natura può sopportare.
Le leggi matrimoniali variano nei particolari dalla Scozia al
Giappone, dalla monogamia a una illimitata poligamia; tuttavia in
nessun caso ci si pone la domanda se i mariti e le mogli siano atti a
generare bambini capaci di diventare buoni cittadini e a educarli
opportunamente a tale scopo. Sotto questo punto di vista vi è un tipo
solo di matrimonio, mentre vi sono numerose differenze nelle leggi
matrimoniali da luogo a luogo. Vi sono anche diversi tipi di unioni
possibili: a un estremo abbiamo matrimoni che portano a una società
domestica che dura per tutta la vita, e dall'altro rapporti di
momentanea intimità fra persone la cui incompatibilità di carattere
non permetterebbe una vita in comune. Non voglio dire con questo che
le persone incompatibili siano sempre quelle di cattivo carattere, gli
egoisti, i lunatici, i bevitori, ovverossia i poco amabili. Newton non
si sposò, e neppure Kant. La regina Elisabetta e santa Clara morirono
zitelle. Ma dal punto di vista eugenetico essi non erano certamente da
disprezzarsi; anzi, li si può benissimo considerare come
un'aristocrazia naturale, quella delle persone che non dovrebbero mai
essere sterilizzate per nessuna ragione, legale o tradizionale che
sia. La società dovrebbe addirittura riservare una posizione di
legittimità alla loro eventuale prole naturale.
Vi è poi la questione dell'incrocio di razze e delle razze di colore.
Talvolta essa non ha effetto sterilizzante; si dice infatti che la
moglie di un cinese non abbandona mai suo marito- non ha importanza di
quale nazionalità o colore essa possa essere - e che alcuni dei più
bei bambini del mondo siano quelli prodotti dai matrimoni tra lavandai
cinesi e ragazze irlandesi. E' difficile che ciò sia provato
scientificamente; ma vi è qualche elemento per ritenere che nei climi
tropicali e subtropicali, dove i popoli di pelle nera e bruna si
moltiplicano e riempiono la terra, la gente dal volto roseo (che ama
chiamarsi bianca) muoia, mentre le razze incrociate ci stanno
benissimo. Nelle isole Hawaii è ora difficile trovare qualche
aborigeno puro sangue: essi sono quasi tutti mezzi sangue, eccetto i
giapponesi che non si incrociano. Nella Nuova Zelanda i discendenti
dei nostri rispettabilissimi pionieri sono soltanto un milione e mezzo
dopo 100 anni di occupazione. Dovrebbero essere almeno dieci milioni.
Nel Sud Africa il Governo ha dovuto ricorrere alla immigrazione
straniera per tenere in piedi il settore britannico della popolazione.
Pare accertato che la causa di questo stato di cose non sia il
controllo sulle nascite. La necessità degli incroci di razze va molto
al di là della possibilità sociale dei matrimoni misti. Anche nelle
Hawaii, in Giamaica e nella Nuova Zelanda, dove la concupiscenza umana
ha superato la barriera del colore in misura notevole, non vi è posto
legittimo per i bambini, per quanto promettenti, i cui genitori siano
reciprocamente incompatibili dal punto di vista domestico. E'
concepibile che qualche futuro Governo si decida a salvare i bambini
mezzo sangue dal marchio di bastardi e li metta sotto la tutela del
tribunale. Quando la povertà sarà eliminata per opera del socialismo,
questi cambiamenti saranno più facili. Per esempio, quando si propose
che la regina Elisabetta sposasse Ivan il Terribile, la cosa non fu
resa impossibile dalla differenza di reddito e di classe. Essi
avrebbero potuto mettere al mondo magnifici bambini; ma o si sarebbero
separati quasi subito, o Ivan sarebbe ora conosciuto come Ivan il
Terrificato.
Io non credo che gli Stati del futuro vorranno o dovranno tollerare
ciò che è chiamato l'amore libero. Essi d'altronde tollereranno ben
poco di libero che non possano regolare con vantaggio per il benessere
generale. Ciò che voglio mettere in rilievo è che, quando la vita del
bambino è riconosciuta come un aspetto permanente della vita della
collettività e una fase transitoria della vita dell'individuo, ed è
legalmente e pubblicamente regolata a spese del pubblico, molte delle
onerose condizioni che ora sono connesse alla professione di genitori
diventeranno irrilevanti e non necessarie; si nascerà così da
matrimoni temporanei, anche se brevi, e da unioni domestiche
permanenti. Io stesso sono il frutto di un matrimonio non riuscito tra
due persone molto amabili, che finalmente si separarono nella più
amichevole maniera e non si videro più, dopo aver passato molti anni
insieme nella stessa casa, senza partecipare nei gusti, nell'attività
e negli interessi reciproci. Essi e i loro tre bambini non litigavano
mai: la convivenza familiare, sebbene non entusiasmante, non era
tuttavia spiacevole. La sua atmosfera di buona musica e libero
pensiero era salutare; ma come esempio di competenza da parte dei
genitori nel guidare, allevare e crescere i figli era così comicamente
assurda che fin da allora la tenni presente come spunto per importanti
considerazioni.
10.
I MOSTRI GENERATI DALLA SCUOLA
Se non vengono guastati a questo modo, in seguito essi diventano
battaglieri, si vergognano di qualunque pusillanimità e acquistano una
crudeltà spensierata dovuta al gusto delle bravate.
Amano l'autorità per se stessa, infliggono con piacere gli stessi
castighi che li hanno intimiditi; istituiscono ridicole regole di
condotta e di contegno che impongono violentemente e senza pietà,
lavorano come schiavi e governano come prefetti; ciò permette ai
rettori dei collegi di lasciare la parte più faticosa del loro lavoro
agli allievi, con la certezza che il risultato non sarà un'anarchia
distruttiva, ma una tirannide spietata e irresistibile.
Questa fase della vita dei ragazzi ha un'importanza politica perché,
sebbene non sia una fase della loro vita adulta, può essere prolungata
per tutta la vita coltivando sistematicamente questa tendenza o
facendo abortire quelle migliori. Ciò avviene con sorprendente
successo nei più eleganti collegi d'Inghilterra, benché sia una cosa
del tutto innaturale. Nella Germania degli Hohenzollern questo sistema
venne adottato ancora più energicamente, e dopo la caduta degli
Hohenzollern è stato portato agli estremi limiti dai nazisti. Prendete
il caso di un ragazzo che abbia genitori ricchi. Inculcategli la
convinzione che il commercio e il lavoro manuale siano
tradizionalmente degradanti; che il servizio nell'esercito o in
diplomazia siano le uniche occupazioni degne di un gentiluomo, e
l'andare a caccia, lo sparare, il cavalcare e il correre a cavallo i
suoi unici svaghi; abituatelo a considerare la religione come il fatto
di andare in chiesa la domenica con i vestiti migliori nonché chiedere
imperiosamente a Dio di fulminare i politicanti e frustrare i malvagi
disegni dei nemici, commisto alla devozione per un idolo chiamato
Sovrano o Capo, che sia il simbolo vivente del suo paese, e avrete non
soltanto il notissimo tipo del giovine plutocrate, le cui idee
governano questo misero paese, ma un Dio nazionale dotato di istinti
imperiali, pienamente convinto che i collegi eleganti siano il trionfo
supremo dell'educazione prescritta dal cielo, dimodoché la verità,
l'onestà e la giustizia siano frutti spontanei e sicuri dei loro
criteri educativi, e sotto la loro norma gli ottenebrati stranieri
debbano trovarsi molto meglio che non a casa propria. Questo è ciò che
fanno in Inghilterra ai figli della casta dirigente plutocratica le
scuole come Eton e Harrow con i loro corsi preparatori; e poiché la
stessa cosa accade a tutti gli Stati plutocratici, abbiamo tanti
patriottismi rivali quante sono le lingue e le nazioni, rendendo per
questa ragione impossibile ai giorni nostri quella pace cui aspiriamo.
Questo stato di cose è in parte una degenerazione del sistema feudale,
nel quale la stratificazione per classi era una base morale
necessaria. Esso sussiste ovunque fiorì un sistema feudale che ancora
mantiene le sue proprietà, i suoi privilegi, titoli, ricchezze e
prestigio, mentre affida lietamente i faticosi doveri politici a
prefetti, tratti dalla classe media. Non bisogna prestar fede a coloro
che ritengono che il presente stato di cose sia una venerabile
tradizione risalente all'età della fede e della cavalleria. Fino al
diciannovesimo secolo, quando l'aristocrazia feudale cedette
finalmente la sua sovranità agli orgogliosi commercianti arricchiti
dalla rivoluzione industriale e si mescolò a loro sposandone le
figlie, i bambini dei ricchi venivano mandati a scuola non per
ottenere titoli di studio, per farsi una cultura, o acquistare quelle
cognizioni di cui erano capaci, ma soltanto per essere classificati
come membri della "classe elevata". Furono i 50 anni posteriori alla
Legge della Riforma del 1832 a produrre quel curioso mostro, noto
sotto il nome di "Old School Tie" [1], che eccelle nel cricket, nel
tennis, nel golf, ha modi di fare di classe e un accento di classe,
non sa niente del mondo in cui viviamo o lo sa in modo errato, ed è
mentalmente fornito delle idee di un cavaliere del diciottesimo
secolo.
Quando dico che "Old School Tie" è un mostro del diciannovesimo
secolo, ciò che è letteralmente esatto, non voglio dire con questo che
il prodotto opposto della rivoluzione industriale, il proletario, non
sia, a modo suo, anche lui un mostro. Vero è che, siccome lavora per
vivere, egli può essere un mostro produttivo e utile e non un mostro
rapace e parassita; ma è sempre una creatura perversa e deformata. Io
non sono un amico dei poveri e un nemico dei ricchi, come la gente
ignorante crede debba essere un socialista. Quando ero bambino, la
bambinaia che mi portava a fare del moto, così come avrebbe potuto
fare con un cane, mi conduceva negli "slums" dove essa aveva alcuni
amici, invece che in posti più belli e più salubri. Naturalmente io
odiavo gli "slums" e coloro che vi abitavano. Io voglio ancora fare di
tutto per far demolire gli "slums" e sterminare i loro abitanti, e sto
scrivendo questo libro appunto a tale scopo, in vista della mia
seconda infanzia. Durante la mia vita ho ricevuto scrosci di applausi
da platee formate di abitatori di quartieri poveri, cui esprimevo
appunto tali sentimenti. Ma appena fui uscito dalle mani della
bambinaia ed entrai in contatto con signore e signori, li trovai
moralmente altrettanto insopportabili. Nel loro deplorevole snobismo e
nella loro ovattata ignoranza di quella che è la vita negli "slums",
grazie ai quali essi ingrassavano e dei quali io avevo fatto
clandestinamente conoscenza, non potei trovare alcun punto di
contatto: anche loro, conclusi alla fine, erano da sterminare.
Soltanto le finzioni dell'arte mi dettero qualche soddisfazione, e il
compito che mi assunsi fu quello di dar vita a queste finzioni e nello
stesso tempo di vivere come un "bohémien", come un ribelle e un
nemico, non dell'umanità, ma della perversione dell'umanità, prodotta
dalla proprietà privata più la rivoluzione industriale. La massima
«Amatevi gli uni con gli altri» era impossibile a seguirsi in una
società divisa in classi che si detestavano. Non si capirà mai
abbastanza che il socialismo non è carità né gentilezza di vita né
simpatia per i poveri né filantropia popolare a base di beneficenze e
collette disinteressate, ma l'odio dell'economista per lo sciupio e il
disordine, odio dell'esteta per il brutto e lo sporco, odio del
giurista per l'ingiustizia, odio del medico per la malattia, odio del
santo per i sette peccati capitali, in breve una combinazione dei più
intensi odi contro una struttura sociale in forza della quale gli
economisti sono legati da cospicui interessi pecuniari al capitalismo
anarchico e sciupone, gli artisti alla venalità e alla pornografia, i
dottori alla malattia e i santi al malvezzo di fomentare o lusingare i
sette peccati capitali anziché denunciarli.
Ciò chiarito, ritorniamo al culto del rivale etoniano del mostro di
Loch Ness, la "Old School Tie". Tale culto è un dannoso anacronismo,
ora che non s'ispira più al vecchio cattolicismo e che ha sostituito
al Sacro Romano Impero una profana e commerciale Alsazia.
Quando il feudalismo era all'apogeo, l'Europa occidentale aveva un
unico Dio supernazionale, un paradiso per tutta l'umanità e un
inferno, l'inferno di Dante, in cui tutte le anime, ricche o povere,
di alto o semplice casato, sarebbero state gettate dopo la morte se
erano state trovate malvagie. Al giorno d'oggi il signore britannico
crede in un Dio insulare inglese, lo Junker tedesco in un Dio nordico
come Wotan, il francese in un materialistico Anti-Dio assolutamente
francese, mentre nessuno di essi crede ad alcun genere di inferno. Le
guerre sono diventate fanatiche crociate intraprese con milioni di
soldati, milioni di denaro, e mezzi di distruzione e di uccisione
sempre più grandi. Le guerre delle due Rose sterminarono soltanto la
vecchia nobiltà e trasferirono il potere a una plutocrazia che si
diede nuovi titoli nobiliari. Ma la guerra moderna, che ha perfino
prodotto l'oltraggio della coscrizione delle donne per il servizio
militare, minaccia di sterminare la razza umana e di distruggere la
civiltà fino al punto in cui i suoi poteri di distruzione si
esauriranno e la gente per bene morrà di scoraggiamento, malattia
molto letale.
Ora, questi e altri guai consimili sono il risultato di un sistema di
educazione che, invece di guidare il naturale passaggio dall'infanzia
all'adolescenza e alla maturità, arresta lo sviluppo giovanile nella
sua fase più delicata e obbliga gli uomini di Stato esperti a trattare
la nazione come un orfanotrofio, il cui limite di età sia 14 anni, e
gli orfani come mentalmente deficienti.
Naturalmente questo sistema, al pari di altri sistemi antiquati, non è
attuato in pratica nella sua completa integrità: i fatti sono troppo
forti per consentirlo. Quando le scuole sono invase da fortunati
uomini di affari e da professionisti esse sono obbligate a sviluppare,
per quanto in un primo tempo con riluttanza e con disprezzo, il lato
scientifico e poi quello affaristico, i quali comprimono quello
classico finché questo non ha la peggio. Ma il vecchio sistema
scolastico è ancora abbastanza forte da assicurare che la classe
arricchita dal sistema della proprietà privata sia l'unica che comandi
in Parlamento, negli alti gradi della burocrazia, nella diplomazia
eccetto quando è in corso una guerra mondiale, nei quadri delle forze
armate.
La cosa peggiore è che i nostri più sinceri studiosi di pedagogia sono
unanimi nel far pressioni perché tutti i ragazzi siano obbligati a
restare a scuola fino all'età di 18 anni, così da essere preparati a
fare tre anni di università, se ne hanno voglia. Questo può soddisfare
i genitori che desiderano che i loro figlioli divengano signori o
signore con modi di fare e di parlare e pregiudizi di classe propri di
quella condizione. Ma lo scopo di uno Stato sano è di fare dei suoi
ragazzi altrettanti buoni cittadini; cioè di fare di loro membri
produttivi e utili alla comunità. I due scopi sono opposti e
incompatibili; portare la cravatta di una vecchia scuola non è infatti
di alcun vantaggio a chi deve sopportare parte del fardello sociale
lavorando e servendo. Se non esistono altre scuole che quelle per i
poveri, le quali inculcano una mentalità da schiavi, e quelle per i
ricchi, dove i bambini sono educati a una vita di riposo, di lusso e
di privilegio, o al massimo al monopolio di ogni opportunità
commerciale professionale e politica (che si suol chiamare in termini
cortesi arte del comando), allora bisogna prontamente concludere che
sarebbe meglio tenere lontani i bambini da qualsiasi scuola e che Eton
e simili istituti dovrebbero essere rasi al suolo e le loro macerie
cosparse di sale.
Ma in verità l'ignoranza non è adatta a creare buoni cittadini:
qualsiasi sistema di istruzione e di educazione è sempre meglio di
nulla. Il nostro sistema deve perciò continuare fino a tanto che non
ne creeremo uno migliore. Nello stesso tempo, però, non costituisce
assolutamente un rimedio alla nostra attuale cattiva educazione civica
imporre l'educazione di Eton a moltitudini di proletari, compresa la
classe media povera, mediante borse di studio per scuole costose o
estendendo il limite di età per la scuola obbligatoria a 18 anni.
Abolire completamente le scuole e fare dell'insegnamento un delitto,
come gli erewhoniani di Butler avevano abolito la macchina e
imprigionato l'esploratore perché trovato con un orologio in tasca,
darebbe il solo risultato di rendere clandestina l'istruzione, come
accadeva nella Russia zarista, dove le donne, perché insegnavano ai
contadini a leggere, erano condannate a 20 anni di carcere (e ciò non
senza ragione: infatti i contadini che sapevano leggere incoraggiavano
gli altri a bruciare le case di campagna dei signori). Il nostro
sistema di Eton deve morire di morte naturale attraverso
l'espropriazione dei suoi attuali clienti plutocratici e la
concorrenza di una nuova organizzazione di vita giovanile.
Quale debba essere questo nuovo sistema è al di là delle mie capacità
di progettista. Si svilupperà, immagino, dalle scuole della classe
media, i cui allievi sono in massima parte ragazzi e ragazze che
dividono la loro vita giornaliera tra la scuola e la casa. Io fui
allievo di una scuola in cui vi erano ragazzi interni ed esterni. Gli
esterni, essendo più numerosi, disprezzavano gli interni e parlavano
di loro chiamandoli i «macilenti». Gli interni erano ugualmente
sprezzanti e offensivi.
Ora, in Irlanda, un esterno era realmente un ragazzo che andava a
scuola solamente mezza giornata: egli infatti non tornava a scuola nel
pomeriggio. La scuola non era ispezionata né obbligata a raggiungere
un certo livello dalle superiori autorità, e d'altra parte non si
poteva neanche determinare quale dovesse essere questo livello. Le
lezioni che dovevo imparare mi erano imposte sotto la minaccia di
punizioni, non abbastanza dure però da ottenere il loro scopo con
ragazzi come me, che erano abbastanza liberi a casa per avere qualcosa
di più interessante da fare che non studiare su libri di scuola
illeggibili; ma non mi furono mai insegnati né le maniere di
comportarsi né i sentimenti di lealtà né le norme per vestirsi e aver
cura della propria persona. La disciplina era limitata al fatto di
stare in silenzio, e seduti, ciò che non impediva di intraprendere
rapide conversazioni o battaglie con il mio vicino di banco, che
poteva essere un amico o un nemico. Io odiavo la scuola e non vi
imparai niente di ciò che essa diceva di insegnare. Quando riuscii a
liberarmene e all'età di quindici anni fui condannato a cinque anni di
schiavitù penale in un'altra specie di prigione chiamata ufficio, ne
sapevo molto di più sul mondo di quanto non sappia un laureato
proveniente da Eton più Oxford o da Harrow più Cambridge; ero però
terribilmente maleducato in fatto di questioni civiche e sociali.
Imparai la maniera di stare a tavola e di comportarmi in società da un
utilissimo libro chiamato "Le maniere e lo stile della buona società":
un ammirevole testo che spero sia ancora in circolazione e di moda.
Con questo equipaggiamento potei non gravare sulle esaurite finanze
dei miei genitori (non avevo mezzi miei, poiché preferivo essere
disoccupato senza un soldo piuttosto che subire altra prigione);
dovetti però fare da solo tutto il lavoro di educazione, di disciplina
e di formazione di me stesso che avrei dovuto ricevere da bambino. Se
non fosse stato per l'educazione estetica che avevo attinto a casa mia
dalle attività musicali di mia madre, e per la rara fortuna di essere
stato dotato da madre Natura di un ingegno di tipo shakespeariano, che
potei cominciare a sfruttare prima che morissero i miei genitori,
avrei potuto fare la fine del vagabondo.
La storia della mia educazione, eccetto che per il dono letterario e
l'atmosfera musicale della mia casa, è simile a quella della maggior
parte dei proletari arricchiti e dei cadetti decaduti delle buone
famiglie che, sapendo almeno leggere e scrivere, devono condurre gli
affari e la politica di questo paese e delle sue colonie. Vi è da
meravigliarsi, non già che essi combinino una quantità di guai e ci
precipitino in insensate lotte mortali (che per metà li demoralizzano
e per metà li addestrano al più stringato comunismo militare), ma che
sotto la loro amministrazione qualche poco della civiltà riesca a
salvarsi.
Comunque, il sistema dello scolaro esterno, al contrario di quello di
Eton, è mutevole e perfezionabile. La proporzione fra il tempo che il
bambino passa a casa e quello che passa a scuola può essere cambiata,
finché portando sempre più il bambino dalla casa alla scuola si
raggiungerà il punto in cui la scuola prenderà il posto della famiglia
e gli insegnanti dei genitori. Ai suoi più umili inizi il bambino
viene spidocchiato e ci si occupa dei suoi denti. Il bambino affamato
riceve a scuola il latte e poi da mangiare. Se i suoi piedi sono
bagnati riceve le scarpe; e se ha le scarpe, perché non anche le
calze, le camicie e finalmente un'uniforme? I compiti di casa, che
avvelenano il riposo del bambino, se pur non vengono fatti, sono
rimpiazzati da esercizi limitati ma obbligatori. Giochi regolati e
sorvegliati prendono il posto delle dannose avventure di strada. La
benefica assistenza scolastica si sviluppa sino a che i bambini non
sono assicurati contro la povertà, lo sfruttamento, la tirannia o la
negligenza domestica e così via, un po' alla volta, fintanto che la
scuola invece di essere un infetto penitenziario in cui i bambini
vengono incarcerati per apprendere a leggere e scrivere e a far di
conto diventa una colonia nella quale i genitori possono vedere i
figli e viceversa abbastanza da mantenere i vincoli familiari senza
perpetuarne le gravi deficienze, e che provvede a una vita organizzata
del bambino, ora del tutto inesistente eccetto che in embrione nei
"boy scouts", nelle "girl guides", nei clubs di ragazzi o ragazze, nei
"komsomol", nei balilla, nelle leghe della gioventù e nei corpi e
movimenti similari che stanno spuntando dappertutto. Quando questi si
combineranno con le scuole in un sistema generale di colonia per
ragazzi contemporaneamente a un parallelo sviluppo dei Ministeri
dell'Educazione, sarà alla fine possibile avere una autonoma civiltà
di cittadini invece di una schiavitù imposta a casaccio su selvaggi
con la forza fisica.
Non dimentichiamoci che in una tale civiltà le famiglie create in
prosieguo di tempo dai ragazzi così educati coopereranno con le scuole
e manterranno il naturale affetto verso i propri figli, senza le
riserve attualmente inevitabili. Non sarà più possibile per nessuno,
io spero, dire quello che io sono costretto a dire: e cioè che,
sebbene non abbia mai litigato con i miei amabili genitori, sono
costretto ad ammettere che essi erano del tutto inadatti a educare la
loro prole.
In tale civiltà vi sarà più o meno libertà al tempo stesso. Lo Stato
farà del proselitismo altrettanto quanto ne fanno ora i genitori, e in
modo più efficiente; il diventare cittadini infatti, come ogni forma
di vita corporativa, è impossibile senza una religione fondamentale in
comune; ed è meglio che essa sia inculcata da uno Stato democratico
fortemente interessato alla tolleranza e al libero pensiero, piuttosto
che da genitori divisi in centinaia di sette, ciascuna di esse
persuasa di avere il monopolio della salvezza e del fatto che ogni
scettica critica mossa alle sue opinioni è empia e dovrebbe essere
proscritta come una eresia. Bambini educati in queste sette producono
incidenti come la guerra dei Trent'anni per una disputa sulla
Transustanziazione, così come producono guerre mondiali quando sono
educati in nazioni ognuna delle quali si considera la razza eletta o
lo "Herrenvolk" [2] designato da Dio a governare e a essere il padrone
di tutti gli altri.
Tutto ciò si può anche chiamare religiosità e patriottismo. Ma una
cosa è ammessa da tutti: che nella vita privata quotidiana vige il
comandamento «non rubare» e che ogni insegnamento in contrario non può
essere tollerato neppure per un momento. Nessun difensore della
famiglia contro lo Stato totalitario arriva al punto di proporre la
soppressione della libertà di pensiero e di parola, così come fu
soppressa nel Sacro Romano Impero; né l'uno né l'altro estremo sono
infatti attuabili e desiderabili, ma è certo che non possiamo
organizzare l'infanzia senza organizzare e prescrivere la sua
religione e la sua politica in una misura che appare spaventosa a
coloro che temono il Governo come i bambini temono la polizia. E così,
comunque consideriamo il problema, cerchiamo almeno di non sentir dire
più sciocchezze sopra la libertà individuale con la L maiuscola a
proposito di questioni in cui una completa libertà è socialmente
impossibile; d'altronde si può evitare assai più sicuramente che
l'autorità necessaria si trasformi in tirannia quando essa è
esercitata da organi pubblici soggetti alla pubblica critica, anziché
da irresponsabili tiranni privati in case private o in scuole costose,
che, sebbene siano chiamate "scuole pubbliche", sono in verità scuole
plutocratiche, che fissano una moda per tutte le altre. Quando la vita
del ragazzo sarà seriamente organizzata, lo sforzo degli insegnanti
non sarà più diretto a impedire che gli allievi pensino in modo
differente da quello che prescrive il Governo, ma a indurli anche a
pensare un po' con la propria testa.
11.
I MISTERI DELLA FINANZA:
LA BANCA.
La decadenza della classe degli imprenditori privati con il loro
monopolio del saper leggere, scrivere e far di conto, nei confronti di
una moltitudine di proletari analfabeti, e la sua sostituzione con
stipendiati provenienti dal proletariato, grazie all'istruzione
obbligatoria e alle borse di studio accessibili a coloro che si
distinguono, spiega solo in parte la supremazia dei finanzieri. L'alta
finanza è un fenomeno assai meno comprensibile di quello di trattare
affari per proprio conto e con il proprio piccolo capitale. Essa mette
al mondo progetti insensati ai quali la famiglia del signor Ognuno
presta avidamente orecchio, poiché promettono abbondanza di denaro per
niente. L'idea fissa della circolazione fiduciaria è un guaio per ogni
movimento di riforma sociale. Gli apostoli del Credito Sociale
persuasero una volta il Parlamento canadese a fare il bilancio sulla
base delle immaginarie ricchezze della circolazione fiduciaria. L'alta
finanza si sostiene grazie al mistero delle operazioni di banca, che
sembrano creare milioni dal niente e dal fatto, di cui tutti facciamo
quotidiana esperienza, che pezzi di carta sono accettati a saldo di
debiti di migliaia di sterline d'oro. In questo fenomeno vi è una
prova dell'esistenza della pietra filosofale, con il suo potere di
trasformare metalli vili in preziosi, molto più concreta di qualunque
altra i vecchi alchimisti furono mai capaci di produrre. Possiamo
cessare di credere nella pietra filosofale e convincerci, data
l'esperienza della tesoreria della provincia di Alberta, che c'è
qualcosa che non va nel Credito Sociale; ma fintantoché la banca
resterà un affare privato e la gente ricca godrà di enormi redditi
immeritati, senza alzare neppure un dito per guadagnarli, vi saranno
sempre insensati progetti sotto un nome qualsiasi e la famiglia del
signor Ognuno correrà dietro di essi, come già corse dietro alla
speculazione dei Mari del Sud.
Qual è allora il mistero delle operazioni di banca?
Furono gli orefici lombardi a fare alcuni secoli fa questa scoperta,
che è oggi commemorata a Londra dal nome di Lombard Street, uno dei
migliori indirizzi della City. Ai loro tempi la gente che aveva un bel
gruzzolo di denaro risparmiato e abituata a proteggerlo dai ladri con
le proprie mani e le proprie armi, tenendolo dietro le sbarre, i
catenacci e i puntelli delle proprie case, cominciò a portare i suoi
risparmi dall'orefice, perché fossero ivi più sicuramente custoditi,
pagando naturalmente una cifra per il deposito. Ma poiché questa gente
ricca ritirava soltanto ciò che le abbisognava al momento, lasciando
il resto a suo credito, l'orefice si trovò ben presto ad avere molto
più denaro di quello che gli veniva chiesto giornalmente dai legittimi
proprietari. Prestando questo soprappiù contro un interesse, egli
poteva ricavarne molto più profitto che continuando a esercitare la
sua professione di orefice. Così smise di fare l'orefice e divenne un
banchiere.
Successivamente egli fece un'altra scoperta. Trovò che se stampava
biglietti fiduciari per cento, dieci, cinque, una sterlina, i suoi
clienti li avrebbero trovati molto più convenienti dei sacchetti d'oro
e d'argento, quando dovevano ritirare forti somme per fare pagamenti;
con la certezza che essi rappresentavano l'oro custodito nelle sue
casseforti. I biglietti sarebbero passati da una mano all'altra per
lungo tempo, prima di ritornare nelle sue come altrettanto oro. E
poiché non venivano mai tutti nello stesso giorno e ve n'era sempre
una quantità in circolazione, l'orefice-banchiere trovò che anche in
questo caso bastava tenere soltanto una percentuale dell'oro che essi
rappresentavano, e che il resto poteva prestarlo a interesse. Questa
fu per lui la seconda Golconda. Egli non soltanto aveva scoperto il
mistero delle operazioni di banca, ma anche inventato la carta moneta.
Aveva cioè scoperto la pietra filosofale.
Ma nell'Era della Fede gli alchimisti che trovavano la pietra
filosofale o che anche soltanto la cercavano, venivano bruciati vivi
come stregoni; ed egualmente coloro che per professione prestavano
denaro erano chiamati usurai, e dannati per tutto il mondo della
Chiesa. Così gli orefici non dissero nulla dell'uso che facevano dei
depositi. Essi lasciarono credere ai loro clienti che tutto il denaro
depositato da loro fosse chiuso in modo sicuro e imprendibile. Essi
non si chiamarono alchimisti né usurai ma banchieri, sotto il cui nome
furono non soltanto tollerati, ma altamente rispettati. Gli ebrei, che
le persecuzioni avevano escluso da ogni occupazione all'infuori di
quella di fare denari, si trovarono a loro agio negli affari di banca.
Essi non furono più rapaci dei Gentili: anzi il contrario, ma furono
più pratici nel maneggio del denaro.
I banchieri si accorsero subito che i clienti che avevano poco denaro
erano altrettanto profittevoli di quelli che ne avevano più del
necessario. Essi dovevano chiedere prestiti per portare avanti o
estendere i loro affari. Nello stesso tempo quei clienti che avevano
invece larghe disponibilità erano tenuti a ritirarle per investirle in
azioni o terre. I banchieri perciò offrirono loro non soltanto di
tenere il loro denaro in deposito per niente, ma di pagare un
interesse su quella parte delle loro disponibilità che si sarebbero
impegnati a non ritirare senza preavviso. Ma non pagarono mai ai
depositandi lo stesso interesse che esigevano dai debitori. Nel
periodo in cui scrivo i banchieri pagano circa l'uno per cento sui
depositi, mentre esigono il 4,5 per cento sulle cambiali garantite.
Essi prestano con interesse il denaro del prudente Pietro
all'impulsivo Paolo. Quando Pietro è in un momento di difficoltà, gli
prestano il suo stesso denaro allo stesso tasso.
Oggi che le operazioni di banca sono così diffuse che i moderni
banchieri hanno milioni di clienti per ogni centinaio che ne poteva
sperare l'orefice medievale, si è visto che tutto quello di cui i
banchieri abbisognano per le necessità giornaliere dei clienti assomma
a circa 3 scellini per ogni sterlina depositata. Con il soprappiù essi
finanziano gli imperi durante le alternative delle guerre mondiali o
gli allevatori di pollame che vogliono acquistare mangime per i loro
polli. E' tutto pesce, piccolo o grande, che viene nella loro rete.
Quello della banca è un mestiere lucrativo e utilissimo, ma presenta
una difficoltà. I clienti non ne sanno niente. Essi credono che il
loro denaro sia al sicuro nelle casseforti del banchiere. Talvolta per
essere sicuri che ci sia veramente vanno alla banca e lo ritirano
tutto. Il cassiere dà loro un sacchetto di oro in cui è applicata una
etichetta col loro nome. Essi lo contano e lo restituiscono al
banchiere, perché venga custodito come prima. Non sospettano che lo
stesso sacchetto d'oro, con una nuova etichetta e con il contenuto
adatto alla somma richiesta, serve per molti ingenui clienti e
costituisce una sicurezza del tutto illusoria. Ma il cliente che
compie questa operazione, in genere un contadino preoccupato o una
povera donna sospettosa, rappresenta un gran numero di depositanti,
che, sebbene abbiano una tale confidenza nei loro banchieri che non li
pongono mai di fronte a una prova pratica, ciò nonostante credono che
il loro denaro sia al sicuro e che non venga mai toccato nei depositi
della banca.
In condizioni normali questa illusione è molto comoda per i banchieri.
Ma se si mette in giro la voce che la banca non può pagare, tutta
questa gente illusa si affretta a ritirare il suo denaro, ovverossia
assale, come si dice, gli sportelli. Ogni cliente, preso dal panico,
domanda tutto il suo deposito di sterline. Il banchiere ne ha tenuti
soltanto alcuni scellini: tanti quanti bastano per far fronte alle
richieste ordinarie, ma non per un simultaneo ritiro di tutti i
depositi. Il primo venuto è subito pagato. La banca prende
disperatamente a prestito ogni quattrino che viene sotto mano, ma a
meno che gli altri banchieri le vengano in aiuto deve chiudere gli
sportelli e confessare di non avere più denaro contante. Ovverossia fa
fallimento, e i suoi sfortunati clienti perdono i loro risparmi.
Si è tentati di dire: «una buona lezione per loro». Invece di
affrettarsi a ritirare i loro depositi, essi si sarebbero dovuti
affrettare a depositare alla banca ogni soldo disponibile e a limitare
i loro assegni alla minore somma possibile. Avrebbero dovuto accettare
una moratoria e una quotizzazione dei loro crediti. In breve avrebbero
dovuto fare l'inverso di quello che invece han fatto. Essi lo
avrebbero fatto, se fosse stato loro insegnato con cura che cosa sono
le operazioni di banca e come mai la banca aveva potuto fare per loro
tanto per niente. Avrebbero dovuto impararlo in quella scuola che
doveva farli diventare buoni cittadini. Invece nella migliore delle
ipotesi fu loro insegnato a leggere oscene satire di Giovenale nella
loro originale lingua morta.
Ci si potrebbe chiedere perché i direttori di banca, prima di
permettere ai loro clienti di aprire dei conti, non spieghino loro
esattamente a voce o con opuscoli perché tutti i cittadini che hanno
più denaro di quanto siano in grado di tenere in tasca possono
depositarlo a vista, in un edificio con camere di sicurezza e un buon
numero di persone a loro servizio, che pagano i loro clienti, prestano
loro denaro, fanno loro da agenti di cambio, da amministratori e da
esecutori testamentari ed eseguiscono altri servizi per niente o quasi
niente, sebbene la banca paghi sempre ai suoi azionisti bei dividendi.
Ebbene, il risultato di una tale spiegazione sarebbe che i semplicioni
non consentirebbero mai alla banca di giocare col loro denaro; essi lo
terrebbero in casa e lo metterebbero in una vecchia calza. A loro
volta i direttori sarebbero licenziati, per avere rivelato il segreto.
Un'altra ragione per non spiegare il segreto è che i direttori non
sono necessariamente obbligati a conoscere il loro mestiere. Essi non
sono dei teorici, ma dei pratici e degli empirici. Gli stessi
banchieri conoscono spesso la teoria e la pratica non più dei
direttori. Coloro che capiscono bene quello che fanno, sanno che la
banca potrebbe essere facilmente nazionalizzata da una legge di
acquisto delle banche simile alla legge di acquisto della terra, che
abolì i vecchi proprietari terrieri irlandesi. Se dovesse esservi una
corsa agli sportelli della banca nazionale, il Governo potrebbe
dichiarare subito lo stato di emergenza e limitare la disponibilità,
così come ora fa con le uova in tempo di guerra. I semplicioni
dovrebbero comportarsi con maggiore buon senso, invece di rovinare se
stessi e la banca in un accesso di panico determinato dall'ignoranza.
Essi avrebbero la garanzia del Governo per ogni soldino dei loro
depositi e potrebbero farsi imprestare quanto denaro vogliono dalla
banca a prezzo di costo per estendere i loro affari, mentre ora non
possono prendere in prestito che qualche ventina di migliaia di
sterline al tasso del venti per cento o più. Ma poiché gli enormi
profitti attuali delle operazioni di banca cesserebbero, e i
corrispondenti enormi benefici sarebbero nazionalizzati, i banchieri
fanno di tutto perché la banca rimanga un mistero.
Una garanzia governativa ha un aspetto alquanto rassicurante; ma il
suo valore riposa sulla onestà e sulla intelligenza del Governo. Il
potere che ha un Governo di fare del bene è superiore a quello di
qualsiasi compagnia privata; ma identico è il suo potere di fare del
male. Un sistema di credito nazionale sotto l'egida di un Ministero
del Tesoro diretto da semplicioni e che poggi su un Parlamento di
semplicioni sarebbe molto più disastroso di quello della più egoista
banca privata. Considerate infatti la situazione di un semplicione
appena eletto in un Parlamento formato sulla base del suffragio
democratico. Ogni semplicione un voto. Egli (o ella) sarebbe abituato
alla carta moneta, senza capire che cos'è. Sarebbe abituato a pagare
uno scellino un tabacco che vale un penny e mezzo, senza sapere che
egli sta così pagando 10 pence e mezzo di tasse. Il denaro sarebbe
completamente separato nella sua mente dai beni di cui esso
rappresenta il valore, e senza il quale una banconota vale soltanto la
carta su cui è stampata. Finanziariamente egli penserebbe sempre in
termini di denaro e mai di beni. Se il Tesoro avesse bisogno di
denaro, il sistema più semplice del mondo gli sembrerebbe quello di
stampare ed emettere una balla di banconote e pagare con esse tutti i
debiti nazionali. Il Governo socialdemocratico tedesco fece questo
dopo la guerra dei Quattro Anni, quando la Germania fu saccheggiata
fino all'ultimo pfennig dagli Alleati vittoriosi. Il risultato fu che
il prezzo di un francobollo di due pence e mezzo salì a 4 miliardi di
sterline carta, mentre tutti gli altri beni crescevano in proporzione
di ora in ora. I pensionati e le persone che vivevano di redditi e
investimenti fissi furono ridotti alla miseria; i vecchi debiti e le
obbligazioni furono pagati con meno del prezzo di una crosta di pane;
i lavoratori diventarono milionari e milionari gli autisti, e tutto
questo costituì un tale rivolgimento sociale che i tedeschi avrebbero
sofferto assai meno se avessero consegnato il loro paese ai nemici e
detto: «voi ci avete conquistati: ora siate abbastanza buoni da
governarci sinché non riusciremo a rimetterci dalla sconfitta». I
nostri semplicioni nazionali, avendo perso in questo modo tutto il
denaro che avevano in Germania, sanno ora bene che l"'inflazione" è un
male che bisogna evitare a tutti i costi. Sfortunatamente essi non
conoscono il significato della parola; poiché essa passa di bocca in
bocca e da penna a penna, ritengono che si riferisca ai prezzi alti e
a niente altro. Che cosa significa realmente "inflazione"? Come mai
produce catastrofi al cui confronto i peggiori danni che possono fare
le bombe aeree non valgono neppure la pena di essere menzionati?
Quando l'orefice trasformatosi in banchiere emise biglietti fiduciari,
invece di consegnare sacchetti d'oro ai suoi clienti, il loro valore
dipendeva dal fatto che egli possedeva l'oro che questi biglietti
rappresentavano, o almeno era sicuro di possederlo, quando i clienti
fossero ritornati da lui ed egli avesse dovuto tener fede alla
promessa fatta. Questo valore dipendeva dal fatto che l'oro era
talmente pregiato, che chiunque lo possedeva poteva scambiarlo con
pane o burro, con mattoni o vasi, lana o lino, carbone o legna, o
qualsiasi altra cosa di cui avesse bisogno o che desiderasse. E questo
valore dipendeva ancora dalla quantità disponibile di questi beni; una
persona infatti che non pagherebbe un penny per un bicchiere d'acqua
di rubinetto in una città moderna pagherebbe al contrario tutto l'oro
del mondo (se lo avesse) per un sorso d'acqua se stesse morendo di
sete nel deserto. Le fragole costano sterline durante l'inverno e
pochi pence al cestino in luglio. Ma quando la civiltà abolisce le
carestie e assicura un costante rifornimento di viveri per il
sostentamento umano a prezzi discretamente stabili, un orefice (o
qualsiasi altra persona) può stimare abbastanza accuratamente per
pratica esperienza che cosa varrà il suo oro quando i suoi biglietti
fiduciari torneranno in sue mani.
Ora, se l'orefice è un furfante o un giocatore, o se fa il suo
mestiere senza sapere esattamente che cosa stia facendo, può cercare
di arricchirsi emettendo biglietti fiduciari per più oro di quanto ne
possieda o di quanto è presumibile ne possegga al momento in cui sono
presentati per il pagamento. Questa è l'inflazione, e la pena relativa
nel caso di un singolo orefice è quella che spetta per la bancarotta
fraudolenta. Ma quando è un Governo a farlo ed esso inonda il paese di
biglietti fiduciari (carta moneta), che poi non ha né oro né merci a
sufficienza per liquidare, può accadere che un uomo affamato con la
tasca piena di biglietti da 5 sterline e che offra 6 pence per un
pezzo di pane e un pochino di burro in un ristorante si trovi di
fronte il cameriere che gli dice scuotendo la testa «niente da fare».
L'uomo affamato offre allora uno scellino con lo stesso risultato.
Una mezza corona, 10 scellini, una sterlina, 5 sterline, finalmente 4
miliardi di sterline per un pezzo di pane senza burro: ciò è accaduto
nella grande inflazione avvenuta in Germania dopo la guerra dei
Quattro Anni. Per quanto ricordo, la Germania mi doveva circa 200000
marchi e mi pagò bellamente con un biglietto di un milione di marchi
che poteva valere pochi pence come curiosità da museo. Il signor Lloyd
George chiamò questo «far pagare la Germania», ma in effetti il
Governo tedesco, col trucco dell'inflazione, fece pagare me.
In un mondo solvibile, però, l'inflazione si cura da se stessa. Quando
essa ridusse la valuta tedesca a un valore assurdo, nessuno ne voleva
sapere, la gente non comperava marchi ma dollari americani che erano
onesti e genuini. Il Governo tedesco dovette distruggere i suoi
biglietti inflazionati e sostituirli con una nuova valuta, che aveva
una garanzia effettiva dietro di sé. Ma la calamità non fu per questo
meno grave. La gente che essa aveva rovinata non tornò nelle
condizioni di prima per il fatto che il disastro era troppo pernicioso
per durare e che gli Stati Uniti erano solvibili.
Può sembrare che gli uomini di Stato tedeschi debbano essere stati o
straordinariamente stupidi o pazzamente disonesti per aver reso
inevitabile una così grande calamità. Ma la stessa cosa avvenne in
Russia sotto gli statisti bolscevichi eccezionalmente abili,
politicamente assai colti ed eroicamente patriottici, condotti da
Lenin e Stalin, ora universalmente riconosciuti come i più abili
governanti che la nostra età abbia prodotto. Vi fu anche inflazione in
Inghilterra, sebbene non si sia spinta molto lontano. In Francia il
Governo, avendo contratto prestiti da tutte le parti durante la
guerra, portò senza misteri e senza vergogna il valore del franco a
due pence, frodando in tal modo i suoi creditori dei quattro quinti di
quanto era dovuto. E nessuno ne fu scandalizzato; l'unica cosa che
accadde fu che, quando i turisti inglesi e americani si accorsero che
con le loro sterline e i loro dollari potevano comprare cinque volte
più di prima, si affrettarono a passare in Francia le loro vacanze, in
maniera molto economica.
Che una grande ignoranza in fatto di questioni finanziarie sia diffusa
in tutte le classi, è dimostrato da episodi quali il panico che si
sollevò quando il signor Winston Churchill diventò Cancelliere dello
Scacchiere: la gente temeva che egli usasse il denaro che era stato
depositato nelle casse di risparmio postali. La gente che aveva
depositato somme credeva evidentemente che le stesse monete che
avevano consegnate alla posta fossero conservate con cura con
etichette su cui figuravano i loro nomi, in compartimenti separati,
così da poter essere restituite, a domanda, in qualsiasi momento. Le
corse agli sportelli della banca avevano già provato esaurientemente
quanto ciò fosse errato. Il lato peggiore della cosa fu che, quando i
nostri più esperti uomini di Stato si misero al lavoro per rassicurare
questa povera gente, apparve subito evidente che essi ne sapevano
ancor meno sulla questione (o addirittura niente) di coloro che
avevano provocato il panico. Più tardi, quando fu proposto di
sospendere la parità aurea, che obbligava la Banca d'Inghilterra a
riscattare i suoi biglietti in oro su presentazione, il Governo
inglese incitò il paese a sostenere nella prossima elezione il
principio del "Gold Standard" del credito britannico. Questo appariva
assai giusto, ma prima delle elezioni si venne a sapere che quasi
tutto l'oro disponibile nel mondo era rinchiuso nelle casseforti
americane. Il Governo dovette allora fare macchina indietro e
assicurare gli elettori che la carta moneta è buona come l'oro finché
essa rappresenti dei beni, e finché il Governo sia onesto. Ma ancora
una volta i nostri esperti uomini di Stato non poterono dare
esaurienti spiegazioni, perché non capivano la questione, e il
governatore della Banca d'Inghilterra confessò che non capiva che cosa
fosse la moneta, il che non era sorprendente, poiché la moneta,
separata dai beni e considerata come un problema a parte, è
semplicemente una sciocchezza e non può essere capita da nessuno.
Non era infatti il cervello o l'onestà che mancassero, ma l'elementare
conoscenza del soggetto, che è poi più semplice che non tenere una
contabilità o giocare a bridge, di cui tante persone comuni sono
invece esperte. Anche quei pochi che comprendono la teoria generale
della relatività di Einstein non dovrebbero essere fatti ministri del
Tesoro se prima non dimostrano di conoscere la storia del sistema
bancario e la natura della carta moneta.
Ma io sono ancora molto lontano dall'aver terminato di descrivere le
illusioni cui l'ignoranza politica va soggetta.
12.
LE ILLUSIONI DEL MERCATO MONETARIO
Ma esiste una illusione ancor più pericolosa. A parte le banche, vi è
un mercato del denaro chiamato Borsa. Il suo lavoro è di scambiare
rendite annuali con somme di denaro contante. Questo specifico
commercio è praticato da agenti che comprano le rendite e da
speculatori che le vendono.
L'agente dice infatti allo speculatore: «Il mio cliente ha più denaro
di quello che gli occorre per le sue spese. Egli è venuto in possesso
(supponiamo) di un migliaio di sterline risparmiate dal raccolto di
questo e dello scorso anno. Questa somma può essere impiegata subito,
egli ve la venderà per un reddito futuro. Voi rappresentate la gente
che ha redditi da vendere. Qual è il migliore che potete offrire al
mio cliente?». Lo speculatore chiede se desidera un reddito sicuro,
cioè garantito dal Governo, o se preferisce un reddito industriale che
può aumentare, ma anche annullarsi completamente. Il prezzo di un
reddito assicurato non sarà infatti lo stesso di quello di un reddito
rischioso. Lo speculatore dirà all'agente: «Se desiderate un reddito
di 1000 sterline l'anno garantite, com'è l'interesse di un prestito
governativo, dovrete versarmi, diciamo, 33000 sterline; se volete
rischiare la sorte con un reddito industriale, posso darvelo per 20000
sterline o anche per 10000, con un rischio doppio». In altre parole un
reddito sicuro può essere comprato per una somma equivalente a
trentatré volte il suo ammontare ed uno rischioso per venti o dieci
volte o anche meno. Dicendolo in termini correnti, il denaro contante
può essere investito al tre, al cinque o al dieci per cento o ad un
altro interesse qualsiasi, secondo i casi.
Ora nei molti secoli di vita commerciale un interesse del cinque per
cento diventò così frequente sul mercato monetario da produrre
l'illusione che un reddito di mille sterline l'anno possa sempre
essere cambiato in una somma di ventimila sterline da un agente di
cambio. Una persona con un reddito di mille sterline l'anno si dice
che ne valga "ventimila" e una con un reddito di cinquantamila l'anno
passa per milionaria. La ricchezza nazionale è stata recentemente
stimata da statistici che in tutto il resto sanno il fatto loro come
il reddito nazionale moltiplicato per venti.
A questo punto qualche agente di cambio mi interromperà per dirmi che,
qualsiasi cosa io possa dire in contrario, egli può vendere
sicuramente un reddito di mille sterline l'anno per ventimila sterline
e farmi avere il denaro, meno la provvigione, entro 15 giorni. Di
conseguenza, ai fini del suo lavoro, la moltiplicazione per venti è
praticamente giusta. Ma il suo lavoro è limitato al mercato, cioè al
dieci per cento circa della popolazione che ha o redditi stabili da
vendere o risparmi per comperarli. Applicate il trucco della
moltiplicazione all'intera nazione, e la sua assurdità vi porterà
subito a trovarvi di fronte al fatto incontestabile che, in grazia di
nessuna magia finanziaria o di altra specie di magia, voi potrete
consumare il raccolto dell'anno... '60 nell'anno... '40. E' chiaro che
tale raccolto non esiste. Tuttavia quando si leva un clamore
proletario a richiedere imposte sul capitale, come ora accade in
occasione di ogni bilancio annuale o supplementare, i nostri uomini di
Stato e giornalisti capitalisti, invece di rispondere semplicemente
che non vi è niente da tassare, poiché il capitale è stato consumato
molto tempo fa e non è quindi più tassabile della neve dell'anno
scorso, danno immediatamente un mucchio di ragioni per non tassarlo,
tutte fondate sul presupposto che il capitale esista ancora, mostrando
così di non conoscere la natura del capitale e nello stesso tempo di
essere dominati dalle illusioni della Borsa così come coloro che hanno
avanzato l'idea dell'imposta straordinaria.
Guardiamo ora che cosa è il capitale, come operi e ciò che accadrebbe
se il Cancelliere dello Scacchiere facesse un bilancio con il
presupposto che ogni biglietto di 5 sterline esistente ne rappresenti
100 in beni disponibili per l'immediato consumo.
Il capitale è denaro risparmiato, o messo da parte. Le nostre
industrie sono state costruite non direttamente dal Governo, ma
rendono circa il dieci per cento della popolazione così ricca da non
riuscire nemmeno a farle spendere tutto il denaro che possiede, e
lasciando il rimanente 90 per cento così povero, da non poter nemmeno
permettersi il lusso di mettere da parte uno scellino; ma da averne
anzi la vita abbreviata e una enorme parte della sua prole uccisa
precocemente dalla mancanza di mezzi di sostentamento. Quando i poveri
cominciarono a lamentarsi, i nostri vescovi capitalisti non trovarono
da dire niente di meglio se non che era loro la colpa se non avevano
messo in pratica il risparmio; con la qual cosa intendevano dire ai
poveri che bisognava "risparmiare" quando i loro bambini morivano di
fame. Naturalmente i vescovi furono considerati dal popolo come
abominevoli ipocriti senza cuore; ma in questo il popolo si sbagliava:
i vescovi erano benevoli e abbastanza in buona fede, ma non sapevano
neppure di che cosa parlassero, avendo imparato nelle loro università
che il capitalismo deve inevitabilmente produrre la perfetta
prosperità e l'armonia sociale, solo che ognuno comperi nel mercato
più economico e rivenda nel più caro.
I vescovi sanno oggi che un mondo dove ogni cento persone novanta
devono essere troppo povere per permettere a dieci di essere troppo
ricche non è né prosperoso né armonioso né cristiano. Non soltanto i
vescovi, ma anche gli arcivescovi e i decani predicano ora dal pulpito
il vangelo di Cristo comunista, ma poiché essi non hanno ancora le
idee molto chiare sulla natura e sul metodo del capitalismo (Cristo
non lo conosceva sotto questo nome) cercherò di facilitare il loro
compito.
Prendete il caso di un lavoratore che abbia un piccolo pezzo di
terreno. Egli s'accorge che non può ricavarne niente finché non lo
lavori con la vanga, e senza una vanga egli non lo può fare. Deve
perciò risparmiare parte del suo salario per comprare la vanga. Egli -
o piuttosto sua moglie - si adopererà quindi per mettere da parte un
penny la settimana (o sei pence o uno scellino o ciò che può
permettersi) sino a che potrà comprare una vanga; con questa e col
lavoro riesce a far produrre al suo pezzo di terreno abbastanza
verdure per la sua tavola e forse anche qualcosa da poter vendere. Le
verdure sono il reddito che egli ricava dal suo capitale, così come
chiamiamo la somma che egli ha risparmiata per comperare la vanga.
Fino a qui l'affare è perfettamente onesto, ragionevole e socialmente
benefico. Ma esso esclude assolutamente la pigrizia. La vanga in se
stessa non produce niente. Soltanto quando è adoperata per vangare
produrrà una patata, e il vangare è un lavoro abbastanza duro.
Inoltre, sebbene il vangatore possegga la vanga, egli non possiede più
il denaro che rappresentava il costo della vanga. Questo è stato
mangiato da coloro che l'hanno fabbricata e dal negoziante di
ferramenta, e se ne è andato per sempre. Immaginiamoci ora un esattore
delle tasse che vada dal proprietario del piccolo pezzo di terra per
imporgli la tassa sul capitale.
ESATTORE: Voi state lavorando con un capitale di 6 scellini (il prezzo
della vanga). Siamo in guerra, e il capitale è ora tassato 10 scellini
ogni sterlina. Gli unni sono alle porte. Dovete darmi 3 scellini per
pagare la guerra.
CONTADINO: Ma io non posseggo questi 6 scellini, li ho spesi tutti per
la vanga.
ESATTORE: Allora dovete darmi metà della vanga.
CONTADINO: Sciocchezze! Non potete far niente con metà vanga.
ESATTORE: E' vero, allora prenderò l'intera vanga, e voi reclamate
dalla commissione speciale per la tassa sul reddito per farvi
rimborsare i vostri 4 scellini.
CONTADINO: Al diavolo! Voi non potere ricavare dalla vanga i miei tre
scellini a meno che non la usiate; e intanto il mio pezzo di terra va
in malora, perché non avrò la vanga per lavorarlo.
ESATTORE: Questo non è venuto in mente al Cancelliere dello Scacchiere
o alla Camera dei Comuni quando approvarono la legge. Perciò fareste
meglio a mettere da parte i tre scellini. Vi do un mese di tempo per
farlo e poi passerò a prenderli.
CONTADINO: Col diavolo che verrete! Quella stupida gente non conosce
il suo stupido mestiere, conosce soltanto la maniera di depredare i
poveri. Voterò contro di loro alla prossima elezione.
ESATTORE: Potete votare come vi piace, questo è un paese libero. Ma
dovete pagare lo stesso. Buongiorno e arrivederci tra un mese.
Non difendo il modo di esprimersi del proprietario del piccolo pezzo
di terra, ma ancor meno posso difendere l'ignoranza e la follia del
ministro che ha imposto la tassa e degli agitatori che l'hanno
domandata. Supponete che il Cancelliere dello Scacchiere abbia
effettivamente preso la vanga. Egli non può fare nulla
con essa a meno che non si prenda anche il pezzo di terra. Con
entrambe egli potrebbe coltivare il pezzo di terra con molto maggiore
vantaggio di quello che possa farlo il contadino, poiché potrebbe
unirlo con tutti gli altri appezzamenti di terreno, provvederlo di
macchinario costoso e amministrarlo scientificamente con tecnici
agricoli, ragionieri e statistici; oltre a ciò potrebbe dare al
contadino un salario superiore, per meno ore lavorative di quello che
egli avrebbe potuto mai sperare come proprietario. In breve, egli
potrebbe socializzare l'agricoltura e nazionalizzare la terra.
Soltanto, come dimostrerò adesso, questo non può essere fatto con
pochi freghi di penna in una legge sull'appropriazione.
Ma prima di arrivare a questo punto lasciate che mi soffermi su
un'altra pericolosissima possibilità.
Sebbene la vanga del contadino non possa produrre niente senza lavoro,
non è necessario che il lavoro sia quello del proprietario del pezzo
di terra. Supponete che il pezzo di terra si dimostri così produttivo
che il proprietario s'accorga di poter avere tutti i prodotti di cui
abbisogna, più un margine extra sufficiente a un altro uomo e alla sua
famiglia! Qualche lavoratore, che non ha più un pezzo di terreno da
lavorare, si offrirà di vangare, in cambio di una parte del prodotto.
L'accordo trasforma il proprietario in un ozioso parassita sul suo
pezzo di terreno, dall'industrioso coltivatore che era.
Ora supponete che dal suo pezzo di terra venga fuori petrolio, o che
egli scopra oro o diamanti, mentre lo sta vangando per piantarci
carote! Questo accadde nel Sud Africa. Ciò che accade in Inghilterra è
invece che lo sviluppo di una città o la costruzione di una strada o
la creazione di un nuovo parco danno al pezzo di terra che serviva
soltanto per piantar cavoli un valore enorme. In tal caso il
lavoratore a cui il proprietario ha affittato la sua terra da cavoli
trova che la può subaffittare a un prezzo talmente più grande di
quello che deve pagare al primo proprietario (ora chiamato
proprietario del terreno) da poter vivere oziosamente in un lusso
ancora più grande. E se il valore del posto cresce ancora, il
subaffittuario può ripetere l'operazione, può fare l'affittuario del
subaffittuario fin tanto che si raggiunge il valore limite della
terra, mentre ogni subaffitto aumenta il numero delle famiglie
parassite che vivono su redditi non guadagnati. Terre da cavoli,
trasformate in uffici nelle grandi città, hanno attualmente dozzine di
famiglie che le depredano in questo modo in forza dei pochi scellini
spesi e consumati secoli fa nell'acquisto di una vanga e di una zappa.
Diventai socialista 60 anni fa perché ero abbastanza curioso di sapere
come mai certa gente facesse denaro senza far nulla, mentre altri
vivevano come schiavi per 13 scellini o meno la settimana e morivano
nelle officine, dopo aver duramente lavorato sin da quando erano
bambini.
Era infatti pur vero e inevitabile che nessuna terra da cavoli, fosse
essa ancora un appezzamento coltivato dal suo primo proprietario
oppure la sede di una banca, di una compagnia di assicurazione, di un
trust commerciale, di un grande magazzino o simili, poteva produrre
mezzo soldo di carote o un soldo di rendita, a meno che non ci fossero
uomini e donne a lavorarci sei giorni la settimana.
Così l'appropriazione di un pezzo di terreno, o l'acquisto di una
fattoria da parte di un pioniere, avranno per risultato di dividere
alla fine la società umana in parassiti e produttori, lavoratori e
fannulloni, padroni e schiavi, esattamente come accadde quando
Guglielmo il Conquistatore donava un possedimento a uno dei suoi
baroni. E fosse il capitale fornito dai proprietari sei scellini per
una vanga o sei milioni per un colossale impianto industriale o per
una flotta di transatlantici, una volta che l'impianto e le navi sono
costruiti e che i sei milioni sono stati spesi per mantenere gli
operai che li hanno costruiti, questi milioni sono irrimediabilmente
consumati e la loro presenza come cifre del bilancio è soltanto un
promemoria non sostanziato da alcun fatto. Sotto questo aspetto il
capitale è una pura illusione. La teoria secondo cui i capitalisti
vivono d'aria e possono essere tassati per essa costituisce una vera
pazzia; noi tutti viviamo sul lavoro e non sulla proprietà; l'essenza
genuina di un vero vangelo economico può trovarsi negli scritti di
Ruskin che, essendo egli stesso un proprietario dotato di coscienza
sociale, pubblicò i suoi conti privati per dimostrare che ogni penny
che aveva speso per sé lo aveva guadagnato col suo lavoro e il resto
era stato dato al paese. Cecil Rhodes privò nel suo testamento gli
oziosi da ogni beneficio.
Così il mondo vive di lavoro immediato e non di pane raffermo lasciato
in eredità dagli antenati. Alcuni strumenti con cui essi resero più
produttivo il lavoro sono tuttora in uso, strade, ponti, canali,
ferrovie, acquedotti, porti, centrali elettriche, miniere, mulini a
vento, mulini ad acqua, fabbriche e anche macchinari, dalle ruote per
filare e dai telai a mano ai telescopi per osservatori, tutte queste
cose ci rendono la vita ancora più facile che se non le avessimo, ma
senza un lavoro giornaliero esse sarebbero del tutto inutili e
cadrebbero in rovina e si deteriorerebbero per mancanza di riparazioni
o di miglioramenti. Esse rendono possibile a tutti di lavorare per un
minor numero di ore al giorno e guadagnare di più, facendo la stessa
fatica, cioè a dire produrre non soltanto una maggior quantità di beni
materiali ma anche di agi. Una comunità saggiamente governata
provvederà a che tanto i beni quanto gli agi siano egualmente goduti
da tutti. Una comunità governata plutocraticamente darà tutti gli agi
e tutti i beni a pochi favoriti, mentre farà lavorare il resto sempre
più duramente e lungamente per ottenere una parte sempre più piccola
di quello che produce.
Poiché questa è la nostra situazione, è possibile mai che siamo
governati da idioti e depredati da mascalzoni, e che le masse siano
così vigliacche e imbecilli da sottomettersi a questo stato di cose?
La verità è che esse sono semplicemente ignoranti di scienza politica.
Il Governo deve soltanto non far niente ("laisser faire") e limitarsi
a dar vigore ai contratti volontari e a mantenere la pace; il male
verrà automaticamente da sé. Il proprietario del piccolo pezzo di
terra non dovrà mai dire «voglio vivere in ozio e cercare un tizio che
faccia il mio lavoro oltre al suo». Il tizio verrà e si offrirà di
fare il lavoro perché non ha altri mezzi per vivere. Tolstòi disse che
i ricchi fanno di tutto per i poveri, eccetto che togliere loro il
piede dal collo. Tolstòi si provò a farlo come uomo privato, e il
tentativo finì con la composizione di un dramma autobiografico in cui
egli confessava di essere una vera calamità e che egli lasciò
interrotto all'ultimo atto, perché doveva finire col suicidio.
Soltanto lo Stato può fare ciò che egli tentò di fare da solo.
Abbiamo avuto barlumi di buon senso in questo campo. Prendete il caso
dei nostri inventori e autori. Come il proprietario del piccolo pezzo
di terra prende un acro di arida terra e con il suo lavoro gli fa
produrre vegetali, così l'inventore prende un foglio di carta bianca e
lo trasforma in un disegno che spiega come si debba fare per costruire
una macchina calcolatrice o una turbina; analogamente l'autore prende
un altro foglio di carta bianca e lo trasforma in un poema, in una
commedia, in un romanzo o in un trattato. Tuttavia allo stesso modo
che il piccolo pezzo di terra non continuerà a produrre i vegetali a
meno che non ci sia qualcuno che lo vanghi, così la macchina
calcolatrice o la turbina non produrranno niente se non c'è qualcuno
che le adoperi, né i poemi, le commedie, i romanzi e i trattati
creeranno alcun divertimento, alcun miglioramento morale o educativo
se non sono continuamente stampati, messi in circolazione o
rappresentati. Ma poiché non sono gli autori né gli inventori a fare
questo genere di lavoro, bisogna dar loro qualcosa dei profitti che si
ricavano; essi sono infatti indispensabili alla civiltà e alla
cultura, e se vogliamo che vivano bisogna pagare la loro opera
creativa, anche se essi sono disposti a compierla per niente piuttosto
che non farla affatto.
Parve semplice in un primo momento fare del disegno una proprietà
dell'inventore, del libro una proprietà dell'autore e dello spartito
musicale una proprietà del compositore, così come il pezzo di terreno
è una proprietà di colui che lo vanga. Ma questa nuova forma di
proprietà sembrò così speciale che i nostri giudici per lungo tempo
non riuscirono a persuadersi che essa potesse esistere. Il caso della
terra era semplice: quando coloro che la vangavano producevano una
patata, questa poteva essere usata soltanto da un consumatore. Una
volta mangiata, la cosa finiva lì, e per rimpiazzarla bisognava
produrre una nuova patata con nuovo lavoro. Ma non vi è nulla di
peggio di un disegno quando questo è usato da un fabbricante di
macchine: egli può utilizzarlo per fare milioni di macchine e senza
che esso perda di efficienza o si consumi. Lo stesso accade per gli
spartiti e per i libri. Quanto più sono letti o pubblicati o
rappresentati o stampati, tanto più famosi diventano: l'appetito da
essi destato cresce parallelamente al loro uso; ed essi sono sempre
buoni dopo che milioni di persone ci si sono divertite, né più né meno
che quando l'inchiostro del manoscritto era ancora umido.
Inoltre, mentre nessuno potrebbe prendere una patata da un pezzo di
terra senza avere ottenuto dal proprietario il permesso di entrarvi e
di scavarla, tutti potrebbero usare disegni, spartiti e libri senza
pagare nulla all'inventore, al compositore o all'autore.
E' evidente che bisognava fare qualcosa al riguardo, bisognava cioè
che qualcuno pensasse con maggior attenzione di quanta ne era stata
dedicata alla questione della terra. La soluzione più semplice era di
proibire a tutti di moltiplicare le copie di un libro e di venderle,
oppure di rappresentare commedie e far pagare l'ingresso senza aver
ottenuto prima il permesso dall'autore, contro il compenso da lui
richiesto, mettendo così libri, commedie, eccetera nella stessa
posizione della terra; non proprietà per uso personale, ma proprietà
"reale", cioè proprietà che dà rendita e profitto. Ciò sembrava più
ragionevole della proprietà della terra; poiché il proprietario
terriero non ha fatto la terra; essa fu un dono della natura, mentre
l'autore ha lavorato molti mesi per scrivere un libro. La Bibbia ha
detto la parola di Dio sull'argomento: «la terra non dovrà essere più
venduta per sempre, poiché la terra è mia, voi siete infatti degli
stranieri e degli abitanti temporanei di fronte a me». Così dice, in
maniera del tutto socialista, il venticinquesimo capitolo del
"Levitico", versetto 23.
Era difficile per un terrazziere o per un fabbro credere che il far
scarabocchi con la penna su un pezzo di carta fosse un lavoro che
faceva venire la fame come il maneggiare la pala, il piccone e il
martello, così per un lungo periodo di tempo gli autori dovettero
vivere vendendo i loro manoscritti a editori o ad attori. Ma la
pubblicazione permetteva a chiunque di copiare il libro: e quando si
rappresentava una commedia, un esperto stenografo poteva trascriverla
parola per parola come era stata detta sul palcoscenico e così
ottenere una copia da pubblicare o da usare in un altro teatro senza
pagare nulla all'autore. Gli editori e i direttori di compagnia fecero
molte obiezioni su questo punto; anche loro volevano infatti il
diritto esclusivo di stampare o rappresentare il libro o la commedia
che avevano comperato dall'autore, né d'altronde questi poteva
venderlo loro, perché non lo possedeva. Così, sebbene gli autori
fossero in numero troppo scarso, troppo poveri, troppo inesperti in
questioni di affari e di politica per ottenere qualcosa per sé dal
Parlamento, gli editori, essendo uomini d'affari, ottennero questo per
diritto loro e lo comperarono a prezzi che lasciavano la maggior parte
degli autori a lottare con "la fatica, l'invidia, il bisogno, il
padrone e la galera", finché poi anch'essi formarono associazioni
professionali ovverossia unioni operaie sotto nome più gentile, e
cominciarono a sfruttare questa nuova forma di proprietà in maniera
più sensata.
Ma donde venne ai legislatori quel barlume di coscienza che ispirò
loro il diritto d'autore? Sembra che sia loro accaduto di pensare che,
se la nuova proprietà fosse perpetua ed ereditabile come una proprietà
terriera, non soltanto io (ad esempio) avrei avuto di che vivere a
sufficienza con l'aver scritto uno o due "Pigmalioni", ma, ammesso che
le opere fossero destinate a durare nel tempo, i miei discendenti di
qui a cinquecento anni avrebbero nello stesso modo vissuto, pur senza
aver mai scritto una parola, come veri e propri parassiti del lavoro
di tipografi, editori, attori, direttori e librai. Per la maggior
parte non potrebbero neppure pretendere di essere discendenti del
Profeta (o sceriffo Shavian), poiché i miei "copyrights" potrebbero
essere stati venduti dai miei discendenti (siamo una famiglia
piuttosto previdente) ed essere così passati nelle mani di persone che
non sanno scrivere una sola riga di letteratura.
I nostri legislatori cercarono quindi di evitare questa dannosa
assurdità. Essi limitarono la durata dei diritti d'autore alla vita
dell'autore più un periodo sufficiente a provvedere alle necessità
della vedova e a educare i suoi figli non maggiorenni, nel caso ne
lasci qualcuno. Attualmente questo periodo dura la vita dell'autore
più 50 anni nella maggior parte delle nazioni europee ai sensi di un
accordo internazionale, salvo alcune modifiche locali che non è
necessario qui specificare. Negli Stati Uniti il periodo è di 28 anni,
ma poiché è rinnovabile per altri 28 anni il periodo è virtualmente di
56, abbastanza vicino a quello europeo di 50 anni.
La parte più sorprendente della faccenda è che i nostri legislatori
non si sono ancora accorti che l'obiezione che essi fanno alla eredità
perpetua nei diritti d'autore è egualmente valida per la proprietà
industriale e terriera. Vi è anzi attualmente un movimento che mira a
rendere perpetui i diritti d'autore, in base al fatto che non è bello
che una persona il cui nonno comperò prima degli altri un terreno
senza valore nella zona di Chicago debba essere milionario, mentre il
pronipote di Dickens debba essere povero come uno scaccino. Il sistema
per eliminare questa anomalia è di municipalizzare la zona di Chicago
e di limitarvi la durata degli affitti, piuttosto che di fare, della
progenie degli autori, insigni parassiti come lo sono i discendenti
dei primi diboscatori.
Ma vi è ancora un'altra anomalia da eliminare. Quale deve essere la
sorte degli inventori? Il loro caso doveva essere risolto, così come
era stato risolto quello degli autori. Ma la questione era ancora più
urgente, poiché la vita civile viene modificata molto più dalle
invenzioni che dai libri. Esse hanno reso quasi trascurabili distanze
che nella mia giovinezza erano proibitive: queste sono state infatti
abolite nel momento in cui furono inventati il telefono e il cavo
elettrico. Al confronto Shakespeare non provocò forti mutamenti
sociali: furono Watt e Stephenson a determinare la rivoluzione
industriale. Viene fatto di pensare che, se deve esserci una
differenza tra le condizioni degli inventori e quelle degli autori, i
primi dovrebbero essere trattati meglio. Invece il diritto dell'autore
dura tutta la sua vita più 50 anni, e il brevetto dell'inventore
soltanto 16. La differenza è la stessa che passa tra le idee del 1624
e quelle del 1911, ed è diventata ora ingiustificabile.
Tali anomalie dimostrano che i nostri legislatori stanno annaspando
nel buio e passano da un abuso all'altro senza alcuna comprensione del
futuro, del passato e del presente. Mosè, morto 35 secoli fa, fu
abbastanza intelligente dal punto di vista politico da limitare a
cinquant'anni ogni diritto di proprietà; al sopraggiungere di questo
termine (giubileo) tutti i diritti di proprietà venivano conferiti
alla comunità; ma poiché il meccanismo sociale necessario a un simile
mutamento non era nemmeno allora applicabile, l'idea non fu mai
attuata, e se lo fosse stata avrebbe rovinato la civiltà di allora. Ma
almeno Mosè ebbe la sagacia di vedere che sarebbe stato necessario
fare qualcosa di simile; anche Gladstone, quando le ferrovie furono
autorizzate, per evitare che gli azionisti e i loro discendenti ne
fossero gli eterni proprietari dispose che fossero vendute alla
comunità come rottame, alla fine di un certo periodo di tempo. Ma
poiché quando giunse la scadenza il Governo era antisocialista, non
attrezzato a prendersi le ferrovie e ad amministrarle, il progetto di
Gladstone fu messo da parte dai nostri giudici, così come era accaduto
al progetto di Mosè.
E' chiaro perciò che il male della proprietà "reale" si trova nella
sua perpetua ereditarietà. Nel diciannovesimo secolo esso ha
determinato una distribuzione del reddito nazionale così cattiva e
oltraggiosa, che non poté essere ignorata né difesa. C'erano bambini
milionari e lavoratori poveri benché essi si fossero esauriti in una
intera vita di lavoro. Cagnolini maltesi erano superalimentati con
cotolette di montone e riscaldati su tappeti da salotto, mentre molti
bambini crescevano male e affamati per insufficienza di cibo e di
combustibile. Mentre la nazione aveva urgente bisogno di cose
migliori, di vestiti, di educazione e di viveri, il lavoro che avrebbe
potuto produrli era invece impiegato nel fabbricare articoli di
fantasia (in massima parte inutili cianfrusaglie) e nel permettere il
parassitismo ai parassiti. Sebbene il male non fosse stato capito,
esso era d'altra parte così manifesto che si cominciò ad attaccarlo
con violenza.
Nonostante il precedente dei diritti d'autore e dei brevetti, il primo
attacco non fu sferrato contro la durata dei diritti di proprietà. Il
Governo, bisognoso di denaro per mandare avanti i grandi settori degli
affari nazionali che non potevano essere lasciati al capitalismo
privato, perché nessun profitto commerciale se ne poteva ricavare,
cominciò a confiscare a tutto spiano i redditi dei ricchi. Nella mia
giovinezza la tassa sul reddito era di due pence ogni sterlina. Essa è
ora di diciannove scellini e sei pence sui redditi che eccedono le
ventimila sterline, il che significa non soltanto la loro
nazionalizzazione ma anche le fine di numerosi parassiti e la
bancarotta dei loro proprietari. Si ammette ora esplicitamente e
ufficialmente che tali redditi non sono guadagnati da coloro che li
ricevono. In breve, poiché è ormai universalmente riconosciuto dagli
economisti che le persone che li ricevono, simili a "fuchi in un
alveare", danneggiano la società nello stesso modo dei ladri, noi,
invece di mettere un freno a queste ruberie, abbiamo al pari di Wotan
nell'"Anello dei Nibelunghi" di Wagner preso come regola della nostra
economia politica quella che dice «Ciò che il ladro ti ha rubato, tu
rubalo al ladro».
Successivamente, continuando a non capire il problema, abbiamo
attaccato l'istituto dell'eredità, istituendo le imposte di
successione e determinandole su un capitale puramente immaginario in
base ai valori di Borsa.
Tutto questo, che si viene ora eseguendo in pieno sotto la pressione
di una guerra che costa dodici milioni di sterline al giorno, sta
rovinando il sistema capitalista, da cui pure la civiltà ancora
dipende largamente. Sembra semplice prendere i milionari per la
collottola e rovinarli, ma poiché non possiamo farlo senza rovinare
contemporaneamente Bond Street e Bournemouth, oltre a dover trovar
lavoro per i loro maggiordomi e le loro governanti, i loro cuochi e le
loro cameriere, finiamo per trovarci in un bel ginepraio invece che in
un paradiso terrestre. Prendete a esempio il mio caso. Trent'anni fa
impiegai alcuni mesi del mio tempo libero per scrivere una commedia
chiamata "Pigmalione", per la quale, in virtù della legge sui diritti
di autore, sono stato abbastanza ultrapagato al confronto degli
attori, degli scenografi e del personale di palcoscenico, per cui
merito la commedia veniva rappresentata. Grazie all'invenzione del
cinematografo (che non è stato inventato da me) ricevetti in seguito
una pioggia di 29000 sterline in conto dei miei diritti d'autore per
il film. Il risultato finanziario fu che dovetti pagare in due anni
50000 sterline al Cancelliere dello Scacchiere. Il risultato di quella
catastrofe è che ora uso i miei diritti di autore, non perché si
filmino le mie commedie e si dia in questo modo lavoro e divertimento
ai miei concittadini, ma per vietarle o sopprimerle, così da ridurre
il mio reddito al punto in cui mi sia possibile viverci. Analogamente,
sebbene la guerra inciti ogni persona a lavorare fino al massimo della
sopportazione per stornare dal nostro capo la minaccia della sconfitta
da parte del nazismo, gli operai si rifiutano dappertutto di lavorare
oltre l'orario, per tema di guadagnare quanto basta per essere colpiti
dalla tassa sul reddito.
Un mio amico, morto tempo fa, aveva un'ottima posizione economica,
quando ebbe la sfortuna di ereditare un vasto possedimento e il titolo
di marchese. Egli diventò immediatamente debitore verso il Cancelliere
dello Scacchiere di una somma pari a tredici anni di reddito del suo
possedimento a titolo di imposta di successione, sebbene egli fosse
nell'impossibilità di ricavare dal possedimento più del raccolto
dell'anno precedente. Il mio amico disse al Cancelliere «naturalmente
non posso pagarvi il denaro, ma posso darvi la terra» (6000 o 60000
acri non ricordo bene). Il Cancelliere, sebbene fosse per principio un
ardente fautore della nazionalizzazione della terra, nonché ministro
di un Governo laburista, dovette rifiutare l'offerta, non essendo in
condizioni di coltivare e amministrare neppure un acro del suolo
nazionale. Come sistemarono la questione, se mai lo fecero, non posso
dirvelo: tutto quello che so è che, quando dovetti pagare le mie 50000
sterline, non offrii in loro vece alcuni dei miei diritti di autore;
poiché infatti non abbiamo né un teatro né un cinematografo nazionale,
il Cancelliere non sapeva che farsene di un diritto d'autore.
Mi verrà ora chiesto perché, se tassare il capitale è un'operazione
spesse volte impossibile e non redditizia, questa tassa sia durata in
pratica così a lungo sotto forma di tassa di successione. La risposta
è che questa forma di tassazione non è mai realmente esistita e che
sarebbe stata subito annullata se fosse stata applicata a tutti i
capitalisti ogni anno (come vorrebbero fare i suoi sostenitori) invece
che a casi individuali a lunghi intervalli. Se un Cancelliere domanda
in un solo anno il reddito di 13 anni di un possedimento, lo fa
soltanto ogni 33 anni, cioè una volta in una generazione, ed è allora
possibile per il proprietario di provvedere al pagamento della tassa,
risparmiando o mediante un'assicurazione; e poiché si fece appunto
così, tutto procedette benissimo fino all'inizio della guerra dei
Quattro Anni nel 1914, quando nelle Fiandre la carneficina era tale
che la vita di un ufficiale di compagnia al fronte si pensava potesse
durare al massimo sei settimane invece di 33 anni. Nel caso venissero
uccisi tre eredi nello spazio di sei mesi, il possedimento di famiglia
doveva pagare l'imposta di successione, sul suo valore immaginario,
tre volte in un solo anno, e anche la sua completa confisca lasciava i
suoi eredi ancora in debito verso la Corona: una povera ricompensa per
il massimo sacrificio dei patrioti. In tali casi la tassa di
successione dovette essere rimessa. Essa non è mai stata attuabile e
non lo sarà mai, se non quando potrà essere pagata a intervalli
considerevolmente più lunghi del numero dei redditi annui richiesti in
una sola volta.
La confisca dei redditi non guadagnati è possibile soltanto nella
misura in cui l'iniziativa socialista può provvedere all'impiego o a
una pensione di Stato per tutti i parassiti a essi collegati. Le
guerre realizzano questo programma, impiegandoli come soldati, come
lavoratori nelle fabbriche di munizioni e nelle attività produttive,
dalle quali i soldati e gli operai delle fabbriche di materiale
bellico, il cui lavoro è invece distruttivo e omicida, ricavano i
mezzi per il loro sostentamento.
Così la guerra dei Quattro Anni obbligò il Governo a costruire
industrie nazionali e a controllare quelle private, prescrivendo quali
dovessero essere i prodotti, accertandosi dei costi di produzione e
limitando molto drasticamente i profitti. Ma quando la guerra finì,
tutti questi impieghi cessarono. Le industrie nazionali furono
distrutte e il controllo cessò. Vi sarebbero stati tumulti, se non si
fossero aiutati i soldati smobilitati con sussidi di disoccupazione
anziché organizzare socialisticamente i mezzi di lavoro per dar loro
modo di guadagnarsi un decoroso sostentamento. Ma questo non lo
potevano fare da sé senza avere né terra né una direzione. Il sussidio
ci diede il peso di una nuova orda di parassiti viventi nella più
abbietta povertà. I parassiti poveri sono molto peggiori dei ricchi:
essi non possono né risparmiare capitale, né dare lavoro, né dare un
esempio di bel vivere come fanno i ricchi.
Nel 1939 la situazione fu di nuovo temporaneamente salvata da una
nuova guerra; ma essa si riprodurrà e ci porterà infine alla rovina, a
meno che non riusciamo a ottenere che i nostri governanti capiscano
che la semplice confisca dei redditi non guadagnati a mezzo di tasse e
l'abolizione dell'ereditarietà e le tasse di successione non sono
sufficienti a ciò, perché la terra e l'industria debbono essere
mantenute in efficienza produttiva giorno per giorno, minuto per
minuto, e devono essere coltivate, amministrate, lavorate senza un
momento di sosta, altrimenti la nazione morirà di fame, per quanto il
Cancelliere dello Scacchiere possa star seduto su una scatola piena di
certificati, azioni e titoli di beni. Il nuovo Governo bolscevico
russo del 1917 scoprì questa verità provando e sbagliando. Esso non fu
così pazzo da stimare le risorse nazionali col semplice metodo di
moltiplicare il reddito nazionale per venti: bensì ridusse alla
miseria i capitalisti, i proprietari e i profittatori, in base ai
principi socialisti, col metodo della semplice espropriazione
violenta. I risultati immediati furono così disastrosi che ancor oggi
c'è da meravigliarsi che il bolscevismo sia sopravvissuto alla
catastrofe. I capi sovietici, non avendo letto nessun vangelo
socialista più recente di quello di Karl Marx ed essendo quindi pre-
fabiani, non capirono che gli statisti socialisti non devono
nazionalizzare un soldo di capitale né un ettaro di terra, finché la
nazione non sia attrezzata burocraticamente a usare quel capitale e a
coltivare quella terra senza un giorno di ritardo. Quando Lenin
s'accorse di che cosa accade quando si distrugge radicalmente
l'impresa privata prima che il meccanismo politico sia pronto a
continuare il suo lavoro, dovette restaurare buona parte del commercio
e dell'agricoltura privati, sotto il nome di Nuova Politica Economica
(egli avrebbe dovuto chiamarla Vecchia) per tirare avanti il Governo
sino a che non fosse attrezzato per sostituirsi a loro.
Possiamo considerare arcidimostrato che né i principi cristiani, né i
principi marxisti, né le esperienze di affari dei banchieri e degli
speculatori possono guidare sicuramente uno Stato moderno verso una
genuina democrazia. Ma non è possibile accertarsi con esami e colloqui
se l'esaminando conosca l'economia finanziaria abbastanza solidamente
da essere fatto Cancelliere dello Scacchiere o Lord del Tesoro, senza
il rischio di essere portati alla rovina da ubbie che vanno sotto il
nome di "valori del capitale", valori terrieri, credito sociale,
risparmi, parsimonia e simili maschere del principio «Qualcosa in
cambio di niente». Gli uffici del Tesoro dovrebbero portare cartelli
dove fosse scritto non LIBERTA', UGUAGLIANZA, FRATERNITA', ma
NIENTE PER NIENTE E POCHISSIMO PER UN SOLDINO.
13.
IDEE GIUSTE E IDEE ASSURDE IN FATTO DI COMPENSAZIONE
In un solo punto essi si accapigliano furiosamente. Coloro che non
tengono per il socialismo insistono che gli espropriati dovrebbero
ricevere un cosiddetto indennizzo, intendendo con ciò che essi
dovrebbero riavere sotto altra forma la proprietà confiscata. Gli
altri sostengono con veemenza che essi non dovrebbero ricevere alcun
riguardo e dovrebbero essere lasciati tutti a lavorare o a morire di
fame, come si meritano. Dicono questi ultimi che, siccome la proprietà
privata è in effetti un furto, coloro che ne approfittano dovrebbero
essere puniti invece che compensati. L'indignazione virtuosa è una
forma molto apprezzata di autoindulgenza in Inghilterra, e senza
dubbio anche altrove. Ma ciò non cambia il fatto che i signori e le
signore gettati senza pietà sul lastrico non hanno effettivamente la
possibilità di lavorare. Essi non sanno lavorare e non sono stati
allenati a farlo. Alcuni di loro sono troppo giovani e altri troppo
vecchi. Hanno molte persone a carico (tra i quali i poveri parenti
rovinati come loro), e tra queste coloro che lavorano possono veder
sfumare le loro possibilità di lavoro. La cameriera di una signora che
si presentasse per ottenere un posto di raccoglitrice di stracci
sarebbe rifiutata con una frase del genere «Lei non è il tipo che ci
serve» nello stesso modo come lo sarebbe la sua padrona rovinata; e se
la espropriazione dovesse essere molto estesa, ben poche signore
impiegherebbero donne di servizio. Lo Stato inoltre non può, come un
imprenditore privato, sbarazzarsi dei suoi impiegati con un semplice
licenziamento. Essi si presentano a lui come "poveri" e, più
educatamente, come "nullatenenti" che hanno diritto a esser soccorsi
secondo la vecchia legge di Elisabetta e tutte le sue moderne
aggiunte. La teoria secondo cui essi sarebbero in qualche modo
colpevoli è ignorante e sciocca. Essi non possono evitare di essere
proprietari più di quanto gli altri possano evitare di essere
proletari. Se qualcuno deve essere ritenuto colpevole di qualche cosa,
sono i proletari che dovrebbero essere puniti perché poveri, e non i
proprietari perché ricchi. La formula del «nessun indennizzo» equivale
alla crudeltà premeditata verso gli animali. Oggi anzi si fa troppo
poco uso dell'indennizzo. Quando gli operai che tessevano a mano
furono rovinati dalle industrie tessili meccaniche, essi furono spinti
a rivoltarsi per il mancato indennizzo, mentre sarebbe stato più
economico darglielo subito. La gente umana e di buon senso ammetterà
questo senza discutere; ma si chiederà altresì che genere di
indennizzo sia quello dato ai proprietari, se esso li lascia ricchi
come prima. Questa giusta domanda dimostra che la parola indennizzo
non è appropriata. I proprietari come classe non saranno né potranno
essere indennizzati; ma l'espropriazione dei loro beni può essere
fatta in modo da evitare che il proprietario di una grandissima
proprietà debba sopportare più della sua giusta parte di danno nella
trasformazione di quest'ultima da proprietà privata a pubblica. Ciò
può farsi facilmente e in effetti si fa di continuo, comperando la
proprietà al suo prezzo di mercato e pagandolo con tasse imposte su
tutto il complesso dei proprietari. Il risultato non è un indennizzo,
bensì un accomodamento e dovrebbe essere chiamato così.
Io stesso sono un proprietario, e quello che è peggio un proprietario
assenteista. Da quando ereditai la mia proprietà, circa trent'anni or
sono, passai una sola volta alcune ore nelle sue vicinanze, senza
entrarvi e senza identificare una sola delle case ivi erette. Però
intasco un modesto reddito, guadagnato dal lavoro di coloro che ci
abitano, i quali non mi hanno mai visto né hanno mai ricevuto alcun
servizio da me. Difficilmente si può immaginare una più grande
malversazione, ma non è colpa mia, devo accettarlo come legge della
terra; non vi sono infatti altre alternative per me. Sono nettamente
favorevole alla municipalizzazione di questa mia piccola proprietà; ma
desidero essere pagato come se la vendessi privatamente a un
compratore privato. Perché dovrei restare infatti minorato del mio
pezzetto di città, quando i padroni di casa dei miei vicini non
soltanto continuerebbero a godere le loro rendite come prima, ma anche
qualcosa in più, grazie ai vantaggi che possono risultare
dall'espropriazione della mia terra?
Senza dubbio il metodo giusto è quello di pagarmi il prezzo della mia
terra e mandarmi l'esattore delle tasse per ritirarmi una quota del
prezzo, facendo nello stesso tempo contribuire con le loro quote i
colleghi proprietari terrieri. Con ognuna di queste transazioni un
pezzo di terra passa dalla proprietà privata a quella pubblica; il
Municipio diventa più ricco per via del suo uso o provento; la classe
dei proprietari diventa più povera in ragione del prezzo pagato per
l'esproprio; i contribuenti diventano invece più ricchi in ragione
della stessa cifra. I nostri economisti classici dimostrarono che le
imposte finiscono sempre per ricadere sugli affitti; di conseguenza
quando le imposte diminuiscono gli affitti possono essere aumentati;
ma questo è vero soltanto quando al contribuente affittuario si impone
un affitto esorbitante: cioè un affitto così alto che se fosse
aumentato di uno scellino egli dovrebbe rinunciare a fare
l'affittuario. Questo però accade soltanto nel caso di affittuari
estremamente poveri. Finché l'affitto non giunge a questo punto, come
accade nella maggior parte dei casi, l'affittuario può godere una
parte della rendita viva; ma egli non può aumentar l'affitto del
vicino, né possono farlo i locatari, sebbene essi possano trarre un
profitto dal subaffitto, se l'affitto che pagano non è alto. Ma queste
vie di evasione sono in massima parte soltanto teoriche, e quindi
costituiscono una quantità trascurabile. Poiché i padroni di casa sono
tassati sempre sui loro redditi in modo tale che le loro candele
bruciano da tutte e due le parti, per rendere tutti i fondi urbani di
proprietà pubblica è sufficiente che la municipalizzazione mediante il
sistema anzidetto sia effettuata fino alla fine; in tal modo la classe
dei proprietari rimasti senza proprietà si estinguerà, e i loro figli
saranno educati a lavorare per vivere, come fanno tutti.
Nonostante la sua semplicità, questo procedimento abbisogna di qualche
elementare ragionamento politico ed economico, perché sia pienamente
capito. Chi non lo capisce non deve avere mai niente a che fare con
progetti di municipalizzazione e nazionalizzazione. Si tratta di una
posizione chiave, ed è perciò questo l'elemento decisivo per la
qualifica.
Sebbene con questo sistema si possa provvedere perfettamente al
trapasso del territorio urbano dalla proprietà privata a quella
pubblica con l'assenso degli uomini d'affari, vi sono alcuni casi in
cui questo sistema potrebbe essere troppo spietato verso i
proprietari. Alcuni privati possiedono il suolo di intere città o di
parti importanti di città che sono di per sé sole più vaste ed
enormemente più redditizie di molte cittadine provinciali. Andare da
uno dei nostri pari terrieri e dirgli «stiamo per municipalizzare
questa e quella casa della vostra proprietà, ma non ne risentirete la
perdita, perché vi pagheremo a prezzo di mercato tassando tutti gli
altri proprietari della parrocchia» sarebbe una stupidaggine, finché
egli potesse rispondere «grazie tante; sono il proprietario del suolo
di tutta la parrocchia e sarei io a pagare l'intero prezzo». Finché
potessimo rispondergli che potrebbe benissimo sopportare il
sacrificio, potremmo andare avanti senza rimorsi; ma si arriverebbe a
un punto al quale egli non potrebbe più sopportarlo senza un duro
cambiamento nella sua situazione: vale a dire, ridursi a vivere in un
modo che, non per colpa sua, non gli è mai stato insegnato e che
quindi egli ignora, perdendo per giunta il margine necessario a
mantenere in vita i suoi vecchi parenti e i servi che in passato lo
avevano servito fedelmente. La privazione personale è al confronto
trascurabile; un duca proprietario terriero non mangia infatti più del
suo giardiniere né consuma altrettanto presto i suoi vestiti; e nei
suoi viaggi deve talvolta vivere molto scomodamente. Ma egli ha tanti
imbarazzi e impegni che una sua improvvisa e completa espropriazione
sarebbe una calamità per molta altra gente. Egli ha il diritto, come
lo hanno gli autori, di essere avvertito con sufficiente anticipo da
permettere a lui e a sua moglie di farsi una nuova vita, e ai suoi
figli di essere educati al loro avvenire nuovo e definito. Questo si
può fare in maniera ragionevole concedendo loro una rendita annua
temporanea, o una pensione vitalizia. La nostra esperienza dei figli
cadetti sbalestrati nella vita come gentiluomini senza una lira non
c'incoraggia a tenercene attorno altri in avvenire. La povertà della
gente che non sa vivere poveramente è molto più penosa della povertà
di un operaio che ha quel tanto a cui è stato sempre abituato e non
deve conservare false pretese sociali vivendo in maniera inadeguata
alle sue rendite, o addirittura senza rendite.
Se il futuro deve essere un futuro socialista, il caso di gente che
viva di redditi non guadagnati sarà ulteriormente modificato dal fatto
che il lavoro sarà obbligatorio per tutti. Esso lo è sempre stato per
la maggior parte della gente; infatti, non soltanto il proletariato
non ha avuto altra alternativa che lavorare o morire di fame, ma anche
la nobiltà feudale è stata moralmente soggetta al servizio
obbligatorio nell'esercito, nella Chiesa e nella diplomazia. Soltanto
nella classe media non solo manca un senso dell'obbligo sociale al
lavoro anche quando si può farne a meno, ma esiste addirittura una
radicata convenzione sociale che "l'indipendenza" (e cioè in verità la
completa dipendenza dal lavoro altrui) sia segno di distinzione. La
gente distinta non deve farsi vedere a portar sacchi. Ora, il fatto di
avere molto denaro non abolisce per niente l'obbligo sociale di
lavorare. Questo principio finora è legalmente riconosciuto solo nel
caso del servizio militare. L'uomo che ha un reddito non guadagnato di
ventimila sterline l'anno deve andare in trincea come quello che non
ha nulla e che prende la paga del re perché non saprebbe altrimenti
come fare a vivere. Ora, sotto la denominazione di lavoro di guerra,
il servizio militare comprende ogni genere di lavoro e tutti sono
diventati egualmente obbligatori. Naturalmente questa obbligatorietà è
salutare sia in pace sia in guerra, così che non è distante il giorno
in cui il ricco dovrà fare la sua giornata di lavoro come la fa il suo
vicino proletario. In tal caso quali privilegi darà il reddito non
guadagnato, senza i suoi vantaggi attuali? Noi potremmo dire al
milionario obbligato a lavorare al fianco dei suoi concittadini nei
campi, nelle fabbriche, nelle miniere, sulle navi e negli uffici, come
ora è costretto a servire nell'esercito: «Se voi e gli altri milionari
vorrete rinunciare ai vostri redditi non guadagnati, noi possiamo
ridurre il vostro lavoro e quello di tutti gli altri di x ore al
giorno».
Ogni progresso nell'organizzazione sociale sarà un ottimo affare per
coloro che vivono di rendita quando non sarà loro più permesso di fare
i parassiti. Anche ora le vite che si trascinano nell'ozio non sono
felici: le loro vittime sono costrette a seccarsi e tormentarsi a
vicenda nell'andazzo senza senso di una moda che non viene neppure
inventata da loro ma è imposta dalle industrie di lusso che vivono a
loro spese, e in tutto ciò l'occupazione migliore è ancora quella di
fare vita di campagna dedicando ogni mese alla caccia e alla uccisione
di qualche animale o uccello. Questa è una vita da cane e non da uomo
civile, per quanto possa essere più sana della vita mondana di Londra.
Le unioni operaie e la legislazione del lavoro hanno fatto qualcosa
per mitigare la povertà e la schiavitù dei poveri; ma non si pensa
affatto alle miserie dei ricchi, che si crede vivano in uno stato di
continuo divertimento, poveri diavoli!
14. IL VIZIO DEL GIOCO E LA VIRTU' DELL'ASSICURAZIONE
Sorge subito la domanda: come sia possibile fare un bilancio di
solvibilità trattando questioni di probabilità. La risposta è che,
quando si presentano in grande numero, le probabilità diventano
certezze, e questa è una delle ragioni perché un milione di persone
organizzate in uno Stato possono fare cose che non possono essere
tentate dai singoli privati. Questa scoperta nacque tuttavia
dall'esperienza di ordinari affari privati.
Nel passato, quando il viaggiare era pericoloso e la gente prima di
partire per un viaggio in mare faceva testamento, e diceva le sue
preghiere come se fosse in procinto di morire, il commercio con i
paesi stranieri era un affare rischioso, specialmente quando il
commerciante, invece di starsene a casa e di consegnare le mercanzie a
una agenzia straniera, doveva accompagnarle a destinazione per
venderle sul posto. Per fare questo, egli doveva stipulare un
contratto con un proprietario di nave oppure direttamente col capitano
della nave.
Ora, i capitani delle navi, che vivono sul mare, non vanno soggetti al
terrore che esso ispira agli uomini di terra. Per loro il mare è più
sicuro della terra; i naufragi sono infatti meno frequenti delle
malattie e dei disastri in terra. I capitani delle navi guadagnano sia
portando passeggeri sia portando merci. Immaginate quindi un discorso
di affari tra un commerciante avido di commerciare con l'estero, ma
terribilmente pauroso di fare naufragio o di essere divorato dai
selvaggi, e un comandante di nave avido di merci e di passeggeri. Il
capitano assicura il commerciante che le sue merci arriveranno sane e
salve, e che anche lui arriverà perfettamente a destinazione, in caso
le voglia accompagnare. Ma il commerciante, che ha la testa piena
delle avventure di Giona, san Paolo, Ulisse e Robinson Crusoe, non osa
avventurarsi. Le loro conversazioni si svolgeranno più o meno in
questo modo.
CAPITANO: Venite! Scommetto quante sterline volete che, se partite con
me, tra un anno sarete ancora vivo e vegeto.
COMMERCIANTE: Se dovessi scommettere, scommetterei piuttosto che
morirò entro l'anno.
CAPITANO: Perché no? Tanto perderete certamente la scommessa.
COMMERCIANTE: Ma se io affogo, affogherete anche voi, e allora che
cosa accadrà della nostra scommessa?
CAPITANO: Giusto. Ma vi troverò qualcuno a terra che farà la scommessa
con vostra moglie e con la vostra famiglia.
COMMERCIANTE: Questo cambia la situazione; ma, e il mio carico?
CAPITANO: Puh! Si può fare la scommessa anche sul carico. Oppure due
scommesse: una sulla vostra vita e un'altra sul carico. Ambedue le
cose saranno sicure, ve lo garantisco. Non accadrà nulla; e voi
vedrete tutte le meraviglie che si possono vedere all'estero.
COMMERCIANTE: Ma se le mie merci e io arriviamo sani e salvi dovrò
pagarvi il valore della mia vita e quello delle merci. Insomma, se non
affogo io sarò rovinato.
CAPITANO: Anche questo è vero, ma non crediate che per me le cose
andrebbero molto meglio. Se voi affogate, io affogherò per primo; devo
essere infatti l'ultimo uomo a lasciare la nave. Tuttavia voglio
persuadervi a tentare. Faremo la scommessa dieci contro uno. Vi tenta?
COMMERCIANTE: Oh, in questo caso...
Il capitano ha scoperto l'assicurazione così come l'orefice scoprì le
operazioni di banca.
L'assicurazione è un affare lucrativo, e se il giudizio
dell'assicuratore e le sue informazioni sono buone è anche un affare
sicuro. Esso non è però così semplice come fare il bookmaker sui campi
di corse: mentre infatti in una corsa tutti i cavalli eccetto uno
devono perdere e il bookmaker guadagna, in un naufragio tutti i
passeggeri possono vincere e l'assicuratore andarsene in rovina. Egli
deve quindi avere non una ma più navi, in modo che, quante più navi
arriveranno in porto invece di affondare, egli guadagnerà in
proporzione e perderà soltanto su una. Ma in effetti l'assicuratore
marittimo non ha bisogno di navi proprie, così come il bookmaker non
ha bisogno di propri cavalli. Egli può assicurare i carichi e le vite
affidati a migliaia di navi che appartengono ad altra gente, anche se
non ha mai posseduto o nemmeno visto qualcosa di più di una canoa.
Quante più navi egli assicura, tanto più sicuri sono i suoi profitti;
una mezza dozzina di navi può infatti naufragare nello stesso tifone o
essere spazzata via dalla stessa ondata di fondo, ma su mille navi la
maggior parte sopravviverà. Quando i rischi sono accresciuti dalla
guerra le quote di scommessa possono diminuire.
Quando il commercio estero si sviluppa al punto che gli assicuratori
marittimi possono impiegare più capitale di quello che possano fornire
i singoli individui, per soddisfare la domanda si formano società come
i Lloyds britannici. Queste società si accorgono subito che vi sono
nel mondo molti altri rischi oltre a quello del naufragio. Gli uomini
che non viaggiano e che non spediscono merci per mare possono perdere
la vita o parte del corpo in un incidente, oppure le loro case possono
essere distrutte da incendi o depredate dai ladri. Sorgono allora da
tutte le parti compagnie di assicurazioni, e gli affari si sviluppano
e si estendono fino a che non esiste più alcun rischio che non possa
essere assicurato. I Lloyds assicureranno non soltanto contro i
naufragi ma anche contro qualsiasi rischio che non sia specificamente
coperto dalle società per azioni, ma purché sia un rischio
assicurabile, ovvero sia un rischio sicuro.
Questo sembra costituire una contraddizione in termini: come può
infatti un affare sicuro comportare un rischio o un rischio essere
corso sicuramente?
La risposta ci porta in una regione misteriosa in cui i fatti non
possono essere razionalizzati da nessun sistema di raziocinio finora
scoperto. L'esempio tipico è costituito dalla più semplice forma di
gioco, ovverossia quello di lanciare una moneta in aria e scommettere
quale sarà il lato visibile quando si sarà fermata dopo la caduta.
Testa o coda, si dice in Inghilterra, testa o croce in Italia. Ogni
volta che la moneta è lanciata in aria, sia l'una che l'altra parte
hanno le stesse probabilità di vincere. Se vince la testa è probabile
vincere anche la volta dopo e ancora la prossima e così fino a mille
volte; dal punto di vista teorico è possibile che si verifichi una
serie di mille teste o di mille croci; il fatto che la testa vinca a
ogni colpo non fa sorgere la più ragionevole probabilità che la croce
vincerà la prossima volta. Tuttavia i fatti smentiscono questo
ragionamento. Chiunque possiede un nichelino e lo lancia per aria
cento volte, trova che la stessa parte ritorna successivamente varie
volte; ma il risultato finale sarà di cinquanta teste e cinquanta
croci o giù di lì. Mi sono trovato ora in tasca dieci soldi e li ho
gettati dieci volte di seguito sul pavimento. Risultato: 49 teste 51
croci, sebbene il risultato 5 contro 5 si sia verificato soltanto due
volte in 10 tiri, e le teste abbiano vinto all'inizio per tre volte
consecutive. Così, sebbene in due lanci il risultato sia del tutto
incerto, in dieci esso può dare abbastanza spesso un 6 a 4 o un 7 a 3
e ci si può quindi scommettere sopra; ma in cento lanci il risultato
sarà di 50 a 50 e lascerà i due giocatori, di cui uno strilla testa e
l'altro croce ogni volta, esattamente allo stesso punto o molto vicino
a quello in cui erano quando cominciarono, né più ricchi né più
poveri, a meno che le poste siano così alte che soltanto dei giocatori
pazzi osino azzardarle.
Una compagnia di assicurazione ben diretta, che fa decine e decine di
migliaia di scommesse, non gioca affatto d'azzardo; essa conosce con
sufficiente esattezza a quale età moriranno i suoi clienti, quante
loro case bruceranno ogni anno, quanti furti si verificheranno, quanto
denaro sarà sottratto dai cassieri, quanti indennizzi dovranno pagare
alle persone infortunate sul lavoro, quanti incidenti capiteranno alle
automobili e ai clienti stessi, quante malattie o periodi di
disoccupazione essi dovranno affrontare e quante spese faranno per
nascite e morti: in breve, ciò che accadrà a ogni mille o diecimila o
un milione di persone, e ciò benché la compagnia non possa dire quel
che accadrà a ognuna di loro.
Nella mia giovinezza mi fu insegnato a giocare a "whist" per mettermi
nelle condizioni di affrontare degnamente una vita oziosa, dato che vi
era gente ricca che, non avendo niente altro di meglio da fare,
scacciava la noia (che a quei tempi si chiamava "ennui") giocando a
"whist" ogni giorno. Successivamente quelle persone sostituirono al
"whist" la "bésigue"; ora si gioca a "bridge." Ogni club ha infatti la
sua sala da gioco. I giochi di carte sono giochi di fortuna; sebbene i
giocatori amino infatti far credere che usano abilità e discernimento
nello scegliere la carta da giocare, la pratica stabilisce subito
regole mediante le quali anche il più stupido giocatore può imparare
quale carta scegliere correttamente: cioè non scegliendola affatto, ma
ubbidendo a certe regole. In conseguenza di ciò, la gente che gioca
ogni giorno a sei pence o a uno scellino al punto si trova alla fine
dell'anno a non aver guadagnato né perduto somme di grande importanza
e ad avere ucciso piacevolmente il tempo invece di essersi annoiata a
morte. In realtà non si è esposti a rischi maggiori di quanto abbiano
sostenuto le compagnie di assicurazione.
Fu infine scoperto che non soltanto non è necessario che gli
assicuratori posseggano navi o cavalli o case o alcuna delle altre
cose che essi assicurano, ma che non c'è neppure bisogno che essi
esistano. I loro posti possono essere presi da macchine. Sui campi di
corse il bookmaker vestito in modo vistoso, e impudentemente loquace,
è sostituito dal totalizzatore, dove i giocatori depositano le somme
che sono disposti a scommettere sui cavalli che essi immaginano
vincitori. Dopo la corsa tutti i vincitori sono pagati mediante questo
fondo. La macchina ne trattiene una parte per il costo d'esercizio e
il suo profitto. Sulle navi che fanno crociere di divertimento,
giovani donne con molto più denaro di quanto sappiano utilizzare
gettano scellini e scellini nelle macchine da gioco costruite in modo
tale che molto di rado lo scellino ritorna moltiplicato per dieci o
venti. Queste macchine sono gli ultimi successori della roulette, dei
cavallini e di tutti gli altri trucchi che vendono probabilità di far
denaro per niente. Come il totalizzatore e la lotteria, esse non
rischiano assolutamente nulla, sebbene i loro clienti non abbiano
altra certezza se non quella che presi tutti insieme debbono perdere,
dato che ogni vincita di Giacomo e Maria è una perdita per Tom e
Susanna.
In che modo tutto questo riguarda gli uomini di Stato? In questo modo.
Giocare d'azzardo o tentare di far denaro senza guadagnarlo è un vizio
che economicamente (e cioè fondamentalmente) è rovinoso. Nei casi
estremi è una pazzia alla quale neppure le persone più intelligenti
sanno resistere; esse scommetteranno, infatti, tutto ciò che
posseggono, sebbene sappiano che le probabilità sono contro di loro.
Quando si sono rovinati in mezz'ora o in mezzo minuto, si meravigliano
della follia della gente che sta facendo la stessa cosa e della loro
stessa follia.
Ora lo Stato, potendo fare milioni di scommesse laddove un singolo
cittadino non ne può affrontare che una, può tentare i suoi cittadini
a giocare senza correre il minimo rischio di perdere finanziariamente;
infatti, come ho già detto prima, si sa con certezza ciò che accadrà
in un milione di casi sebbene nessuno possa invece prevedere ciò che
accadrà nel singolo caso. Di conseguenza ogni Governo essendo in
continuo e assillante bisogno di denaro a causa delle sue fortissime
spese e dell'antipatia popolare per le tasse, è fortemente tentato a
cercar di riempire il Tesoro tentando i cittadini a giocare contro di
lui.
Nessun delitto verso la società potrebbe essere più perverso e più
dannoso. E' un categorico dovere pubblico creare una salda coscienza
popolare contro di ciò, facendo una questione di pura e semplice
onestà civica il non spendere ciò che non si è guadagnato e il non
consumare ciò che non si è prodotto; una questione di alto onore
civico il guadagnare più di quello che si spende, il produrre più di
quello che si consuma, e il lasciare così il mondo in condizioni
migliori di come lo si era trovato. Nessun altro vero titolo di
nobiltà è concepibile al giorno d'oggi.
Sfortunatamente, il nostro sistema di considerare la terra e il
capitale una proprietà privata non soltanto rende impossibile tanto
allo Stato quanto alla Chiesa di inculcare questi fondamentali
concetti, ma li spinge in realtà a predicare proprio l'opposto. Il
sistema può spingere l'imprenditore attivo a lavorare duro e a
sviluppare al massimo i suoi affari, ma il risultato finale è quello
di farlo diventare un membro della nobiltà terriera o della
plutocrazia, che vive sul lavoro degli altri e che mette i suoi figli
nelle condizioni di fare lo stesso senza aver mai lavorato un momento.
La ricompensa del successo nella vita è di diventare un parassita e di
fondare una stirpe di parassiti. Il parassitismo è il chiodo della
ruota del carro capitalista; ovvero il principale incentivo, senza il
quale, come ci è stato insegnato, la società umana cadrebbe a pezzi.
Il più audace dei nostri arcivescovi, il più democratico dei nostri
ministri delle Finanze non osa denunziare apertamente che il
parassitismo, tanto per i pari quanto per i giocatori, è un male che
finirà per corrompere anche la più forte civiltà, e che affermare
l'opposto è semplicemente diabolico. I nostri più eminenti uomini di
Chiesa predicano ora con grande chiarezza e decisione contro la
tendenza a fare dell'egoismo l'elemento motore delle civiltà; ma essi
non si sono ancora arrischiati a seguire le orme di Ruskin e Proudhon
e ad affermare definitivamente che un cittadino che non produce beni o
non presta servizi è in effetti un mendicante o un ladro. Il punto più
alto che si sia raggiunto in Inghilterra è l'abolizione del lotto di
Stato e la messa fuori legge delle lotterie sulle corse dei cavalli in
Irlanda.
Ma anche qui il problema non è così semplice da poter essere risolto
secondo le norme di un'astratta perfezione socialista. Vi sono periodi
nella vita di ciascuno durante i quali uno deve consumare senza
produrre. Ogni bambino è un vorace e impudente parassita. E per
trasformare il bambino in una persona bene educata e capace di
produrre, e fare della sua vita di adulto una vita degna di essere
vissuta, bisogna prolungare il suo parassitismo fino a circa 18 anni.
Anche le persone anziane non possono produrre. Alcune tribù, che
prendono troppo sul serio l'economia della scuola di Manchester,
risolvono facilmente la difficoltà uccidendo i vecchi o lasciandoli
morire di fame.
In una moderna civiltà non è necessario che questo avvenga. E'
possibilissimo organizzare la società in modo tale da mettere ogni
persona intelligente e forte in condizioni di produrre abbastanza da
pagare non soltanto ciò che consuma, ma risarcire anche il costo dei
venti anni di educazione, e provvedere al più lungo intervallo tra
l'inabilità al lavoro per vecchiaia e la morte naturale. Questo è anzi
uno dei primi doveri del moderno uomo di Stato.
Ora la giovinezza e la vecchiaia sono due certezze. Ma come bisogna
comportarci con gli incidenti e le malattie, che per i singoli
cittadini non sono certezze ma probabilità? Ebbene, abbiamo visto che
quelle che sono probabilità per il singolo diventano certezze per lo
Stato. Il singolo cittadino può partecipare a queste certezze soltanto
giocando su di esse. Per assicurarmi contro gli accidenti e le
malattie devo fare una scommessa con lo Stato che queste disgrazie mi
capiteranno: e lo Stato deve accettare la scommessa, dopo che i suoi
attuari hanno fissato matematicamente il tasso che devo pagare. Mi si
domanderà subito: perché con lo Stato e non con una compagnia di
assicurazioni privata? Semplicemente perché lo Stato può fare ciò che
un'assicurazione privata non può. Esso può obbligare ogni cittadino ad
assicurarsi, benché imprevidente e fiducioso nella sua buona fortuna,
e facendo così un gran numero di scommesse combinare il massimo
profitto con la più grande certezza e versare i profitti al tesoro
pubblico per il bene di tutti. Può inoltre causare un immenso
risparmio di lavoro, sostituire a una dozzina di organizzazioni in
lotta tra di loro un'unica organizzazione. Infine, può fare
assicurazioni a prezzo di costo e, includendo quei prezzi nelle
normali tasse, pagare per tutti gli incidenti e le malattie
direttamente e semplicemente senza quell'enorme lavoro di radunare gli
specifici contributi o di aver a che fare con quella massa di
cittadini che perdono le loro scommesse non avendo malattie né
incidenti a ogni dato momento.
La stranezza di questo stato di cose è che lo Stato, per rendere
l'assicurazione sicura e abolire il gioco, deve costringere tutti a
giocare, diventando un supertotalizzatore per tutta la popolazione.
Come l'assicurazione marittima portò alla assicurazione sulla vita,
l'assicurazione sulla vita a quella sul fuoco e così via fino alla
assicurazione contro la tassa di successione e la disoccupazione, la
lista dei rischi assicurabili aumenterà ancora, e la polizza di
assicurazione diventerà col passare del tempo sempre più larga fino a
non lasciare senza copertura più nessun rischio che possa preoccupare
un cittadino ragionevolmente imprudente. E quando le assicurazioni
saranno rilevate dallo Stato e conglobate nelle tasse generali, ogni
cittadino nascerà con una polizza di assicurazione contro tutti i
rischi comuni e potrà fare a meno di dipendere dalle penose virtù
della previdenza, della prudenza e dell'abnegazione che sono ora così
oppressive e demoralizzanti, alleggerendo in tal modo grandemente il
fardello della moralità borghese. I cittadini saranno protetti,
piaccia loro o meno, così come ora i loro figli sono educati e le loro
case sorvegliate dalla polizia, piaccia o non piaccia loro, anche
quando non abbiano figli da educare né case da far sorvegliare. Il
guadagno che faremo nel liberarci da queste piccole noie sarà immenso.
Non dovremo più perdere tempo né tormentarci coll'assillante
interrogativo se vi sarà da mangiare per la famiglia nella prossima
settimana o se avremo lasciato sufficiente denaro per pagare il nostro
funerale quando morremo.
In tutto questo non vi è nulla di impossibile o anche di
irragionevolmente difficile. Eppure, mentre scrivo questo libro, un
modesto e ben pensato piano di assicurazione nazionale progettato da
Sir William Beveridge, il cui valore come autorità in fatto di scienza
politica nessuno discute, è fortemente ostacolato non soltanto dalle
compagnie di assicurazioni private che questo piano dovrebbe
sostituire, ma dalla stessa gente che esso dovrebbe beneficiare; gli
stessi suoi difensori in massima parte non lo capiscono e non sanno
difenderlo. Se l'educazione impartita ai nostri legislatori avesse
compreso lo studio dei principi dell'assicurazione, il piano Beveridge
sarebbe stato trasformato in legge o messo in attuazione entro un
mese. Così come stanno le cose, saremo fortunati se ne resterà
qualcosa dopo anni di sciocche contese, a meno che il panico di
qualche guerra lo faccia approvare in poche ore dal Parlamento senza
discussione ed emendamenti. Comunque ciò possa essere, è chiaro che
chi non capisce l'assicurazione e le sue enormi possibilità non può
essere in grado di occuparsi di affari nazionali. Nessuno può
arrivarvi senza almeno una larvata conoscenza del calcolo delle
probabilità, non dico da giungere al punto di farne i calcoli e
riempire di equazioni tipiche fogli d'esame, ma da sapere abbastanza
da poter giudicare quando ci si possa fidare o meno. Quando infatti i
loro numeri immaginari corrispondono a esatte quantità di monete
stampate con testa e croce, questi numeri sono entro certi limiti
sicuri: abbiamo infatti una assoluta certezza e due semplici
possibilità, che possono diventare pratiche certezze, in un'ora di
prova (cioè una certezza costante e una variabile, che in realtà non
varia); ma quando il calcolo non include costanti e ha invece
parecchie variabili capricciose, entrano in gioco a tal punto i
giudizi soggettivi arbitrari, le inclinazioni personali e gli
interessi pecuniari, che coloro i quali dapprima scioccamente
immaginavano che la statistica non possa mai mentire finiscono col
credere altrettanto scioccamente che essa menta sempre.
15.
LE ILLUSIONI DELLA FINANZA DI GUERRA
Questa è la ragione per cui la guerra non cessa mai per mancanza di
denaro.
Per realizzare questa possibilità è necessaria una prudente
amministrazione, perché vi è sempre un limite al numero di uomini che
una comunità può permettersi di impiegare sul campo di battaglia e
nelle industrie che equipaggiano i soldati. Le nazioni moderne non
possono esistere senza vettovaglie, vestiti, combustibili e
abitazioni. Portate via tutti gli uomini da queste industrie civili, e
vedrete che non soltanto la guerra, ma anche la vita umana diventerà
impossibile. Il problema di quanti debbano essere assegnati
all'esercito e quanti alle fabbriche di munizioni può significare la
sconfitta per esaurimento, se non viene accuratamente risolto. Questo
è abbastanza semplice in teoria; ma dove il capitale è al potere i
calcoli diventano complicati. Il capitale, come Marx ha dimostrato, è
insaziabile nella sua ricerca di lavoro a buon mercato; a parità di
altre spese, quanto più economico è il lavoro tanto più forti sono i
dividendi. Se il lavoro costa 10 scellini al giorno per persona in
patria e vi sono luoghi all'estero ove costa 10 scellini la settimana,
il capitale emigrerà in uno di quei luoghi, a meno che il Governo non
sia abbastanza saggio e forte da tenerlo in patria per impiegarlo dove
è più necessario. Ma un Governo di capitalisti non farà mai questo: al
contrario si farà facilmente persuadere dai fanatici di Cobden che non
soltanto si può ottenere dal commercio estero il massimo profitto, ma
che, quando tutte le nazioni sono per questo motivo dipendenti l'una
dall'altra, esse muoiono di fame, se si fanno la guerra: così che il
libero commercio sarebbe in realtà una garanzia di pace universale, e
come tale qualcosa di incondizionatamente accettabile. Nel 1851, il
Governo britannico si era lasciato completamente convincere da queste
teorie e organizzò pertanto in quell'anno la prima delle grandi
esposizioni; in questa esposizione vennero raccolti tutti i generi
prodotti da tutte le nazioni, per promuovere il libero commercio fra
di esse.
Le conseguenze furono tutt'altro che felici. Quando si presentò
all'Inghilterra l'assoluta necessità di distruggere gli "slums" dove
il suo popolo stava imputridendo e di nutrire i suoi figli in misura
sufficiente ad arrestare la terribile mortalità infantile, il capitale
necessario fu mandato invece nel Sud America, nella Malesia, in
Egitto, nel Congo, in India e ovunque il lavoro locale fosse più a
buon mercato: ovverossia dove gli abitanti potevano vivere a un
livello di vita più basso di quello delle Isole britanniche, pur nella
loro povertà.
Sessant'anni fa i portuali di Londra fecero sciopero per ottenere i
sei pence all'ora; analogamente le ragazze impiegate nelle fabbriche
di fiammiferi di Londra scioperarono per ottenere qualcosa di più di 5
scellini la settimana e perché fossero presi provvedimenti per evitare
loro la cancrena della mandibola per avvelenamento da fosforo. Oggi
trovo che la mia scatola di fiammiferi è stata fatta in India; anche
il commercio del cotone del Lancashire, una volta fonte di molta
fortuna, sta lottando disperatamente per competere con il lavoro
giapponese, che costa un penny all'ora.
Con le nostre risorse naturali di ferro e carbone noi possiamo
costruire ancora macchine da esportazione, attaccandoci al ridicolo
paradosso che quanto più esportiamo e quanto meno importiamo in
cambio, tanto meglio stiamo; ma la conseguenza di tutto questo è che
siamo diventati ora dipendenti da altre nazioni per il pane che
mangiamo e che uno stretto blocco ci farebbe morir di fame; non
possiamo infatti mangiare né il nostro ferro né il nostro carbone,
fatto questo che a Cobden sfuggì. Il blocco diventa dappertutto
l'oggetto della moderna strategia di guerra. La guerra di un uomo
contro un uomo con il fucile e la baionetta è diventata ora una cosa
rara; i lancieri, gli ussari e i dragoni guidano carri armati e
conoscono i cavalli soltanto quali animali da cavalcare per il Derby.
La guerra è ora guerra di navi, insidiate dal profondo del mare da
sommergibili e dall'aria da aeroplani; un convoglio affondato vale
quanto una diecina di sfolgoranti vittorie per terra.
Nel frattempo, sul fronte della moneta, i titoli vengono venduti
forzatamente ai nostri alleati perché ci aiutino a vincere il blocco.
In questo modo una nazione creditrice in guerra può facilmente
diventare in poche settimane una nazione debitrice senza sapere cosa
stia accadendo, se i suoi uomini di Stato non sono più che competenti
negli affari finanziari. L'Inghilterra si è così ridotta a dipendere
da altri Paesi e dalle sue colonie per il vettovagliamento, facendo
del commercio estero una questione di vita o di morte, e mandando poi
all'aria tutto il meccanismo del commercio estero con l'impegnarsi in
guerre mondiali. Nella guerra dei Quattro Anni fummo sul punto di
morir di fame per colpa dei sommergibili tedeschi; e mentre sto
scrivendo siamo nella stessa situazione critica. Ci stiamo stringendo
la cinghia e ci stiamo razionando, mentre moriamo lentamente per la
paura che questa volta i sommergibili tedeschi possano affondare il
meglio dei nostri incrociatori e delle nostre corazzate.
Ciò nondimeno rimane sempre vero che l'Inghilterra, con un'agricoltura
scientifica collettivizzata e con un controllo governativo sul
commercio estero e sull'esportazione di capitale, può non soltanto
nutrire se stessa ma mantenere fino al giorno del giudizio la perpetua
guerra che essa conduce sempre in qualche parte del mondo (e ciò
almeno per quanto concerne la finanza).
Un paese interamente socializzato può affrontare una guerra molto
meglio di un paese non socializzato, sebbene sia molto meno probabile
che ne provochi una. Poiché può darsi che si debba fare ancora la
guerra contro la barbarie e il delitto, e specialmente contro la
moderna barbarie nazionale, la questione della finanza di guerra non
deve essere messa nel dimenticatoio con la scusa che la presente
guerra sarà l'ultima guerra e che la vittoria (ritenuta certissima dai
combattenti di ambedue le parti) produrrà un nuovo ordine nel quale la
guerra sarà sconosciuta e impossibile. Qualsiasi cosa possa accadere,
non accadrà mai certamente questa.
Quando bisogna finanziare una guerra è necessario che l'uomo di Stato
abbia in testa almeno alcuni fatti fondamentali. Sebbene si possa
finanziare una guerra facendo prestiti sul mercato monetario, essa
comunque non può essere pagata coi crediti. Il soldato non può
combattere con cambiali-pagherò, egli deve avere di che mangiare e di
che sparare. Si possono negoziare prestiti e passare ordinativi, ma
poiché i rifornimenti devono essere consegnati e distribuiti ai
combattenti giorno per giorno bisogna che essi siano prodotti giorno
per giorno, altrimenti non si può fare la guerra. La guerra è una
questione di denaro contante, e di rifornimenti tempestivi. Il
soldato, che consuma e spende in misura terribile, non può posporre il
consumo e anticipare la produzione, così come si fa in Borsa... Come
va allora che il costo della guerra può essere più o meno pagato dai
debiti pubblici (aggiunti al debito nazionale), come accade ora? La
risposta è che i ritardi e gli anticipi che costituiscono l'oggetto
del mercato monetario sono avvenimenti impossibili che non capitano
affatto: essi sono soltanto illusioni della Borsa. Tra i singoli le
illusioni hanno buon gioco. Smith ha crediti che vuol vendere per
denaro contante. Jones ha più beni, in massima parte deperibili, di
quanti gliene occorrano per l'immediato consumo, e gli piacerebbe di
assicurarsi il futuro scambiandoli con i crediti di Smith. I due
effettuano lo scambio, l'affare può essere considerato come un ritardo
del consumo di Jones e un anticipo della produzione di Smith, ma dal
punto di vista dello Stato non si sono verificati né ritardi né
anticipi, tutto quel che è accaduto consiste nel fatto che Smith ha
consumato alcuni beni ai posto di Jones e Jones se ne è privato al
posto di Smith; la quantità e la disponibilità totale dei beni è
rimasta però la stessa. I beni attesi da Jones non esistono e non
esisteranno finché non saranno creati dal lavoro produttivo. E sul
credito del suo futuro lavoro che Smith ha ottenuto i beni di Jones.
Ma il lavoro del soldato non è produttivo, al contrario è distruttivo,
incendiario, devastatore, omicida. Gloria, vittoria, patriottismo,
libertà, posterità, eroismo, sono tutte belle parole, ma non servono
per mangiare. Il formidabile consumo di guerra deve essere
accompagnato da una produzione egualmente formidabile, non nel futuro
ma sul momento e prima del consumo: fintantoché i rifornimenti non
sono stati prodotti, le truppe non possono mangiarli, indossarli e
spararli non lasciandosi alle spalle altro che storpi, cadaveri,
stracci, e rovina.
Il mondo non può indebitarsi per una guerra, deve pagare man mano che
si svolge, senza un'ora di ritardo.
Sebbene il mondo non possa indebitarsi, gli Stati possono farlo. Essi
possono accendere debiti non soltanto fra di loro, ma anche verso i
loro cittadini, chiamando poi l'operazione "risparmio di guerra", il
che è una sciocchezza poiché la guerra mangia a molti i loro risparmi
a una media di quindici milioni di sterline al giorno. Grazie alla
legge americana d'affitto e prestito, l'Inghilterra e la Russia stanno
facendo importare i loro rifornimenti di guerra dagli Stati Uniti.
Nella guerra dei Quattro Anni la maggior parte degli alleati prese a
prestito il denaro occorrente dall'Inghilterra, e l'Inghilterra lo
prese a sua volta dagli Stati Uniti. Ma quando venne il momento di
pagare il prestito o gli interessi, i debitori dappertutto elusero i
loro impegni. La Francia ripudiò i quattro quinti del suo debito
svalutando la moneta, i debitori dell'Inghilterra non chiesero nemmeno
scusa: non potevano pagare e non pagarono. L'Inghilterra, che si era
assunta la garanzia dei loro prestiti, venne anch'essa meno
all'impegno; gli americani, che pur avrebbero dovuto conoscerci
meglio, ne rimasero indignati e sorpresi. Si ammette già ora che
quanto è stato ricevuto in base alla legge di affitto e prestito non
potrà essere mai pagato in denaro contante e che si dovrà quindi
considerarlo, eccetto che per soddisfazioni puramente metafisiche,
come un contributo gratuito alla guerra. L'interesse del denaro
prestato al Governo per pagarlo dovrà essere accumulato col lavoro di
coloro che hanno sottoscritto al prestito, e poi confiscato mediante
l'imposta sul reddito. Non c'è nulla da sperare dal nemico sconfitto
per ciò che riguarda il bottino; solo l'esaurimento e la bancarotta
potranno obbligare una nazione bene armata a cedere. Il buon
samaritano, ben lunghi dal poter depredare l'uomo che era caduto tra i
ladri, dovette dargli due soldi per pagare il suo conto d'albergo, e
questo è precisamente ciò che dovranno fare gli alleati per la
Germania, quando l'avranno sconfitta. Dopo la guerra dei Quattro Anni
l'Inghilterra tentò di far pagare la Germania. Noi chiedemmo navi e
acciaio, e mancò poco che il primo pagamento facesse rovinare i nostri
costruttori navali e produttori di acciaio. Dopo aver rapidamente
proibito ai tedeschi di mandarci un'altra nave o un'altra tonnellata
di acciaio e averci essi chiesto che cosa potevano mandarci in cambio,
rispondemmo con molta leggerezza che ci mandassero della potassa;
tutta l'assurda questione cadde così nel ridicolo, e cominciammo a
lamentarci che la Germania, pur avendo perso la guerra, avesse vinto
la pace.
La nostra orgogliosa determinazione di far pagare la Germania, così
utile nelle lotte elettorali, fu seguita dal timore che essa fosse
capace di farlo e con ciò ci gettasse in una crisi rovinosa di
depressione industriale e di disoccupazione, quale essa stessa aveva
esperimentato dopo la vittoria sulla Francia nel 1871.
Non hanno fine le follie che commettono anche i più abili finanzieri
quando permettono alle abitudini delle Banche e della Borsa di
interporsi tra loro e i fatti vitali dell'esistenza. Lo storico
Macaulay, signorilmente "whig" com'era, giunse fino al punto di
sostenere che un aumento del debito nazionale significava un aumento
della prosperità nazionale, sebbene il proletario Gobbett, che
esaminava freddamente i fatti, vedesse nel sistema la principale causa
del processo descritto dal poeta Oliver Goldsmith nei profetici versi:
Va in rovina il paese, vittima di avidi flagelli, dove si accumula
ricchezza e degenerano gli uomini.
In verità il debito nazionale, così come lo vede il mondo degli
affari, è un'illusione nazionale. Dopo la guerra dei Quattro Anni, il
pagamento degli interessi salì a circa un milione di sterline al
giorno, cifra questa che avrebbe scosso Macaulay, se egli fosse
vissuto abbastanza da godersi questo spettacolo. Per le masse tuttavia
ciò non ebbe considerevole importanza. I creditori della nazione erano
i capitalisti della nazione, e questi furono tassati e sopratassati
sui loro redditi. Gli interessi del debito furono raccolti mediante
l'imposta e la sovrimposta sul reddito. I capitalisti ricevevano così
i loro interessi, ma dovevano anche pagarseli. La conseguenza di tutto
ciò fu una ridistribuzione dei loro redditi in senso egualitario
(indubbiamente una buona cosa) ottenuta graduando le tasse. Io avevo
un pacchetto di buoni del prestito di guerra e fui tassato in misura
più bassa degli altri che avevano redditi più forti. Non so se persi
da un lato ciò che guadagnai dall'altro; non mi presi mai la briga di
calcolarlo. Ma le masse che erano esenti dall'imposta sul reddito non
pagarono né ricevettero un soldo in tutto l'affare. E poiché il
Governo, dati i suoi poteri di confisca e col vantaggio quindi che il
suo credito era garantito, aveva potuto far denaro al saggio più basso
possibile d'interesse, mentre i privati suoi concorrenti avrebbero
dovuto tentarci con un saggio almeno doppio, la guerra fu più a buon
mercato della produzione di oggetti di lusso. In effetti costa meno
bombardare le città della Renania che ricostruirle. Questo è uno dei
tanti paradossi del sistema capitalistico, che continua a durare,
perché non discutiamo mai in modo paradossale sui fatti puri e
semplici, ma continuiamo sempre a ragionare in base a premesse
gratuite che sono in parte abitudini romantiche e in parte puramente
commerciali.
Da quando è incominciata la guerra nel 1939, sorprendenti contributi
al prestito di guerra nelle sue varie forme sono stati dati da
proletari che vivono di paghe settimanali. Essi hanno guadagnato il
denaro col loro lavoro e si attendono ora di goderne gl'interessi. Ma
poiché dovranno guadagnare gli interessi con il loro lavoro
esattamente come guadagnarono il capitale (ormai scoppiato in minuti
frammenti), essi inseguiranno invano le carote che i loro guidatori
fanno dondolare davanti al loro naso. Ugualmente i capitalisti
sopratassati non si accorgeranno che i loro interessi vengono fuori
dalle loro tasche. Finalmente i proprietari terrieri peleranno sia i
lavoratori sia i capitalisti, rialzando gli affitti. Mi ricordo di
quando gli affitti settimanali pagati dai nostri schiavi salariati
variavano da due o tre scellini a cinque o sei. Ora essi variano da
quattordici a ventidue. Per avere il permesso di vivere e di lavorare
sul suolo d'Inghilterra ho pagato ai suoi proprietari decine di
migliaia di sterline in più dell'interesse applicabile al costo delle
costruzioni che mi hanno fornito; e mi dispiace tuttavia di aver
potuto estorcere un po' di quella somma dai miei affittuari. Così la
faccenda si complica nel particolare solo a causa dei debiti che
abbiamo gli uni con gli altri: nella massa non ci possono essere
debiti perché la massa vive nel mondo naturale e il mondo naturale
vive di giorno in giorno. Per quanto si possano immagazzinare viveri e
congelare carni, non possiamo vivere quest'anno sul raccolto dell'anno
passato o del prossimo; e quando vi è gente che pretende di farlo o
sembra pretenderlo, vuol dire che c'è qualche cosa di guasto
nell'organismo dello Stato.
In questo come in altri casi, gli statisti machiavellici possono dover
sfruttare e perfino creare le illusioni che riconciliano i cittadini
con la schiavitù del servizio militare e col peso delle tasse di
guerra; ma la confusione finanziaria e la catastrofe attendono tutte
le nazioni i cui uomini di Stato condividono queste illusioni!
NOTE.
Qual è il punto di vista del buon senso sulla questione agraria,
secondo l'opinione degli uomini nati e allevati in città? Che un
contadino dovrebbe essere il proprietario della terra che coltiva. Se
questa terra non è di sua proprietà ed egli non può scacciarne con
l'aiuto della legge coloro che abusivamente vi penetrano, quale
sicurezza può egli avere del possesso e del consumo del suo raccolto?
Permettiamogli dunque di essere il proprietario del suo piccolo
appezzamento di terreno contro qualsiasi pretendente. I coltivatori
potranno allora prosperare a seconda della loro industriosità, del
loro temperamento e della loro onestà: in breve, a seconda del loro
buon carattere e delle loro attitudini a questo difficile lavoro
tecnico. Se, date queste condizioni, un uomo non riesce a prosperare
insieme con la sua famiglia, si può ragionevolmente concludere che, o
ha sbagliato carriera e dovrebbe pertanto provare la vita cittadina, o
nel suo carattere vi è qualcosa che non funziona e quindi la sua
povertà e il suo insuccesso «ben gli stanno». Questa è la semplice
morale che si può dedurre dall'esempio dei pionieri coltivatori di
terra; funziona abbastanza bene nelle regioni dove ci sono ancora
terre libere ed egualmente fertili a disposizione di tutti senza che
si debba pagare un padrone per lavorarle. La nostra presente sventura
è di voler persistere in questa moralità primitiva ora che i fatti la
contraddicono apertamente in ogni punto. I coltivatori moderni non
sono pionieri: essi non possono trovare a portata di mano un ettaro di
terra libera tutta fertile, né in verità di qualsiasi altra terra.
Tuttavia i contadini, che devono lavorare sedici ore al giorno per
pagare il fitto, le tasse e l'interesse delle ipoteche, vi dicono
ancora seriamente che loro sono indipendenti, che sono padroni di se
stessi, che godono del beneficio inapprezzabile della libertà politica
e che i Governi stranieri che hanno abolito la proprietà privata delle
terre devono essere tiranni così mostruosi e così assetati di sangue
che è nostro dovere verso la civiltà far loro la guerra e sradicare le
loro orribili dottrine dalla mente degli uomini. Tutto questo lo
imparano a casa e a scuola, e come se non bastasse se lo sentono
ripetere a sazietà dalla stampa, dalla radio, dal Parlamento, dai
giudici e dagli oratori dei comizi elettorali.
Praticamente nessun cittadino di queste isole sa che cosa sia il
sistema dei partiti. Gli inglesi non conoscono la sua storia. Essi
credono che il sistema si basi sulla natura umana e che sia quindi
indistruttibile ed eterno. Quando io obbietto che esso non esiste nei
nostri Municipi, essi mi prendono per un ignorante o per un pazzo e mi
assicurano che nei consigli e nelle operazioni municipali sono
rappresentati i partiti conservatori e progressisti, «proprio come» in
Parlamento, e che lo saranno sempre, per l'immutabile legge della
natura umana politica.
Se ciò che non funziona nella Camera dei Comuni è il sistema dei
partiti e ciò che va bene nei Municipi è la loro libertà dal sistema
dei partiti, ci si può allora chiedere se basta abolire il sistema dei
partiti in Parlamento e lasciare invece i Municipi così come sono.
Sfortunatamente i Municipi sono paralizzati da una tirannia ancor più
degradante di quella rappresentata dal sistema dei partiti: essa è la
povertà della maggior parte dei contribuenti che eleggono i
consiglieri municipali. Ciò impedisce qualsiasi manifestazione di
quella teorica democrazia alla quale essi devono i loro voti.
Democrazia significa organizzazione della società per il beneficio di
tutti, a spese di tutti, e non soltanto per il beneficio di una classe
privilegiata.
Molti anni fa cominciai a studiare la questione della classificazione
chiedendo a H. M. Stanley, il giornalista che esplorò l'Africa alla
ricerca di Livingstone, quanti dei suoi uomini avessero dimostrato
qualità di capi nei brevi intervalli in cui egli doveva lasciare loro
il comando della spedizione. Egli rispose immediatamente e con
sicurezza: «il cinque per cento». Insistetti per sapere se quanto mi
aveva detto fosse una congettura improvvisata, oppure un dato esatto.
Ammettendo che quella percentuale sia esatta, in mancanza di una stima
più accurata, possiamo calcolare che, sulla nostra popolazione di
quaranta milioni di abitanti, soltanto due milioni siano atti ad
esercitare una qualche azione di Governo.
Democrazia significa eguaglianza: ma cosa significa eguaglianza?
Naturalmente non significa che siamo tutti eguali in fatto di
disposizione per la politica o per qualsiasi altra attività. La natura
ci divide inesorabilmente in una massa di persone che differiscono
nelle attitudini e nelle capacità, con una percentuale di babbei e una
percentuale di geni. Ma poiché i bisogni materiali degli uomini sono
gli stessi, il cibo, i vestiti e l'alloggio possono essere razionati
in maniera eguale; e gli uomini sono tutti egualmente indispensabili.
Una ordinanza abbisogna di più cibo e consuma più presto i suoi
vestiti di un attempato ammiraglio; ma un eguale stipendio provvederà
al mantenimento dell'uno e dell'altro: ambedue sono egualmente
necessari alla flotta; la loro comune civiltà è una parte necessaria
della civiltà della nazione e anzi del mondo. Gli ammiragli pari-grado
sono pagati allo stesso modo, siano essi dei Byng o dei Nelson; lo
stesso accade per le ordinanze, svelte o lente, brave o stupide.
La Civiltà comporta la divisione del lavoro. L'uomo isolato deve saper
fare tutti i mestieri. La domanda: «che mestiere fai?» non ha
significato per Robinson Crusoe: tutto ciò che egli può rispondere è
che fa il mestiere dell'uomo. Ma in seno a una società egli è
stagnino, sarto, soldato, marinaio, ricco, povero, farmacista o ladro,
a seconda della sua occupazione. Nella civiltà moderna vi sono molte
più denominazioni, e quando le denominazioni comportano differenti
guadagni una denominazione indica in pari tempo una classe e una
occupazione. E poiché il signor Ognuno disprezza le persone che
guadagnano poco, mentre adora le persone che guadagnano molto, egli
diventa uno snob nel suo atteggiamento verso i relativamente poveri e
un lacché nei riguardi dei relativamente ricchi. Si crede in genere
che questa duplice volgarità sia caratteristica della classe media,
dato che essa sta tra il proletariato e la plutocrazia, ma essa è
egualmente forte a ogni livello di reddito. Il meccanico specializzato
disprezza il lavoratore: il plutocrate, insolente verso l'artigiano,
s'inchina alla persona di sangue reale ancor più profondamente che il
suo maggiordomo. In tutte le classi vi è un piccolo numero di uomini,
repubblicani o comunisti per natura, che usano le stesse buone maniere
con tutte le classi; ma essi sono nondimeno obbligati a vivere lontani
dalla gente più ricca o più povera di loro, perché questa ha
necessariamente abitudini differenti e una diversa possibilità di
spendere il denaro. Persone che hanno le più diverse occupazioni,
ammesso che i loro redditi siano eguali o abbastanza abbondanti da
lasciare un margine in più, possono associarsi senza imbarazzo.
Cacciatori di volpi e pescatori di trote s'incontrano a tavola con
astronomi e filosofi in case di campagna su piede di parità. Quando io
ero giovane, un pari non poteva fare visita a un negoziante; ma ora le
figlie di pari ultratitolati danzano ai balli di grandi negozianti e
anzi vanno lì a cercarsi marito. Infatti a lungo andare il denaro
porta ovunque, mentre la mancanza di esso prostra anche il più
orgoglioso dei pari.
L'uomo di Stato non deve mai comportarsi verso i bambini della nazione
così come si comporta con i propri. I suoi bambini crescono con una
straordinaria rapidità. Egli ha appena deciso il modo di regolarsi con
il figlio di cinque anni, che questo è già sparito lasciando al suo
posto un ragazzo o una ragazza di dieci. Prima che egli abbia imparato
come comportarsi con questo nuovo venuto, anche questo se ne è già
andato ed è rimpiazzato da un adolescente di tredici anni. Ed ecco che
l'adolescente cresce a sua volta e diventa una persona indipendente,
molto più estranea ai suoi genitori di quanto non lo siano i loro
coetanei. I genitori sono insensibilmente portati da questa esperienza
a considerare l'infanzia come una fase transitoria, che bisogna
superare nel miglior modo possibile, finché la crescita sia terminata
ed essi non ne debbano più sopportare né il costo né la
responsabilità.
Fino a una certa età i bambini sono impressionabili e paurosi come
topi, hanno paura del buio e dei fantasmi, dei cani, delle mucche, e
di immaginari pericoli di tutti i generi, dai ladri ai serpenti a
sonagli. In questa fase della vita possono essere terrorizzati per
sempre, come accade ai cani spaniels, derivi il terrore dalla crudeltà
fisica o dall'idea di un inferno soprannaturale, o da ambedue le cose
insieme.
Al giorno d'oggi, poiché le imprese private diventano sempre più
grandi e richiedono un capitale sempre maggiore per poterle avviare, i
finanzieri di professione, il cui lavoro è di raccogliere capitali per
il commercio invece che adoperarli essi stessi, sono i padroni della
situazione. La vecchia figura dell'imprenditore è diventata quella di
un impiegato che sarebbe più garantito, in migliori condizioni
economiche e infinitamente più dignitoso, come funzionario dello Stato
piuttosto che come amministratore stipendiato di una compagnia
privata. Per lo Stato e per i servizi municipali non vi è difficoltà
nel trovare persone competenti e desiderose di lavorare per la metà o
un terzo del compenso che esse sarebbero costrette a richiedere in un
impiego privato, dove non soltanto esse sarebbero meno sicure, ma
sarebbero altresì obbligate a darsi un tono molto più sostenuto dal
punto di vista sociale e dell'abbigliamento e ad attenersi
all'osservanza di convenzioni religiose e politiche assai più che non
un funzionario statale, di un ingegnere del genio civile o di un
impiegato municipale.
Fa parte del lavoro di un direttore di banca prestare denaro a persone
sulla cui onestà, solvibilità e prospettive di successo egli si è
formato un'opinione favorevole; questa opinione è chiamata credito.
Banchieri e prestatori di denaro prendono subito l'abitudine di
parlare e di pensare al credito come se si trattasse di beni
effettivi, mattoni e malta, pane e burro, colletti e polsini, o che so
io, per i quali il denaro prestato costituisce un titolo, sebbene tali
titoli (non mi stancherò mai di dirlo) non abbiano alcun valore a meno
che detti beni esistano realmente e siano in vendita. Sentiamo parlare
di gente che vive di credito e costruisce case a credito, il che è una
assoluta stupidaggine, e di banchieri che creano il credito e perfino
la moneta, il che è una pericolosa stupidaggine, sebbene la cosa
funzioni abbastanza bene finché esistano beni e il banchiere abbia del
discernimento. Un ministro delle Finanze con simili illusioni è una
minaccia costante di calamità nazionale.
Poiché andiamo perdendo a una a una, e forse a dieci a dieci, tutte le
illusioni, diventa evidente a ogni piè sospinto che la civiltà, che
prima dipendeva dalla proprietà e dall'iniziativa privata, le ha
entrambe sorpassate e le sta riducendo dappertutto a brandelli. Dato
che questo è un problema di fatti e non di opinioni, deve essere
affrontato dai cittadini di tutti i partiti. Coloro che credono di
potersela cavare dicendo «io non sono per il socialismo» sono
altrettanto inutili di quei socialisti che immaginano che l'abolizione
della proprietà privata metterà automaticamente a posto ogni cosa.
Entrambi si trovano continuamente obbligati a sbarazzarsi un poco per
volta e, qualche volta, molto per volta, della proprietà privata e
dell'istinto dell'eredità, sotto le rinnovate pressioni delle
circostanze e senza saper proprio come fare.
L'assicurazione, sebbene fondata su fatti che sono inesplicabili e su
rischi che sono calcolabili soltanto da matematici professionisti
chiamati attuari, è nondimeno più simpatica a studiarsi degli
argomenti della banca e del capitale, che sono più facili. Questo
perché nel nostro paese per ogni uomo politico competente ci sono
almeno 100000 giocatori che fanno scommesse ogni settimana, con i
bookmakers dei campi di corse. Il mestiere del bookmaker è di far
scommesse su ogni cavallo iscritto alla corsa con chiunque pensi che
esso vincerà e desideri scommettere sulla sua vittoria. Poiché un
cavallo solo vince e tutti gli altri debbono perdere, l'affare sarebbe
enormemente lucrativo se tutte le scommesse fossero alla pari. Ma la
concorrenza fra i bookmakers li porta ad attirare i clienti con
l'offrir loro quote alte sui cavalli che non hanno probabilità di
vincere e quote basse sul cavallo che ha le maggiori probabilità, e
che si suole chiamare il favorito. Il ben conosciuto grido, che
imbarazza i novizi, di «due a uno», significa che il bookmaker
scommetterà sulla quota di due a uno contro tutti i cavalli della
corsa eccetto il favorito. In genere, però, egli farà scommesse a
quote di dieci a uno e anche più sul cavallo considerato "outsider".
In questo caso, se vince l'"outsider", come talvolta è accaduto, il
bookmaker può perdere in questa scommessa tutto quello che ha
guadagnato nelle scommesse contro i favoriti. Tra le possibilità
estreme di vincere o perdere, egli può cavarsela sempre basandosi sul
numero dei cavalli iscritti alla corsa, sul numero delle scommesse
fatte su di loro e sulla sua abilità nell'offrire le quote. In genere
egli guadagna quando vince un "outsider", poiché normalmente vi è più
denaro su favoriti e sui probabili che sugli "outsider"; ma può
succedere anche il contrario: vi possono essere infatti diversi
"outsider" così come diversi favoriti, e poiché gli "outsider" vincono
abbastanza spesso il tentare i clienti con l'offrire quote troppo
favorevoli costituisce un azzardo; e il bookmaker non deve mai giocare
d'azzardo, sebbene egli viva nel gioco. Vi sono sempre in pratica
sufficienti fattori variabili nel gioco per buttare in palio tutte le
abilità finanziarie del bookmaker. Egli deve fare il suo bilancio in
modo da riuscire, anche nel caso peggiore, a essere sempre solvibile.
Un bookmaker che giochi d'azzardo si rovinerà certamente, proprio come
accade a un fornitore di liquori che beva o a un commerciante di
quadri che non sappia separarsi da un buon quadro.
Le guerre, si dice, non sono mai terminate per mancanza di denaro.
Esse, infatti, non ne hanno bisogno. Una volta che la civiltà ha
raggiunto lo stadio della divisione del lavoro, la guerra perpetua
diventa possibile. Quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Paradiso,
essi dovettero pensare ai casi loro, procurarsi cibo, vestiti e casa
non soltanto per sé ma anche per i figli, altrimenti la razza sarebbe
perita con loro. E' quindi condizione della sopravvivenza dell'umanità
che ogni coppia debba poter mantenere col suo lavoro almeno tre
marmocchi improduttivi, ingordi e cattivi. Vi sono molti esempi di
coppie che hanno allevato da dieci a quindici figli e sono state
ricompensate dai loro Governi per questo patriottico servizio. Tutto
ci può costare un duro lavoro per molti anni ma un migliaio di coppie,
civili e organizzate, col loro lavoro diviso e facilitato dalle
macchine, possono sostentare senza troppe difficoltà non soltanto le
loro famiglie ma anche sufficienti forze di polizia ed esercito,
nonché oziosi e stravaganti fannulloni. Miliardi di coppie potrebbero
mantenere milioni di soldati completamente equipaggiati per milioni di
anni senza fare bancarotta.