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Venerdì, 9 novembre...
Di fronte alla sollevazione bolscevica ed ai tentativi fatti a Pietrogrado e in altre città per deporre il governo provvisorio e per impadronirsi del potere, il governo cosacco, giudicando tali atti criminosi ed assolutamente inammissibili, darà, in stretto accordo con tutte le truppe cosacche, il suo massimo appoggio al governo provvisorio attuale, che è un governo di coalizione. Data la situazione eccezionale e l'interruzione momentanea delle comunicazioni con il potere centrale, il governo cosacco, in attesa del ritorno al potere del governo provvisorio e del ristabilimento dell'ordine in Russia, ha assunto alla data del 7 novembre tutto il potere nella regione del Don.
Firmato: Ataman Kaledin Presidente del Governo delle Truppe Cosacche
Prikaz del presidente del Consiglio Kerenski, datato da Gacina:
Firmato: II Presidente del Consiglio del governo provvisorio, capo supremo degli Eserciti. A. Kerenski.
Telegramma di Kerenski al Comandante in capo del fronte nord:
Kerenski.
Gacina, che si trova a circa 30 chilometri verso sud-ovest, era caduta durante la notte. Alcuni distaccamenti dei due reggimenti suddetti, ma non di marinai, erano stati effettivamente circondati dai cosacchi mentre marciavano alla ventura senza capi, nelle vicinanze, e quindi erano stati costretti ad arrendersi. Ma non era esatto che si fossero uniti alle truppe governative, perché moltissimi, confusi e vergognosi, si erano immediatamente recati a Smolni per spiegare la loro condotta: non sapevano che i cosacchi erano così vicini... avevano tentato di parlare con i cosacchi...
La più grande confusione regnava evidentemente sul fronte rivoluzionario. Le guarnigioni di tutte le piccole città al sud della capitale si erano irrimediabilmente divise in due o tre gruppi; l'alto comando era per Kerenski, in mancanza di un'autorità più forte, la maggioranza dei soldati per i Soviet ed il resto esitava lamentevolmente.
In fretta il Comitato militare rivoluzionario nominò per la difesa di Pietrogrado un capitano di carriera, Muraviov, uomo ambiziosissimo; quello stesso Muraviov che aveva organizzato nell'estate i Battaglioni della Morte e che aveva invitato il governo «ad essere meno debole con i bolscevichi ed a spazzarli via una buona volta»... Era un uomo dotato di grande capacità militare e che ammirava la forza e l'audacia, forse sinceramente...
Quando uscii l'indomani mattina, trovai affissi vicino alla mia porta due nuovi ordini del Comitato militare rivoluzionario, che ingiungevano di aprire le botteghe ed i magazzini come al solito e di mettere a disposizione del Comitato tutti i locali vuoti...
Da trentasei ore i bolscevichi erano tagliati dalla provincia e dal resto del mondo. I ferrovieri ed i telegrafisti rifiutavano di trasmettere i loro telegrammi, gli impiegati postali di spedire la loro corrispondenza. Solo la stazione statale di telegrafia senza fili di Zarskoie-Selo lanciava, ogni mezz'ora, comunicati e manifesti ai quattro angoli del cielo. I commissari di Smolni rivaleggiavano in rapidità con i commissari della Duma municipale, nello spedire dei treni attraverso una metà della terra. Due aeroplani, carichi di materiale di propaganda, presero il volo verso il fronte.
Tuttavia l'ondata insurrezionale si propagava attraverso la Russia con una rapidità superiore a quella di tutte le comunicazioni umane. Il Soviet di Helsingfors votò la sua adesione alla rivoluzione; i bolscevichi di Kiev si impadronirono dell'arsenale e dell'ufficio telegrafico, ma ne furono cacciati dai delegati al Congresso dei cosacchi che era riunito nella città; a Kazan un Comitato militare rivoluzionario arrestò lo Stato Maggiore della guarnigione locale ed il commissario del governo provvisorio; dalla lontana Krasnoiarsk, in Siberia, si informava che i Soviet erano padroni degli organi municipali; a Mosca, dove la situazione era aggravata contemporaneamente da un vasto sciopero degli operai del cuoio e da una minaccia di serrata generale, i Soviet avevano votato, con una maggioranza schiacciante, l'appoggio all'azione dei bolscevichi di Pietrogrado e già un Comitato militare rivoluzionario era entrato in funzione.
Ovunque la situazione era la stessa. I soldati semplici e gli operai erano in grande maggioranza per i Soviet, gli ufficiali, gli junker e le classi medie erano generalmente per il governo, come i cadetti ed i partiti socialisti moderati. In tutte le città sorgevano i Comitati per la Salute del paese e della rivoluzione, che si armavano per la guerra civile.
La vasta Russia stava dissolvendosi. Il processo era cominciato dal 1905. La rivoluzione di marzo non aveva fatto che accelerarlo; aveva ben tentato una specie di abbozzo dell'ordine nuovo, ma aveva saputo solo conservare la fradicia impalcatura dell'antico regime. Questa impalcatura i bolscevichi l'avevano disfatta in una notte, come si dissipa, con un soffio, il fumo. La vecchia Russia non esisteva più; la società umana si era come rifusa e liquefatta e sul mare agitato delle fiamme, dove si combatteva, aspra e senza pietà, la lotta delle classi, si formava, con un lento raffreddamento, la fragile crosta di nuovi pianeti...
A Pietrogrado scioperavano sedici ministeri: primi quelli del Lavoro e degli Approvvigionamenti, i soli due che erano stati creati dal governo di coalizione socialista dell'agosto.
Se mai vi furono degli uomini isolati, lo erano certamente quel «pugno di bolscevichi» in quel grigio e freddo mattino, nel quale tutte le tempeste si scatenavano sulle loro teste. Con le spalle al muro, il Comitato militare rivoluzionario lottava ostinatamente per la sua esistenza. «Dell'audacia, ancora dell'audacia e sempre dell'audacia!...». Alle cinque del mattino le guardie rosse irruppero nella tipografia municipale, vi confiscarono milioni di copie del manifesto della Duma e soppressero il giornale municipale ufficiale, il Viestnik Gorodskovo Samupravlenia (Bollettino del comune). Essi strapparono dalle macchine tutti i giornali borghesi, anche il Golos Soldata, giornale del vecchio Zik, che d'altra parte riuscì a farlo ricomparire sotto il titolo di Soldatski Golos, tirandone 100.000 copie e manifestandovi tutta la sua rabbia ed il suo odio.
Mentre discendevamo la Nevski, poco dopo mezzogiorno, una folla si era riunita davanti all'edificio della Duma, occupando tutta la strada. Alcune guardie rosse ed alcuni marinai, armati di fucile colle baionette in canna, erano circondati da un centinaio di uomini e di donne — impiegati, studenti e funzionari — che li minacciavano con i pugni e li ingiuriavano. Sui gradini veniva distribuito il Soldatski Golos da boy-scouts e da ufficiali. Ai piedi della gradinata un operaio, bracciale rosso e revolver in pugno, voleva, tremante di collera, in mezzo alla folla ostile, che gli si consegnassero i giornali. Non si era mai visto, io credo, nulla di simile nel corso della storia. Da una parte un pugno di operai e di soldati, armati e rappresentanti di un'insurrezione vittoriosa, ma con un aspetto del tutto miserabile, dall'altra una folla infuriata, formata dalla stessa gente che si affolla a mezzogiorno sui marciapiedi della Fifth Avenue che gridava, sogghignava, ingiuriava: Traditori! Provocatori! Opricniki! [1].
Le porte erano custodite da soldati e da ufficiali che portavano un bracciale bianco, con sopra, in lettere rosse, la scritta: Milizia del Comitato di Salute pubblica; una mezza dozzina di boy-scouts andavano e venivano. Nell'interno l'emozione era vivissima. Mentre salivamo, il capitano Gomeberg, che scendeva la scala, ci disse:
— I bolscevichi vogliono sciogliere la Duma. Un loro commissario è in questo momento nel gabinetto del sindaco.
Arrivando in cima alla scala vedemmo, infatti, Riazanov discendere frettolosamente. Era venuto per domandare alla Duma di riconoscere il Consiglio dei commissari del popolo ed aveva ricevuto dal sindaco un rifiuto categorico.
Negli uffici una folla rumoreggiante di persone che correvano, che gridavano, che gesticolavano: personaggi ufficiali francesi ed inglesi... L'ingegnere capo della città, indicando questi ultimi con un gesto trionfante, diceva:
— Le ambasciate riconoscono la Duma come il solo potere. L'esistenza di quei banditi ed assassini di bolscevichi è solo una questione di ore. Tutta la Russia ci appoggia...
Nella sala Alessandro, il Comitato di Salute teneva un immenso comizio. Filippovski presiedeva e Skobelev che, ancora una volta, era alla tribuna, comunicava in mezzo agli applausi le nuove adesioni: il Comitato esecutivo dei Soviet contadini, il vecchio Zik, il Comitato centrale dell'esercito, il Zentroflot, i gruppi menscevico e S.R., il gruppo del fronte del Congresso dei Soviet, i Comitati centrali dei partiti menscevico, S.R. e socialista-popolare, il gruppo Edinstvo, l'Unione contadina, le cooperative, gli Zemstvo, i municipi, il sindacato delle Poste e Telegrafi, il Vikjel; il Consiglio della repubblica russa, l'Unione delle Unioni, La Associazione dei commercianti ed industriali...
— ...Il potere dei Soviet non è un potere democratico, ma
una dittatura, e non una dittatura del proletariato, ma una dittatura contro il
proletariato. Tutti quelli che hanno sentito o sono capaci di sentire
l'entusiasmo rivoluzionario, devono unirsi a noi per la difesa della
rivoluzione...
In questo momento il problema non è solo di rendere inoffensivi
quei demagoghi irresponsabili, ma di combattere la controrivoluzione. Se è
vero che in provincia alcuni generali tentano di approfittare degli
avvenimenti per marciare su Pietrogrado questa è una prova di più della
necessità di dare una base solida al governo democratico. Altrimenti torbidi di
destra succederanno ai torbidi di sinistra...
La guarnigione di Pietrogrado non può rimanere indifferente
quando si arrestano nella strada i cittadini che comprano il Golos Soldata
od i ragazzi che vendono la Rabociaia Gazeta... L'ora delle mozioni
parlamentari è finita... Coloro che non hanno più fede nella rivoluzione, si
ritirino... Per stabilire un potere unito, noi dobbiamo prima di tutto
restaurare il prestigio della rivoluzione...
Giuriamo che la rivoluzione sarà salvata o che noi moriremo!
Tutta la sala si levò, gli occhi ardenti, e scoppiò in applausi. Non un solo rappresentante del proletariato era presente...
Gli seguì Weinstein:
— Bisogna che conserviamo la calma e che non tentiamo nulla prima che l'opinione pubblica si sia saldamente unita attorno al Comitato di Salute: allora potremo passare dalla difensiva all'azione!
Il delegato del Vikjel annunciò che la sua organizzazione prendeva l'iniziativa per la formazione di un nuovo governo e che, in quel momento, i suoi rappresentanti discutevano la questione con Smolni. Una vivace discussione si accese. Si sarebbero ammessi i bolscevichi nel nuovo Governo? Martov ne difese la ammissione: è certo, disse, che essi sono un partito politico importante. Le opinioni erano divise: l'ala destra dei menscevichi e dei S.R., i socialisti popolari, le cooperative, e gli elementi borghesi, facevano una opposizione accanita...
— I bolscevichi hanno tradito la Russia — disse un oratore, — hanno scatenato la guerra civile ed aperto il fronte ai tedeschi. Bisogna schiacciarli senza pietà...
Skobelev era per l'esclusione sia dei bolscevichi che dei cadetti.
Cominciammo a parlare con un giovane S.R. che aveva abbandonato la Conferenza democratica insieme coi bolscevichi, nella notte in cui Zereteli ed i «conciliatori» avevano imposto alla democrazia russa la coalizione con la borghesia.
— Voi qui? — dissi meravigliato. I suoi occhi scintillarono.
— Sì! — gridò. — Ho abbandonato il Congresso con il mio
partito, mercoledì sera. Non ho rischiato la vita per più di venti
anni per accettare, adesso, la tirannia di quei bruti. I loro metodi sono
intollerabili. Ma essi non hanno tenuto conto dei contadini... Quando i
contadini cominceranno a muoversi, non resisteranno molto tempo...
— Ma i contadini si muoveranno? Il decreto sulla terra non
li soddisfa? Che cosa domandano ancora?
— Ah! il decreto sulla terra! — disse furioso; — ebbene, sapete
che cos'è quel decreto? È il nostro decreto, è integralmente il
programma socialista rivoluzionario. È il mio partito che ha elaborato quella
politica, dopo l'esame più minuzioso dei voti dei
contadini stessi. È un'impudenza...
— Ma se si tratta della vostra politica, non capisco allora le
vostre obiezioni. Se essa corrisponde ai voti degli stessi contadini,
perché i contadini le si solleverebbero contro?
— Voi non capite! Non vedete dunque che i contadini si renderanno
immediatamente conto dell'inganno, capiranno che gli
usurpatori hanno rubato il programma socialista rivoluzionario?
Cambiai argomento. Gli domandai se era esatto che Kaledin avanzava verso il nord.
Mi confermò il fatto con un cenno della testa, fregandosi le mani, con una specie di soddisfazione amara.
— Sì. Ecco che cosa hanno fatto i bolscevichi. Hanno fatto
sorgere la controrivoluzione. La rivoluzione è perduta.
— Ma voi non la difenderete?
— Naturalmente, noi la difenderemo fino all'ultima goccia
di sangue. Ma noi non collaboreremo con i bolscevichi.
— Ma se Kaledin arriva a Pietrogrado e se i bolscevichi organizzano
la difesa della città, voi non vi unirete ai bolscevichi?
— No, certamente. Anche noi difenderemo la città, ma noi
non aiuteremo i bolscevichi. Kaledin è il nemico della rivoluzione.
— Chi preferite voi, Kaledin o i bolscevichi?
— La questione non si discute — disse con impazienza. — Vi
dico che la rivoluzione è perduta e che la colpa è dei bolscevichi. Ma perché
parlare di questo? Kerenski arriva... Dopodomani noi passeremo
all'offensiva... Smolni ci ha già inviato i suoi
delegati per invitarci a formare un nuovo governo. Ormai li teniamo... Sono
ridotti all'impotenza... Noi non lavoreremo con loro...
Si sentì un colpo di fucile. Corremmo alle finestre. Una guardia rossa, esasperata dalle invettive, aveva tirato, ferendo una ragazza al braccio. La vedemmo portare via in una vettura, circondata dalla folla irritata, i cui clamori salivano fino a noi. Improvvisamente un'automobile blindata comparve all'angolo della Mikailovskaia, facendo muovere i suoi cannoni. Tutti tentarono rapidamente di mettersi al riparo, stendendosi ventre a terra in mezzo alla strada e nei rigagnoli, nascondendosi dietro i pali telegrafici. La macchina avanzò lentamente fino ai gradini della Duma; un uomo sporse la testa dalla torretta e domandò che gli si consegnassero i numeri del Soldatski Golos. I boy-scouts si misero a ridere e corsero a rifugiarsi nell'edificio. Dopo un momento, l'automobile, indecisa, fece qualche evoluzione e infilò la Nevski, mentre uomini e donne cominciavano a rialzarsi e a pulirsi i vestiti...
All'interno la gente correva sperduta, cercando ovunque dove nascondere i pacchetti del Soldatski Golos.
Un giornalista si precipitò, agitando un pezzo di carta.
— Ecco un proclama da Krasnov! — gridò.
Gli si formò un crocchio attorno.
— Bisogna farlo stampare subito, subito e distribuirlo nelle
caserme.
Cittadini, soldati,
valorosi cosacchi del Don, del Kuban, della Transbaikalia, dell'Ussuri,
dell'Amur, dell'Ienissei, io mi rivolgo a voi, che siete rimasti fedeli al
vostro giuramento di soldati, che avete giurato di non violare mai il vostro
giuramento di cosacchi. Voi salverete Pietrogrado dall'anarchia, dalla
tirannide, dalla fame, voi salverete la Russia dalla vergogna incancellabile
nella quale vuole gettarla un pugno oscuro di ignoranti, comprato dall'oro
dell'imperatore Guglielmo.
Il governo
provvisorio, al quale voi avete giurato fedeltà nelle gloriose giornate di
marzo, non è stato rovesciato, ma cacciato con la violenza e si prepara a
ritornare con l'aiuto degli eserciti del fronte.
Fedele al suo dovere,
il Consiglio dell'unione degli eserciti cosacchi ha riunito sotto il suo
comando tutti i cosacchi, e forte dello spirito che li anima, sostenuto dalla
volontà di tutto il popolo russo, ha giurato di servire il paese come fecero i
nostri antenati nel 1612, durante la terribile epoca delle sollevazioni, quando
i cosacchi del Don liberarono Mosca, minacciata dagli svedesi, dai polacchi e
dai lituani e straziata dalle discordie intestine...
Il fronte considera questi criminali con orrore e con disprezzo. I loro saccheggi, le loro violenze, i loro assassini, i loro sistemi, del tutto tedeschi, di trattare le vittime, abbattute ma non vinte, hanno allontanato da essi tutto il popolo.
Cittadini, soldati, valorosi cosacchi di Pietrogrado, inviatemi subito i vostri delegati, affinché io sappia chi sono i traditori del paese e chi è rimasto fedele, e non debba versare sangue innocente...
Quasi contemporaneamente si diffuse la voce che l'edificio era circondato dalle guardie rosse. Entrò un ufficiale con un bracciale rosso, e si recò nel gabinetto del sindaco. Qualche minuto dopo se ne andò, ed il vecchio Screider uscì dal suo gabinetto, sconvolto, nel viso il pallore gli si alternava al rossore.
— Si riunisca la Duma in seduta straordinaria — gridò. — Immediatamente!
Nella sala delle sedute, ogni lavoro cessò.
— Tutti i membri della Duma, in seduta straordinaria!
— Che cosa c'è?
— Non so... ci vogliono arrestare... La Duma sta per essere
sciolta... Si arrestano i deputati alla porta...
Commenti agitati correvano di gruppo in gruppo.
Nella sala Nicola vi era a stento spazio per tutti, pur rimanendo in piedi. Il sindaco annunciò che tutte le porte erano militarmente custodite, che era proibito entrare o uscire e che un commissario aveva minacciato di procedere all'arresto ed alla dispersione della Duma municipale. Questa dichiarazione fu seguita da un'ondata di discorsi appassionati dei deputati e degli ascoltatori delle tribune. Nessun potere aveva diritto di sciogliere il governo municipale, liberamente eletto; il sindaco e tutti i membri erano inviolabili; i tiranni, i provocatori, gli agenti della Germania, non sarebbero stati mai riconosciuti. Quanto alle minacce di scioglimento, vengano pure i bolscevichi! Solo passando sui nostri cadaveri essi potranno impadronirsi di questa sala, dove, come i senatori romani, noi attenderemo dignitosamente l'arrivo dei Galli...
Si votò una serie di risoluzioni: l'una domandava che si informassero per telegrafo le Dume e gli zemstvo di tutta la Russia; un'altra dichiarava l'impossibilità per il sindaco e per il presidente della Duma di entrare in qualsiasi relazione con i rappresentanti del Comitato militare rivoluzionario o con il sedicente Consiglio dei commissari del popolo; una terza proclamava un nuovo appello alla popolazione di Pietrogrado per incitarla a difendere la rappresentanza che essa aveva eletto; una quarta proponeva di sedere in permanenza...
Frattanto un deputato aveva telefonato a Smolni; egli annunciò che il Comitato militare rivoluzionario non aveva dato l'ordine di circondare la Duma e che le truppe sarebbero state ritirate.
Mentre discendevamo, Riazanov entrò dalla grande porta, molto frettoloso e molto agitato.
— Sciogliete, dunque, la Duma? — gli domandai.
— Cielo! No! — rispose. — È un malinteso. Ho detto questa
mattina al sindaco che la Duma non sarà molestata...
Cadeva la notte. Una doppia lunga fila di ciclisti arrivava per la Nevski, i fucili ad armacollo. Si fermarono e la folla li tempestò subito di domande.
— Chi siete? Da dove venite? — domandò un uomo grosso,
con il sigaro tra le labbra.
— Dodicesima Armata. Arriviamo dal fronte per aiutare i
Soviet contro la borghesia maledetta.
Grida furiose si alzarono:
— Sono dei gendarmi bolscevichi: dei cosacchi bolscevichi!
Un ufficiale, di bassa statura, vestito di cuoio, discese i gradini correndo.
— La guarnigione cambia di atteggiamento — mi sussurrò — È il principio della fine per i bolscevichi. Volete assistere al riflusso della marea? Venite con me.
Si avviò con passo ginnastico per la Mikailovskaia, e noi lo seguimmo.
— Di che reggimenti si tratta?
— I broneviki...
La faccenda era seria. I broneviki, i soldati delle autoblindate, erano effettivamente la chiave della situazione; chi le aveva in mano era padrone della città.
I commissari del Comitato di Salute della Duma sono andati a trovarli. In questo momento essi decidono...
— Su che cosa decidono? Su chi appoggiare?
— Oh! no, non si può mettere la questione così. In nessun
caso essi combatterebbero contro i bolscevichi. Basterà che votino la
neutralità ed allora, gli junker ed i cosacchi...
La porta del grande maneggio Michel era spalancata. Due sentinelle tentarono di fermarci, ma noi passammo risolutamente oltre, fingendo di non sentire i loro richiami.
L'interno era debolmente rischiarato da una sola lampada appesa sotto il tetto dell'immensa sala. Le alte colonne e le file di finestre si intravedevano in una semi oscurità. Lungo i muri le sagome mostruose delle autoblindate sembravano rannicchiarsi nell'ombra. Ve n'era una, sola, nel mezzo sotto la luce e attorno stavano riuniti circa duemila soldati, dalle uniformi scure, che sembravano sperduti nella immensità di quell'edificio imperiale. Una dozzina di uomini, ufficiali, presidenti e oratori dei Comitati dei soldati si tenevano aggrappati sulla cima della macchina, mentre dalla torretta centrale parlava un soldato. Era Kanjonov, che era stato presidente, la scorsa estate, del Congresso panrusso dei broneviki.
Agile ed elegante nel vestito di cuoio, con le spalline di luogotenente, egli perorava eloquentemente per la neutralità.
— È orribile — disse — per dei russi, l'uccidere i propri fratelli russi. Non bisogna che si scateni la guerra civile tra soldati che hanno lottato, l'uno a fianco dell'altro contro lo zar, che hanno vinto il nemico straniero in battaglie che la storia non dimenticherà. Che cosa c'entriamo, noi soldati, in questi litigi di partiti politici? Non voglio dire che il governo provvisorio sia un governo democratico, noi non vogliamo alcuna coalizione con la borghesia, no; ma occorre un governo della democrazia unificata, senza di che la Russia è perduta! Con un tale governo, la guerra civile ed il massacro fratricida saranno inutili.
Queste parole parvero ragionevoli; la grande sala risuonò di applausi e di approvazioni.
Un soldato, la faccia pallida e contratta, si arrampicò sulla tribuna improvvisata.
— Compagni! — gridò — vengo dal fronte rumeno per dire a voi tutti: Ci occorre la pace, la pace immediata! Chiunque ci darà la pace, noi lo seguiremo, siano i bolscevichi, sia questo nuovo governo. La pace! noi non possiamo combattere ancora per molto tempo. Noi non vogliamo combattere né contro i tedeschi, né contro i russi.
Dopo queste parole, saltò a terra; un mormorio confuso ed impressionante si levò da quella massa già agitata, e si tramutò in grida di approvazione quando un altro oratore, un menscevico guerrafondaio, tentò di sostenere che la guerra doveva finire solo colla vittoria degli alleati.
— Voi parlate come Kerenski! — lanciò una voce rude.
In seguito un delegato della Duma sostenne la neutralità; lo ascoltarono con malevolenza perché non lo riconoscevano come uno dei loro. Non ho mai visto degli uomini che si sforzavano di capire e di decidersi, con tale intensità. Non si muovevano, guardavano l'oratore con uno sguardo fisso, quasi spaventoso, le sopracciglia aggrottate per lo sforzo del pensiero, le fronti sudate, giganti dagli occhi innocenti e chiari di fanciulli e dai visi di guerrieri da epopea...
Seguì un bolscevico, un uomo del loro corpo, che parlò con violenza e con odio. Non riscosse la loro approvazione più dell'altro. Non era quello che essi volevano. In quel momento essi erano strappati al corso ordinario delle preoccupazioni banali; i loro spiriti erano tutti compresi della Russia, del socialismo, del mondo, come se la vita o la morte della rivoluzione dipendesse da loro.
Gli oratori si seguirono parlando ora in un silenzio teso, ora in mezzo a clamori di approvazione o di collera. Agiremo o rimarremo neutrali? Kanjonov riprese la parola, persuasivo, simpatico. Ma non era un ufficiale ed un guerrafondaio, malgrado tutti quei discorsi sulla pace? Un operaio dell'isola Vassili fu salutato con queste parole:
— Sei tu, operaio, colui che ci darà la pace?
Accanto a noi un gruppo di ufficiali incoraggiava gli avvocati della neutralità. Essi gridavano continuamente: «Kanjonov! Kanjonov!» e fischiavano, in modo ingiurioso, quando un bolscevico voleva parlare.
Improvvisamente i delegati dei Comitati e gli ufficiali incominciarono, in cima all'autoblindo, una discussione animata, gesticolando animatamente. Si domandò che cosa accadeva; la massa cominciò ad agitarsi violentemente. Un soldato, che un ufficiale tentava di trattenere, si liberò violentemente ed alzò la mano.
— Compagni — gridò — c'è qui il compagno Krylenko che desidera parlarci.
Si scatenarono applausi, fischi, urla:
— Parli! No! Alla porta!
Intanto il Commissario del popolo alla guerra si arrampicò sull'automobile, aiutato da molte mani che lo tiravano davanti e lo spingevano di dietro. Restò un momento immobile, poi, avanzando sul radiatore con le mani sui fianchi, gettò attorno uno sguardo sorridente; tarchiato, le gambe corte, la testa nuda, non portava alcun distintivo sulla uniforme.
Il gruppo di ufficiali che ci era accanto, gridava continuamente:
— Kanjonov! È Kanjonov che noi vogliamo!
Allora la folla divenne tumultuosa e cominciò a muoversi, rivolgendosi lentamente verso la nostra direzione, come una valanga. Alcuni uomini grandi, dalle sopracciglia nere si aprirono il passo verso di noi.
— Chi è che turba così la nostra riunione? Chi è che fischia qui?
Il gruppo, disperso senza complimenti, si sciolse e non si riformò più...
— Compagni soldati — cominciò Krilenko, con la voce rauca
per la fatica. — Non sono in condizioni di parlare; me ne dispiace, ma da
quattro notti non dormo. Non ho bisogno di dirvi
che sono un soldato. Non ho bisogno di dirvi che voglio la pace,
ma voglio dirvi che il partito bolscevico, il quale ha fatto trionfare la
rivoluzione degli operai e dei soldati, col vostro aiuto e con quello di tutti
i bravi compagni che hanno rovesciato per sempre il potere della borghesia
sanguinaria, ha promesso di offrire la pace a tutti i popoli e che lo ha già
fatto oggi stesso. (Tumulto di applausi). Vi si domanda di rimanere neutrali,
quando gli junker ed i Battaglioni della Morte, che non sono mai
neutrali, ci fucilano nelle strade e riconducono a Pietrogrado Kerenski o
qualche altro della sua banda. Kaledin è in marcia, dal Don. Kerenski arriva
dal fronte. Kornilov riunisce i suoi tekintsi per ripetere il tentativo
di agosto. Tutti questi menscevichi e S.R. che vi domandano di impedire la
guerra civile, come si sono mantenuti al potere se non con la guerra civile
che dura dal luglio e nella quale essi sono sempre stati dalla parte della
borghesia, come lo sono ancora questa volta?
Come posso persuadervi se voi avete già deciso? La questione
è semplice. Da una parte vi è Kerenski, Kaledin, Kornilov, i menscevichi, i S.R., i cadetti, la Duma, gli ufficiali... Tutti costoro ci dicono che le loro
intenzioni sono buone. Dall’altra parte vi sono gli operai, i soldati ed i
marinai, i contadini poveri. Il governo è nelle vostre mani. Voi siete i
padroni. La grande Russia vi appartiene. La consegnerete ai nemici?
Si vedeva che Krilenko si teneva in piedi solo con uno sforzo di volontà e la profonda sincerità del sentimento che ispirava le sue parole, si manifestava nella voce affaticata. Alla fine egli vacillò e quasi cadde. Molte braccia si tesero per aiutarlo a discendere e i grandi spazi scuri del salone echeggiarono di una immensa ovazione.
Kanjonov tentò di riprendere la parola; ma poiché si gridava ovunque: «Ai voti! ai voti!» cedette e lesse una risoluzione che proponeva il richiamo del rappresentante dei broneviki dal Comitato militare rivoluzionario e la neutralità nella guerra civile attuale. Quelli che erano favorevoli dovevano passare a destra, i contrari a sinistra. Vi fu un movimento di esitazione, di attesa muta, poi si produsse una spinta verso la sinistra sempre più ripida; centinaia di vigorosi soldati, urtandosi gli uni con gli altri, avanzavano in massa compatta, sul pavimento sporco, nella penombra... Accanto a noi un centinaio di uomini, sparsi, abbandonati dall'ondata, rimanevano ostinatamente favorevoli alla risoluzione; quando il tetto fu scosso dagli evviva vittoriosi, essi si volsero e si affrettarono ad abbandonare il maneggio, e nello stesso tempo la rivoluzione...
Lotte simili si sviluppavano in tutte le caserme della città, in tutti i distretti, su tutto il fronte, in tutta la Russia. In tutti i reggimenti qualche Krylenko, affranto dalla fatica, correva di posto in posto, discutendo, minacciando, supplicando. Le medesime scene si ripetevano in tutti i locali dei sindacati, nelle officine, nei villaggi, su tutti i bastimenti dispersi della flotta. In tutto il paese centinaia di migliaia di russi, gli sguardi fissi sugli oratori, operai e contadini, soldati, marinai, si sforzavano di comprendere e di decidersi, pensando con tutte le loro forze, e prendendo infine, così unanimi, la loro decisione. Tale fu la rivoluzione russa...
A Smolni il nuovo Consiglio dei commissari del popolo non rimaneva ozioso. Il primo decreto era già in corso di stampa; la sera stessa era distribuito a migliaia di copie nelle strade delle città, ed ogni treno ne portava dei pacchi verso il sud e l'est:
1°) Le elezioni per
l'Assemblea Costituente si svolgeranno alla data fissata, cioè al 13 novembre;
2°) Tutte le
Commissioni elettorali, gli organi municipali locali, i Soviet dei Deputati operai,
soldati e contadini, e le organizzazioni dei soldati del fronte faranno ogni
sforzo per assicurare la libertà e la regolarità del voto al giorno rissato.
A nome del governo
della repubblica russa.
Il Presidente del
Consiglio dei commissari del popolo Vladimiro Ulianov-Lenin.
La Duma municipale era sempre in piena attività. Quando noi arrivammo, parlava un membro del Consiglio della Repubblica. Il Consiglio, diceva, non si considerava come disciolto, ma solo credeva di non poter continuare i suoi lavori fino a che non avesse un nuovo locale per riunirsi. Nell'attesa, il suo Comitato direttivo aveva deciso di entrare al completo, nel Comitato di Salute... Aggiungo, di sfuggita, che è questa l'ultima volta in cui la storia ricorda il Consiglio della Repubblica russa...
Cominciò poi la solita sfilata dei delegati dei ministeri, del Vìkjel, del sindacato delle Poste e Telegrafi, che affermavano per la centesima volta la loro decisione di non lavorare per gli usurpatori bolscevichi. Un junker, che era stato al Palazzo d'Inverno, parlò del suo eroismo e di quello dei suoi compagni e così pure della indegna condotta delle guardie rosse, schizzandone un vigoroso quadro che tutti ammirarono fervidamente. Qualcuno lesse un articolo del giornale socialista rivoluzionario, Volia Naroda, il quale affermava che i guasti al Palazzo d'Inverno si elevavano a 500 milioni di rubli e descriveva, con grande lusso di particolari, le scene di saccheggio e di scassinamento che vi si erano svolte.
Ogni tanto si riferivano notizie avute per telefono. I quattro ministri socialisti erano stati posti in libertà. Krilenko si era recato alla fortezza Pietro e Paolo per annunciare all'ammiraglio Verderevski che il ministero della Marina era vacante e per pregarlo, in nome della Russia, di assumerne la direzione, sotto il Controllo dei commissari del popolo. Il vecchio marinaio aveva acconsentito... Kerenski avanzava, le guarnigioni si ritiravano dinnanzi a lui. Smolni aveva promulgato un altro decreto che allargava i poteri della Duma municipale per gli approvvigionamenti ih viveri.
Quest'ultima «insolenza» provocò uno scatenamento di furore. Quel Lenin, quell'usurpatore, quel tiranno, i cui commissari s'erano impadroniti della rimessa automobilistica municipale e si permettevano di entrare nei magazzini municipali e di intromettersi nei lavori del Comitato di approvvigionamento e nella ripartizione dei viveri, quel Lenin pretendeva di definire i limiti del potere di un Consiglio comunale, libero, indipendente ed autonomo! Un deputato, alzando i pugni, propose di tagliare i viveri alla città se i bolscevichi si immischiassero nel funzionamento del Comitato di approvvigionamento... Un altro, che rappresentava il Comitato speciale di approvvigionamento, segnalò che la situazione alimentare era molto grave e domandò l'invio di delegati per accelerare l'arrivo dei treni di viveri.
Dieducenko annunciò, in tono drammatico, che la guarnigione era esitante; il reggimento Semenov aveva già deciso di porsi agli ordini del partito S.R.; gli equipaggi delle torpediniere della Neva erano indecisi. Sette delegati furono immediatamente designati per continuare la propaganda fra le truppe...
In seguito salì alla tribuna il vecchio sindaco:
— Compagni, cittadini; ho saputo in questo momento che
i prigionieri di Pietro e Paolo sono in pericolo. Quattordici
junker della scuola Paolo, sono stati denudati e torturati dai
guardiani bolscevichi. Uno di essi è diventato pazzo. I ministri
sono minacciati di linciaggio!
Si scatenò un turbine di grida di indignazione e di orrore, che aumentò di violenza quando una donna, vestita di grigio, piccola e tarchiata, domandò la parola e fece sentire la sua voce dura e metallica. Era Vera Slutskaia, rivoluzionaria della prima ora e membro bolscevico della Duma.
— È una menzogna ed è una provocazione! — disse, restando impassibile sotto il diluvio delle ingiurie. — II Governo operaio e contadino, che ha abolito la pena di morte, non può tollerare tali atti. Noi reclamiamo un'inchiesta immediata e se nei fatti riferiti vi è la più piccola verità, il governo prenderà i provvedimenti più energici.
Una commissione, composta di membri di tutti i partiti, fu subito nominata e si recò a Pietro e Paolo per una inchiesta. Uscimmo con essa, mentre la Duma nominava un'altra commissione, incaricata di recarsi ad incontrare Kerenski per evitare spargimento di sangue alla sua entrata nella capitale...
La mezzanotte era trascorsa, quando passammo davanti alle sentinelle della fortezza. Alla debole luce delle poche lampade elettriche costeggiammo la chiesa dove riposano gli zar, sotto l'elegante campanile dorato, da cui le campane, per mesi, continuarono a suonare, ogni mezzogiorno, il Boje Tzaria Krani (Dio protegga lo zar)... Il luogo era deserto, pochissime finestre erano illuminate. Ogni tanto ci urtavamo in una massa che si muoveva a tentoni nell'ombra e che rispondeva alle nostre domande con il solito «Ia nie snaiu» (Non so).
Alla nostra sinistra si elevava la massa oscura del Bastione Trubetskoi, tomba vivente ove tanti martiri della libertà avevano lasciato la vita o la ragione durante lo zarismo e dove, a loro volta, il governo provvisorio aveva rinchiuso i ministri dello zar ed i bolscevichi quelli del governo provvisorio.
Un cortese marinaio ci condusse all'ufficio del comandante, in una piccola casa accanto alla Zecca. Una mezza dozzina di guardie rosse, di marinai e di soldati, erano seduti in una camera calda, piena di fumo, rallegrata dai vapori del samovar. Ci accolsero cordialmente e ci offrirono il the. Il comandante era uscito. Accompagnava, ci dissero, una commissione di sabotainiki (sabotatori) della Duma municipale, la quale sosteneva che tutti gli junker erano stati ammazzati. Tutto questo sembrava divertirli molto. In un angolo della stanza era seduto un piccolo uomo calvo, dall'aspetto vizioso, vestito di una redingote e di una pelliccia sontuosa, che si mordicchiava i baffi e gettava intorno delle occhiate da topo inseguito. Era stato arrestato poco prima. Qualcuno disse, guardandolo con indifferenza, che si trattava di un ministro o qualcosa di simile. Il piccolo uomo non parve sentire; era evidentemente terrorizzato, benché i soldati non dimostrassero alcuna animosità verso di lui.
Mi avvicinai e gli rivolsi la parola in francese.
— Conte Tolstoi — rispose, rigido, inchinandosi. — Non
capisco perché mi abbiano arrestato... Attraversavo il ponte Troitski, per
rincasare, quando due di questi... di questi... individui mi hanno arrestato.
Ero commissario del governo provvisorio presso lo Stato Maggiore, ma niente
affatto membro del governo.
— Lasciamolo andare — disse un marinaio. — È
inoffensivo.
— No! — rispose il soldato che lo aveva condotto al corpo di
guardia. — Bisogna domandare al comandante.
— Il comandante! — sogghignò il marinaio. — Avete forse fatto
la rivoluzione per continuare ad ubbidire agli ufficiali?
Un praporsctscik (aspirante) del reggimento di Paolo, ci raccontò come l'insurrezione era cominciata.
— Il reggimento
era di servizio allo Stato Maggiore generale
nella notte del 6. Qualcuno dei miei compagni ed io eravamo
di guardia. Ivan Pavlovic, e un altro, — non mi ricordo il
nome — si erano nascosti dietro le tende della finestra, nella
stanza dove lo Stato Maggiore si era riunito. Sentirono tutto;
tra l'altro l'ordine di far venire nella notte gli junker da Gacina
e Pietrogrado e l'ordine di tener pronti i cosacchi per l'indomani
mattina. I principali punti della città dovevano essere occupati
prima dell'alba; fu deciso anche di aprire i ponti. Ma quando
si cominciò a discutere di circondare Smolni, Ivan Pavlovic non
poté più trattenersi. Proprio in quel momento vi era un grande
andirivieni. Egli ne approfittò per scivolare fuori dal suo nascondiglio e per
discendere nella sala di guardia, mentre l'altro compagno continuava ad
ascoltare.
Io avevo cominciato a sospettare che si preparasse qualche
cosa. Ogni momento arrivavano delle automobili piene di ufficiali. Tutti i
ministri erano là. Ivan Pavlovic mi raccontò quello che aveva udito. Erano le
due e mezza del mattino. Il segretario del Comitato del reggimento era
presente. Gli raccontammo la faccenda e gli chiedemmo che cosa si doveva fare.
“Bisogna arrestare tutti quelli che vorranno uscire od entrare” rispose. Così facemmo. Dopo un'ora avevamo preso alcuni ufficiali e due
ministri che spedimmo senz'altro a Smolni. Ma il Comitato militare
rivoluzionario non era pronto. Laggiù non seppero che cosa fare, e poco dopo
noi ricevemmo l'ordine di lasciar circolare liberamente e di non arrestare
nessuno. Corremmo a Smolni e dovemmo faticare una buona ora per far capire
che era la guerra. Alle cinque del mattino tornammo allo Stato Maggiore e quasi tutti se n'erano andati. Ne
arrestammo, ciononostante, qualcheduno... e alla guarnigione si era finalmente
dato l'allarme...
Una guardia rossa dell'isola Vassili descrisse con grande abbondanza di particolari quello che era avvenuto nel suo distretto nel gran giorno dell'insurrezione.
Non avevamo mitragliatrici — disse ridendo, — e non potevamo riceverne da Smolni. Il compagno Zalkind, membro della Duma di quartiere, si ricordò improvvisamente che una mitragliatrice, presa ai tedeschi, si trovava nella sala delle sedute del municipio. Con un altro compagno vi andammo. I menscevichi e i S.R. erano riuniti in seduta. Noi aprimmo la porta e avanzammo verso di essi; loro erano dodici o quattordici attorno alla tavola e noi tre. Vedendoci, cessarono di parlare, guardandoci stupiti. Noi attraversammo la stanza, smontammo la mitragliatrice. Il compagno Zalkind ne prese una parte e noi l'altra; ce la caricammo sulle spalle e ce ne andammo. Nessuno aveva detto una parola.
— Sapete come è stato preso il Palazzo d'Inverno? — disse un terzo, un marinaio. — Verso le undici ci accorgemmo che non vi erano più junker dalla parte della Neva. Allora sfondammo le porte e cominciammo ad entrare per diverse scale, uno ad uno in piccoli gruppi. Giunti in cima alle scale fummo fermati dagli junker che ci disarmarono. Ma i nostri compagni continuavano ad arrivare e noi fummo ben presto in maggioranza. Allora toccò a noi di togliere le armi agli junker...
In quel momento entrò il comandante, un giovane sottufficiale, dal viso gioviale, un braccio al collo e gli occhi cerchiati per l'insonnia. Guardò subito il prigioniero, che cominciò immediatamente a spiegargli la sua situazione.
— Ah! perfettamente — lo interruppe il comandante, — voi facevate parte di quel Comitato che rifiutò di consegnare lo Stato Maggiore, mercoledì dopopranzo. Oh! non abbiamo bisogno di voi cittadino. Scusate!
Aprì la porta e indicò con un gesto al conte Tolstoi che poteva andarsene. Vi fu qualche mormorio di protesta soprattutto da parte delle guardie rosse ed il marinaio gridò trionfalmente:
— Vedete! non ve l'avevo detto io?
Due soldati si rivolsero in seguito al comandante. Erano stati delegati dalla guarnigione della fortezza per presentare una protesta. I prigionieri., dissero, ricevevano lo stesso cibo dei guardiani, mentre vi era appena da non morire di fame. Perché si trattavano così bene i controrivoluzionari?
— Noi siamo dei rivoluzionari, compagni, e non dei banditi — rispose il comandante.
Poi si rivolse verso di noi. Gli spiegammo che circolava la voce che si torturavano gli junker e che la vita dei ministri era in pericolo. Forse ci sarebbe stato possibile di vedere i prigionieri per provare al mondo...
— No — rispose il giovane comandante. — Non voglio disturbare ancora una volta i prigionieri. Sono stato obbligato a svegliarli un momento fa. Hanno certamente creduto che andassimo a massacrarli... La maggior parte degli junker è già stata rilasciata e gli altri usciranno domani.
Tentò di piantarci in asso bruscamente.
— Potremmo allora parlare con la commissione della Duma?
Il comandante, versandosi un bicchiere di the, fece un cenno affermativo.
— Sono ancora nell'entrata — disse noncurante.
Erano infatti dall'altra parte della porta, riuniti intorno al sindaco, discutendo animatamente sotto la debole luce di una lampada a petrolio.
— Signor sindaco — dissi — siamo dei corrispondenti americani. Vorreste comunicarci ufficialmente il risultato della vostra inchiesta?
Rivolse verso di noi il viso onesto e venerabile.
— Le accuse non contengono neppure un'ombra di verità — pronunziò lentamente. — A parte gli incidenti che si sono prodotti quando furono condotti qui, i ministri sono stati trattati con tutti i riguardi. Quanto agli junker, nessuno di loro ha dovuto sopportare la minima sofferenza...
Lungo la Nevski, nelle tenebre della città deserta, una colonna interminabile di soldati avanzava in silenzio, andando incontro a Kerenski. Nelle piccole strade oscure, qualche automobile circolava con i fari spenti. Una furtiva attività regnava al n. 6 della Fontanka, quartiere generale del Soviet dei contadini, come in un certo locale di un grande edificio della Nevski ed alla Scuola degli ingegneri. La Duma era rischiarata...
A Smolni, dagli uffici del Comitato militare rivoluzionario sembrava sprizzassero lampi, come da una dinamo che lavori con intensità troppo grande.
NOTE
1. Guardie del corpo di Ivan il Terribile, nel XVII secolo, conosciute per la loro crudeltà.
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Ultima modifica 18.1.2004