[Indice de Il ruolo della violenza nella storia]
Pubblicato nella Neue Zeit, XIV Jahrgang, I Band (1895-96) pp. 676, 708, 740, 772, 810. I numeri intercalati nel testo indicano il numero delle pagine corrispondenti al testo.
Traduzione di Ettore Ciccotti (†1939) in Federico Engels: Forza ed economia nella formazione del nuovo impero germanico. Un lavoro postumo di Federico Engels (1896), Roma, L. Mongini editore, 1899.
Trascritto da: Leonardo Maria Battisti, giugno 2019.
Verso la fine del 1886 Engels progettò pubblicare a parte i tre capitoli sulla “Teoria della violenza” dell'Anti-Dühring e di aggiungere un nuovo capitolo, il quarto, che doveva esemplificare le tesi dei primi tre capitoli sulla base della storia della Germania dal 1848 al 1888 analizzata dal punto di vista della critica dell'«intera politica bismarckiana». Titolo dell'opuscolo doveva essere: Il ruolo della violenza nella storia.
Engels iniziò la stesura del nuovo capitolo alla fine del 1887 ma dovette interrompere nel marzo 1888 per dedicarsi a impegni più pressanti (specie la pubblicazione del Capitale III). Il progettato opuscolo non fu più pubblicato. Il testo del capitolo, rimasto incompiuto, insieme a vario materiale preparatorio fu ritrovato fra le carte di Engels dopo la sua morte. Nel 1896 Eduard Bernstein lo pubblicò sulla rivista Die Neue Zeit (nn. 22-26, a. XIV, v. I,1895-1896) col titolo: Violenza ed economia nella formazione del nuovo impero tedesco. Ma anziché ricopiare il manoscritto dì Engels, Bernstein modificò l'originale, senza darne indicazione con sottotitoli, note e integrazioni al testo. Questo metodo di lavoro arbitrario ha comportato anche la perdita di alcune pagine del manoscritto originale.
AVVERTENZE PRELIMINARI DELL'EDITORE
Lo scritto che noi qui diamo alle stampe come un contributo accessorio al festeggiamento del venticinquesimo anniversario della fondazione dell'Impero germanico, si trovava in un pacchetto lasciato dall'Engels, su cui era scritto: «Teoria della forza». Oltre a questo lavoro e a molte notizie ed estratti di calendari esso contiene, disposti per una edizione a parte, tre capitoli dell'Anti-Dühring, che portano l'ugual titolo e il seguente esordio di una prefazione.
«Lo scritto che segue e un estratto del mio lavoro «La rivoluzione della scienza fatta dal sig. Eugenio Dühring» e comprende i tre capitoli che ivi portano come titolo: «Teoria della forza». Essi sono già comparsi prima, a parte, in una traduzione russa e propriamente come introduzione alla edizione russa della mia «Evoluzione del socialismo dallo stadio utopistico allo scientifico». In questa edizione si sono fatte soltanto le più indispensabili variazioni ed aggiunte. Ma l'edizione a parte richiede una speciale aggiunta.
Quando io pubblico in tedesco un opuscolo su «La funzione della forza nella storia», il lettore tedesco ha il diritto di chiedere che io non gli nasconda il mio modo di vedere sulla funzione assai importante che la forza ha esercitato, durante gli ultimi trent'anni, proprio nella sua stessa storia. Perciò io ho aggiunto un quarto capitolo, che naturalmente contiene soltanto i principali punti di vista: Forse una volta mi sarà concesso di trattare più diffusamente questo argomento».
Con ciò è detto quel che è essenziale sullo scopo dello scritto, a cui, per la pubblicazione in questa rivista, noi abbiamo dato il titolo su riferito, avendo riguardo alla questione di cui si tratta ne' suddetti capitoli, cioè alla relazione tra la forza e le cause economiche nella storia (presso l'Engels si trova semplicemente il titolo «IV» cioè quarto capitolo sulla «Teoria della forza»). Quanto alla sua origine basti notare quanto segue.
Dietro l'esempio de' socialisti russi — la mentovata traduzione di Vera Sassulitsch comparve, se non andiamo errati, nel 1884 — i socialisti tedeschi incitarono l'Engels a fare un'apposita edizione anche in lingua tedesca di questi capitoli altamente istruttivi. L'Engels non respinse l'idea: pensava solo che in una edizione tedesca non si potessero riprodurre a parte semplicemente i tre menzionati capitoli dell'«Anti-Dühring», ma vi si dovesse aggiungere ancora qualcos'altro, probabilmente un'applicazione della teoria alla storia più recente. Quindi egli si accinse subito a questo lavoro, e l'accennata raccolta di estratti di calendari e di notizie, che si trovano insieme al manoscritto, mostra con quanta cοscienziosità si pose all'opera. Μa questa conscienziosità è stata la causa per cui il lavoro è rimasto allo stato di frammento. Ιl terzo volume del Capitale richiese più tempo di quello che l'Engels aveva previsto, e ne' ritagli di tempo che questo lavoro principale gli lasciava, arrivavano tante corrispondenze e incarichi che l'esplemento del quarto capitolo della «Teoria della forza», come di molti altri lavori iniziati, dovette essere sempre rimandato, finché la morte gli strappò per sempre la penna dalla mano.
Il lettore ha cοsì da fare con un lavoro incompiuto e mancante della redazione definitiva. Noi crediamo di dover rilevare ciò, perché diversi segni ed espressioni aforistiche scritte a matite lasciano riconoscere che l'Engels qua e là pensava di compire in qualche punto e in qualche altro di abbreviare lo scritto. In base a questi segni e a conversazioni occasionali dell'Engels ci crediamo autorizzati a ritenere che egli non aveva ben determinato l'estensione da dare a questo capitolo. Con la sua caratteristica della politica bismarkiana, egli, andando oltre la fondazione dell'impero, si addentra nella storia di esso, e quivi si trovavano questioni da trattare come il Κulturkampf, i dazi doganali, il socialismo di Stato, su cui l'Engels aveva da dire ed era preparato ad esporre assai più che non si potesse dire in un paio di righe. Già quello che ora si ha dal quarto capitolo della «Teoria della forza», prende più spazio de' tre primi capitoli presi insieme; quindi, ο si doveva adottare una forma più serrata, assertiva assai meglio che non dimostrativa, ο si dovevano variare le proporzioni (678) dell'intero lavoro. L'Engels non ha potuto decidere definitivamente su ciò.
Tutto ciò è secondario per questa pubblicazione. Come lo diamo qui, il lavoro dell'Engels mostra tutti i noti pregi della sua esposizione di avvenimenti storici; la straordineria attitudine a cogliere acutamente i momenti essenziali senza trascurare tuttavia i fenomeni accessorî; la dote non meno eminente di congiungere una critica tagliente de' personaggi storici con la valutazione oggettiva delle particolarità e de' resultamenti, e la rara abilità di analizzare gli attori del teatro del mondo con lo stesso sicuro colpo d'occhio con cui coglieva l'impulso segreto, che dirigeva o correggeva le loro azioni.
L'Engels non ha scritto il suo lavoro per la polemica del giorno; esso non è, come si vede, uno scritto tendenzioso, nel senso che all'apologia dell'Impero debba essere contrapposta la depressione dell'Impero. La demolizione ad ogni costo non era ne' suoi metodi. Se, ciò non ostante, questa genesi del nuovo Impero è divenuta un contrasto a' pomposi discorsi e scritti commemorativi, che ci ha portato il venticinquesimo anniversario dell'Impero, e i cui paroloni stanno in così comico rapporto con la reale partecipazione del popolo a quella solennità; non se ne deve accagionare l'intenzione dello scrittore: la colpa è delle cose, che si possono qualche volta dissimulare ma non si possono cancellare con le bugie. Del resto le circostanze in cui è stata solennizzata la fondazione dell'Impero e il modo come è stato solennizzato richiedono l'esposizione della maniera e del metodo col quale è sorto. Non fosse che per rendere intelligibile ciò che del resto sarebbe realmente inintelligibile.
Per maggiore comodità, pubblicando il manoscritto in questa rivista, l'abbiamo suddiviso in paragrafi e ad ognuno abbiamo dato un suo proprio titolo. Le note di richiamo a cui si è accennato innanzi, sono riprodotte in parentesi quadre o a piè di pagina. Secondo la volontà del defunto, dove ogni dubbio pareva escluso, iο hο senz'altro adottato le correzioni stilistiche segnate in maniera abbreviata.
Come appare da vari tratti del lavoro, la sua redazione ricade nell'inverno 1887-1888, e quindi ancora sotto il regno di Guglielmo I, l'era di Bismarck e i bei giorni delle leggi eccezionali.
Londra, 6 febbraio 1896.
Ε. BΕRΝSΤΕΙΝ
Applichiamo ora la nostra teoria1 alla storia tedesca del giorno e all'impiego violento del ferro e del sangue in essa praticato. Vedremo ivi chiaramente perchè la politica del sangue e del ferro doveva avere temporaneamente buon successo e perché, in conchiusione, deve andare in ruina.
Il congresso di Vienna nel 1815 aveva suddivisa e fatta a scacchi l'Europa in una maniera atta a mostrare a tutto il mondo la completa incapacità de' potentati e degli uomini di Stato. La generale guerra di popoli contro Napoleone era la reazione dello spirito nazionale calpestato da Napoleone presso tutti i popoli. In grazia di ciò i principi e i diplomatici del congresso di Vienna compressero ancora peggio questo sentimento nazionale. La più piccola dinastia valse più del più grande popolo. La Germania e l'Italia furono di nuovo spezzate in piccoli Stati, la Polonia fu smembrata per la quarta volta, l'Ungheria rimase sotto il giogo. E non si può dire questa volta che i popoli furono trattati ingiustamente: perché i popoli vi si piegarono e perché avevano salutato nello Zar il loro liberatore?
Ma ciò non poteva durare. Dal finire del Medio Evo la storia lavora a costituire l'Europa in grandi Stati nazionali. Solo tali Stati rispondono alla normale costituzione politica della borghesia europea, e sono quindi l'imprescindibile premessa dell'armonica cooperazione internazionale de' popoli, senza della quale non può avvenire la sovranità del proletariato. Per assicurare la pace internazionale debbono innanzi tutto essere eliminati tutti gli inevitabili dissidi nazionali, ogni popolo dev'essere indipendente e padrone in casa propria. Con lo sviluppo del commercio, dell'agricoltura, dell'industria e con la relativa potenza sociale della borghesia, si rilevò dovunque il sentimento nazionale e le nazioni smembrate ed oppresse aspirarono all'unità e all'indipendenza.
La rivoluzione del 1848 tendeva perciò dovunque, fuori della Francia, a soddisfare al tempo stesso le aspirazioni nazionali come il bisogno di libertà. Ma, dietro alla borghesia vittoriosa al primo sollevarsi, si levava già da per tutto l'immagine minacciosa del proletariato, che in realtà aveva strappato la vittoria, e spingeva la borghesia in braccio dell'avversario allora vinto — della reazione monarchica, burocratica, semifeudale e militare sotto cui soggiacque nel 1849 la rivoluzione. In Ungheria, dove non era questo il caso, entrarono i Russi a reprimere la rivoluzione. Non contento di ciò, l'imperatore russo andò a Varsavia e si assise ivi arbitro dell'Europa. Egli Cristiano, una sua docile creatura, a succedere al trono di Danimarca. Umiliò la Prussia, come non era ancora stata umiliata mai, togliendole ogni più lontana voglia di sfruttare le aspirazioni unitarie germaniche e obbligandola a ristabilire la Camera federale e ad assoggettarsi all'Austria.
Così, a prima vista, tutto il risultato della rivoluzione parve ridursi a questo: che in Austria e in Prussia si regnò in forma costituzionale ma con l'antico spirito, e che lo Zar della Russia dominò l'Europa più che mai.
Ma in realtà la rivoluzione aveva violentemente trabalzato fuori dal vecchio sentiero tradizionale la borghesia degli stessi paesi manomessi e specialmente della Germania. Essa aveva ottenuta una partecipazione, comunque modesta, al potere politico, ed ogni successo politico della borghesia viene usufruito sotto ferma di un'espansione industriale. «L'anno folle», che per fortuna era passato, mostrò praticamente alla borghesia che bisogna finirla una volta per sempre col letargo e la sonnolenza antica. In seguito alla pioggia d'oro californiana e australiana e ad altre contingenze sopravvenne una espansione de' rapporti del mercato mondiale e uno slancio negli affari come non si era visto mai; valeva la pena di cacciarsi dentro e assicurarsi la propria parte (680). I rudimenti di grandi industrie, che dopo il 1830 e specialmente dal 1840 in poi erano sorte sul Reno, in Sassonia, nella Slesia, a Berlino e nelle singole città del Mezzogiorno, furono ora subito svolte e ampliate, l'industria domestica della campagna si venne sempre più estendendo, la costruzione delle ferrovie fu accelerata e l'emigrazione, che da per tutto cresceva enormemente, schiuse la via ad una navigazione tedesca transatlantica, che non aveva bisogno di alcuna sovvenzione. Più che mai per l'innanzi, commercianti tedeschi si stabilirono in tutte le piazze commerciali oltremarine, accaparrarono una parte sempre maggiore del commercio, mondiale e cominciarono gradatamente a cercare lo smercio non solo di prodotti industriali inglesi ma anche di tedeschi.
Ma i piccoli staterelli tedeschi con le loro molteplici e diverse legislazioni industriali e commerciali dovevano divenire una insopportabile pastoia per l'industria che diveniva sempre più poderosa e pel commercio ch'era connesso con quella. Ad ogni paio di miglia un altro diritto cambiario, altre condizioni per l'esercizio di un'industria, soprattutto, ma sopratutto altre controversie, altri triboli burocratici e fiscali, e spesso ancora altre restrizioni derivanti dalle corporazioni, contro di cui non giovava una concessione! E a questo si aggiungono i molti e diversi regolamenti locali e le limitazioni del diritto di soggiorno, che rendevano impossibile a' capitalisti di raccogliere forze di lavoro disponibili in quantità sufficiente ne' punti, dove il ferro, il carbone e le cadute d'acqua ed altre favorevoli condizioni naturali offrivano una sede propizia ad intraprese industriali. La possibilità di usufruire senza inciampi il complesso delle forze di lavoro del paese era la prima condizione dello sviluppo industriale; ma sopratutto, dove il patriottico imprenditore adunava operai da ogni parte, la polizia e l'amministrazione dell'assistenza a' poveri si opponevano al soggiorno dell'elemento avventizio. Un diritto civile imperiale tedesco e libera circolazione per tutti i cittadini dell'Impero, una comune legislazione commerciale e industriale, non erano più patriottiche fantasie di studenti, erano condizioni vitali indispensabili dell'industria.
Ancora: in ogni stato e staterello una diversa moneta, misure e pesi diversi, spesso anche di due o tre specie nello stesso Stato. Ε di tutte queste innumerevoli specie di monete, misure e pesi neppure una era riconosciuta sul mercato mondiale. Qual meraviglia dunque che commercianti e industriali, i quali facevano affari sul mercato mondiale o dovevano sostenere la concorrenza di articoli importati, fossero costretti a servirsi con tutte queste monete, pesi e misure, anche di quelli stranieri, che il filo di cotone fesse calcolato a libbre inglesi, la stoffa di seta fosse preparata a metri, che i conti per l'estero fossero fatti a lire sterline, dollari, franchi? E come potevano sorgere grandi istituti di credito in paesi di circolazione così limitata, con biglietti di banca qua calcolati a fiorini, là a talleri prussiani, talleri d'oro, nuovi talleri di due terzi, marco di banco, marco corrente, piede monetario di venti fiorini, piede monetario di ventiquattro fiorini e infiniti conteggi e oscillazioni de' corsi?
E se anche riusciva di superare tutti questi inciampi, quanta energia non andava perduta in tutti questi attriti, quanto danaro e quanto tempo non andavano dispersi! Ε, alla fine, anche in Germania si cominciava a notare che oggi il tempo è danaro.
Se la recente industria tedesca si doveva affermare sul mercato mondiale, solo con l'esportazione poteva divenire grande. Per far questo, bisognava che avesse la protezione del diritto internazionale. Il commerciante inglese, francese, americano poteva permettersi all'estero sempre qualche cosa di più che non gli fosse lecito a casa sua. La sua rappresentanza diplomatica si faceva innanzi per lui, e al bisogno venivano anche un paio di navi da guerra. Ma il tedesco! (681). Nel Levante l'Austria almeno poteva confidare in qualche modo nella sua rappresentanza diplomatica, ma tuttavia questa non gli giovava molto. Ma quando un commerciante prussiano all'estero si doleva col suo rappresentante di qualche torto ricevuto, quasi sempre si sentiva rispondere: «Vi sta bene! Che avete voi da far qui? Perché non ve ne rimanete bellamente a casa?» Il cittadino di un piccolo Stato sopratutto era a dirittura privo di diritti. Dovunque andassero, i mercanti tedeschi stavano sotto la protezione straniera, francese, inglese, americana, ovvero si dovevano far subito naturalizzare nella nuova patria2. E se anche i loro agenti diplomatici avessero voluto adoperarsi, a che cosa avrebbe giovato? Essi stessi, gli agenti diplomatici tedeschi erano trattati oltre mare come i lustrascarpe.
Di qui si vede come l'aspirazione ad una «patria» unita aveva una base assai materiale. Non era più il nebuloso impulso delle corporazioni studentesche solennizzanti la festa di Wartburg, «dove forza e coraggio divampavano in anime tedesche» e dove, secondo una melodia francese «il giovinetto era tratto da un turbine ad andare per la patria incontro alla battaglia e alla morte» per restaurare il romantico impero del Medio Ενo e dove l'impetuoso giovinetto divenne nella sua vecchia età un volgare servitore di principi, pietista e assolutista. Non era più nemmeno il grido unitario, già tanto più vicino alla terra, degli avvocati e di altri ideologi borghesi della festa di Hambach, che credevano di amare per sé stesse l'unità e la libertà, e non osservavano che il foggiare la Germania sul tipo svizzero con repubbliche cantonali, a cui si elevava l'ideale de' più confusi tra loro, era impossibile quanto l'Impero alla Hohenstaufen di quegli studenti. No; era il desiderio del pratico commerciante e industriale, che emergeva immediatamente dalla stessa necessità degli affari e aspirava a spazzar via tutta l'anticaglia de' piccoli Stati avanzata nella storia e divenuta un inceppo al libero svolgimento del commercio e dell'industria; era la brama di eliminare ogni inutile attrito, che l'uomo d'affari tedesco doveva vincer prima a casa sua, se voleva aprirsi l'adito al mercato mondiale e di cui i suoi concorrenti avevano già trionfato. L'unità germanica era divenuta una necessità d'ordine economico; e la gente, che ora la richiedeva, sapeva ciò che voleva. Essa era allevata nel commercio e al commercio, sapeva commerciare e lasciava che gli altri commerciassero con essa; essa sapeva che si deve chiedere molto ma si deve anche rimettere assai. Essa cantava della patria tedesca, quindi anche della Stiria, del Tirolo e dell'Austria, ricca di glorie e di vittorie, e «Dalla Mosa al Niemen, dall'Adige al Belt, Germania, Germania; sopra tutto, sopra tutto nel mondo» — ma essi erano pronti a concedere su questa patria che doveva essere sempre più grande — con assai considerevole ribasso, dietro pagamento in contanti, il venticinque e sino al trenta per cento. Il loro piano unitario era fatto e capace di essere subito messo in atto.
Ma l'unità germanica non era una questione tedesca soltanto. Dalla guerra de' trent'anni in poi nessuna questione generale tedesca era stata risoluta senza un'assai sensibile ingerenza delle potenze straniere. Federico II aveva conquistata la Slesia nel 1740 con l'aiuto de' Francesi. Francia e Russia nel 1803 avevano letteralmente dettata la riorganizzazione del Sacro impero romano mediante un deliberato della deputazione dell'Impero3. Indi Napoleone aveva ordinata la Germania secondo la sua convenienza. (Qui si aggiunge come supplemento: «Germania-Polonia!»). E finalmente, al Congresso di Vienna, di nuovo, principalmente per opera della Russia e in seconda linea per opera della Francia e dell'Inghilterra, era stata suddivisa in trentasei Stati con più che duecento distinti pezzi di territorio grandi e piccoli, e i sovrani tedeschi, proprio come dal 1802 al 1803 al parlamento imperiale di Regensburg, vi avevano di buon grado contribuito e avevano reso anche più triste lo smembramento. Per giunta alcune parti di Germania erano date a principi stranieri. Così la Germania non solo era resa impotente e derelitta, data in preda alla discordia intestina, condannata all'annullamento politico, militare e anche industriale; ma — ciò ch'era assai peggio — la Francia e la Russia avevano, per uso replicato, acquistato un diritto allo smembramento della Germania, proprio come la Francia e l'Austria si arrogavano il diritto di vegliare che l'Italia rimanesse suddivisa. Era questo problematico diritto che lo czar Nicolò aveva fatto valere nel 1850, mentre, vietando rudemente ogni autonomo cambiamento costituzionale, obbligò a restaurare il parlamento federale, questa espressione dell'impotenza della Germania.
L'unita della Germania quindi si doveva ottenere, non solo in opposizione a' principi e agli altri nemici interni, ma anche contro le potenze straniere, ovvero con l'aiuto dell'estero. Ma in quali condizioni si presentava allora l'estero? 4.
In Francia Luigi Bonaparte aveva tratto partito dalla lotta tra la borghesia e la classe operata per salire alla presidenza con l'aiuto del ceto de' contadini e al trono imperiale con l'aiuto dell'esercito. Ma un nuovo imperatore Napoleone, creato dall'esercito, chiuso entro i confini della Francia del 1815 era un'assurdità nata morta. Il risorto impero napoleonico, voleva dire l'estensione dell'impero sino al Reno, la realizzazione del sogno tradizionale dello chauvinisme francese. Eppure Luigi Bonaparte non poteva avere il Reno; ogni tentativo in questo senso avrebbe avuto per conseguenza una coalizione europea contro la Francia. All'incontro, si offriva una occasione di accreditare la potenza della Francia e procacciare nuovi allori mediante una guerra fatta d'accordo con tutta l'Europa contro la Russia che aveva profittato de' trambusti rivoluzionari dell'Europa occidentale per occupare tranquillamente i principati danubiani e preparare una nuova guerra di conquista contro la Turchia. L'Inghilterra si alleò con la Francia; l'Austria era favorevole ad entrambi; soltanto l'eroica Prussia baciò la sferza russa, che ieri ancora l'aveva castigata, e rimase in un atteggiamento di amica neutralità verso la Russia. Ma né l'Inghilterra, né la Francia volevano una seria sconfitta dell'avversario, e così la guerra terminò con una assai benigna umiliazione della Russia e con un'alleanza franco-russa contro l'Austria5.
La guerra di Crimea fece della Francia la potenza (683) dirigente d'Europa e dell'avventuriero Luigi Napoleone il più grande uomo del giorno, ciò che certamente non vuol dire molto. Ma la guerra di Crimea non aveva portato alla Francia alcun aumento di territorio e portava quindi in grembo una nuova guerra, in cui Luigi Napoleone doveva adempiere la sua vera missione come «ampliatore dell'impero». Di questa nuova guerra era stata già gettata la trama durante la prima, essendosi permesso al Regno di Sardegna di unirsi all'alleanza occidentale come satellite della Francia imperiale e specialmente come avamposto contro l'Austria; la preparazione ne fu spinta ancora più innanzi nel concludere la pace mediante l'intesa di Napoleone con la Russia, a cui niente poteva riuscir più gradito del veder castigata l'Austria.
Luigi Napoleone era adesso l'idolo della borghesia europea. Non solo pel suo «salvataggio della società» compiuto il 2 dicembre 1851, quando egli veramente annientò il dominio politico della borghesia, ma unicamente per salvarne il dominio sociale. Non solo per aver mostrato come il suffragio universale in condizioni favorevoli si possa mutare in uno strumento di soggezione delle masse, non solo perché, sotto la sua sovranità, industria e commercio e specialmente la speculazione e il giuoco di borsa avevano avuto uno sviluppo sinora ignoto; ma sopratutto perché la borghesia riconosceva in lui il primo «grande uomo di Stato», la carne della sua carne, l'ossa delle sue ossa. Egli era un parvenu come ogni borghese autentico. «Lavato in tutte le acque», cospiratore carbonaro in Italia, ufficiale di artiglieria in Isvizzera, vagabondo carico di debiti per eccellenza e costabile speciale in Inghilterra, ma sempre e da per tutto pretendente, si era in tutti i paesi apparecchiato ad essere l'imperatore de' francesi e il duce della storia d'Europa con un passato avventuroso e un abbandono di scrupoli morali come il borghese modello, l'americano, si prepara a diventare milionario con una serie di onorevoli e frodolente bancherotte.
Come imperatore (684) non solo asservì la politica all'interesse capitalistico e al giuoco di borsa, ma fece la politica proprio secondo i principii del giuoco di borsa e speculò sul «principio di nazionalità». La scissione della Germania, e dell'Italia era stata un inalienabile diritto reale dell'Impero francese: per la politica francese fatta sinora; Luigi Napoleone si accinse a trafficare a pezzo a pezzo questo diritto verso de' cosidetti compensi. Egli era pronto ad aiutare Germania ed Italia ad unificarsi, dato che Germania ed Italia gli pagassero ogni passo verso l'unità nazionale con qualche cessione di territorio.
Così non solo era appagato lo chauvinisme francese e l'impero era portato gradatamente alle frontiere del 1801, ma la Francia era di nuovo presentata come la vera potenza civile e liberatrice di popoli e Luigi Napoleone come il paladino delle nazionalità oppresse. E tutta la borghesia liberale e animata dallo spirito di nazionalità — perché interessata alla eliminazione dal mercato mondiale di quanto impediva gli affari — gioiva unanime di questa civiltà liberatrice.
Si cominciò dall'Italia6.
Ivi dal 1849 dominava senza alcun freno l'Austria, e l'Austria era allora il comune capro espiatorio d'Europa. L'esiguità de' risultati della guerra di Crimea non fu attribuita all'indecisione delle potenze occidentali, che avevano voluto soltanto una parvenza di guerra, ma al contegno irresoluto dell'Austria, di cui pure nessuno, fuori delle potenze occidentali, aveva avuto colpa. Ma la Russia — per gratitudine dell'aiuto prestato nel 1849 contro l'Ungheria — era stata così paralizzata dalla marcia dell'Austria al Pruth (benché da questa stessa marcia fosse salvata) che vedeva con gioia ogni attacco fatto all'Austria. La Prussia non contava più, e al Congresso di Parigi fu trattata da canaille. E così con la cooperazione della Russia fu messa la trama della guerra di liberazione d'Italia «sino all'Αdriaticο», iniziata nella primavera del 1859 e già terminata nell'estate sul Mincio. L'Austria non fu cacciata d'Italia, e l'Italia non divenne libera «sino all'Adriatico», né unita; il regno di Sardegna era cresciuto, ma la Francia aveva guadagnata la Savoia e Nizza, e con questa, verso l'Italia, i confini del 1801.
Ma gl'Italiani non n'erano soddisfatti.
In Italia allora predominava ancora la manifattura propriamente detta; la grande industria era ancora in fasce. La espropriazione e la proletarizzazione della classe operaia era tutt'altro che progredita: nelle città essa era ancora in possesso de' suoi propri mezzi di produzione, mentre in campagna il lavoro industriale era una ripresa succedanea di contadini piccoli proprietari o fittaiuoli. Perciò l'energia della borghesia non era ancora rotta pel contrasto con un proletariato moderno conscio de' suoi interessi di classe. E poiché in Italia il frazionamento durava soltanto a causa della dominazione straniera austriaca, sotto la cui egida i principi locali spingevano sino all'estremo il loro dispotismo, così anche l'aristocrazia fondiaria e le masse popolari cittadine stavano dalla parte della borghesia divenuta rivendicatrice della indipendenza nazionale. Ma nel 1859, tranne che a Venezia, la signoria straniera era finita; una sua ulteriore ingerenza in Italia era resa impossibile per opera della Francia e della Russia, (685) e nessuno la temeva più. E l'Italia aveva in Garibaldi un eroe di tempra antica, che poteva fare miracoli e fece miracoli. Con mille volontari mandò all'aria l'intero reame di Napoli, unificò in linea di fatto l'Italia, lacerò la trama artificiale della politica bonapartista. L'Italia era libera e unita in fatto, ma non per i rigiri di Luigi Napoleone, bensì per la rivoluzione.
Dopo la guerra d'Ιtalia la politica estera del secondo impero francese non era più un mistero per alcunο. I vincitori di Napoleone il grande dovevano essere castigati, ma l'un apres l'autre, uno dopo l'altrο. La Russia e l'Austria avevano avuta la parte loro subito dopo veniva la Prussia. Ε la Ρrussia era più spregiata che mai, la sua politica durante guerra d'Ιtalia era stata miserevοle e codarda proprio come al tempo della pace di Basilea, nel 1795. Con la «politica delle mani libere» si era giunti a questo, che essa era ridotta affatto isolata in Europa; tutti i suoi vicini grandi e piccoli godevano allo spettacolo che si preparava, come ciοè la Prussia sarebbe stata ridotta nella padella, e la sua mano libera giovava soltanto a questo, a dare la riva sinistra del Reno in mano alla Francia.
In realtà ne' primi anni dopo il 1859, da per tutto e in nessun luogo tanto come sul Reno, era diffusa l'opinione che la riva sinistra del Reno inevitabilmente dovesse andare a fluire in mano alla Francia. Non lo si desiderava proprio, ma lo si vedeva giungere come un avvenimento inevitabile e — rendiamo onore alla νerità — non se ne aveva molta paura. Tra i contadini e i piccoli borghesi si risvegliavano di nuovo gli antichi ricordi del tempo de' Francesi, che realmente aveva portata la libertà; della bοrghesia l'aristocrazia finanziaria, a Colonia specialmente, era gia avvolta sino in fondo nelle ciurmerie del Crédit mοbilier di Parigi e di altre compagnie speculatrici bonapartiste e invocava a voce alta l'annessione.7
Ma la perdita della riva sinistra del Reno non voleva dire soltanto l'indebolimento della Prussia, ma anche della Germania. E la Germania era più scissa che mai. L'Αustria e la Prussia, più che mai disgustate vicendevolmente per la neutralità della Prussia nella guerra d'Italia, la piccola nidiata di principi con atteggiamento di paura e di piacere rivolta a Luigi Napoleone come al Protettore di una rinnovata lega renana – ecco qual era la condizione della Germania ufficiale; e ciò in un momento in cui solo le forze unite di tutto il paese erano in condizione di scongiurare il pericolo dello smembramento.
Ma come unire la forza dell'intera nazione? Tre vie rimanevano aperte, dopo che i tentativi quasi eccezionalmente nebulosi del 1848 erano andati a vuoto. Ma per ciò stesso avevano anche dissipato molta nebbia.
La prima via era quella della reale unificazione con l'eliminazione di tutti gli Stati separati, e quindi la via apertamente rivoluzionaria. Questa via appunto aveva condotto a buon fine in Italia; la dinastia di Savoia s'era accodata alla rivoluzione e così aveva acquistata la corona d'Italia. Ma i nostri Savoia germanici, gli Hohenzollern, e gli stessi loro più audaci Cavour alla Bismarck, non erano capaci di un atto così ardito. Il popolo avrebbe dovuto far tutto da sé — e in una guerra per la riva sinistra del Reno sarebbe bene stato al caso di fare quanto occorreva. L'inevitabile ritirata della Prussia sul Reno, (686) la guerra lunga sotto le fortezze renane, l'indubitabile tradimento de' principi della Germania meridionale potevano bastare ad avviare un movimento nazionale innanzi a cui si dissolveva il potere regio. E allora Luigi Bonaparte pel primo pensò a ringuainare la spada. Il secondo Impero teneva ad avere come avversari solo Stati reazionari rimpetto a' quali egli appariva come continuatore della Rivoluzione francese, come liberatore di popoli: Contro un popolo in rivoluzione esso era impotente; per giunta la rivoluzione tedesca vittoriosa poteva dare la spinta alla caduta di tutto l'Impero francese. Questo nell'ipotesi più favorevole; nel caso più sfavorevole, se i principi si rendevano padroni del movimento, la riva sinistra del Reno era intanto perduta per la Francia, si scopriva innanzi a tutto il mondo il tradimento attivo o passivo de' dinasti e si creava una situazione, in cui alla Germania non rimaneva altra uscita che la rivoluzione, la cacciata di tutti i principi, la fondazione della repubblica unitaria germanica.
Allo stato delle cose, questa via di unificazione della Germania si poteva battere soltanto se Luigi Napoleone intraprendeva la guerra pel confine del Reno; ma questa guerra non ebbe luogo per ragioni or ora accennate. Con ciò anche la questione dell'unità nazionale cessò di essere una improrogabile questione vitale, che doveva essere risoluta dall'oggi al domani, sotto minaccia di perire. Intanto la nazione poteva attendere.
La seconda via era l'unità sotto l'egemonia dell'Austria. L'Austria aveva conservata nel 1815 la posizione ad essa fatta dalle guerre napoleoniche di uno Stato compatto, arrotondato. Essa non si disputò di nuovo i suoi possessi staccati dalla Germania del Sud; si contentò dell'annessione di vecchi e nuovi lembi di territorio, che geograficamente e strategicamente si adattavano al nocciolo ancora rimanente della monarchia. La separazione dell'Austria tedesca dal resto della Germania voluta mercé i dazi protettori da Giuseppe II, resa più marcata ancora da Francesco I con i suoi metodi di governo in Italia, spinta all'estremo con la dissoluzione dell'Impero germanico e della lega renana rimase ancora in vigore nel 1815 come condizione di fatto. Metternich circondò il suo Stato dal lato della Germania di un ideale muro cinese. Le dogane impedirono l'ingresso a' prodotti materiali della Germania, la censura a' prodotti intellettuali, le innominabili vessazioni relative a' passaporti riducevano al minimum indispensabile il transito delle persone. All'interno un arbitrio assoluto, imperante anche in Germania, premuniva contro ogni anche più lieve movimento politico. In tal modo l'Austria s'era tenuta assolutamente lontana da tutto il movimento liberale borghese della Germania. Col 1848 cadde almeno la barriera del commercio spirituale, ma gli avvenimenti di quell'anno e le loro conseguenze erano poco adatti ad accostare l'Austria al resto della Germania; al contrario l'Austria gravitava sempre più e più verso la sua posizione indipendente di grande potenza. E così accadde che, quantunque i soldati austriaci delle fortezze della Confederazione fossero ben visti e i prussiani odiati e spregiati, e quantunque l'Austria in complesso fosse ancora popolare e altamente considerata nell'Occidente e nel Sud prevalentemente cattolici, pure nessuno pensava seriamente ad una unificazione della Germania sotto l'egemonia austriaca, fuor che un paio forse di principi tedeschi di Stati piccoli e mezzani.
E invero non poteva essere altrimenti. L'Austria stessa non aveva voluto altro, malgrado che nel silenzio accarezzasse romantici sogni imperiali. Il confine doganale austriaco era restato col tempo l'unica barriera ancora rimanente nell'interno della Germania, e quindi la si risentì tanto più fortemente. (687) La politica indipendente di grande potenza non aveva senso, se non significava il sacrifizio degl'interessi tedeschi specialmente austriaci e quindi italiani, ungheresi, ecc. Come prima, così anche dopo la Rivoluzione, l'Austria rimase lo Stato di Germania più reazionario, quello che più a malincuore seguiva la corrente moderna, e inoltre — la sola grande potenza specialmente cattolica che ancora rimanesse. Quanto più il Governo posteriore al Marzo si sforzava di restaurare il dominio de' preti e de' gesuiti, tanto più gli riusciva impossibile di stabilire la sua egemonia sovra uno o due terzi di paese protestante. E finalmente l'unione della Germania sotto l'Austria era possibile soltanto abbattendo la Prussia. Ma, per quanto ciò non significasse una disgrazia per la Germania, il crollo della Prussia per opera dell'Austria sarebbe stato nocivo come sarebbe il crollo dell'Austria per opera della Prussia, se foriera della antecedente vittoria della rivoluzione in Russia; dopo di che essa diviene inutile, perché l'Austria, divenuta allora superflua, deve scomparire da sé.
In breve, l'unità tedesca sotto l'ali dell'Austria era un sogno romantico e si rivelò tale, quando i piccoli e mezzani principi tedeschi si adunarono a Francoforte nel 1863 per eleggere Francesco Giuseppe d'Austria imperatore tedesco. Il re di Prussia rimase appartato e la commedia imperiale rimase sconcertata.
Rimaneva la terza via: l'unione con la Prussia alla testa. E questa, poiché realmente è stata seguita, ci conduce di nuovo dal campo delle speculazioni sul terreno solido, se anche abbastanza accidentato della politica, detta «politica reale».
(708) Da Federico II in poi la Prussia vide nella Germania come nella Polonia un semplice paese di conquista, di cui si prende quello che si può ottenere e di cui s'intende da sé che lo si deve spartire con altri. La spartizione della Germania con gli stranieri — propriamente con la Francia — questa era la «vocazione germanica» della Prussia dal 1740. «Je vais, je (709) crois, jouer votre jeu; si les as me viennent, nous partagerons» — (io m'appresto a fare il vostro giuoco, credo; se ho gli assi, divideremo) — queste furono le parole di congedo di Federico agli ambasciatori francesi, quando partì per la sua prima guerra. In grazia di questa «missione germanica» la Prussia tradì la Germania nel 1795 alla pace di Basilea, consentì (Trattato del 24 agosto 1796) a lasciare alla Francia la riva sinistra del Reno dietro preventiva assicurazione di un aumento di territorio, e incassò anche realmente il compenso del tradimento fatto all'Impero con la deliberazione della deputazione dell'Impero dettata dalla Francia e dalla Russia.
Nel 1805 tradì ancora una volta la Russia e l'Austria sue alleate appena Napoleone le offrì l'Hannover l'esca a cui essa morse ogni volta — ma nella sua sciocca furberia si condusse in modo che finì col trovarsi lo stesso in guerra con Napoleone, e a Jena ebbe il meritato castigo. Per consenso di questo colpo Federico Guglielmo III, anche dopo le vittorie del 1813 e 1814, voleva rinunziare ad ogni posto avanzato nella Germania occidentale, limitarsi al possesso della Germania settentrionale, ritrarsi, al pari dell'Austria, quanto più fosse possibile dalla Germania; ciò che avrebbe mutato tutta la Germania occidentale in una nuova lega renana sotto la protezione russa e francese. Il piano non riuscì; contro voglia il re fu forzato a prender la Vestfalia e le provincie del Reno e con ciò ad assumere una nuova «missione germanica».
D'ora innanzi erano finite le annessioni, fatta eccezione di qualche piccola striscia di terra. All'interno tornò in fiore a poco a poco la vecchia frivolezza burocratica de' junker; le concessioni statutarie fatte al popolo ne' momenti più difficili furono sistematicamente annullate. Ma, dopo tutto, la borghesia venne sempre più progredendo in Prussia, poiché senza industria e commercio anche il vanitoso Stato prussiano era una nullità. Lentamente, a malincuore, a dosi omeopatiche si dovettero fare concessioni alla borghesia. E, sotto un certo aspetto, queste concessioni volevano aver l'aria di appoggiare la «missione germanica» della Prussia mentre la Prussia, per eliminare í confini doganali stranieri tra le due parti di cui era composta, invitò gli Stati tedeschi aderenti all'unione doganale. Così sorse l'Unione doganale (Zollverein), rimasta pio desiderio sino al 1830 (solo l'Assia-Darmstadt vi aveva aderito), e poi divenuta subito con l'accelerarsi del tempo del movimento politico ed economico; una via di annessione economica alla Prussia della maggiore parte degli Stati del centro della Germania. I paesi di frontiera non prussiani ne rimasero fuori fin dopo il 1848.
Il Zollverein costituì un gran successo della Prussia. Il meno consisteva nel suo significato di vittoria sull'influenza austriaca. La cosa principale era che metteva tutta la borghesia degli Stati piccoli e mezzani dal lato della Prussia. Fatta eccezione della Sassonia, non vi era alcuno Stato tedesco la cui industria si fosse anche approssimativamente sviluppata come la prussiana; e ciò era dovuto non solo alle condizioni naturali e storiche ma anche alla più grande circoscrizione doganale e al mercato interno. E, quanto più il Zollverein si allargava e comprendeva in questo mercato interno i piccoli Stati, tanto più i prosperanti borghesi di questo Stato si avvezzavano a guardare alla Prussia come alla loro prevalente potenza economica e quindi anche politica.
E come i borghesi cantavano, così zufolavano i professori. La costruzione filosofica degli Hegeliani a Berlino, che la Prussia avesse la missione di marciare alla testa della Germania, aveva la sua dimostrazione storica per parte degli alunni di Schlosser, specialmente di Häusser e Gervinus. Con ciò si presupponeva naturalmente che la Prussia (710) variasse tutto il suo sistema politico, che realizzasse le aspirazioni degl'ideali della borghesia9.
Ma questo non accadeva per predilezione speciale che si avesse verso lo Stato prussiano, al modo che i borghesi italiani accettavano il Piemonte come Stato-condottiero, dopo che esso si fu posto apertamente alla testa del movimento costituzionale nazionale. No, ciò avvenne di contro voglia: i borghesi accettarono la Prussia come il male minore, perché l'Austria li escludeva dal suo mercato e la Prussia, paragonata all'Austria, aveva pur sempre un certo carattere borghese, anche a causa della sua spilorceria finanziaria. Due buone istituzioni aveva la Prussia a preferenza degli altri grandi Stati: il servizio militare generale e l'istruzione obbligatoria. Le aveva introdotte in periodi di disperato bisogno e si era contentata, in giorni migliori, di dissimularle, mediante una negligente esecuzione e intenzionalmente guastandone il carattere pericoloso che assumono in date circostanze. Ma esse seguitavano a stare sulla carta e con ciò la Prussia ebbe la possibilità di sviluppare un giorno l'energia potenziale sopita nella massa popolare sino ad un grado che rimaneva inaccessibile altrove ad una popolazione ugualmente numerosa. La borghesia si ritrovò in queste due istituzioni; il servizio personale di soldato di un anno, e quindi de' figli de' borghesi, si poteva evitare facilmente ed abbastanza a buon mercato mediante la corruzione, particolarmente perché si annetteva poca importanza agli ufficiali della Landwehr reclutati nella cerchia de' commercianti e degl'industriali. E il maggior numero di persone, che indubitatamente si avevano in Prussia, fornite di una certa quantità di cognizioni elementari, per effetto dell'istruzione obbligatoria, era in maniera notevole utile alla borghesia; col progresso dell'industria divenne perfino insufficiente10. I lamenti sul costo elevato delle due istituzioni, che trovava la sua espressione nelle imposte elevate, erano sensibili specialmente da parte della piccola borghesia; la borghesia che faceva fortuna contava che le spese di grande potenza in ogni caso fatali e inevitabili erano abbondantemente bilanciate da cresciuti profitti.
In breve, i borghesi tedeschi non si facevano illusioni sulla benevolenza prussiana. Se dopo il 1840 l'egemonia prussiana acquistò considerazione presso di loro; ciò accadde solo perché e in quanto, per effetto del suo rapido sviluppo economico, la borghesia prussiana si pose economicamente e politicamente alla testa della borghesia tedesca; perché e in quanto i Rotteck e i Welcker del Sud, da molto tempo costituzionale, furon messi nell'ombra da' Camphausen, dagli Hansemann e Milde del Nord prussiano, gli avvocati e i professori furono messi in ombra da commercianti e industriali. E infatti ne' liberali prussiani degli anni che precedettero immediatamente il 1848, specialmente ne' liberali renani, si poteva scorgere uno spirito rivoluzionario tutt'affatto diverso da quello de' liberali cantonali del Sud. Allora vennero fuori i due più bei canti popolari politici, che si avessero dal secolo XVI in poi, il canto del borgomastro (711) Tschech e quello della baronessa von Droste-Vischering, della cui empietà si commovono oggi gli stessi vecchi, che nel 1846 cantavano a distesa: «Avesse un uomo la disgrazia del borgomastro Tschech — che a due passi di distanza non può colpire — questo grosso uomo!»
Ma tutto doveva cambiar presto. Venne la rivoluzione di Febbraio, e poi le giornate di Marzo a Vienna e poi la rivoluzione di Berlino del 18 marzo. La borghesia aveva vinto senza combattere seriamente: quando il combattimento serie venne, non l'aveva voluto. Poiché essa, che aveva poco tempo innanzi. civettato, (specialmente sul Reno) col socialismo ed il comunismo di quel tempo, ebbe ora d' un tratto ad accorgersi che non aveva allevato soltanto singoli operai, ma una classe operaia, un proletariato rivoluzionario per sua intima natura, che veramente si trovava ancora mezzo avvolto nel sogno ma che pure si andava risvegliando a poco a poco. E questo proletariato, che dovunque aveva procacciato la vittoria alla borghesia, avanzava subito, specie in Francia, pretese inconciliabili con l'esistenza di tutto l'ordinamento borghese; a Parigi scoppiò il primo terribile urto tra le due classi il 23 giugno 1848; dopo una lotta di quattro giorni soccombette il proletariato. D'allora in poi la massa della borghesia in tutta Europa si pose dalla parte della reazione e si alleò con i burocratici, con i feudali e con i preti partigiani dell'assolutismo e da essi battuti con l'aiuto degli operai, contro i nemici della società, cioè contro gli stessi operai.
In Prussia la cosa accadde in modo che la borghesia lasciò nell'imbarazzo gli stessi rappresentanti che si era scelto e guardò con gioia segreta o palese alla dispersione che ne fece il Governo nel Novembre 1848. Il ministero di burocratici, e di junker, che ora si fece largo in Prussia per dieci anni, doveva veramente governare in forma costituzionale, ma se ne vendicò con un sistema di dispettosi litigi e di vessazioni inaudite sinora perfino in Prussia, di cui nessuno aveva a soffrire più della borghesia. Ma questa si era messa per la via della penitenza, prendeva con molta contrizione gli scapaccioni e i calci che le piovevano addosso, come castigo de' suoi ghiribizzi rivoluzionari e imparò a poco a poco a pensare ciò che, più tardi disse apertamente: «Noi siamo proprio de' cani!»
Αllora venne la reggenza. Per mostrare la sua fedeltà al re, Manteuffel aveva fatto attorniare di spie l'erede del trono, l'attuale imperatore11 proprio come ora Puttkammer ha fatto con la redazione del «Sozialdemokrat».
Quando l'erede del trono assunse la reggenza, naturalmente Manteuffel ricevette un calcio che lo mandò in malora e s'annunziò l'era nuova. Si trattava solo di un mutamento decorativo. Il Principe reggente si degnava di permettere al borghese di essere di nuovo liberale. I borghesi fecero con piacere uso di questo permesso, ma s'immaginarono che, avendo ora in mano la carta, lo Stato prussiano dovesse ballare al suono del loro piffero. Ma non si aveva punto questa intenzione «negli alti circoli», come dice lo stile de' rettili. La riorganizzazione dell'esercito doveva essere il premio con cui i liberali borghesi pagavano la nuova era. Il Governo voleva così soltanto l'attuazione della coscrizione universale sino al punto ch'era stato in uso verso il 1816. Dal punto di vista dell'opposizione liberale non si poteva dir niente di contrario senza offendere nella maniera più cruda le loro proprie frasi sulla potenza della Prussia e la vocazione de' Tedeschi. Ma l'opposizione liberale metteva come condizione alla sua approvazione un servizio militare limitato dalla legge al massimo di due anni (712). Questo era in sé stesso perfettamente ragionevole, ma la questione era se ciò si otterrebbe per forza, se la borghesia liberale del paese fosse pronta a rischiare l'avere ed il sangue, sino all'estremo, per questa condizione. Il Governo tenne duro alla ferma di tre anni, la Camera a quella di due: così scoppiò il conflitto. E col conflitto nella questione militare ebbe di nuovo il sopravvento la politica estera anche nell' interno. [Qui segue un segno per un brano da intercalare. L'editore tedesco.]
Abbiamo veduto come la Prussia col suo contegno nella guerra di Crimea e nella guerra d'Italia aveva perduto l'ultimo resto di considerazione.
Questa miserabile politica trovava una parziale scusa nel cattivo stato dell'esercito. Poiché, anche prima del 1848, non si potevano, senza l'assenso degli Stati, mettere nuove imposte o contrarre prestiti, e d'altra parte non si volevano convocare gli Stati, non si avevano fondi a sufficienza per l'esercito e questo andava deperendo in mezzo ad una scοnfinata spilorceria: Lo spirito di parata e d'uniforme che aveva preso piede sotto Federico Guglielmo IV, fece il resto. Si può leggere nello scritto del conte Waldersee come si mostrò inetto questo esercito di parata nel 1848 su' campi di battaglia danesi. La mobilizzazione del 1850 fu un fiasco completo; mancava tutto e ciò che v'era non serviva. A questo veramente si era ora rimediato con i fondi votati dalle Camere: l'esercito era uscito fuori dal vecchio andazzo; il servizio del campo cacciava via, in gran parte almeno, il servizio di parata. Ma la forza dell'esercito era pur sempre quella del 1820, mentre le altre grandi potenze, la Francia specialmente, da parte della quale ora vi era minaccia, avevano notevolmente elevato la loro forza. Vi era pure in Prussia il servizio militare esteso a tutti i cittadini; ogni Prussiano era soldato sulla carta, mentre, tuttavia, la popolazione era salita da 10 ½ milioni (1817) a 17 ¾ milioni (1858) e i quadri dell'esercito non giungevano a comprendere e a contenere più di un terzo degli atti a portare le armi. Ora il Governo voleva un afforzamento dell'esercito che rispondesse quasi esattamente all'aumento di popolazione verificatosi dal 1817 in poi. Ma gli stessi deputati liberali che volevano vedere il Governo mettersi alla testa della Germania, difendere all'estero la potenza della Germania, restaurare il suo credito tra le nazioni — questi stessi facevano gli avari e gli usurai e non volevano accordar nulla sia pure sulla base della ferma di due anni. Ma, dopo tutto, avevano essi il potere di attuare quella loro risoluzione su cui tenevano tanto duro? Dietro di essi, v'era il popolo, o anche la borghesia soltanto, pronta a battersi?
Tutt'al contrario. La borghesia faceva eco giubilando alle loro battaglie oratorie contro Bismarck, ma in realtà organizzava un movimento, che, sia pure inconsapevolmente, era in fatto diretto contro la politica della maggioranza parlamentare prussiana. La violazione da parte della Danimarca della costituzione dello Holstein, i violenti tentativi di danesizzare lo Schleswig fecero perdere la calma al cittadino tedesco. Ad essere maltrattato dalle grandi potenze, vi era ormai avvezzo; ma prendere de' calci dalla piccola Danimarca, questo poi faceva divampare il suo sdegno. Si formò l'unione nazionale; la stessa borghesia de' piccoli Stati formò le sue forze. E l'unione nazionale, liberale com'era, sempre più e più, desiderava innanzi tutto l'unione nazionale sotto la guida della Prussia, di una Prussia liberale, se possibile; in caso di necessità, di una Prussia fatta come che fosse. Ma che finalmente si facesse una volta; che i Tedeschi finissero di comparire nel mercato mondiale come uomini di seconda classe; che si mostrassero i denti alle grandi potenze nello Schleswig-Holstein, questo, (713) prima di tutto era ciò che voleva l'Unione nazionale. E, per giunta, ora l'esigenza dell'egemonia prussiana era liberata da tutti quegli equivoci e quelle oscurità che la occupavano ancora sino al 1850. Si sapeva benissimo che essa denotava l'espulsione dell'Austria dalla Germania, la reale eliminazione della sovranità de' piccoli Stati, e che l'una cosa e l'altra non si potevano ottenere senza la guerra civile e senza dividere la Germania. Ma la guerra civile non la si temeva più e la divisione importava solo il tirare la somma della condizione creata all'Austria dal regime doganale. L'industria e il commercio della Germania si erano sviluppati sino ad un punto elevatissimo. La rete di case commerciali tedesche, che avvinceva il mercato mondiale, era divenuta così estesa e così fitta, che non si potevano sopportare più i piccoli Stati in patria e la mancanza di diritto e di protezione all'estero. E mentre la più forte organizzazione politica che la borghesia aveva mai avuto, dava loro, in linea di fatto, quel voto di sfiducia, i deputati berlinesi stavano a lesinare sulla ferma!
Questa era la posizione, quando Bismarck si dispose a immischiarsi attivamente nella politica estera.
Bismarck è Luigi Napoleone tradotto da avventuriero pretendente alla corona nel junker di campagna e nel membro tedesco di una società universitaria. Proprio come Luigi Napoleone, Bismarck è un uomo di grande ingegno pratico e di grande sagacia, un uomo d'affari nato e consumato, che in altre contingenze avrebbe conteso il posto sulla Borsa di New-York a' Vanderbilt e a' Jay Gould, così come ha saputo bene mettere al coperto il suo gruzzolo particolare. Ma con questo talento sviluppato nel campo della vita pratica è congiunta spessissimo una corrispondente angustia di orizzonti, e qui Bismarck supera il suo predecessore francese. Poiché costui aveva pure nel suo periodo di vagabondaggio elaborate da sé le sue «idee napoleoniche» — ed esse rimasero anche dopo — mentre Bismarck, come vedremo, non ha mai portata a luce neppure la traccia di un'idea politica sua propria, ma si seppe soltanto adattar bene le idee già belle e compiute degli altri. Ma è proprio quest'angustia spirituale che costituì la sua fortuna. Senza di essa non avrebbe approdato alla concezione di tutta la storia mondiale da un punto di vista specifico prussiano; e se questa concezione puramente prussiana aveva un buco onde penetrasse la luce del giorno, egli veniva meno alla sua missione, e la sua gloria era bella e ita. Certamente, dopo avere adempiuto alla sua maniera la sua speciale missione, a lui prescritta dall'esterno, egli aveva già finito col suo latino; vedremo a quali scambietti fu costretto per effetto della sua assoluta mancanza d'idee razionali e dell'incapacità di comprendere la condizione storica da lui stesso creata.
Se Luigi Napoleone per il suo passato si era abituato a riflettere poco alla scelta de' suoi mezzi, Bismarck imparò dalla storia della politica prussiana, specialmente da quella del così detto Principe Elettore e di Federico II, a condursi qui anche con meno scrupoli; con che egli si poteva confortare di rimaner ligio alla tradizione patria. Il suo talento di uomo d'affari gl'insegnava a comprimere i suoi ghiribizzi di junker, dove ciò occorreva; quando ciò non era più necessario, balzarono di nuovo fuori in tutta la loro crudezza; senza dubbio questo era un segno della decadenza. Il suo metodo politico era quello del membro di una corporazione di studenti; senza complimenti egli applicò nella Camera alla Costituzione prussiana la interpretazione letterale-burlesca del commento alla birra, con cui si esce d'imbarazzo nella birreria della corporazione; tutte le novità da lui introdotte nella diplomazia (714), le ha prese imprestato dalla vita studentesca nelle corporazioni. Ma, se Luigi Napoleone fu spesso incerto ne' momenti decisivi,' come nel colpo di stato dei 1851, in cui Morny dovette veramente forzarlo a menare a termine ciò che aveva intrapreso, e come alla vigilia della guerra del 1870, quando la sua incertezza rovinò tutta la sua posizione; bisogna invece riconoscere per Bismarck che a lui non è mai accaduto nulla di simile. La sua forza volitiva non lo ha mai lasciato nell'imbarazzo; piuttosto si risolse in aperta brutalità. E qui soprattutto sta il segreto de' suoi successi. In tutte le classi dominanti dì Germania, ne' junker come nella borghesia, è andato giù l'ultimo resto di energia; nella Germania «incivilita» è tanto divenuto un costume il non aver volontà, che il solo di loro, il quale ha ancora una volontà, è per ciò stesso divenuto il loro più grande uomo e il tiranno di tutti, innanzi a cui, contro scienza e coscienza, come essi stessi dicono «saltano, volentieri, come un cane sul bastone.» Assolutamente nella Germania «non incivilita» non si è andati ancora così lontano: il popolo de' lavoratori ha mostrato di aver una volontà di cui non viene a capo nemmeno la forte volontà di Bismarck.
Una brillante carriera si schiudeva innanzi al nostro junker della vecchia marca, solo che avesse avuto animo e talento di afferrarla. Luigi Napoleone non era divenuto l'idolo della borghesia appunto perché aveva mandato in aria il suo parlamento ma aveva elevato i suoi profitti? E Bismark, non aveva egli lo stesso talento per gli affari, che i borghesi ammiravano tanto nel pseudo-Napoleone? Non andava egli dietro al suo Bleichröder, come Luigi Napoleone dietro al suo Fould? Non vi era nel 1864 in Germania un contrasto tra i rappresentanti della borghesia alla Camera, che volevano lesinare sulla durata del servizio militare e i borghesi dell'Unione nazionale che ad ogni costo volevano imprese nazionali, imprese per cui si ha bisogno dell'esercito? Un contrasto affatto simile a quello francese del 1851 tra la borghesia nella Camera, che voleva mettere il freno al presidente, e la borghesia di fuori che voleva tranquillità e governo forte, tranquillità ad ogni costo — e quale contrasto aveva risoluto Luigi Napoleone col mandar via gli attaccabrighe del Parlamento e col dare la tranquillità alla massa de' borghesi? Le cose non si prestavano anche meglio in Germania a un ardito colpo di mano? Il piano di riorganizzazione non era fornito bello e completo dalla borghesia, e non invocava essa stessa ad alta voce l'energico uomo di Stato prussiano che doveva mettere in esecuzione il suo piano, metter fuori della Germania l'Austria e unificare i piccoli Stati sotto l'egemonia della Prussia? E se, nel far questo, si doveva trattare un po' rudemente la Costituzione prussiana, si dovevano mettere da canto, com'era debito, gl'ideologi dentro e fuori la Camera, non si poteva, come Luigi Bonaparte, appoggiarsi sul suffragio universale? Che cosa poteva essere più democratica che l'introduzione del suffragio universale? Non aveva Luigi Bonaparte — col trattarlo come andava fatto — dimostrata la sua perfetta innocuità? E non dava proprio questo suffragio universale il mezzo di fare appello alle grandi masse popolari, di civettare un tantino col movimento sociale sorgente, se la borghesia faceva la schizzinosa?
Bismarck vi pose mano. Ciò valeva a ripetere il colpo di Stato di Luigi Bonaparte, a far comprendere per esperienza alla borghesia le reali condizioni de' poteri, a dissipare violentemente le illusioni liberali, ma anche ad attuare le loro esigenze nazionali che coincidevano con le aspirazioni prussiane.
Subito lo Schleswig-Holstein offrì prima l'appiglio all'azione. Il terreno della politica internazionale era preparato. Lo Zar russo era (715) stato guadagnato con i servigi polizieschi resi da Bismarck nel 1863 contro i Polacchi insorti; Luigi Napoleone era stato, del pari, lavorato e poteva scusare la sua indifferenza, se non la sua tacita benevolenza per i piani di Bismarck col suo favorito «principio di nazionalità». In Inghilterra era primo ministro Palmerston, ma aveva messo agli affari esteri il piccolo Lord John Russell a questo scopo, onde vi si rendesse ridicolo. Ma l'Austria era la concorrente della Prussia nell'egemonia germanica e in questa emergenza poteva tanto meno farsi soppiantare dalla Prussia, dal momento che nel 1850 e 1851, come birre dell'Imperatore Nicola nello Schleswig-Holstein si era in realtà condotta anche più volgarmente della stessa Prussia. La posizione dunque era straordinariamente favorevole. Per quanto Bismarck odiasse l'Austria e per quanto l'Austria avrebbe alla sua volta raffreddato volentieri l'orgoglietto della Prussia, non rimaneva tuttavia altro, per esse, alla morte di Federico VII di Danimarca, che marciare insieme contro la Danimarca, col tacito permesso della Russia e della Francia. Il buon esito era assicurato in anticipazione, se l'Europa rimaneva neutrale; questo fu il caso, i ducati furono conquistati e ceduti in buona pace.
In questa guerra la Prussia aveva avuto il secondo fine di provare innanzi al nemico il suo esercito formato dopo il 1850 secondo nuovi principii e rinforzato e riorganizzato dopo il 1860. Essa si era condotta bene, al disopra di ogni aspettativa, e veramente nelle più diverse emergenze di guerra.
Che il fucile ad ago fosse tanto superiore a quello ad avancarica e che lo si sapesse adoperare bene, lo provò la fazione presso Lyngby nel Jütland dove ottanta Prussiani appostati dietro una siepe avevano messo in fuga col loro tiro celere un numero triplo di Danesi. Al tempo stesso si ebbe occasione di osservare come gli Austriaci dalla guerra d'Italia e dal modo di combattere de' Francesi avevano tratto questo solo insegnamento che lo sparo non serviva a nulla e che il vero soldato deve rovesciare il nemico attaccandolo alla baionetta; e si tenne segnato questo, poiché non si poteva proprio desiderare una meglio augurata tattica in un nemico innanzi alle bocche delle armi a retrocarica. E per mettere in grado gli Austriaci di persuadersene praticamente quanto prima, si sottoposero i ducati nella pace alla comune sovranità dell'Austria e della Prussia; si creò quindi una situazione prettamente provvisoria, che doveva generare conflitti sopra conflitti e che metteva interamente in mano di Bismarck la scelta del momento in cui gli conveniva usufruire un tal conflitto pel suo grande colpo contro l'Austria. Col costume della politica prussiana, di «sfruttare sino all'estremo, senza riguardi» una situazione favorevole, come si esprime il signor von Sybel, s'intendeva da sé come, sotto il pretesto della liberazione de' Tedeschi dal giogo danese, si annetterono alla Germania 200,000 Danesi delle Schleswig settentrionale. Ma chi se ne andò a mani vuote, fu il candidato de' piccoli Stati e della borghesia tedesca al trono dello Schleswig-Holstein, il duca di Augustenburg.
Così Bismarck, riguardo alla borghesia, ne Ducati aveva fatto la sua volontà contro la sua volontà. Aveva cacciati i Danesi, aveva braνato l'estero e l'estero non si era mosso. Ma i Ducati, appena liberati, furono trattati come paese di conquista, senza interpellarli sulla loro volontà, ma spartendoli provvisoriamente brevi manu tra l'Austria e la Prussia. La Prussia era divenuta di nuovo una grande potenza, non era più la quinta ruota del carro europeo; l'adempimento delle aspirazioni nazionali della borghesia era in piena carreggiata, ma la via scelta non era quella liberale della borghesia. Il conflitto militare prussiano quindi durava sempre (716) diveniva anzi sempre più insolubile. Il secondo atto dell'azione principale di Bismarck e dell'azione dello Stato doveva essere messo in opera.
La guerra danese aveva soddisfatta una parte delle aspirazioni nazionali. Lo Schleswig-Holstein era «liberato»; il protocollo di Varsavia e di Londra, in cui le grandi potenze avevano sigillata l'umiliazione della Germania innanzi alla Danimarca, era stato fatto a brani e gittato innanzi a' loro piedi, ed esse non avevano messo il broncio.
Austria e Prussia stavano di nuovo insieme, gli eserciti d'entrambe avevano vinto l'uno accanto all'altro, e nessun potentato pensava più a violare il territorio tedesco. I ghiribizzi renani di Luigi Napoleone, sin qui tenuti indietro da occupazioni d'altro genere la guerra d'Italia, la rivoluzione di Polonia, gl'imbrogli danesi e finalmente la spedizione al Messico — ora non avevano più alcuna via di sfogo.
Per uno statista prussiana conservatore, dunque, la situazione mondiale all'interno e all'estero andava secondo il suo desiderio. Ma Bismarck non era punto sino al 1871 — e allora proprio meno che mai — conservatore, e la borghesia tedesca non era punto soddisfatta.
La borghesia tedesca, dopo come prima, si moveva nella nota contraddizione. Da un lato voleva per sé esclusivamente il potere politico, cioè per un Ministero scelto dalla maggioranza liberale del Parlamento; e un tale Ministero avrebbe dovuto sostenere una lotta di dieci anni con l'antico sistema rappresentato dalla Corona, finché il suo nuovo potere non fosse definitivamente riconosciuto; quindi dieci anni d'indebolimento all'interno. Ma, dall'altro lato, essa chiedeva una trasformazione rivoluzionaria della Germania, che si poteva attuare solo con la forza, cioè con una reale dittatura. Per giunta, la borghesia del 1848, in un'occasione dopo l'altra, ad ogni momento decisivo, aveva fornito la prova di non possedere il pungolo dell'energia necessaria per menare in porto sia l'una cosa, sia l'altra — lasciamo andare l'una cosa e l'altra. In politica vi sono solo due forze decisive: la forza organizzata dello Stato, l'esercito, e quella non organizzata, la forza elementare della massa popolare. Col 1848 la borghesia aveva disimparato a fare appello alle masse; ne aveva paura più che dell'assolutismo. L'esercito poi non era punto a sua disposizione: era invece a disposizione di Bismarck.
Bismarck aveva combattuto sino all'estremo l'esigenze parlamentari della borghesia nel conflitto costituzionale che durava ancora. Ma egli ardeva dalla voglia di realizzare le sue aspirazioni nazionali; queste s'accordavano pure con le più intime aspirazioni della politica prussiane. Se ora, ancora una volta, rispetto alla borghesia faceva la sua volontà contro la sua volontà, se egli faceva una realtà dell'unità germanica, come l'aveva formulata la borghesia, allora, il conflitto si eliminava da sé, e anche Bismarck doveva diventare l'idolo del borghese come il suo modello Luigi Napoleone.
La borghesia gli fornì la méta, Luigi Napoleone la via alla méta; la realizzazione soltanto rimase opera di Bismarck.
Per mettere la Prussia alla testa della Germania, non si doveva soltanto cacciare l'Austria dalla Confederazione germanica, ma si dovevano anche assoggettare i piccoli Stati. Una tale pronta allegra guerra di Tedeschi contro Tedeschi era stato sempre nella politica prussiana il mezzo principale di allargare il territorio: di una cosa come questa non si sgomentava nessun bravo prussiano. Del pari non poteva promuovere nessuna esitanza il secondo mezzo principale: l'alleanza con lo straniero contro Tedeschi. Si aveva in tasca il sentimentale Alessandro di Russia. Luigi Napoleone non aveva mai disconosciuta la vocazione piemontese della Prussia in Germania ed era completamente pronto a fare un piccolo affare con Bismarck. Se egli poteva avere in via pacifica a che gli occorreva, (717) in forma di compensazioni, tanto meglio. Anche non gli occorreva tutta in una volta l'intera riva sinistra del Reno; se gli si dava, a pezzo a pezzo, una striscia per ogni nuovo passo innanzi della Prussia, ciò dava meno nell'occhio e conduceva ugualmente allo scopo. Tuttavia agli occhi degli chauvins francesi un miglio quadrato sul Reno voleva quanto tutto la Savoia e Nizza. Così si trattò con Luigi Napoleone; così si ottenne il suo permesso per un ingrandimento della Prussia e una Confederazione della Germania del Nord. (Qui si trova inserito: «Divisione — Linea del Meno». L'ed.) Che per ciò gli fosse offerto un pezzo di territorio tedesco sul Reno, è fuor di dubbio; nelle trattative con Govone, Bismarck parlò della Baviera renana e dell'Assia renana. Veramente, appresso, l'ha smentito. Ma un diplomatico, specie un diplomatico prussiano, ha i suoi modi di vedere su' confini entro i quali si ha diritto o si è anche obbligati a fare dolce violenza alla verità. La verità è una camera di signora, e quindi, secondo il punto di vista del junker, piace. Luigi Napoleone non era così sciocco da permettere l'ingrandimento della Prussia, senza che la Prussia gli promettesse un compenso; piuttosto Bleichroeder avrebbe prestato danaro senza interessi. Ma egli non conosceva abbastanza la sua Prussia e in conclusione si trovò giuntato. Per dirla in breve e bene, dopo che egli si era assicurato, si fece l'alleanza con l'Italia per portare «il colpo al cuore».
Il filisteo di diversi paesi si è profondamente sdegnato di questa espressione. A torto. A la guerre comme à la guerre. La frase mostra soltanto che Bismarck vide nella guerra civile tedesca del 1866, ciò che in realtà era, propriamente una rivoluzione, e che era pronto a compiere questa rivoluzione con mezzi rivoluzionari. Ed è quel che fece. La sua condotta rispetto al Βundestag fu rivoluzionaria. Invece di assoggettarsi alla decisione costituzionale dell'autorità federale, egli le rimproverò una violazione del patto federale — un semplice pretesto — mandò per aria la Confederazione, proclamò una nuova costituzione con un Reichstag eletto mediante il rivoluzionario suffragio universale e infine cacciò il Bundestag da Francoforte. Nella Slesia superiore organizzò una legione ungherese sotto il comando del generale della rivoluzione Klapka e di altri ufficiali della rivoluzione, la cui truppa; composta di disertori e prigionieri di guerra ungheresi, doveva fare la guerra contro il suo stesso legittimo comandante.12 Dopo l'occupazione della Boemia, Bismarck diresse un proclama «agli abitanti del glorioso regno di Boemia», il cui contenuto del pari colpiva acremente in volto le tradizioni della legittimità. Pacificamente si prese per la Prussia gl'interi possedimenti di tre legittimi principi della Confederazione ed una città libera, senza che questa cacciata di principi, che non meno del re di Prussia vi stavano «per grazia di Dio», angustiassero in qualche modo la sua coscienza cristiana e legittimista. In breve, si trattava di una completa rivoluzione realizzata con mezzi rivoluzionari. Naturalmente noi siamo gli ultimi a fargli un rimprovero di ciò. Ciò che noi gli rimproveriamo è, al contrario, che egli non fu rivoluzionario abbastanza, che fu soltanto rivoluzionario prussiano dell'alto, che cominciò una intera rivoluzione dove ne poteva compiere solo una metà, che, una volta sulla via delle annessioni, fu contento di quattro miserabili piccoli Stati.
Ma ora venne Napoleone il piccolo, zoppicando, dal dietroscena, e chiese la sua mercede. Durante la guerra egli avrebbe potuto prendersi sul Reno ciò che gli piaceva; (718) non solo il paese, anche le fortezze erano sguernite. Egli temporeggiò: attese una guerra lunga, che estenuasse entrambi le parti. — ed ecco che vennero quei colpi fulminei, la prostrazione dell'Austria entri otto giorni. Egli chiese da prima — ciò che Bismarck aveva indicato al General Govone come un possibile territorio d'indennizzo — la Baviera renana e l'Assia renana con Magonza. Ma ora Bismarck non poteva più dare, se anche avesse voluto; l'esito cοsì fortunato della guerra gli aveva imposti nuovi doveri. Nel momento in cui la Prussia si metteva innanzi come schermo e difesa della Germania, non poteva dare, come un rigattiere, allo straniero la chiave del medio Reno, Magonza. Bismarck rifiutò, Luigi Napoleone avvio delle trattative: egli voleva ancora soltanto il Lussemburgo, Landau, Saarlouis e la riviera carbonifera di Saarbrücke. Ma, anche questo, Bismarck non glielo poteva più dare, tanto meno, in quanto qui veniva in questione anche il territorio prussiano. Perché Luigi Napoleone non aveva attaccato bene, a tempo debito, quando la Prussia era impigliata in Boemia? Basta: di compenso per la Francia non se ne fece nulla. Bismarck sapeva bene che ciò significava una posteriore guerra con la Francia; ma anche questo gli andava bene.
Nella conclusione della pace questa volta la Prussia non usufruì così senza scrupoli la sua favorevole posizione, com'era stata altra volta la sua abitudine nella buona fortuna. E per buone ragioni. La Sassonia e l'Assia-Darmstadt furono attratte nella nuova Confederazione della Germania del Nord e furono perciò risparmiate. La Baviera, il Wϋrtemberg e il Baden dovevano essere trattati dolcemente, perché Bismarck doveva conchiudere con loro l'alleanza difensiva ed offensiva. E l'Austria — non le aveva reso un servizio Bismarck col togliere le complicazioni che la tenevano avvinte alla Germania e all'Italia? Non le aveva ora per la prima volta costituita la posizione lungamente desiderata di grande potenza indipendente? Vincendola in Boemia, non aveva egli in realtà saputo meglio della stessa Austria ciò che conveniva all'Austria? Trattata a dovere, non doveva l'Austria scorgere che la posizione geografica, la reciproca, limitazione de' due paesi faceva della Germania unita sotto l'egemonia della Prussia la sua necessaria e naturale alleata?
Così accadde che la Prussia per la prima volta da che esisteva si poté circondare dell'aureola della generosità, perché... dette una salsiccia per avere un prosciutto.
(740) Su' campi di battaglia boemi non fu battuta soltanto l'Austria — anche la borghesia tedesca. Bismarck le aveva mostrato di sapere meglio di lei ciò che le faceva bene. Non c'era più da pensare ad una continuazione del conflitto da parte della Camera. Le pretese liberali della borghesia erano sepolte per lungo tempo, ma le sue aspirazioni nazionali si realizzavano giorno per giorno. Con una rapidità e una precisione, per essa stessa mirabili, Bismarck metteva in atto il suo programma nazionale. E dopo che le ebbe mostrato sperimentalmente in corpore vili, nel suo stesso corpo rognoso, la sua rilassatezza e mancanza di energia e con ciò la sua totale incapacità ad attuare il suo stesso programma, volle anche fare il generoso con essa e venne innanzi alla Camera, ora in realtà disarmata, a chiederle un bill d'indennità per il governo esercitato in conflitto con la Costituzione. E la progresseria, ornai fatta mansueta, l'accordò, commossa sino alle lagrime.
(741) Malgrado tutto si rammentò alla borghesia che anch'essa era stata vinta a Königgratz. La costituzione della Confederazione germanica fu adattata sul tipo della costituzione prussiana autenticamente interpretata mediante il conflitto. Fu vietato il rifiuto delle imposte. Il cancelliere della Confederazione e i suoi ministri furono nominati dal re di Prussia indipendentemente da ogni maggioranza parlamentare. L'indipendenza della forza militare dal Parlamento, assicurata mediante il conflitto, fu mantenuta anche rimpetto al Reichstag. Ma, in cambio, i membri di questo Reichstag avevano la confortatrice coscienza di essere stati eletti mediante il suffragio universale. Questo fatto, in maniera veramente non piacevole, era loro rammentato dalla vista di due socialisti che sedevano in mezzo a loro. Per la prima volta in un corpo parlamentare comparivano deputati socialisti, rappresentanti del proletariato. Era un segno che minacciava sventura.
Intanto tutto questo non aveva importanza. Ora si doveva finire di formare e usufruire nell'interesse della borghesia la nuova unità almeno del Nord e perciò importava adescare nella nuova Confederazione anche la borghesia tedesca del Sud. La costituzione federale sottraeva alla legislazione de' singoli Stati i rapporti economici più importanti e ne attribuiva il regolamento alla Confederazione: comune diritto di cittadinanza e libera locomozione in tutto il territorio della Confederazione, diritto del domicilio di origine, legislazione su' mestieri, commercio, dazi, navigazione, moneta, pesi e misure, ferrovie, vie d'acqua, poste e telegrafi, patenti, banche, tutta la politica estera, consolati; protezione del commercio all'estero, polizia sanitaria, diritto penale, procedura giudiziaria; etc. La massima parte di questi oggetti furono ora rapidamente regolati con leggi, e in complesso in maniera liberale.
E così furono finalmente — finalmente! — eliminate le peggiori efflorescenze della folla di piccoli Stati, quelle che da un lato precludevano la via allo sviluppo capitalistico, dall'altro lato alla smania prussiana di dominare. Ma questa non era punto una missione della storia mondiale, come strombettava il borghese che ora diveniva chauvin, ma un'assai, assai tarda e incompiuta imitazione di ciò che la Rivoluzione francese aveva fatto già settant'anni prima e che tutti gli altri Stati civili avevano già da lungo tempo introdotto. Invece di far millanterie, ci sarebbe stato da vergognarsi che «la tanto civile» Germania arrivava a questo per ultima.
Durante tutto questo tempo della Confederazione dello Germania del Nord, Bismarck andò volonteroso incontro alla borghesia sul terreno economico; e anche nella trattazione delle grandi questioni parlamentari mostra la mano di ferro solo nel guanto di velluto. Fu il suo migliore periodo; si poteva a tratti dubitare della sua specifica angustia mentale prussiana, della sua incapacità a scorgere che nella storia mondiale vi sono anche altre e maggiori forze che non sieno gli eserciti e le astuzie diplomatiche poggiate su di esse.
Che la pace con l'Austria portasse in seno la guerra con la Francia, Bismarck non solo lo sapeva, ma lo voleva anche. Questa guerra doveva appunto offrire il mezzo pel completamento dell'Impero prussiano-tedesco a lui imposto dalla borghesia germanica14. I tentativi di cambiare a poco a poco (742) il parlamento doganale in un Reichstag e così attrarre gradatamente gli Stati del Sud nella Confederazione del Nord, si ruppero contro il chiaro grido de' deputati tedeschi del Sud: «Nessuna estensione di competenza. La disposizione d'animo de' regimi vinti sui campi di battaglia non era più favorevole. Solo una nuova, tangibile prova che la Prussia, rimpetto ad essi, fosse soverchiante, ma anche potente abbastanza per difenderla, e quindi solo una nuova guerra, fatta in comune da tutta la Germania, poteva portare subito il momento della capitolazione. E allora, dopo che pacificamente si era concordata tra Bismarck e Luigi Napoleone, come linea di separazione la linea del Reno, dopo la vittoria, la Prussia era stata in apparenza costretta ad accettarla da costui; l'unione con la Germania del Sud era dunque una violazione del diritto al frazionamento della Germania formalmente riconosciuto a' Francesi: era un casus belli.
Intanto Luigi Napoleone doveva cercare, se non potesse trovare al confine germanico una striscia di territorio da gabellare come compenso di Sadowa. Nella nuova formazione della Confederazione germanica del Nord il Lussemburgo era stato escluso; era dunque ora uno Stato del tutto indipendente che si trovava in unione personale con l'Olanda. Per giunta era francesizzato, quasi quanto l'Alsazia, e aveva decisamente assai più inclinazione verso la Francia che non verso la Prussia positivamente odiata.
Il Lussemburgo è un calzante esempio di ciò che la miseria politica della Germania dal medio evo ha fatto de' paesi di confine franco-germanici, e tanto più calzante in quanto sino al 1866 il Lussemburgo nominalmente ha appartenuto alla Germania, composto fino al 1830 di una metà francese e di una metà tedesca. Già di buon ora la parte tedesca aveva lasciato esercitare su di sé l'azione della superiore civiltà francese. Gl'imperatori germanici lussemburghesi erano francesi di lingua e di educazione. Dall'incorporazione nel territorio burgundio (1440) il Lussemburgo, al pari degli altri Paesi bassi, rimase in unione solo nominale con la Germania; anche la sua entrata nella Confederazione germanica, il 1815, non indusse in questo alcun mutamento. Dopo il 1830 la parte francese e anche mia buona striscia della tedesca ricadde al Belgio. Ma nel Lussemburgo-tedesco ancora restante tutto rimase sul piede francese: i tribunali, le autorità, il parlamento, ogni cosa adoperava il francese, tutti gli atti pubblici e privati, i registri degli affari erano redatti (743) in francese; in tutte le scuole secondarie s'insegnava in francese, la lingua colta era e rimase francese — naturalmente un francese, che sospirava e ansava sotto il peso degli strascicanti suoni alto-tedeschi. In breve, nel Lussemburgo si parlavano due lingue: un dialetto popolare franco-renano e il francese, ma l'alto-tedesco rimaneva una lingua straniera. La guarnigione prussiana della capitale rendeva piuttosto peggiore che migliore questo stato di cose. Questo è abbastanza vergognoso per la Germania, ma è vero. E questa volontaria francesizzazione del Lussemburgo mette anche nella giusta luce i precedenti simili nell'Alsazia e nella Lorena tedesca.
Il re d'Olanda, duca sovrano del Lussemburgo, poteva assai bene avere bisogno di danaro contante e si mostrò pronto alla vendita del ducato a Luigi Napoleone. I Lussemburghesi avrebbero approvata incondizionatamente la loro incorporazione alla Francia: n'è prova il loro contegno nella guerra del 1870. La Prussia non poteva obbiettare nulla dal punto di vista del diritto internazionale, poiché essa stessa aveva voluto l'esclusione del Lussemburgo dalla Germania. Le sue truppe stavano nella capitale come guarnigione confederata di una fortezza confederata germanica: non appena il Lussemburgo cessò di essere una piazza forte della Confederazione, esse non avevano più alcun diritto di restarvi. Ma perché non tornavano a casa loro? Perché Bismarck non poteva consentire l'annessione?
Semplicemente perché ora νenivano in luce le antitesi in cui egli si era avvolto. Prima del 1866 la Germania era per la Prussia semplicemente un territorio d'annessione che si doveva spartire con lo straniero. Dopo il 1866 la Germania era divenuta un paese posto sotto il protettorato della Prussia che si doveva difendere dagli artigli stranieri. Veramente, per secondi fini prussiani, si erano esclusi interi pezzi di Germania dalla così detta Germania ora rifatta. Ma il diritto della nazione germanica a tutto il complesso del suo territorio imponeva ora alla Corona di Prussia il dovere d'impedire l'incorporazione a Stati stranieri di questi pezzi dell'antico territorio della Confederazione e schiudere loro per l'avvenire l'aggregazione al nuovo Stato prussiano-germanico. Perciò l'Italia si era arrestata al confine del Tirolo; perciò ora il Lussemburgo non poteva passare a Luigi Napoleone. Un regime realmente rivoluzionario poteva denunziar ciò apertamente. Non così il regio prussiano rivoluzionario, che finalmente aveva finito di mutare la Germania in «espressione geografica» alla Metternich. Egli si era messo dal lato del torto dal punto di vista del diritto internazionale e se la poteva cavare solo con l'applicare la sua favorita interpretazione di birreria studentesca al diritto internazionale.
Se egli non finì per essere preso a riso, ciò avvenne soltanto perché Luigi Napoleone nella primavera del 1867 non era affatto pronto per una grande guerra. Vi fu una riunione alla Conferenza di Londra. I Prussiani sgombrarono il Lussemburgo; la fortezza fu demolita, il ducato dichiarato neutrale. La guerra fu di nuovo differita. [Qui è rimasta una lacuna nel manoscritto. L'editore tedesco].
Luigi Napoleone non si poteva acquetare a questo. L'ingrandimento della potenza della Prussia gli andava bene, finché egli aveva i relativi compensi sul Reno. Egli voleva contentarsi di poco; anche su questo riduceva le sue pretensioni, ma egli non aveva avuto nulla, era stato completamente giuntato. Ora un impero bonapartista in Francia era possibile solo, se sospingeva a poco a poco i confini verso il Reno e se la Francia — in realtà o nelle immaginazioni — rimaneva arbitra dell'Europa. L'allargamento di confini era andato a vuoto, la posizione di arbitro era ugualmente minacciata, la stampa bonapartista chiedeva ad alta voce «la revanche» per Sadowa. Se Luigi Napoleone volea conservare il suo trono, doveva rimanere fedele al suo compito (744) e prendere con la forza ciò che, malgrado tutti i servizî resi, non otteneva con le buone.
Da entrambe le parti dunque premurosi preparativi di guerra, diplomatici come militari. E veramente si ebbe questo incidente diplomatico.
La Spagna andava in cerca di un candidato al trono. Nel marzo (1869) Benedetti, l'ambasciatore francese a Berlino, ode la voce di una candidatura al trono del principe Leopoldo di Hohenzollern, e riceve incarico da Parigi di fare indagini in proposito. Il sotto-segretario di Stato von Thile assicura sulla sua parola d'onore che il Governo prussiano non ne sapeva niente. In una visita a Parigi Benedetti apprende l'opinione dell'Imperatore: «Questa candidatura è essenzialmente antinazionale; al paese non andrà punto a genio; bisogna stornarla.»
Occasionalmente Luigi Napoleone mostrò che egli era già al declinare della sua parabola. In verità, quale poteva essere una più bella «vendetta di Sadowa» che il regno di un principe prussiano in Ispagna, le cose spiacevoli che inevitabilmente vi avrebbero fatto seguito, una guerra, se occorre, una sconfitta della lillipuziana flotta della Prussia, a occhio nudo la Prussia messa innanzi all'Europa in una posizione estremamente grottesca? Ma Luigi Napoleone non si poteva più regalare questo spettacolo. Il suo credito era già tanto scosso, che egli si credeva legato al tradizionale punto di vista, secondo il quale un principe tedesco sul trono di Spagna mettesse la Francia tra due fuochi, e quindi non si dovesse tollerare — un punto di vista infantile dal 1830 in poi.
Benedetti andò dunque da Bismarck per avere maggiori spiegazioni e chiarirgli il punto di vista della Francia (11 maggio 1869). Da Bismarck non seppe niente di particolarmente determinato. Ma Bismarck seppe bene da lui ciò che voleva sapere: che porre la candidatura di Leopoldo importava l'immediata guerra con la Francia. Con ciò veniva ad essere in mano di Bismarck il fare scoppiare la guerra quando gli pareva.
Infatti spunta ancora la candidatura di Leopoldo nel luglio 1870 e conduce subito alla guerra, per quanto anche Luigi Napoleone fosse riluttante. Egli non solo vide di essere caduto in un tranello. Egli sapeva che si trattava della sua corona e aveva poca fiducia nella veridicità della sua banda bonapartista la quale gli assicurava che tutto era pronto sino all'ultimo bottone delle uose, e ancor minor fiducia aveva nella sua abilità militare e amministrativa. Ma le conseguenze logiche del suo stesso passato lo portavano alla perdizione; la sua stessa esistenza affrettava la sua rovina.
Bismarck all'incontro non solo era completamente pronto dal lato militare, ma questa volta aveva in realtà dietro di sé il popolo, il quale attraverso tutte le reciproche menzogne diplomatiche vedeva solo un fatto: che qui si trattava di una guerra, non pel Reno, ma per l'esistenza nazionale. Le riserve e la landwehr affluivano sotto le bandiere — per la prima volta dopo il 1813 — di nuovo volonterose e impazienti di combattere. Era tutt'une come fosse andate tutto questo; tutt'uno quale pezzo del patrimonio nazionale due volte millenario Bismarck avesse promesso o non avesse promesso a Luigi Napoleone sulla sua parola: si trattava di mostrare una volta per sempre allo straniero che esso non si doveva immischiare nelle faccende interne della Germania e che la Germania non era chiamata a puntellare il vacillante trono di Luigi Napoleone con la cessione di territorio tedesco. Ε innanzi a questo impeto nazionale scomparvero tutte le distinzioni di classi, sfumarono tutti i ghiribizzi di lega renana delle Corti germaniche del Sud, tutti i tentativi di restituzione de' principi espulsi.
Entrambe (745) le parti avevano cercato alleanze. Luigi Napoleone teneva sicura l'Austria e la Germania, abbastanza sicura l'Italia. Bismarck aveva la Russia. Ma l'Austria, come sempre, non era pronta, non poteva attaccare efficacemente prima del 2 settembre e il 2 settembre Luigi Napoleone era prigioniero di guerra de' Tedeschi, e la Russia aveva avvisato l'Austria che l'assalirebbe non appena l'Austria assalisse la Prussia. Ma in Italia faceva le sue vendette l'ambigua politica di Luigi Napoleone. Egli, aveva voluto mettere in carreggiata l'unità nazionale, ma, insieme, aveva voluto proteggere il papa contro questa stessa unità nazionale; aveva tenuta Roma occupata con truppa di cui ora aveva bisogno in patria e che tuttora non poteva richiamare senza obbligare l'Italia a rispettare Roma e la sovranità del papa, ciò che di nuovo impediva all'Italia di aiutarlo. La Danimarca finalmente ebbe ordine dalla Russia di restar tranquilla.
Ma in maniera più decisiva di tutte le trattative diplomatiche valsero a localizzare la guerra i rapidi colpi delle armi tedesche da Spichern e Wörth sino a Sédan. L'esercito di Luigi Napoleone soccombette in quelle battaglie e per tre quarti almeno dovette avviarsi verso la Germania, prigioniero di guerra. Ciò non era colpa de' soldati, che si erano battuti abbastanza valorosamente, ma de' generali e dell'amministrazione. Ma quando si è costituito il proprio Impero, come Luigi Napoleone, con l'aiuto di una banda di vagabondi; quando si è sostenuto per diciotto anni quest'impero solo lasciando sfruttare la Francia da questa stessa banda; quando si sono coverti i posti più rilevanti dello Stato proprio con uomini di questa banda e tutti gli uffici subalterni con gli aiutanti de' loro aiutanti; allora non si deve ingaggiare una lotta di vita e di morte, se non si vuole andare in malora. In meno di cinque settimane rovinò tutto l'edificio dell'impero ammirato per anni dal filisteo europeo; la rivoluzione del 4 settembre non fece che sgombrare i rottami; e Bismarck che era entrato in guerra per fondare un piccolo impero germanico, si trovò un bel mattino fondatore di una repubblica francese.
Secondo lo stesso proclama di Bismarck la guerra non era fatta contro il popolo francese, ma contro Luigi Napoleone. Con la caduta di costui dunque veniva meno ogni ragione della guerra. Questo s' immagino anche il Governo — del resto non così ingenuo — del 4 settembre e fu assai meravigliato quando in Bismarck improvvisamente fece capolino il junker prussiano.
Nessuno al mondo odia i Francesi come il junker prussiano. Poiché non solo il junker, sin allora esente d'imposta, ha avuto molto a soffrire davanti il castigo imposto da' Francesi nel periodo che va dal 1806 al 1813, castigo che del resto egli stesso si era attirato con la sua arroganza; ciò che è assai peggio, gli empi Francesi hanno talmente messo a soqquadro le teste con la loro sacrilega rivoluzione, che l'antica supremazia de' junker è stata in gran parte sotterrata nella stessa vecchia Prussia. I poveri junker debbono anno per anno combattere per conservare quel tanto che resta di questo potere, e una gran parte di loro è ridotta alla parte di disperati nobilucci. Bisognava perciò vendicarsi della Francia e questo intesero gli ufficiali junker nell'esercito sotto la guida di Bismarck.
Si erano fatte liste delle contribuzioni di guerra imposte da' Francesi in Prussia e si proporzionavano ad essa le contribuzioni forzate che si prelevavano in Francia dalle singole città e da' dipartimenti — ma naturalmente tenendo conto dell'assai maggiore ricchezza della Francia. Si requisivano viveri, foraggi, abiti, scarpe con una ostentata mancanza di discrezione. Un sindaco nelle (746) Ardennes, che dichiarò di non poter fornire quanto gli veniva chiesto, ebbe senz'altro venticinque colpi di verga; il Governo di Parigi ha pubblicato le attestazioni officiali.
I franchi tiratori, che operavano espressamente secondo le prescrizioni regolamentari della landsturm, come se l'avessero studiate espressamente, erano fucilati senza pietà dovunque erano presi. Anche le storie degli orologi a pendolo mandati in patria sono vere: anche la Kölnische Zeitung ne ha data notizia. Soltanto queste pendole secondo il modo di pensare prussiano non erano rubate, ma erano considerate come res nullius trovate nelle case di campagna abbandonate intorno a Parigi e fatte proprie e mandate in patria per passione.
E così i junker, sotto gli auspici di Bismarck, facevano in modo che, malgrado l'incensurabile contegno sia delle truppe che della gran parte degli ufficiali, si conservava lo specifico carattere prussiano della guerra e lo si faceva capire a furia di botte a' Francesi; ma intanto l'intero esercito era reso responsabile di queste cose per le grette odiosità de' junker.
Eppure era riservato a questo junker di dare al popolo francese un attestato d'onore che non ha l'eguale nella storia. Quando tutti i tentativi di soccorrere Parigi fallirono, tutti gli eserciti francesi furono battuti, fallì l'ultimo grande assalto di Bourbaki alla linea di congiunzione de' Tedeschi; quando l'intera diplomazia di Europa abbandonò la Francia al suo destino, senza muovere un dito, allora Parigi affamata doveva finalmente capitolare. E battevano più forte i cuori de' junker allorché finalmente trionfanti potevano entrare nel nido sacrilego e vendicarsi degli arci-ribelli parigini — la compiuta vendetta, ch'era stata loro vietata nel 1814 da Alessandro di Russia e nel 1815 da Wellington; ora potevano castigare il focolare e la patria della rivoluzione secondo il capriccio del loro cuore.
Parigi capitolo; pagò 200 milioni di contribuzione forzata; i forti furono consegnati alla Prussia; la guarnigione depose le armi innanzi a' vincitori e consegnò loro il materiale di campo; i cannoni de' baluardi furono sguerniti delle loro casse di munizione; ogni mezzo di resistenza appartenente allo Stato fu consegnato pezzo per pezzo — ma i difensori propri di Parigi, la Guardia nazionale, il popolo di Parigi in armi rimasero inviolati; ad essi nessuno impose di consegnarle armi, né i loro fucili, né i loro cannoni15; e perché tutto il mondo sapesse che l'esercito tedesco si era arrestato riverente innanzi al popolo armato di Parigi, i vincitori non entrarono nella città, ma si tennero paghi di poter tenere occupati per 3 giorni i Champs Εlysées — un giardino pubblico! — tutto intorno protetti, vigilati, e circondati dalle scolte de' Parigini! Nessun soldato tedesco pose il piede nell'Hotel de ville di Parigi, nessuno percorse i Boulevards e il paio che fu ammesso al Louvre ad ammirarne i tesori d'arte aveva dovuto chiedere un permesso: era violazione della capitolazione. La Francia era atterrata, Parigi era presa per fame, ma il popolo di Parigi s'era assicurato il rispetto merce il suo glorioso passato, così che nessun vincitore osò inculcare il disarmo, nessuno ebbe l'animo di entrare nella sua casa e profanare queste strade, il campo di battaglia di tante rivoluzioni, con un corteo trionfale.
Era come se l'Imperatore germanico or ora insediato si cavasse il cappello innanzi a' rivoluzionari viventi di (747) Parigi, come altra volta suo fratello innanzi a' combattenti delle giornate di Marzo in Berlino e come se tutto l'esercito tedesco, stando dietro di lui, presentasse le armi.
Ma era anche questo l'unico sacrificio che Bismarck si doveva imporre. Sotto il pretesto che non vi era in Francia un Governo col quale egli potesse conchiudere la pace — ciò era tanto vero e tanto falso il 4 settembre come il 20 gennaio — da vero prussiano aveva sfruttato i suoi successi sino all'ultima stilla e si era dichiarato pronto alla pace solo dopo la completa prostrazione della Francia. Nella stessa conchiusione della pace, di nuovo, alla buona antica maniera prussiana, «si sfruttò senza riguardo la posizione favorevole». Non solo si smunse l'inaudita somma di 5 miliardi come indennità di guerra, ma anche due provincie, l'Alsazia e la Lorena tedesca, con Metz e Strasburgo, furono divelte dalla Francia e incorporate alla Germania.
Con questa annessione Bismarck si presentò per la prima volta come politico indipendente, che non attua più a modo suo un programma impostogli dal di fuori, ma traduce in fatti i prodotti del suo stesso cervello; e così ottiene il suo primo colossale bock.... [Qui vi è di nuovo una lacuna nel manoscritto].
L'Alsazia era stata acquistata dalla Francia nella guerra de' trent'anni, prima di tutto. Con ciò Richelieu aveva abbandonato il solido principio di Enrico IV: «La lingua spagnuola deve appartenere allo spagnuolo, la tedesca al tedesco; ma il paese, ove si parla il francese, tocca a me»; egli si, fondò sul principio de' confini naturali del Reno, de' confini storici della Gallia. Era una follia; ma l'Impero germanico, che comprendeva i territorî di lingua francese della Lorena e del Belgio e anche della Franca Contea, non aveva il diritto di rinfacciare alla Francia l'annessione di paesi che parlavano tedesco. E se Luigi XIV, nel 1681, si prese Strasburgo in tempo di pace con l'aiuto di un partito della città di tendenza francese, alla Prussia non è lecito irritarsene dopo che nel 1796 nello stesso modo s'impadronì, benché senza buon esito, della libera città imperiale di Norimberga, senza essere neppure chiamata da un partito prussiano16.
La Lorena venne alla Francia (773) dall'Austria nel 1735 nella pace di Vienna, per una vendita da rigattiere, e nel 1766 entrò definitivamente in possesso della Francia. Da secoli aveva appartenuto solo nominalmente all'Impero germanico, i suoi duchi erano sotto ogni rapporto francesi ed erano stati quasi sempre alleati con la Francia.
Sino alla Rivoluzione francese rimase ne' Vosgi una quantità di piccoli principati, che rimpetto alla Germania si conducevano come Stati dell'impero che n'erano parte immediata, ma rispetto alla Francia, ne avevano riconosciuto l'alta sovranità; essi traevano partito da questa posizione equivoca, e, se l'Impero germanico tollerò questo, invece di chiamare a render conto i signori principi, non si poté dolere, quando la Francia, in virtù della sua altà sovranità, prese sotto la sua protezione gli abitanti contro i principi spodestati.
In complesso questo territorio tedesco sino alla rivoluzione non fu quasi punto francesizzato. Tedesca rimase la lingua ufficiale e delle scuole ne' rapporti interni almeno dell'Alsazia. Il Governo francese favorì le provincie tedesche, che dopo lunghi anni di guerre devastatrici, dal principio del secolo decimottavo non ebbero più a vedere alcun nemico nel paese.
L'Impero germanico lacerato da eterne guerre intestine non era proprio fatto per allettare gli Alsaziani a tornare nel seno materno: si aveva almeno quiete e pace, si sapeva almeno a che se n'era, e il filisteismο che dava il tono si trovava nell'imperscrutabile consiglio di Dio. La loro sorte non era poi senza esempio; anche i Tedeschi dello Holstein stavano sotto la signoria straniera danese.
Allora venne la Rivoluzione francese. Ciò che l'Alsazia e la Lorena non avevano mai osato sperare dalla Germania, veniva loro largito dalla Francia. I vincoli feudali furono spezzati. Il contadino legato alla terra, obbligato al tributo divenne un uomo libero, in molti casi libero proprietario del suo casolare e del campo. Il dominio dell'aristocrazia e i privilegî di corporazioni scomparvero nelle città. La nobiltà fu cacciata. E ne' territori di piccoli principi e signori, i villani seguirono l'esempio de' vicini, cacciarono i dinasti, camere di governo e nobiltà e si dichiararono liberi cittadini francesi. In nessuna parte della Francia il popolo aderì con tanto entusiasmo alla Rivoluzione come in quella appunto di lingua tedesca. E quando l'Impero germanico dichiaro la guerra alla Rivoluzione, quando Tedeschi non soltanto seguitavano a portare obbedientemente le loro catene, ma per giunta si lasciarono adoperare per imporre a' Francesi l'antica schiavitù, per reimporre a' contadini alsaziani i signori feudali appena cacciati; allora il germanesimo degli Alsaziani e de' Lorenesi fu bell'e andato: essi impararono a odiare e spregiare i Tedeschi, allora fu scritta, composta a Strasburgo la Marsigliese e cantata per la prima volta da Alsaziani; allora i Tedeschi-francesi, malgrado la lingua e la tradizione, nelle lotte per la Rivoluzione, su centinaia di campi di battaglia si fusero in un popolo solo con i Francesi nazionali.
La grande Rivoluzione non ha compiuto lo stesso miracolo tra i Fiamminghi di Dunkerque; i Celti di Brettagna, gli Italiani di Corsica?
E se noi ci doliamo che sia accaduto questo anche a Tedeschi, abbiamo noi dimenticata tutta la nostra storia, che rese possibile questo?
Abbiamo noi dimenticata come l'intera riva sinistra del Reno, che pure aveva partecipato in maniera passiva alla Rivoluzione, aveva sentimento francese, quando i Tedeschi vi tornarono nel 1814 e che rimase di tendenze francesi sino al 1848, quando la rivoluzione riabilito i Tedeschi agli occhi delle popolazioni renane? Abbiamo dimenticato che la montatura francese di Heine e il suo stesso bonapartismo non erano altro che l'eco della grande opinione del popolo alla sinistra del Reno?
Nella loro marcia in avanti, il 1814, gli alleati trovarono in Alsazia e nella Lorena tedesca la più decisa ostilità, la più viva resistenza nello stesso popolo; poiché là si sentiva tutto il pericolo di dover ridivenire tedeschi. Eppure, allora, là, si parlava quasi esclusivamente tedesco. Ma quando si ebbe sott'occhi il pericolo del distacco dalla Francia, quando fu posto il ghiribizzo dell'annessione innanzi agli chauvins romantici tedeschi, allora si vide la necessità di fondersi sempre più anche dal lato della lingua con la Francia, e d'allora s'introdusse quella francesizzazione delle scuole, che anche i Lussemburghesi volontariamente avevano adottato presso di loro. E tuttavia il processo di trasformazione avanzava assai lentamente: ora soltanto la odierna generazione della borghesia è realmente francesizzata, mentre contadini ed operai parlano tedesco. È presso a poco come nel Lussemburgo: il tedesco scritto (eccettuata in parte la Cancelleria) è soppiantato dal francese, ma il dialetto popolare tedesco ha perduto terreno solo a' confini della lingua e come lingua famigliare è assai più usato di quel che non accade nella maggior parte di posti in Germania.
Questo è il paese che si proposero di rendere di nuovo tedesco Bismarck e i junker prussiani, sorretti, come pare dai risveglio di un romanticismo sciovinista, inseparabile da tutte le questioni tedesche. Voler rendere tedesca la patria della Marsigliese, Strasburgo, era una follia come di voler rendere francese Nizza, la patria di Garibaldi.
Ma in Nizza Luigi Νapοleοne osservò almeno la forma e fece votare sull'annessione — e la manovra andò bene. Prescindendo dal fatto che i Prussiani per assai buone ragioni hanno in orrore queste misure rivoluzionarie — non è mai accaduto che la massa del popolo avesse voluto in qualche luogo l'annessione alla Prussia — si sapeva solo troppo bene che proprio qui la popolazione unanime era stretta alla Francia più degli stessi Francesi nazionali. Ε così il colpo di mano si fece semplicemente con l'opera della violenza. Era un po' di vendetta della Rivoluzione francese; si smembrò uno de' pezzi che proprio per opera della Rivoluzione si era fuso in uno con la Francia.
Dal lato militare l'annessione aveva assolutamente uno scopo. Con Metz e Strasburgo la Germania acquista una linea di difesa d'enorme forza. Finché il Belgio e la Svizzera rimangono neutrali, un attacco in massa da parte francese non può aver luogo che sull'angusta striscia tra Metz e i Vosgi; e ivi Coblenza, Metz, Strasburgo, Μagonza, formano più forte e grande quadrilatero fortificato del mondo. Ma anche il quadrilatero fortificato, come l'austriaco in Lombardia, sta per metà in terra nemica (775) e forma ivi come un mezzo di tener soggetta la popolazione. Ancora più: per completarlo, si doveva oltrepassare il territorio di lingua tedesca, si doveva annettere un quarto di milione de' Francesi nazionali.
Il grande vantaggio strategico è quindi l'unico punto che può scusare l'annessione. Ma questo guadagno è in qualche modo proporzionato al danno che con ciò si è procurato?
Ρer il grande svantaggio morale, in cui si pose il giovane Impero germanico col mostrare apertamente e senza ipocrisia la violenza brutale come il suo principio fondamentale — per questo il junker prussiano non aveva occhi. Al contrario, cittadini ricalcitranti, sudditi tenuti violentemente al freno gli sono necessari; essi sono la prova della cresciuta forza prussiana; e in fondo egli non ne ha mai avuti altri. Ma per chi era obbligato ad avere occhi, queste erano le conseguenze politiche dell'annessione. Ed esse apparivano chiare alla luce. Ancora prima che l'annessiοne avesse la sua sanzione giuridica gridò Marx alto a tutto il mondo in una circolare dell'Internazionale: «L'annessione dell'Alsazia e della Lorena fa della Russia l'arbitra d'Europa». Ε dalla tribuna del Reichstag i socialisti l'hanno ripetuto abbastanza spesso, finchè la verità di questo giudizio è stata finalmente riconosciuta dallo stesso Bismarck nel suo discorso ai Reichstag del 6 febbraio 1888 col suo guaire innanzi allo Zar onnipotente, il signore della guerra e della pace.
Tutto ciò era chiaro come il sole. Strappando alla Francia due delle sue provincie fanaticamente patriottiche, la si spingeva in braccio a chi le dava la prospettiva del loro riacquisto; si faceva della Francia un'eterna nemica. Certamente Bismarck, il quale sotto questo rapporto rappresenta degnamente e coscienziosamente il filisteo tedesco, pretende da' Francesi che essi, non solo ne' rapporti del diritto pubblico, ma anche moralmente debbano rinunciare all'Alsazia-Lorena: ch'essi debbano anche regolarmente rallegrarsi che que' due pezzi della Francia rivoluzionaria «sono stati resi all'antica patria» di cui non vogliono saperne assolutamente nulla. Ma disgraziatamente essi si mostrano così poco inclini a far questo come i Tedeschi a rinunziare moralmente alla riva sinistra del Reno durante le guerre napoleoniche, benché anche questa regione allora non sospirasse punto per riunirsi a loro. Finché Alsaziani e Lorenesi aspirano a tornare alla Francia, la Francia deve sforzarsi e si sforzerà di riottenerle e di procacciarsi i mezzi a ciò confacenti e tra gli altri anche alleati. E l'alleata naturale contro la Germania è la Russia.
Se entrambe le più grandi e più forti nazioni del continente occidentale si neutralizzano reciprocamente col loro stato di ostilità; se, per giunta, vi è tra loro un eterno pomo di discordia che le incita vicendevolmente alla guerra, il vantaggio di un simile stato di cose lo ha soltanto la Russia, le cui mani allora sono tanto più libere; la Russia, che può tanto meno essere impedita dalla Germania nelle sue smanie di conquista, quanto più può attendersi appoggio incondizionato dalla Francia. Non è stato Bismarck a mettere la Francia nella posizione di dover mendicare l'alleanza della Russia, da dover abbandonare Costantinopoli alla Russia, se la Russia le consente il riacquisto delle sue provincie perdute? E se, malgrado ciò, la pace è stata conservata per diciassette anni, donde altro è venuto ciò se non perché il sistema della landwehr introdotto in Francia e in Russia ha bisogno di sedici anni almeno — secondo la più recente innovazione tedesca anzi venticinque anni — per potere avere il pieno numero di classi esercitate? E, dopo che l'annessione è stata qui per sedici anni il fatto che ha dominato l'intera politica d'Europa, non è anche in questo momento la ragione principale della crisi che minaccia di guerra tutta una parte del mondo? (776) Eliminate questo fatto, e la pace è assicurata!
Il borghese alsaziano col suo francese pronunziato con accento marcatamente tedesco, questo vanesio che gestisce come un francese tipico, che guarda dall'alto al basso Goethe e impazzisce per Racine, che per giunta non si riesce punto a liberare della cattiva coscienza del suo secreto germanismo e perciò stesso deve armeggiare sprezzando tutto ciò che è tedesco, così che non serve mai da intermediario tra Germania e Francia — questo borghese alsaziano è assolutamente un essere spregevole, sia egli un fabbricante di Mülhausen o un giornalista di Parigi. Ma chi altri ha fatto di lui quello che egli è, chi altri se non la storia tedesca degli ultimi tre secoli? E non erano sino a poco tempo fa quasi tutti i Tedeschi all'estero, specie i mercanti, veri alsaziani, che dissimulavano la loro origine tedesca, piativano sulla nazionalità straniera della loro nuova patria col fare di un animale che si crucia da sé; con che volontariamente si rendevano altrettanto ridicoli quanto gli Alsaziani, i quali, più o meno, sono costretti da' loro casi particolari a fare quello che fanno? In Inghilterra, per esempio, il ceto commerciale tedesco immigrato dal 1815 al 1840 si era tutto, quasi senza eccezione, anglicizzato, parlava anche ne' suoi mutui rapporti quasi solo inglese, e ancor oggi, nell'antica Borsa di Manchester per esempio si vedono diversi vecchi filistei tedeschi, che darebbero metà della loro fortuna se potessero passare per pretti inglesi. Solo dopo del 1848 avvenuto anche qui un rivolgimento e dopo il 1870, ove il luogotenente di riserva viene in Inghilterra e Berlino vi manda il suo contingente, l'abitudine strisciante di una volta è stata soppiantata da una boria prussiana, che non ci rende meno ridicoli all'estero.
E l'unione degli Alsaziani con la Germania dal 1871 stata fatta secondo il loro gusto? Al contrario. Li si è messi sotto la dittatura, mentre, accanto, in Francia, imperava la repubblica. Si è introdotta presso di loro la pedantesca vessatoria amministrazione provinciale prussiana, rimpetto alla quale è oro l'ingerenza — rigorosamente regolata dalla legge — delle diffamate prefetture francesi. Si pose rapidamente fine all'ultimo resto di libertà di stampa, di diritto di riunione ed associazione, si sciolsero consigli municipali refrattari e si posero come borgomastri burocratici tedeschi. All'incontro si adulavano i «notabili» cioè i nobili e borghesi già francesizzati, e si proteggevano nel loro sfruttamento de' contadini ed operai, che, se anche non erano di sentimenti tedeschi, parlavano almeno tedesco e costituivano l'unico elemento in cui poteva trovare un addentellato un tentativo di consolidare il nuovo ordine di cose. E che si ottenne così? Che nel febbraio 1887, quando tutta la Germania si lasciò intimidire e mandò al Reichstag la maggioranza bismarchiana del Cartello; allora stesso l'Alsazia-Lorena elesse uomini di decisi e aperti sentimenti francesi e respinse chiunque potesse essere sospetto delle più lievi simpatie tedesche.
Se ora gli Alsaziani sono come sono, abbiamo noi diritto di impermalirci di ciò? Meno che mai. La loro ripugnanza contro l'annessione è un fatto storico, che non vuol essere saltato, ma spiegato. E qui ci dobbiamo domandare: Quanti e che colossali peccati storici dovette commettere la Germania, perché si rendesse possibile in Alsazia un tale sentimento? E come si deve apertamente staccare il nuovo Impero tedesco, se dopo diciassette anni di sforzi per intedeschirli, gli Alsaziani ad una voce ci gridano: andatevene? Abbiamo noi diritto d'immaginare che due campagne fortunate e diciassette anni di dittatura bismarchiana bastano per cancellare tutti gli effetti di tre secoli di storia vergognosa?
Bismarck aveva raggiunta la méta (777). II suo nuovo Impero prussiano-germanico era stato pubblicamente proclamato in Versailles, nella fastosa sala di Luigi XIV. La Francia giaceva disarmata a' suoi piedi; la recalcitrante Parigi, che egli stesso non aveva osato toccare, era stata esasperata da Thiers sino a portarla all'insurrezione della Comune e allora era stata atterrata da soldati dell'ex-armata imperiale reduce dalla prigionia. L'insieme de' filistei d'Europa guardava stupita a Bismarck, come nel cinquanta aveva guardato con istupore al suo modello, Luigi Bonaparte. Con l'aiuto russo la Germania era divenuta la prima potenza d'Europa, e tutta la potenza della Germania stava nelle mani del dittatore Bismarck. Ora era questione di vedere che cosa sapesse fare di questa potenza. Se fino a questo punto aveva attuato il piano unitario della borghesia, sia pure non con i mezzi della borghesia, ma con mezzi bonapartisti, ora questo tèma si poteva dire esaurito: adesso era il caso di far piani propri, di mostrare quali idee era capace di produrre la stessa sua testa. E ciò doveva apparir manifesto nell'interna costituzione del nuovo Impero.
La società tedesca si compone di grandi proprietari fondiarî, contadini, borghesi, piccoli borghesi e operai, che s'aggruppano alla loro volta in tre classi principali.
Il grande possesso fondiario è in mano di alcuni pochi magnati (specie nella Slesia) e di un grande numero di medî proprietari che sono più fitti nelle antiche provincie prussiane a oriente dell'Elba. Questi junker prussiani sono anche quelli, che più o meno, dominano l'intera classe. Essi sono anche agricoltori, in quanto coltivano in gran parte i loro beni a mezzo di sopraintendenti e assai spesso posseggono distillerie di spirito e fabbriche di zucchero di barbabietole. Il loro possesso fondiario è immobilizzato come maggiorasco nelle famiglie a cui è ricaduto. I cadetti entrano nell'esercito, negli impieghi civili dello Stato, così che a questa piccola aristocrazia fondiaria si attacca una minore aristocrazia di ufficiali ed impiegati, che riceve ivi incremento ancora mediante la grande fabbrica di aristocratici, tratta da' più elevati uffiziali e funzionarî borghesi. Al confine inferiore di tutta questa progenie aristocratica si forma naturalmente una numerosa nobiltà tarlata, una nobile poveraglia, che vive di debiti, di giuoco equivoco, d'inframettenza, di pitoccheria e di spionaggio politico. Il complesso di questa società forma la classe de' junker tedeschi ed è una delle colonne del vecchio Stato prussiano. Ma anche il nocciolo possidente di questa classe di junker sta male in gamba. Il dovere di vivere con decoro conveniente al suo stato diviene ogni giovino più costoso; il dover sostenere i cadetti sinché non abbiano varcato il grado di luogotenente e di assessore, il dovere maritare le figliuole, tutto ciò costa danaro; e poiché tutti questi sono doveri, innanzi al cui adempimento debbono tacere tutte le altre considerazioni, non c'è da meravigliarsi se le entrate non bastano e si sottoscrive la cambiale o si dà l'ipoteca. In breve, l'intera classe de' junker sta sempre sull'orlo del precipizio; ogni infortunio — sia guerra, cattivo raccolto o crisi commerciale — minaccia di spingervela dentro; e così non è punto meraviglia se da cento anni almeno è stata salvata dalla rovina sole mediante l'aiuto di ogni sorta da parte dello Stato, e in realtà dura solo merce l'aiuto dello Stato. Questa classe conservata solo artificialmente è consacrata alla rovina; nessun aiuto dello Stato può tenerla durevolmente in vita. Ma con essa scompare anche il vecchio Stato prussiano.
Il contadino politicamente è un elemento poco attivo (778). A In quanto egli stesso è proprietario, è messo più e più alle strette per le sfavorevoli condizioni di produzione della quota sottratta all'antica marca o pascolo comune, senza cui non è possibile l'esistenza del bestiame. In quanto è fittavolo, le cose vanno anche peggio per lui. L'azienda del piccolo agricoltore presuppone a preferenza l'economia poggiata sullo scambio in natura; con l'economia monetaria va in rovina. Indi crescente indebitamento, espropriazione in massa da parte de' creditori ipotecari, rifugio nell'industria casalinga, per non essere interamente cacciato dal fondo. Politicamente il ceto de' contadini è per lo più indifferente o reazionario; sul Reno, ultra-montano per antico odio contro i Prussiani, in altri luoghi, particolaristico o protestante-conservatore. Il sentimento religioso serve a questa classe come espressione d'interessi sociali o politici.
Della borghesia abbiamo già trattato. Dal 1848 in poi essa si trovava in uno stadio d'inaudito sviluppo economico. La Germania aveva presa una parte sempre crescente al colossale sviluppo dell'industria dopo la crisi commerciale del 1847, determinata dall'introduzione di una navigazione oceanica ricadente in questo periodo, dall'enorme estendersi delle ferrovie e da' fornimenti d'oro della California e dell'Australia. Appunto il suo impulso a eliminare gl' inceppi de' piccoli Stati al commercio e a prendersi una posizione nel mercato mondiale pari a quella de' suoi concorrenti stranieri aveva messo in movimento la rivoluzione di Βismarck. Ora, quando i miliardi francesi inondarono la Germania, si schiuse per la borghesia un nuovo periodo di febbrile attivatà economica, in cui per la Prima volta si mostrò come grande nazione industriale con un krack nazionale germanico. Essa era già allora economicamente la classe più potente della popolazione; lo Stato doveva obbedire a' suoi interessi economici; la rivoluzione del 1848 aveva portato lo Stato ad assumere la forma costituzionale in cui la borghesia poteva dominare politicamente e svolgere la sua egemonia. Ciò non ostante essa era ancora assai lontana dall'effettivo dominio politico. Nel conflitto contro Bismarck essa non n'era uscita vittoriosa; la risoluzione del conflitto mediante la rivoluzione venuta dall'alto aveva inoltre fatto sì che il potere esecutivo dipendeva intanto da essa al più in maniera assai indiretta, così che non poteva né far cadere, né creare ministri, né disporre dell'esercito. Per giunta essa era vile e flaccida rimpetto a un potere esecutivo energico, ma anche i junker erano così, e la borghesia aveva più di questi una scusa nel suo diretto antagonismo economico con la rivoluzionaria classe operaia industriale. Pure era sicuro che la borghesia doveva a poco poco annientare economicamente tutto l'insieme de' junker, e che di tutte le classi abbienti era la sola la quale avesse ancora aperto un avvenire.
La piccola borghesia era composta in primo luogo de' resti dell'artigianato medievale, il quale nella Germania, vissuta così a lungo in arretrato, era rappresentato in assai più gran numero che non nella rimanente Europa occidentale, in secondo luogo di borghesi decaduti, in terzo luogo di elementi della popolazione non abbienti i quali si erano elevati sino al piccolo commercio. Con l'estensione della grande industria l'esistenza complessa della piccola borghesia perdette l'ultimo resto di stabilità; peripezie e bancarotta periodica divennero la regola. Questa classe prima così stabile, ch'era stata il nocciolo del filisteismo tedesco, cadde dalla precedente contentezza, sommessione, felicità e onorabilità in un triste disagio e in uno scontento del destino assegnatole da Dio. I resti dell'artigianato invocavano il ripristino de' privilegi corporativi; degli altri una parte divenne languidamente progressista-democratica, un'altra si accostava (779) invece alla democrazia sociale e aderiva secondo i posti direttamente al movimento operalo.
Finalmente gli operai.
Degli operai di campagna quelli dell'Est almeno vivevano ancora in un mezzo vassallaggio e non se ne poteva tener conto. All'incontro tra gli operai delle città la democrazia sociale aveva fatto stupefacenti progressi e cresceva nella stessa misura in cui la grande industria proletarizzava la massa del popolo e con ciò spingeva all'estremo l'antagonismo di classe tra capitalisti e operai. Se pure gli operai socialisti erano ancora scissi in due partiti che si combattevano necessariamente, dopo la pubblicazione del Capitale di Marx l'opposizione di principii tra entrambi si poteva dire sparita. Il lassallanismo rigido con l'esclusivo programma delle «società di produzione con l'aiuto dello Stato» svanì a poco a poco e si mostrò sempre più disadatto a fornire il nocciolo di un partito operaio bonapartista-sοcialista di Stato. Ciò che i singoli capi avevano sotto questo rapporto guastato, fu aggiustato dal sano senso delle masse. L'unione di entrambi gl' indirizzi socialisti, ritardato soltanto da questione di persone, era sicuro per un prossimo avvenire. Ma già, durante il dissidio e malgrado il dissidio, il movimento era abbastanza forte per mettere spavento alla borghesia industriale e incepparla nella sua lotta contro il governo da essa indipendente; come poi, sopratutto dal 1848 in qua, la borghesia non si liberò mai più dello spettro rosso.
Questa organizzazione delle classi costituiva la base dell'organizzazione de' partiti nel Parlamento e ne' Landtag. Il grande possesso fondiario e una parte del ceto de' contadini formava la massa de' conservatori; la borghesia industriale costituiva l'ala destra del liberalismo borghese, i nazionali liberali; mentre l'ala sinistra — il partito democratico attenuato o cosidetto progressista — era formata da' piccoli borghesi, sorretti da una parte della borghesia come degli operai. Gli operai finalmente avevano il loro partito indipendente, a cui appartenevano anche piccoli borghesi, nella democrazia sociale.
Un uomo nella posizione di Bismarck e col passato di Bismarck doveva dirsi da sé, per una qualche cognizione dello stato delle cose, che i junker così com'erano, non costituivano una classe vitale; di tutte le classi abbienti solo la borghesia poteva pretendere a un avvenire e perciò (prescindendo dalla classe operaia, di cui non vogliamo pretendere che comprendesse la vocazione storica) il suo nuovo Impero prometteva una più sicura esistenza, quanto più si preparava gradatamente alla trasformazione in uno Stato borghese moderno. Non pretendiamo da lui niente di ciò che nella data circostanza gli era impossibile. Un immediato passaggio al governo parlamentare, con un potere decisivo al Reichstag (come nella Camera de' comuni inglese) non era possibile e nemmeno consigliabile pel momento; la dittatura di Bismarck nelle forme parlamentari doveva sembrare anche ad esso ancora presso che necessaria; noi non gli diamo colpa di averla lasciata continuare; noi domandiamo soltanto a che la voleva far servire. E difficilmente si può dubitare che l'avviamento ad uno stato di cose rispondente alla costituzione inglese era la sola via che pareva assicurare al nuovo Impero una base salda e un tranquillo sviluppo interno. Mentre si abbandonava la parte maggiore, assolutamente condannata della sua classe de' junker al proprio destino, pareva pur sempre possibile formare dal resto, da' nuovi elementi, una classe di proprietari fondiaria indipendenti, che era anche solo il fastigio ornamentale della borghesia; una classe a cui la borghesia anche nel pieno possesso della sua potenza, (780) doveva lasciare la rappresentanza dello Stato e con esso i posti più pingui e una influenza ansai grande.
Mentre si facevano alla borghesia le concessioni politiche, che a lungo andare non le si potevano negare (così almeno si doveva giudicare dal punto di vista delle classi abbienti); mentre le si facevano queste concessioni a grado a grado e anche a piccole e rare dosi, si conduceva almeno il nuovo Impero sulla via, in cui doveva seguire gli altri Stati dell'Europa occidentale politicamente assai più avanzata; dove finalmente scuoteva gli ultimi resti del feudalismo come della tradizione filistea che dominava ancora fortemente la burocrazia, e si rendeva così l'impero sopratutto capace di fare da sé, il giorno in cui i suoi fondatori non più giovani cedevano al loro destino terreno.
Per giunta, questo non era punto difficile. Νé junker, né borghesi avevano sia pure, una media energia. I junker avevano mostrato ciò da sessant'anni, quando lo Stato veniva costantemente compiendo il suo meglio contro l'opposizione di questi D. Chisciotte. La borghesia, resa del pari duttile dalla lunga storia precedente, era ancora stanca, fin nell'ossa, del conflitto; indi i successi di Bismarck fiaccarono anche più la sua forza di resistenza e il resto lo fece la paura del movimento operaio crescente e minacciante. In tali condizioni non poteva essere difficile all'uomo, che aveva adempiuto i desideri della borghesia, di serbare il tempo che gli piacesse nella realizzazione delle aspirazioni politiche del resto assai modeste della borghesia. Soltanto doveva avere una chiara visione della mèta.
Dal punto di vista delle classi abbienti questa era la sola cosa razionale. Dal punto di vista della classe operaia appare certamente che era già troppo tardi per l'instaurazione di un dominio borghese duraturo. La grande industria, e con essa la borghesia e il proletariato, si vennero formando in Germania in un tempo, in cui, quasi contemporaneamente con la borghesia, il proletariato poteva, come parte indipendente calcare la scena politica: in tal caso, quindi, la lotta delle due classi comincia prima che la borghesia abbia conquistato il potere politico esclusivo o prevalente. Ma, se è già tardi per un dominio tranquillo e bene assodato della borghesia in Germania, nell'anno 1870 era pure sempre la migliore politica, sopratutto nell'interesse delle classi abbienti, camminare nel senso di questa supremazia della borghesia. Poiché solo così era possibile di eliminare le grandi tracce del tempo del feudalismo ruinante, che seguitavano ancora ad esercitar tutta la loro azione nella legislazione e nell'amministrazione; solo così era possibile acclimatare a poco a poco in Germania i risultati complessivi della grande Rivoluzione francese, in breve, togliere alla Germania l'antico gigantesco codino e spingerla consapevolmente e con successo sulla via dello sviluppo moderno, adattare le sue condizioni politiche alle sue condizioni industriali. Allora, se, in conclusione, veniva l'inevitabile lotta tra la borghesia e il proletariato, si sarebbe realizzata almeno in condizioni normali, in cui ognuno poteva vedere di che si trattava, e non in una confusione, in un equivoco, in un incrociamento d'interessi e una mancanza di criteri direttivi, come abbiamo veduto in Germania nel 1848. Solo con la distinzione che questa volta la mancanza di criteri direttivi sarà esclusivamente da parte degli abbienti: la classe operaia sa quel che vuole.
Allo Stato in cui erano le cose nel 1871, un uomo come Bismarck era realmente sospinto verso una politica bordeggiante tra le diverse classi. E, in quanto a questo, non gli si può rimproverar nulla. Si tratta solo di vedere a quale mèta era diretta questa politica. Se essa andava — non importa con quale tempo — ma consapevole e risoluta al dominio esclusivo della borghesia, essa era consentanea all'evoluzione storica, (781) in quanto ciò poteva sopratutto essere dal punto di vista delle classi abbienti. Se invece tendeva a mantenere il vecchio Stato prussiano e a imprussianire a poco a poco la Germania, allora era una politica reazionaria e condannata, in conclusione, a naufragare. Se tendeva semplicemente a mantenere l'egemonia di Bismarck, allora era bonapartista e doveva finire come ogni bonapartismo.
La cosa da fare, in via più immediata, era la costituzione dell'Impero. Come materiale si avevano da un lato la costituzione della Confederazione germanica del Nord, dall'altro lato i trattati con gli Stati tedeschi del Sud. I fattori, col cui aiuto Bismarck doveva dar vita alla costituzione dell'Impero erano da un lato la dinastia rappresentata nel Consiglio federale, dall'altro lato il popolo rappresentato nel Reichstag. Alle pretese della dinastia era posto un limite nella Costituzione della Germania del Nord e ne' trattati. Il popolo all'incontro aveva questa pretesa che la sua partecipazione al potere politico fosse notevolmente ampliata. Esso aveva conquistato sul campo di battaglia l'indipendenza dall'intervento straniero e l'unità — in quanto si poteva parlare di questo. Esso era chiamato in prima linea a decidere a chi doveva servire questa indipendenza; come questa unità nelle singole cose doveva essere completata e utilizzato. E, anche se il popolo riconosceva il sostrato giuridico nella costituzione della Germania del Nord e ne' trattati, ciò non impediva punto che nella nuova costituzione esso avesse una parte maggiore che non in quella finora esistente. Il Reichstag era l'unico corpo che realmente rappresentava la nuova «unità». Quanto più aveva peso la voce del Reichstag, tanto più la costituzione dell'Impero era libera rimpetto alle costituzioni regionali, tanto più saldamente si doveva stringere il nuovo Impero, tanto più il Bavarese, il Sassone, il Prussiano dovevano fondersi nel Tedesco.
Per ognuno che vedeva più in là del suo naso, ciò doveva apparire ben chiaro. Ma non era punto questa l'opinione di Bismarck. Al contrario egli si avvalse dell'ubbriacatura patriottica presa dopo la guerra, per menare la maggioranza del Reichstag a rinunziare ad ogni — non solo ampliamento — ma semplice acclaramento de' diritti del popolo e a limitarsi puramente a riprodurre nella costituzione dell'Impero lo stato di diritto esistente nella costituzione del Nord e ne' trattati. Tutti i tentativi de' piccoli partiti di sviluppare in essa i diritti politici del popolo furono rigettati, perfino la proposta del centro cattolico per inserirvi l'articolo della costituzione prussiana contenente la guarentigia della libertà di stampa, associazione e riunione, come pure dell'autonomia della Chiesa. La costituzione prussiana quindi, due e tre volte sforbiciata com'era, rimase pur sempre più liberale della costituzione dell'Impero. Le imposte non furono consentite anno per anno, ma una volta per sempre «per legge», così che il rifiuto delle imposte da parte del Reichstag è reso impossibile. Con ciò fu applicata alla Germania la dottrina prussiana inconcepibile per tutto il mondo costituzionale non tedesco, la dottrina che la rappresentanza del popolo ha soltanto il diritto di rigettare le spese sulla carta, mentre il Governo insacca l'entrata in moneta sonante. Ma, mentre così il Reichstag era spogliato della sua arma più forte ed è abbassato alla umiliante posizione della Camera prussiana fiaccata mediante le revisioni del 1849 e 1850, mediante i metodi di Manteuffel, mediante il conflitto e Sadowa, il Bundesrath in realtà gode di tutti i pieni poteri che l'antico Bundestag possedeva nominalmente; e ne gode in realtà perché è liberato da' ceppi che tenevano avvinto il Bundesrath. (811) Il Bundesrath non solo ha nella legislazione una voce decisiva accanto al Reichstag, esso è anche la suprema istanza amministrativa, in quanto emette i regolamenti delle leggi dell'Impero, e delibera inoltre «sulle lacune..... che si notano nell'esecuzione delle leggi», cioè sulle lacune, a cui in altri paesi civili si può supplire solo mediante una legge (Art. 7 al. 3, che somiglia molto a un caso di conflitto giuridico). Così Bismarck non ha cercato il suo punto d'appoggio nel Reichstag, che rappresenta l'unità nazionale, ma nel Bundesrath che rappresenta il frazionamento particolaristico17. Egli non ebbe il coraggio — egli che si atteggiava a rappresentante del pensiero nazionale — di mettersi realmente alla testa della nazione o de' suoi rappresentanti: la democrazia doveva servire a lui, non egli a quella; piuttosto che nel popolo egli confidò nelle vie tortuose, striscianti dietro i corridoi, nella capacità di accozzare nel Bundesrath una maggioranza sia pure recalcitrante con mezzi diplomatici, zuccherini e sferza. La piccolezza della concezione, la bassezza del punto di vista, che qui ci si rivela, risponde pienamente al carattere dell'uomo come finora abbiamo imparate a conoscerlo. Tuttavia dobbiamo meravigliarci che i suoi grandi successi non sieno valsi ad elevarlo almeno per un momento sopra sé stesso.
Ma il caso fu questo che egli giunse a dare a tutta la costituzione dell'Impero un unico perno, propriamente il cancelliere dell'impero. Il Bundesrath doveva mantenere una posizione, la quale rendeva impossibile un altro potere esecutivo responsabile che non fosse quello del cancelliere dell'Impero, e con ciò escludeva la pοssibiltà di ministri responsabili dell'Impero. In realtà ogni tentativo di ordinare l'amministrazione dell'Impero con l'impiego di un ministero responsabile urtò contro un insuperabile contrasto come invasione de' diritti del Bundesrath. La costituzione era, come si scoprì subito, «tagliata addosso» a Bismarck. Essa era un passo di più verso la sua autocrazia personale, per mezzo di un contrappeso de' partiti nel Reichstag, degli Stati particolari nel Bundesrath — un passo innanzi sulla via del Bonapartismo.
Quanto al resto si può dire che — prescindendo da singole concessioni alla Baviera e al Würtemberg - la nuova costituzione dell'Impero si riduce a un diretto regresso. Ma questo è anche il meglio che si possa dire di essa. Le esigenze economiche della borghesia erano sostanzialmente appagate; alle sue pretese politiche — in quanto ne accampasse — era stato messo il catenaccio come al tempo del conflitto.
In quanto essa ancora avanzava pretese politiche. Poiché è innegabile che queste pretese nelle mani de' nazionali liberali si erano venute immiserendo sino ad una misura assai modesta e giornalmente ancora si venivano sempre più immiserendo. I signori, ben lungi dal chiedere che Bismarck volesse agevolare loro di cooperare con lui, si sforzavano di andargli a genio, dovunque egli andava e molte volte anche dove non andava o non avrebbe dovuto andare. Che Bismarck li disprezzasse, è cosa di cui nessuno gli può fare rimprovero — ma erano forse, i suoi junker migliori e più virili?
Il campo più immediato (812), su cui rimaneva a provvedere all'unità dell'Impero, la moneta, fu ordinato con le leggi sulla moneta e sulle banche dal 1873 al 1875. L'introduzione della valuta aurea costituì un progresso notevole, ma fu introdotta esitando e vacillando e ancora oggi (1888) non sta ancora salda in piedi. Il sistema monetario accolto — la terza parte del tallero sotto nome di marco come unità con divisione decimale — era quello proposto da Soetbeer verso la fine del trenta: il pezzo unitario reale era il pezzo d'oro di venti marchi. Con una quasi trascurabile variazione di valore lo si poteva equiparare assolutamente alla sovereign d'oro o al pezzo d'oro di venticinque franchi o al pezzo d'oro americano di cinque dollari e acquistare così un addentellato ad uno de' tre grandi sistemi monetari del mercato mondiale. Si preferì di costituire un sistema monetario a parte e così creare senza bisogno una difficoltà al commercio e a' conti de' cambi. Le leggi su' biglietti delle casse dell'Impero e le banche limitarono la speculazione della carta de' piccoli Stati e delle loro banche e osservarono in considerazione del krack intanto iniziato una certa inquietitudine, facile a intendere per la Germania, ancora inesperimentata su questo campo. Anche qui gl'interessi economici della borghesia furono in complesso convenientemente tutelati.
Finalmente venne ancora l'unificazione delle leggi giudiziarie capaci di essere unificate. L'opposizione degli Stati medi contro l'estendersi della competenza dell'Impero anche sulla materia del diritto civile furono superate; ma il Codice civile è ancora in gestazione, mentre il Codice penale, il Codice di procedura civile e penale, il diritto commerciale, la legge su' fallimenti e l'ordinamento giudiziario sono unificati. L'eliminazione delle formali e materiali screziate norme legislative de' piccoli Stati, era già per sé stessa un urgente bisogno del progrediente sviluppo della borghesia, e in questa eliminazione sta anche il merito principale delle nuove leggi — assai meno nel loro contenuto.
Il giurista inglese si fonda su di una storia del diritto, che ha salvato dal Medio Evo un buon pezzo dell'antica libertà germanica, che non conosce l'azione molteplice e invadente dello Stato, soffocata in germe nelle due rivoluzioni del secolo decimosettimo, e culmina in due secoli di continuo sviluppo della libertà borghese. Il giurista francese si basa sulla grande rivoluzione che dopo il totale annientamento del feudalismo e dell'arbitrio assoluto del potere tradusse nel classico Codice emanato da Napoleone le condizioni della vita economica della teste riordinata società moderna. Qual è, all'incontro, la base storica de' nostri giuristi tedeschi? Niente fuor che il processo di disgregazione de' resti del Medio Evo, passivo per la durata di secoli, proceduto per lo più merce spinte esterne, fin'oggi non ancora compiuto; una società economicamente arretrata, dove il signorotto di campagna Feudale e la maestranza della corporazione vanno intorno e cercano un nuovo corpo; una condizione giuridica in cui l'arbitrio della polizia — se anche sia scomparsa col 1848 la principesca giustizia di gabinetto — giorno per giorno fa ancora buco su buco. Da questa pessima di tutte le cattive scuole son venuti fuori essi, i genitori de' nuovi codici dell'Impero, e il lavoro è conforme. Prescindendo dal lato puramente giuridico, in questi codici la libertà se la cava abbastanza male. Se i tribunali di scabini danno un mezzo agevole alla borghesia e alla piccola borghesia di cooperare alla depressione della classe degli operai, tuttavia lo Stato si schermisce per quanto è possibile contro il pericolo di una rinnovata opposizione borghese con i limiti imposti alla giurisdizione de' giurati. Gli articoli politici del Codice penale sono spesso (813) abbastanza indeterminati ed elastici, come se fossero modellati essi sull'odierna giustizia dell'Impero e questa su di essi. Che i nuovi codici costituiscono un progresso rimpetto al Landrecht prussiano, s'intende da sé — qualche cosa di orrendo come questa non lo farebbe oggi nemmeno Stöcker, se anche si dovesse circoncidere. Ma le provincie, che finora hanno avuto il diritto francese, sentono troppo la differenza tra la copia dilavata e il classico originale. Fu il venir meno de' nazionali liberali al loro programma che rese possibile questo rafforzamento del potere dello Stato a spese della libertà civile.
Si deve anche mentovare la legge sulla stampa dell'Impero. Il codice penale aveva già sostanzialmente regolata la materia del diritto ivi in questione; l'adozione di uguali disposizioni formali per tutto l'Impero e la abolizione delle cauzioni e bolli qua e là esistenti costituirono dunque il contenuto principale di questa legge e al tempo stesso l'unico progresso mercé di essa ottenuto.
Onde la Prussia si conservasse ancora come Stato modello, vi fu introdotta la così detta amministrazione autonoma. Si trattava con ciò di eliminare i resti più repugnanti del feudalismo e tuttavia, in realtà, lasciare quanto più si poteva dell'antico stato. A tal uopo serviva l'ordinamento per circoli. Il potere dominicale di polizia de' signori junker era divenuto un anacronismo. Di nome — come privilegio feudale — fu abolito, in realtà fu ristabilito col creare circoli territoriali indipendenti — entro cui il proprietario del fondo, o è egli stesso preposto al fondo con le attribuzioni di un capo di comune, oppure nomina questo preposto al fondo — e con l'affidare tutto il potere di polizia e la giurisdizione di polizia di un funzionario di circolo ad un funzionario preposto, che in campagna naturalmente quasi senza eccezione era un grande proprietario fondiario e con ciò aveva sotto la sua ferula anche i corpi comunali. Il privilegio feudale del singolo fu eliminato, ma l'onnipotenza ad esso inerente fu data all'intera classe. Con un sistema di escamotage grandi proprietari fondiari si scambiarono in giudici di pace e domini della locale amministrazione, polizia e giurisdizione inferiore, e si assicurarono così, sotto un nuovo, moderno titolo l'ulteriore godimento di tutti gl'istrumenti di potere reali ma che non si potevano più conservare nell'antica forma feudale. Ma questa è anche la sola rassomiglianza tra il self-government inglese e il tedesco. Io vorrei vedere il ministro inglese che osasse proporre in Parlamento la conferma delle autorità comunali elette e il rimpiazzo con rappresentanti obbligatori dello Stato in caso di renitenze elettorali, la delegazione di funzionari dello Stato con i poteri de' consiglieri provinciali prussiani, reggenze di circoli e presidenti capi, l'ingerenza — riservata con l'ordinamento de' circoli — nelle faccende interne de' Comuni, uffici e circoli, e l'inceppo posto al legale esercizio de' diritti, inaudito in paesi di lingua inglese e di diritto inglese, quale si riscontra quasi ad ogni pagina dell'ordinamento de' circoli. E mentre, tanto i Consigli de' circoli, come quelli delle provincie sono composti ancora nell'antico modo feudale, di rappresentanti de' tre stati, grandi proprietari fondiarî, città, e comuni, rurali, in Inghilterra perfino un ministero altamente conservatore propone un bill che concede tutta l'amministrazione delle contee a funzionari scelti quasi a suffragio universale18.
La proposta del regolamento de' circoli per le sei provincie (814) orientali (1871), era il primo segno che Bismarck non pensava a fare sparire la Prussia nella Germania, ma, al contrario, ad afforzare ancora la salda cittadella dell'antico spirito prussiano e propriamente queste sei provincie. Sotto diversi nomi i junker mantenevano tutte le reali posizioni: gl'iloti di Germania, i lavoratori agricoli di quei paesi, i domestici come i giornalieri — rimanevano nella reale schiavitù durata finora, ammessi solo a due funzioni: divenir soldati e servire a' junker come bestiame parlante. Il servizio che così Bismarck ha reso al partito socialista rivoluzionario è indescrivibile e meritevole di ogni ringraziamento.
Ma che cosa si deve dire della stupidità de' signori junker, che, unicamente nel loro interesse, per mantenere più a lungo i loro privilegi feudali, solo sotto un nome un po' ammodernato, strepitarono colle mani e con i piedi, come accade a fanciulli maleducati, contro, quest'ordinamento de' circoli. La Camera prussiana de' Signori o piuttosto de' junker rigettò da prima la proposta che si trascinava per tutto un anno e l'accolse soltanto dopo che vi fu un'infornata di 24 nuovi «signori». I junker prussiani si dimostrarono con ciò anche una volta gretti, ostinati, inguaribili reazionari, incapaci di costituire il nocciolo di un grande partito indipendente con vocazione storica, nella vita del paese, cosa che in realtà fanno i grandi proprietari fondiari inglesi. Con ciò essi avevano messa in sodo la loro mancanza totale di acume; Bismarck doveva soltanto mettere in chiaro innanzi a tutti la loro totale mancanza di carattere, e una pressione un po' adatta li convertiva in un partito Bismarck sans phrase.
A ciò doveva servire il Kulturkampf.
L'attuazione del piano imperiale prussiano-tedesco doveva avere per controcolpo l'unione in un partito di tutti gli elementi antiprussiani aventi la loro base in un precedente distinto sviluppo. Questi variopinti elementi trovarono una bandiera comune nell'ultramontanismo. La ribellione del sano intelletto umano, anche presso gl'infiniti cattolici ortodossi, contro il nuovo dominio dell'infallibilità papale da un lato, la distruzione dello Stato dalla Chiesa e la così detta prigionia del papa a Roma dall'altro, obbligarono a una più stretta concentrazione di tutte le forze combattenti del cattolicismo.
Così si formò già durante la guerra — autunno 1870 — nel Landtag prussiano lo specifico partito cattolico del Centro; esso entrò nel primo Landtag germanico, nel 1871, con 57 membri soltanto, ma si rafforzò ad ogni nuova elezione sin che giunse a più di 100 membri. Esso era composto di assai vari elementi. In Prussia la sua forza principale era ne' piccoli agricoltori renani, che si consideravano ancora come «Prussiani per forza»; inoltre ne' grandi proprietarî fondiari cattolici e ne' contadini de' vescovati vestfalici di Münster e Paderborn, e ne' cattolici slesiani. Il secondo grande, contingente era formato da' cattolici della Germania meridionale, propriamente da' Bavaresi. Ma la forza del centro stava assai meno nella religione cattolica e piuttosto nel fatto che esso rappresentava le antipatie delle masse popolari contro il Prussianismo che si arrogava ora l'egemonia sulla Germania. Queste antipatie erano vivaci specie ne' paesi cattolici: per giunta si avevano simpatie per l'Austria ora messa fuori dalla Germania. In accordo con queste due correnti popolari il centro era decisamente particolarista e federalista.
Questo carattere sostanzialmente anti-prussiano del centro fu ben presto riconosciuto dalle altre piccole frazioni del Reichstag che erano anti-prussiane per motivi locali — non nazionali e universali com'erano quelli de' socialisti. Non solo i cattolici polacchi o alsaziani, ma gli stessi protestanti annoveresi Welfen aderirono al Centro come alleati. E benché le frazioni borghesi-liberali non si resero mai conto chiaramente del vero carattere de' così detti ultramontani, pure tradirono un certo presentimento del reale stato delle cose, quando chiamarono il Centro «senza patria» e «nemico dell'Impero».
Qui s'interrompe il manoscritto. Dagli appunti cronologici, che gli sono uniti, si lascia completar la critica del Kulturkampf bismarchiano solo in rapporto alle singole fasi e misure; all'incontro per la sintetica caratteristica delle due parti lottanti bisogna contentarsi dell'introduzione data di sopra. Essa mostra chiaro abbastanza da quali punti di vista moveva Engels, e quindi come egli concepiva la cosa, come il suo giudizio non era sviato da nessuna considerazione accessoria e sentimentalità, andava direttamente al cuore della cosa e con mirabile acume rilevava i momenti storici sostanziali. Il metodo è indicato; la sua ulteriore applicazione dobbiamo lasciarla al lettore.
Dal calendario degli episodi del Kulturkampf messo insieme da Engels si citano quelle notizie, la cui espressione e indicazione rappresenta senz'altro una critica di fatti relativi.
1871. 3 marzo. Elezione del Reichstag. Eletti solo 57 membri del Centro. Il Centro chiede che i sei articoli della costituzione prussiana sulla libertà di stampa, riunione e associazione e sull'autonomia della Chiesa sieno accolte nella costituzione dell'Impero. Rigetto.
1871. Bismarck fa domandare al Papa se l'atteggiamento «ostile all'Impero» del Centro risponde alle vedute del Papa. Su questa contesa. Per Bismarck non ne vien fuori niente.
1872. 14 maggio. Il Cardinal Hohenlohe non è accettato come ambasciatore dal Papa. Bismarck: «Noi non andiamo a Canossa!»
4 luglio. Legge sui Gesuiti, restrizione di soggiorno per Gesuiti tedeschi.
1873. Leggi di maggio... La Camera (prussiana) apporta aggiunte, pel Governo, all'articolo della Costituzione che difende la Chiesa. Contro tali aggiunte molti conservatori, il Centro e una parte del partito progressista. Bismarck assai violento nella Camera de' signori contro i conservatori per le leggi di maggio.
11 maggio. Le leggi di maggio spiegano la loro efficacia. Ora anche Virchow e i progressisti dichiarano che essi appoggeranno il Governo nel Kulturkampf!
Contemporanea biasimevole ritirata di vecchi cattolici e cattolici di Stato. Resistenza de' vescovi. Perciò impossibilità di completare le vacanze.
1874. La legge su' vescovi.
25 aprile. Legge di espatriazione contro i preti renitenti (816) internati accolta dal Reichstag. Anche i progressisti erano per essa!
13 luglio. Kullmann fa perdere a Bismarck il resto della testa.
Vessazioni di polizia contro cattolici, sodalizi, stampa, etc. Malgrado ciò nelle diocesi prive di capi, delegati, agenti del Papa cui tutto obbedisce. Vescovi scontavano le multe con la prigione, non pagavano.
1875. Leggi d'interdizione contro religiosi renitenti. Bismarck dichiara che vi sono esclusivamente due partiti: quelli che vogliono lo Stato e quelli che non lo vogliono.
Abrogazione de' §§ 15, 16, 18 della Costituzione prussiana approvata. Così anche la Chiesa protestante andata allo Stato e solo essa, le altre si difesero.
31 maggio. Legge sullo scioglimento degli ordini pubblicata. Ciò completa gli armamenti. Da questo punto in poi Bismarck sta sulla difensiva.
Diversi vescovati vacanti, i cattolici si sostengono; spesso anche il Governo deve chiudere un occhio.
Estate del 1875. Marpingen.
1877. Falk finisce col tentennare. Ma Virchow sta sempre pel Κulturkampf. Nelle sinodi protestanti, etc., l'indirizzo pietista-ortodosso prevalente è appoggiato da Guglielmo; anche tra i conservatori sorgono avversari del Kulturkampf.
1879. Il Centro nella maggioranza governativa. Falk cade alla fine di giugno. Nel 1878 morto il Papa e Leone più pacifico; si viene a trattative; nel luglio 1878 il Nunzio Masella visita Bismarck a Kissingen; ma tra il Centro e Falk durava sempre la lotta; il Centro è un partito politico a base politica. Allora venne l'alleanza protezionista e la caduta di Falk. Invece sua Putty e cominciò un'altra politica. Nell'autunno 1879 trattative tra Bismarck e Jacobini senza successo. Ma Putty proseguì nella sua mite applicazione e la mitigò ancora.
La nuova elezione del Landtag nell'ottobre 1879. Grande squilibrio de' partiti. I liberali perdono 88 seggi a vantaggio de' conservatori.
Il 24 febbraio 1880 il Papa fa un insignificante atto di condiscendenza sulla questione del dovere di denunziare le nomine; in cambio il Governo chiede al Landtag la licenza di non eseguire le leggi di maggio...
1881. Autunno. Come preparazione all'elezione del Reichstag nuove concessioni del Governo...
1881. Novembre. Un uomo del Centro designato come primo vicepresidente contro i liberali. Bismarck si appoggia sul Centro e torna a lisciare Roma.
1882. Gennaio. Landtag prussiano. Nuova proposta del Governo per premunirsi... Abolizione de' preti di Stato e dell'esame di culto.
1883. Estate. Nuova concessione del Governo. Dopo che dalla Curia non si era potuto ottener nulla, il Governo in occasione della sua nuova legge sulle Chiese si fece vincere da' voti del Centro e de' conservatori e dichiarò che, se Roma non si contentava, si manderebbe a monte tutta la legge sull'obbligo delle denunzie di nomina.
D'altra parte il Papa dà facoltà a' vescovi di farsi dare dal Governo la dispensa relativamente agli studi preparatori de' loro nuovi preti.
Nell'autunno ristabiliti in Colonia gli assegni dello Stato, così che la legge rimane in vigore ancora solo a Posen. Così del Kulturkampf rimane solo la persecuzione de' Polacchi;
A queste notizie sul Κulturkampf fanno seguite ancora alcune note ad esso relative disposte secondo un piano, che evidentemente era destinato sopratutto per questo capitolo conclusivo e che perciò noi stampiamo più volentieri come sostanzioso epilogo. Solo una espressione di primo getto, che Engels sicuramente non avrebbe dato alle stampe, il lettore la deve completare da sé!
I, Tre classi — due meschine, di cui una declinante e l'altra in ascensione, e lavoratori che vogliono soltanto un fair-play borghese. Bordeggiano dunque solo tra le due ultime giustamente — ma no! Politica.
I) Rafforzare (817) sopratutto il potere dello Stato e renderlo indipendente specie pecuniariamente (avocazione delle ferrovie allo Stato, monopoli), Stato con estesa azione e ingerenza nella vita sociale (Polizei staat) e giustizia territoriale. «Liberale» e «nazionale», la doppia natura del 1848 permane anche nella Germania del '70-'80.
Bismarck si doveva appoggiare sul Reichstag e sul popolo e per questo occorreva piena libertà di stampa, di parola, di associazione e di riunione, non foss'altro che per orientarsi.
II. 1) Organizzazione.
a) Economicamente legge monetaria già cattiva,
b) Politicamente. Restaurazione dello Stato provvidenza (Polizei staat) e leggi giudiziarie anti-borghesi, cattiva copia delle francesi. Incertezze di giurisdizione territoriale. Il Tribunale dell'Impero come completamento.
2) Mancanza d'idee dimostrata dal giuocherellare col Κulturkampf. Il prete cattolico posto tra gendarmi e poliziotti, e l'onta di Bismarck. Giubilo della borghesia perdita d'ogni speranza andato a Canossa. Il partito Bismarck sans phrase.
Unico risultato razionale : il matrimonio civile.
3) Speculazione e krack. La sua partecipazione. Meschinita de' junker conservatori, che sono tanto poco rispettabili come i borghesi.
4) Completa evoluzione (di Bismarck) verso i junker:
a) Dazi protettori, Coalizione di borghesi e junker. La parte di leone per questi.
b) Tentativi di monopolio del tabacco.
c) Speculazione coloniale.
5) Politica sociale alla Bonaparte:
a) Legge su' socialisti e persecuzione di associazioni e casse di lavoratori.
b) Riforme... sociali.
III. b) Politica estera: Pericolò di guerra. Effetto delle annessioni. Aumento dell'esercito. Settennato. Quando il tempo è trascorso, ritorno agli anni. anteriori al '70 per mantenere la prevalenza ancora un paio d'anni.
IV. Risultato.
a) Uno stato di cose che rovina con la morte di un paio di persone: niente impero senza imperatore! Il proletariato costretto alla rivoluzione. All'abolizione della legge contro i socialisti una espansione della democrazia sociale come mai. — Il caos.
b) Una pace peggiore della guerra, risultato dell'insieme — nella migliore ipotesi, una guerra mondiale.
Lo schema, come si è detto, fu redatto nel 1887-1888. Allora la democrazia sociale rappresentava tre quarti di milione di voti. Oggi più del doppio. Da qui si può calcolare, quale avrebbe dovuta essere la sua espansione, se la legge su' socialisti fosse stata mantenuta, finché le condizioni delle cose avessero imperiosamente e inevitabilmente imposta la sua abolizione, cosa a cui sicuramente non si sarebbe arrivato.
Allora realmente avremmo avuto il caos. Così si è avuto preliminarmente il corso a zigzag.
Che la pace di cui ora godiamo è peggiore di una guerra, è oggi già un luogo comune della critica borghese; che la sua alternativa è una guerra mondiale, lo sanno meglio di tutti i governanti; e questo è il segreto del mantenimento di questa «pace».
Il caos all'interno, lo spettro minaccioso della guerra alle porte, questo è il bilancio della politica imperiale bismarckiana, del compimento delle speranze unitarie per opera de' rappresentanti de' junker e dello stato militare. Se malgrado ciò questo Impero rappresenta un progresso rispetto a ciò che v'era prima di esso (818), se col suo aiuto la borghesia in Germania poté elevarsi a una importanza economica, la produzione della ricchezza in Germania poté giungere a un'altezza a cui prima non si era pensato, la classe de' junker e il militarismo se lo son fatto pagare assai caro. Essi esistono nella loro forma attuale solo grazie a questo forzato accrescimento delle forze produttive. Ma la stessa evoluzione, che fornisce mezzi alla loro esistenza, ha fatto anche crescere e ha fatto acquistare crescente importanza e influenza alla classe, che con giovine forza ingaggia e prosegue contro di loro la lotta, là dove la borghesia l'ha lasciata cadere. E questa classe — il proletariato moderno — la menerà a termine.
1. La teoria elaborata da Marx ed Engels, che in ultima istanza è l'economia — le condizioni della produzione, l'evoluzione delle classi — quella che determina la costituzione politica della società. In primo luogo — si dice nel terzo capitolo della «Teoria della forza» — ogni potere politico si fonda originariamente su di una funzione economica, sociale, e si estende nella misura stessa in cui, col dissolversi dell'originaria comunione, i membri della società si mutano in produttori privati e quindi divengono sempre più estranei a quelli che regolano le funzioni sociali comuni. In secondo luogo; dopo che il potere politico acquista rispetto alla società figura autonoma e da subordinato diventa sovrano, può spiegare in sua azione con duplice indirizzo. Ovvero opera nel senso e nella direzione del regolare sviluppo economico; e in tal caso non vi è contrasto tra le due cose: l'evoluzione economica n'è accelerata. Ovvero si mette in contrasto con questa, e allora, con poche eccezioni, regolarmente soggiace allo sviluppo economico. Queste poche eccezioni sono casi isolati di conquista, quando i rozzi conquistatori distrussero o cacciarono la popolazione di un paese e lasciarono andare disperse o ruinate le forze produttive, di cui essi non sapevano avvalersi„ (Herrn Eugen Dühring's Umwälzung der Wissenschaft, 3 ediz., p. 191-192). (Nota dell'editore tedesco) ↩
2. A questo posto è notato sul margine a matita: “Weerth.„ Verosimilmente l'Engels voleva addurre qualche drastico fatto a lui comunicato da Giorgio Weerth, che era un commesso di commercio. ↩
3. Qui si trovano in margine una croce e le parole: “Pace di Vestfalia e di Teschen.„ Nella pace di Vestfalia, nel 1648, grazie all'avidità e alla gelosia delle dinastie tedesche, la Francia, com'è noto, aveva detta la sua parola decisiva sull'ordinamento de' rapporti politici interni della Germania. Nella pace di Teschen (1778) nuovamente Federico II di Prussia, per indebolire l'Austria, aveva data occasione alla Russia di dettar la legge sullo stato interno della Germania e di atteggiarsi indi a garante de' governi esistenti in Germania. ↩
4. Una croce e un tratto, che separano questo dal brano successivo, indicavano che vi si doveva intercalare ancora qualche cosa. (Nota dell'editore tedesco)↩
5. La guerra di Crimea fu tutta una commedia di sbagli, dove ad ogni nuova comparsa si domanda: Chi dev'essere gabbato qui? Ma la commedia costò infiniti tesori e un buon milione di vite umane. Non appena il duello fu avviato, l'Austria marciò su' principati danubiani e i Russi si ritirarono. Così, finché l'Austria rimaneva neutrale, era impossibile una guerra contro la Turchia a' confini russi. Ma l'Austria si doveva avere alleata per una guerra a questi confini, posto che la guerra si facesse seriamente per la restaurazione della Polonia e per ricacciare durevolmente indietro i confini russi occidentali. Ma allora sarebbe occorsa anche la cooperazione della Prussia, per mezzo della quale la Russia aveva le sue importazioni: la Russia sarebbe rimasta così bloccata per terra e per mare e doveva subito soccombere. Ma non era questa l'intenzione degli alleati. Al contrario essi erano ben lieti di essere sollevati ora da ogni rischio di una guerra seria. Palmerston propose di spostare in Crimea il teatro della guerra — ciò che appunto la Russia voleva — e Luigi Napoleone vi aderì ben volentieri. Ivi la guerra poteva rimanere soltanto una larva di guerra, e così tutti quelli che vi prendevano parte dovevano sentirsi a posto. Ma l'imperatore Nicolò si pose in mente di fare là una guerra sul serio e dimenticò che il terreno, a lui propizio per un simulacro di guerra, era per lui sfavorevole, data una guerra fatta sul serio. La forza difensiva della Russia — la enorme estensione del suo territorio scarsamente popolato privo di vie e povero d'ogni appoggio - si volse a danno della Russia stessa nel caso di una guerra offensiva, e in nessun luogo tanto come nella direzione della Crimea. Le steppe della Russia meridionale, che avrebbero dovuto essere la tomba dell'aggressore, furono la tomba degli eserciti Russi, che Nicola con una brutale e stupida ostinazione spingeva verso Sebastopoli, per quanto in pieno inverno. E, dopo che ebbe perduto per due terzi del suo effettivo, i suoi corpi principali raccolti in fretta, appena armati dell'indispensabile, male alimentati — interi battagliοni perivano fra le tempeste di neve - e il resto non era al caso di respingere i nemici dal territorio russo. Allora la testa vuota e rigonfia di Nicolò si spezzò ed egli si avvelenò. Da quel momento in poi la guerra tornò ad essere di nuονο un simulacro, e menò subito alla conclusione della pace. ↩
6. Qui si trova, al margine, segnato: “Orsini„. L'attentato dell'Orsini (14 gennaio 1858) aveva rammentato assai efficacemente a Napoleone III, che egli, per conservare il potere e la vita, doveva far qualche cosa per l'Italia. (Nota dell'editore tedesco) ↩
7. Che questo fosse allora il sentimento generale sul Reno, lo abbiamo già e a sufficienza attestato Μarx ed io a suo luogo. Industriali della riva sinistra del Reno domandavano a me, tra gli altri, come si troverebbe la loro industria sotto doganale francese.↩
8. Neue Zeit n. 23. XIV Jahrgang, I Band. 1895-96.↩
9. La Rheinische Ζeitung del 1842 discusse da questo punto di vista la questione dell'egemonia prussiana. Il Gervinus mi disse già nell'estate del 1843 in Ostenda: “La Prussia deve camminare alla testa della Germania; ma per ciò le corrono tre cose: la Prussia deve dare una costituzione, deve concedere la libertà di stampa e deve seguire una politica estera che abbia un indirizzo”.↩
10. Anche al tempo del Κulturkampf degl'industriali renani si dolevano con me di non poter avere eccellenti operai come sorveglianti per la mancanza di sufficienti cognizioni scolastiche. Questo era specialmente il caso ne' paesi cattolici. (Al tratto del testo, cui si riferisce questa nota, si trova notato a margine: “Scuole secondarie per la borghesia„. — L'editore tedesco). ↩
11. Cioè Guglielmo I. (Nota dell'editore tedesco). ↩
12. Qui si trova al margine: “Giuramento!„ I disertori austriaci furono incitati a violare il loro giuramento. (Nota dell'editore tedesco) ↩
13. Neue Zeit, n. 24, XIV Jahrgang I Ed., 1895-96. ↩
14. Già prima della guerra austriaca, interpellato da un ministro di uno Stato mediano intorno alla sua demagogica politica germanica, Bismarck gli rispose che, a dispetto di tutte le frasi, egli caccerebbe l'Austria dalla Germania e manderebbe per aria la Confederazione. — “E crede lei che gli Stati della media Germania guarderanno tranquillamente a tutto questo?„ — “Voi Stati della media Germania, voi non farete niente.„ — “E che cosa ne avverrà de' Tedeschi?„ — “Allora io li porto a Parigi e là faccio l'unità.„ (Raccontato a Parigi prima della guerra austriaca dal suddetto uomo di Stato della media Germania e pubblicato durante quella guerra nel “Manchester Guardian„ dalla sua corrispondente parigina signora Crawford).
Poiché qui si nomina il “Manchester Guardian„, menzioniamo in correlazione a questo che durante la campagna del 1866 in Boemia Federico Engels pubblicò in quel giornale articoli sull'allestimento, le operazioni e gli obbiettivi de' due eserciti. Questi articoli tra l'altre cose sono interessanti per questo, perché mostrano come Engels era disposto a imparare dagli avvenimenti. Egli non aveva fatto nessun buon pronostico all'esercito prussiano senza negargli certe prerogative — e che, senza gli arciduchi, Benedek gli avrebbe reso molto difficile il suo compito, e oggi fuor di questione. Ma appena appena che i comandanti prussiani hanno gittato all'aria le loro antiche tradizioni di codini, anche Engels e subito là per riconoscere questo, e due giorni dopo Königgrätz scrive: “Non è più possibile prendere abbaglio in proposito che l'esercito prussiano in una sola settimana ha preso tale un'elevata posizione fra quante mai se ne possano prendere e può confidare di prenderla rimpetto a qualsiasi avversario. Tranne la campagna di Jena, che se la sbrigò con la Prussia d'allora e — prescindendo dalla sconfitta di Ligny — la campagna di Vaterloo, la storia non conosce alcun'altra campagna, nella quale, in tempo così breve e senza notevole contrasto, si sia ottenuta una così completa vittoria„.
(Nota dell'editore tedesco). ↩
15. Erano questi cannoni della Guardia nazionale, non appartenenti allo Stato e perciò appunto non consegnati alla Prussia, che Thiers ordinò di rubare a' Parigini il 18 marzo 1871 e perciò dette luogo all'insurrezione da cui venne fuori la Comune. ↩
16. Si rimprovera a Luigi ΧIV di aver lanciate le sue Camere di riunione in piena pace su di un territorio tedesco che non gli apparteneva. Anche il più maligno livore non può dire altrettanto a' Prussiani. Al contrario. Dopo che essi nel 1795, infrangendo direttamente la costituzione dell'Impero, ebbero fatta una pace separata con la Francia ed ebbero radunati intorno a sé i loro piccoli vicini defezionati dietro la linea di demarcazione della prima lega germanica del Nord, misero a profitto la difficile situazione degli Stati imperiali della Germania del sud che facevano la guerra in unione con l'Austria per tentare delle annessioni in Franconia. A Baireuth ed Anspach (che allora erano prussiane) costituirono Camere di riunione secondo l'esempio di Luigi, accamparono pretensioni su di una serie di vicine zone di territorio, rimpetto a cui i pretesti giuridici di Luigi avevano una forza persuasiva chiara come la luce del sole; e quando, poi, i Tedeschi, battuti, si posero in ritirata, e i Francesi irruppero dietro di loro in Franconia, allora i salvatori prussiani occuparono il territorio di Norimberga compresi i sobborghi sino alle mura della città e strapparono agli atterriti vecchi borghesi di Norimberga un trattato (2 settembre 1796), con cui la città si assoggettava alla signoria prussiana sotto condizione che — mai — si dovessero ammettere ebrei entro le mura. Ma a questo stesso punto ricomparve l'arciduca Carlo, battette i Francesi a Würzburg il 3 e 4 settembre 1796 e così si risolse in azzurro fumo questo tentativo d'insegnare a forza di botte a' Norimberghesi la vocazione germanica della Prussia.↩
17. Dopoché è stato scritto quanto si dice innanzi, si è ripetutamente proclamato — come è noto — da Bismarck ed altri con brutale franchezza che non il Reichstag ma il Bundesrath sia il vero fondamento del nuovo impero germanico, che questo abbia la sua più salda guarentigia non nel popolo, ma nelle dinastie. La critica più ostile del nuovo impero germanico non poteva escogitare su di esso una pasquinata più amara di quella contenuta in tali manifestazioni delle autorità dell'Impero. Essi proclamano l'avversione dell'Impero come parte indispensabilmente necessaria di questo Impero. ↩
18. Questo bill è divenuto legge nell'agosto 1888, con reali immegliamenti rispetto al progetto del Governo. (Così la cancellazione della disposizione che veleva riservare la nomina, controllo e licenziamento del capo di polizia a' collegi di giudici di pace passò con 246 voti contro 216). Nella legge del 1894 sulle rappresentanze de' distretti e delle parrocchie l'amministrazione autonoma è stata estesa anche a' comuni e circoli, come s'intende da sé, con simile suffragio presso a poco universale. Singole disposizioni di questa legge provvedono, a rafforzare l'elemento democratico nelle file de' giudici di pace, dopo che nella pratica appunto la nomina di un maggior numero di rappresentanti operai (capi di associazioni artigiane, ecc.) a giudici di pace è divenuto un debito di convenienza de' governi. (Nota dell'editore tedesco). ↩
Ultima modifica 2019.06.11