Tradotto da Enrico Leone (†1940).
Trascrizione di Vito Leli e coding di Leonardo Maria Battisti, settembre 2019
Rodolfo, principe di Gerolstein, espia nel suo viaggio terreno un doppio delitto, il suo delitto personale ed il delitto della Critica critica. Egli stesso ha in un fervido dialogo sfoderata la sua spada sul padre; la Critica critica in un fervido dialogo si è lasciata trascinare ad affetti peccaminosi verso la massa.
La Critica critica non ha scoverto un solo mistero, Rodolfo fa ammenda di ciò e scovre tutti i misteri.
Rodolfo è, come riferisce il signor Szeliga, il primo servo dello Stato dell’umanità. (Stato dell’Umanità di Egidio Schwaben. Vedi gli Annali costituzionali (Konstitutionelle Jahrbiicher) del dott. Carlo Weil, 1842, 2° volume).
Perchè il mondo non vada a ruina, debbono secondo l’asserzione del signor Szeliga
«farsi innanzi uomini di critica spassionata... Rodolfo è un tale uomo... Rodolfo esprime l’idea della critica pura... E questa idea è più proficua per lui e per I umanità che non tutte le esperienze che questa ha fatto nella sua storia, che non tutto il sapere che Rodolfo ha potuto acquisire da questa storia, anche diretto dai più fedeli maestri. Il giudizio spoglio di spirito di parte col quale Rodolfo eternizza il suo passagio pel mondo non è in fatti nient’altro che la scoverta dei misteri della società».
Egli è
«il mistero svelato di ogni mistero».
Rodolfo ha da disporre di mezzi infinitamente estremi più di tutti gli altri uomini della Critica critica. Essa si consola:
«Sono irraggiungibili per i pochi i risultati (!) di Rodolfo favorito dalla sorte non irraggiungibile la bella finalità (?)»
La Critica perciò lascia realizzare al Rodolfo favorito dalla sorte le sue proprie idee. Ella gli canta:
Hahnemann
Va tu avanti
Tu hai i grossi stivaloni!
Accompagniamo Rodolfo nel suo giro critico pel mondo che «è più proficuo per l’umanità di tutte le esperienze che l’umanità ha fatto nella sua storia di tutto il sapere ecc.» che salva due volte il mondo dalla sua ruina.
Chourineur era in origine un macellaio. Diverse collisioni trasformano il violento uomo allo stato naturale in uccisore. Rodolfo lo trova per caso quando appunto egli maltratta la Fleur de Marie. Rodolfo assesta all’agile attaccabrighe due pugni maestosi, imponenti sulla testa. Rodolfo acquista così la stima di Chourineur. Più tardi, nella bettola dei delinquenti, Chourineur si rivela di temperamento bonario. Rodolfo gli dice:
«Tu hai ancora cuore ed onore».
Egli con queste parole gl’infonde stima per sé stesso. Chounneur è migliorato o come dice il signor Szeliga è trasformato in un «essere morale». Rodolfo lo prende sotto la sua protezione. Seguiamo ora il giro di educazione di Chourineur diretto da Rodolfo.
Primo stadio. Il primo insegnamento, che Chourineur riceve è un insegnamento dell’ipocrisia, dell’infedeltà, della astuzia e della simulazione. Rodolfo mette a profitto il moralizzato Chourineur nell’istessa precisa maniera con la quale Vidocq mise a partito il delinquente da lui moralizzato, cioè ne fece un mouchard e agent provocateur. Ei gli dà il consiglio di darsi l’aria con il maître d’ecole, ch’egli abbia mutato il suo «principio, di non rubare», di proporre al maestro di scuola una spedizione di ladri ed allettarlo così a cadere in una trappola tesa da Rodolfo. Chourineur ha l’impressione che si voglia abusare di lui per una farce. Egli protesta contro la pretesa di fare la parte di mouchard e agent provocateur. Rodolfo persuade l’ingenuo uomo facilmente con la «pura» casuistica della Critica critica che un cattivo tiro non è un cattivo tiro se è fatto per motivi «buoni, morali». Chourineur, come agent provocateur, sotto l’aspetto della camaraderie e della fedeltà, attira nella ruina il vecchio compagno. Per la prima volta nella sua vita commette una infamia.
Secondo stadio. Noi troviamo il Chourineur di nuovo come garde malade di Rodolfo, che egli ha salvato dal pericolo di vita.
Chourineur è diventato un essere così rispettabilmente morale che respinge la proposta del medico dei negri Daud di sedere sul pavimento per paura di sporcare il tappeto. Già, perchè è troppo timido per sedersi su di una sedia. Egli prima rovescia la sedia sulla spalliera e poi si siede sui piuoli anteriori della sedia. Egli non manca di scusarsi qualche volta quando chiama il signor Rodolfo ch’egli ha salvato da morto, suo «amico» oppure «Monsieur» invece di Monseigneur.
Ammirevole dirittura di uomo allo stato di natura senza nessun riguardo! Chourineur esprime il più intimo mistero della sua trasformazione critica, allorché egli confessa a Rodolfo di sentire per lui il medesimo sentimento che un bulldog prova pel suo padrone.
Je me sens pour vous comme qui dirait l’attachement d'un bouledogue pour son maìtre.
Il macellaio d’altra volta si è traformato in un cane. Da ora in poi tutte le sue virtù si risolveranno nel puro dévouement per il suo padrone. La sua autonomia, la sua personalità scompariranno completamente. Ma come un cattivo pittore dovrebbe porre al suo quadro un’etichetta per dire che cosa esso deve significare, così Eugenio Sue porrà al bouledogue Chourineur una etichetta in bocca, che afferma nel frontespizio:
«Le due parole «se hai cuore ed onore», mi hanno reso uomo».
Chourineur troverà fino al suo ultimo sospiro, non nella sua individualità umana ma in questo cartello, il motivo delle sue azioni. Come prova del suo miglioramento morale ei rifletterà ripetutamento sulla propria eccellenza e sulla cattiveria degli altri individui e tutte le volte che ei rivolge questi discorsi morali, Rodolfo gli dirà:
«Io ti ascolto volontari parlare così».
Chourineur non è diventato un bulldog ordinario, ma un bulldog morale.
Terzo stadio. Noi abbiamo già ammirato il galateo da piccolo borghese che è sottentrato al posto della disinvoltura rude ma astuta di Chourineur. Ora noi apprendiamo che egli, come conviene ad un «essere morale» si e appropriato anche l’andatura e la condotta della gretteria da piccolo borghese.
A le voir mareher – on l’eut pris pour le bourgeois le plus inoffensif du monde.
Più triste di questa forma è l'aspetto che Rodolfo da alla sua vita criticamente riformata. Egli lo manda in Africa per «servir come modello vivo e salutare del nuovo mondo incredulo». Egli non deve d’ora in poi manifestare le sua propria natura umana, ma un dogma cristiano.
Quarto stadio. La metamorfosi critico-morale ha fatto di Chourineur un uomo pacifico, accorto, che regola la sua condotta secondo le regole della paura, e della saviezza della vita. Le Chourineur, riferisce Murph, la cui indiscreta semplicità chiacchera continuamente fuori della scuola, n'a pas dit un mot de l'exécution du maître d'école, de peur de se trouver compromis. Chourineur sa anche, che l’esecuzione del maître d'école era un’azione illegittima. Ma egli non ne parla per paura di compromettersi. Saggio Chourineur!
Quinto stadio. Chourineur ha così ampiamente perfezionata la sua educazione morale, che egli realizza la sua relazione canina con Rodolfo, in una forma civilizzata. Egli dice a Germain, dopo che lo ha salvato
«Io ho un protettore il quale è per me l’istessa cosa che Dio è pel prete – bisogna stare in ginocchi innanzi a lui».
E nel suo pensiero egli sta in ginocchi dinanzi al suo Dio.
«Il signor Rodolfo» ei prosegue «con Germain, vi protegge. Io dico: signore, ma dovrei dire Grazioso Signore. Però io ho l’abitudine di chiamarlo signor Rodolfo, ed egli me lo concede».
«Magnifico ridestarsi e fiorire» esclama Szeliga nel suo critico incantamento!
Sesto stadio. Chourineur finisce degnamente la sua carriera di puro dévouement, di morale fedeltà da cane molosso (Bulldoggenthum) facendosi alla fine ammazzare pel suo grazioso signore. In un momento nel quale Skelett minaccia il principe col suo coltello, Chourineur afferra il braccio dell’omicida. Skelett lo trafigge. Ma il moribondo Chourineur dice a Rodolfo:
«Io ebbi ragione di dire che un pezzo di terra (un cane molosso) come me, possa essere utile qualche volta ad un grande grazioso signore come voi siete».
Questa esternazione canina, che compendia tutta la vita di Chourineur in un epigramma, aggiunge al cartello sulla sua bocca:
«Noi siamo pari e patto, signor Rodolfo. Voi mi avete deito che io avevo cuore ed onore».
Il signor Szeliga grida con tutte le forze del corpo:
«Quale merito acquista Rodolfo per avere restituito Schurimaun (?) all’umanità» (?).
Ancora una parola sul fiore di Maria speculativo del signor Szeliga prima di passare al Fleur de Marie di Eugenio Sue.
Il fior di Maria speculativo è soprattutto una rettifica.
Il lettore potrebbe infatti concludere dalla costruzione del signor Szeliga che Eugenio Sue abbia
«separata l’esposizione della base fondamentale obbiettiva (dello stato mondiale) dallo svolgimento delle forze individuali in azione, che soltanto da questo sfondo potrebbero essere concepite».
Oltre del compito di rettificare questa erronea pretesa del lettore, prodotta dall’esposizione del signor Szeliga, Fior di Maria ha anche un ufficio metafisico nel nostro «Epos», cioè del signor Szeliga.
«Lo stato mondiale e l’avvenimento epico non sarebbero nemmeno in verità congiunti in un insieme artificiale se essi si incrociassero soltanto in una varia mescolanza, avvicendassero reciprocamente, qui, un pezzo di stato mondiale, e colà di nuovo, un’azione scenica».
Dovendo originarsi l'unità effettiva, debbono entrambe urtare in un individuo i misteri di questo mondo impacciante e la chiarezza, pubblicità e sicurezza con la quale Rodolfo li penetra in sè e li scovre... Fior di Maria ha questo compito.
Il signor Szeliga costruisce Fior di Maria secondo l’analogia della costruzione baueriana della madre di Dio.
Da un lato sta il «divino» (Rodolfo), al quale si ascrive «ogni potenza e libertà», il principio solo attivo. D’altro lato sta il passivo «stato del mondo» e gli uomini ad esso appartenenti. Lo stato mondiale è il terreno del reale. Se questo non deve essere «interamente trascurato» ossia «non deve abolirsi» l’ultimo residuo dello stato di natura; se il mondo stesso deve ancora avere qualche parte nel principio dell’evoluzione, che Rodolfo concentra in sè di fronte ad esso; se «l’umano» non deve rappresentarsi «semplicemente come non libero e inattivo», al signor Szeliga deve toccare in sorte la contradizione della coscienza religiosa.
Benché egli si sforzi di spiegare lo stato mondiale e la sua attività come il dualismo di una massa morta e della mitica (di Rodolfo), deve però egli attribuire di nuovo allo stato del mondo ed alla massa alcuni attributi della divinità, e deve nuovamente costruire nel Fior di Maria l’unità speculativa di entrambi, di Rodolfo e del mondo. (Vedi Critica dei sinottici, Voi. I pag. 39).
Oltre i reali rapporti, nei quali il padrone di casa (la «forza individuale» operante) si trova verso la sua casa (la «base obbiettiva»), la speculazione mistica, anche la estetica speculativa, ha bisogno di una terza unità concreta, speculativa di un soggetto-oggetto, che è la casa e il padrone di casa in una sola persona. Poiché la speculazione non ama le assunzioni naturali mediate largamente circostanziate, essa non scorge che l’istesso pezzo dello «stato mondiale», la casa per esempio, che per uno, per esempio pel padrone di casa, è un «fondamento obbiettivo», per l’altro, ad esempio pel muratore della casa, è un «epico» avvenimento. La Critica critica che all’ «arte romantica» fa il rimprovero del «dogma dell’unità» per ottenere «qualche cosa di veramente intero», per ottenere una «effettiva unità», pone al posto della connessione naturale ed umana fra lo stato mondiale e l’avvenimento mondiale, una connessione fantastica, un subbietto-obbiotto mistico, come fa Hegel, quando al posto della connessione reale del mondo e della natura pone un assoluto subbietto obbietto, che è in una volta l’intera natura e l’istessa umanità, l’assoluto spirito.
Nel Fior di Maria critico
«la colpa generale del tempo, la colpa del mistero, diventa il «mistero della colpa», come la colpa generale del mistero nello speziale indebitato si muta in colpa dei debiti».
Fior di Maria secondo la costruzione madre – di Dio dovrebbe essere veramente la madre di Rodolfo. Il signor Szeliga spiega ciò espressamente:
«Secondo il nesso conseguenziale, Rodolfo dovrebb’essere il figlio di Fior di Maria».
Ma perchè egli non è suo figlio ma suo padre, il signor Szeliga scovre in ciò
«il nuovo mistero: che il presente spesso genera dalle sue viscere, invece dell’avvenire, il passato da lungo tempo dipartito».
Anzi, egli, scopre l'altro mistero, anche più grande, contraddittorio direttamente con la statistica della massa, che
«un fanciullo o una fanciulla, se non diventa a sua volta padre o madre, ma discende giovane e innocente nella tomba.... sostanzialmente... è figlia».
Il signor Szeliga resta fedele alla speculazione hegeliana, se per lui, secondo «il nesso logico», la figlia è la madre di suo padre. Nella filosofia del Diritto di Hegel, come nella sua filosofia della natura, il figlio genera la madre, lo spirito la natura, la religione critica il paganesimo, il risultato il principio.
Dopo che il signor Szeliga ha dimostrato che Fior di Maria dovrebbe essere secondo il rigore logico madre di Rodolfo, ora egli dimostra il contrario: che
«per corrispondere del tutto all’idea, che s’incorpora nel nostro Epos, non le occorre essere madre».
Ciò dimostra per lo meno che l’idea del nostro Epos e il nesso logico del signor Szeliga si contraddicono reciprocamente.
Il fior di Maria speculativo non è altro che l’incorporamento d’una Idea. «E quale idea? Essa ha però il compito di rappresentare per così dire le ultime lagrime di malinconia che il passato piange dinanzi a tutti i suoi addio.
«È la rappresentazione di una lagrima allegorica, od anche questo poco, qual è, è «tutt’una cosa».
Non seguiamo il signor Szeliga nella sua ulteriore esposizione del Fior di Maria. Noi le lasciamo anche la sodisfazione «secondo la prescrizione del signor Szeliga» di formare l’antitesi più decisiva verso ciascuno, «un’antitesi misteriosa, tanto misteriosa quanto le proprietà di Dio.
Noi non almanacchiamo neppure sul «vero mistero che è sceso da Dio nel seno dell’uomo» ed al quale il Fior di Maria speculativo allude «però per così dire.» Noi passiamo da Fior di Maria del signor Szeliga a Fleur de Marie di Eugenio Sue e alle cure critiche miracolose che Rodolfo compie in lei.
Noi troviamo Maria tra i delinquenti come prostituta, come serva della ostessa della bettola dei delinquenti. In questo abbassamento ella conserva una nobiltà umana dell’animo, una liberalità umana ed una umana bellezza, che s impone a coloro che la circondano, la esaltano a poetico fiore della cerchia dei delinquenti e le guadagnano il nome di Fleur de Marie.
È necessario, per considerare fedelmente Fleur de Marie dai suoi primi passi in poi di potere confrontare la sua forma originale col suo travestimento critico.
Con ogni delicatezza Fleur de Marie dà bentosto la prova di slancio, di energia, di serenità, di elasticità del carattere, di doti che potrebbero spiegare soltanto la sua umana significazione nella sua posizione d’abbrutimento.
Ella si difende con le sue forbici da Chourineur che la maltratta. Questa è la prima situazione nella quale la troviamo. Essa non ci appare come un agnello senza difesa che si sacrifica senza resistenza alla superiore brutalità, ma come una fanciulla che sa far valere i suoi diritti, che sa tener testa in una lotta.
Nell’osteria dei delinquenti della rue aux fèves ella racconta a Chourineur e a Rodolfo la storia della sua vita. Durante il suo racconto ella lide dei frizzi di Chourineur. Essa si lamenta di avere, uscendo dal carcere, consumato i 700 franchi, qui guadagnati, in spese di vetture e di abbigliamento, invece di cercare lavoro, «ma io non avevo nessuno per consigliere». Il ricordo della catastrofe della sua vita – il trafficare con la ostessa dei delinquenti – la rende malinconica. Dalla sua infanzia in poi è questa la prima volta che ella si ricorda di tutti questi avvenimenti.
Le fait est, que ca me chagrine de regarder ainsi derrière moi... ca doit etre bien bon d’ètre honnète.
Al motteggiare di Chourineur che ella debba diventare onesta, esclama: Honnète, mon dieu! et avec quoi donc veux-tu que je sois honnète? Essa dichiara esplicitamente che non è punto «piagnucolona»
Je ne suis pas pleurnicheuse;
ma la situazione della sua vita è triste –
Ça n’est pas gai.
Finalmente ella esprime, in opposizione al pentimento cristiano, sul passato la massima umana, nell’istesso tempo stoica ed epicurea di un libero e forte:
Enfin ce qui est fait, est fait.
Ora accompagniamo Fleur de Marie alla sua prima passeggiata in carrozza con Rodolfo:
«La coscienza del tuo spaventevole stato ti ha dunque molto spesso addolorato»
dice Rodolfo che è già pizzicato a iniziare una conversazione morale.
«Si, ella risponde, più d’una volta io pensai di gettarmi dai muraglioni della Senna, ma allora contemplavo i fiori, il sole e poi mi dicevo: Il fiume sarà sempre là, io non ho ancora diciannove anni, chi sa?
Dans ces moments-là il me semblait, que mon sort n'était pas mérité, qu'il y avait en moi quelque chose de bon. Je me disait, on m'a bien tourmenté, mais au moins je n'ai jamais fait de mal à personne.
Fleur de Marie non considera lo stato in cui si trova come una libera creazione, come espressione di sè stessa, ma come una sorte che essa non ha meritato. Questa sfortuna può mutare. Ell'è ancora giovane.
Il buono ed il cattivo nella concezione di Maria non sono le astrazioni morali del buono e del cattivo. Ella è buona perchè non ha fatto male a nessuno, essa era sempre umana verso l’ambiente abbrutito.
Ella è buona, poiché il sole ed i fiori le manifestavano la loro propria natura solare e floreale. Ella è buona, perchè è ancor giovane, speranzosa e coraggiosa della vita. Il suo stato non è buono, perchè ve la costringe un fato innaturale, perchè esso non è la esternazione dei suoi istinti umani, non è la realizzazione dei suoi umani desideri, perchè esso è penoso e senza gioia. Nella sua propria individualità, nella sua essenza naturale essa commisura la sua situazione di vita, non nell’ideale del bene.
Nella natura, dove cadono le catene della vita borghese, dove essa può liberamente manifestare la sua propria natura sgorga perciò da Fleur de Marie un desiderio di vita, una ricchezza di sentimento, una umana compiacenza della bellezza della natura, le quali provano come lo stato civile ha soltanto sfiorato la sua superficie, è una semplice sfortuna, e come ella in sè stessa non sia nè buona nè malvagia, ma umana.
Monsieur Rodolphe, quel bonheur... de l’herbe, des champs! Si vous me vouliez permettre de descendre, il fait si beau... j'aimeraie tant a courir dans ces prairies!
Scesa di vettura ella raccoglie fiori per Rodolfo «può appena parlare per la gioia ecc. ecc.». Rodolfo le rivela che egli la condurrà alla masseria della signora Georges. Colà ella può vedere piccionaie, scuderie, ecc.: là vi è latte, burro, frutta, ecc. Sono i veri espedienti della grazia per questa fanciulla. Essa si divertirà, ecco la sua idea principale.
Ch'est à n’y pas croire... camme je veux m'amuser!
Essa dichiara a Rodolfo, nel modo più disinvolto, la parte ch’ella ha avuto nella propria sfortuna.
Tout mon sort est venu de ce que je n'ai pas èconomisè mon argent.
Gli consiglia perciò di essere economo, e di depositare danaro alla Cassa di risparmio. La sua fantasia si diffonde nei castelli in aria che Rodolfo le costruisce. Essa ricade nella mestizia solo perchè essa
«aveva dimenticato il presente»
e
«il contrasto di questo presente con il sogno d’una gioiosa e ridente esistenza, le richiama alla memoria la crudeltà del suo stato».
Fin qui noi vediamo Fleur de Marie nella sua figura originale, non critica. Eugenio Sue si è sollevato al disopra dell’orizzonte della sua angusta concezione del mondo. Egli ha colpito in viso i pregiudizi della borghesia. Egli avrà consegnato Fleur de Marie all’eroe Rodolfo, per espiare la sua temerità per acquistarsi l’applauso di tutti gli uomini e le donne di età, della polizia generale di Parigi, della religione corrente e della Critica critica.
La signora Georges, alla quale Rodolfo consegna Fleur de Marie, è una donna infelice, ipocondriaca e religiosa. Ella accoglie la fanciulla con parole untuose, che
«Dio benedice coloro i quali lo amano e lo temono, che sono stati infelici e che si pentono».
Rodolfo, l’uomo della Critica pura, fa chiamare lo sciagurato prete Laporte, incanutito nella miscredenza. Egli è chiamato a compiere la riforma critica della Fleur de Marie.
Maria s’accosta serena e senza imbarazzo al vecchio prete. Eugenio Sue nella sua brutalità cristiana le fa subito susurrare all’orecchio: di un «istinto ammirevole» e, che la «vergogna finisce là dove comincia il pentimento e l’emenda», cioè nella Chiesa sola salvatrice. Egli dimentica la più serena disinvoltura nella gita in carrozza, una serenità che i mezzi generosi della natura e l’amichevole partecipazione di Rodolfo avevano prodotto, e che era soltanto turbata dal pensiero di dovere tornare dalla ostessa dei delinquenti.
Il piete Laporte si lancia subito in un atteggiamento sopraterreno. La sua prima parola è:
«La misericordia di Dio è inesauribile, mia cara figliuola! Egli ti ha dimostrato, non avendoti abbandonato nelle dolorosissime prove... l’uomo generoso che ti salva, ha realizzato questa parola della scrittura» – si noti bene, la parola della scrittura, non uno scopo umano «il Signore è vicino a coloro che lo chiamano; egli ascolterà il loro grido e li salverà... il Signore compirà l’opera sua».
Maria non intende ancora il senso maligno del sermone del prete. Ella risponde:
«Io pregherò per coloro che ebbero misericordia di me e mi hanno ricondotta a Dio».
Il suo primo pensiero non è Dio, ma il suo salvatore umano, ed ella pregherà per lui, non per la sua assoluzione. Ella attribuisce alla sua preghiera un’influenza sulla salute di altri. Già, essa è ancora tanto ingenua da supporre che è già tornata a Dio.
Il prete deve dileguare questa illusione eterodossa.
«Appena che – egli la interrompe – appena che meriterai l’assoluzione delle tue grandi colpe... poiché, per parlare ancora una volta col Profeta, il Signore rialza tutti coloro che sono vicini a cadere».
Non si trascuri di notare l’inumana frase del prete. Presto meriterai l’assoluzione! Non ancora ti sono stati perdonati i tuoi peccati!
Come Laporte alla ragazza nel ricevere la confessione del peccato, così il suo Rodolfo le presenta nel commiato una croce di oro, un simbolo della crocifissione cristiana, che la sovrasta.
Maria abita già da qualche tempo nella fattoria di Madame Georges. Poniamo dapprima orecchio ad un dialogo del grigio sacerdote Laporte con Madame Georges. Ei ritiene impossibile un «matrimonio» per la Maria
«perchè nessun uomo, malgrado la sua garanzia, avrà il coraggio di levare la fronte al passato che ha macchiato la sua gioventù».
Egli aggiunge che
«ella deve espiare grandi falli, il senso morale avrebbe dovuto tenerla su».
Egli dimostra la possibilità di mantenersi diritto, come il più volgare borghese: V’è gente molto benefica a Parigi! Il prete ipocrita sa benissimo che questa gente benefica di Parigi, in ogni ora, nelle strade più frequentate, passa indifferentemente dinanzi a piccole bambine da due a tre anni che fino alla mezzanotte offrono in vendita Allumettes e generi simili, come una volta aveva fatto Maria, e la cui sorte futura è quasi senza eccezione quella della Maria.
Il prete ha fatto astrazione dall’emenda di Maria; nel suo cuore essa è giudicata. Seguiamo la Fleur de Marie in una passeggiata serale con Laporte, che l’accompagna a casa.
«Vedi bimba mia» egli comincia con declamazione untuosa «l’incommensurabile orizzonte, i cui confini non si scorgono più» – difatti è di sera – «mi sembra che la pace e la sterminatezza ci dia quasi una idea dell’eternità». Io te lo dico, Maria, perchè tu sei sensibile per le bellezze della creazione... Io ero spesso commosso dell’ammirazione religiosa che esse t’infondono, a te – che per tanto tempo fosti diseredata del sentimento religioso».
È già riuscito al prete di mutare l’immediata spontanea gioia di Maria per le bellezze della natura in una contemplazione religiosa. La natura è già divenuta devota per lei, una natura cristianizzata, abbassata a creazione. La trasparente marea d'aria è profanata in oscuro simbolo di una languida eternità. Ella ha già imparato che «tutte le manifestazioni umane della sua essenza «profana» diseredate della Religione, della vera consacrazione, erano irreligiose e prive della grazia di Dio. Il prete la deve contaminare innanzi a sè stessa, deve trascinare nelle polvere le sue forze naturali e spirituali e i mezzi naturali e spirituali della Grazia, affinchè ella si renda suscettibile del mezzo soprannaturale della Grazia – del battesimo.
Come ora Maria vuol fare una confessione al prete e lo prega della indulgenza, ei risponde:
«Il Signore ti ha dimostrato che è misericordioso».
Bisogna che Maria non vegga nella indulgenza, che la tocca, un rapporto naturale, che s’intende da sè, di un essere umano affine con lei, con l’essere umano. Ella deve vedere in essa una sovrabbondante, soprannaturale, soprumana misericordia e degnazione, nella indulgenza umana una misericordia divina. Ella deve rendere trascendentale ogni rapporto umano e naturale trasformandolo in un rapporto con Dio. Il modo come Fleur de Marie nella sua risposta acconsente alla sacerdotale ciarlataneria della misericordia di Dio prova (pianto l’abbia già corrotta la dottrina religiosa.
Ella dice che non appena è entrata nel suo stato di emenda abbia provato per la prima volta la felicità.
«Ogni momento pensavo al signor Rodolfo. Spesso io levavo gli occhi al cielo non per cercare colà Dio, ma lui, il signor Rodolfo, per ringraziarlo. Si mi accuso di ciò, Padre mio; io pensavo più a lui che a Dio; perchè egli aveva fatto per me ciò che Dio solo avrebbe potuto fare.... Io ero felice, felice come chi è sfuggito per sempre ad un grande pericolo».
Fleur de Marie trova già ingiusto di avere provato un nuovo stato di felicità semplicemente per quello che è realmente, cioè di essersi comportata in esso naturalmente e non in maniera soprannaturale. Essa si accusa già di avere visto nell’uomo che l’ha salvata ciò che era realmente, il suo salvatore, e di non avere sostituito al suo posto un salvatore immaginario, Dio. Essa è già presa dalla ipocrisia religiosa che toglie all’altro uomo ciò ch’egli ha meritato da me per darlo a Dio, che in genere considera ogni cosa umana nell’uomo come a lui estranea, ed ogni cosa non umana in lui come la sua particolare proprietà.
Maria ci narra che la trasformazione religiosa delle sue idee, dei suoi sentimenti, della sua condotta nella vita sia stata operata da madama Georges e da Laporte.
«Quando Rodolfo mi condusse via dalla città, io avevo già una indistinta coscienza della mia bassezza, ma la educazione, i consigli, gli esempi che io ho ricevuto da voi e da madama Georges mi hanno persuasa... che io sono stata più colpevole che sfortunata.... Voi e madama Georges mi avete resa comprensibile la profondità infinita della mia abbiezione».
Cioè a dire, ella deve al prete Laporte e a madama Georges di avere cambiato la coscienza umana e perciò sopportabile dell'abbassamento con la coscienza cristiana e perciò insopportabile di una abbiezione infinita. Il prete e la beghina l’hanno ammaestrata a giudicare dal punto di vista cristiano.
Maria sente la grandezza della disgrazia spirituale in cui la si è piombata. Ella dice:
«Poiché la coscienza del bene e del male mi doveva riuscire tanto terribile, perchè non mi si abbandonò alla mia infelice sorte?... Se non mi si fosse strappata all’infamia, la miseria, le percosse mi avrebbero ben presto uccisa; per lo meno io sarei morta senza avere cognizione di una purezza, che io desidererò sempre invano».
Lo spietato prete risponde:
«Anche la più nobile natura, se sia caduta anche per un sol giorno nel fango dal quale la si è tolta, conserva un marchio indelebile. È questa l’invariabilità della giustizia divina».
Fleur de Marie, profondamente ferita da questa torbida e melliflua bestemmia del prete, esclama: «Vedete dunque che io debbo disperare».
L’incanutito schiavo della religione risponde:
«Tu devi disperare di poter mai strappare alla tua vita questo lato sconfortante; ma tu devi sperare nella infinita misericordia di Dio. Quaggiù per te, povera fanciulla, lagrime, pentimento, espiazione, ma lassù, un giorno, lassù perdono, eterna beatitudine!»
Maria non è ancora abbastanza cretina da farsi accontentare con l’eterna beatitudine e col perdono lassù.
«Pietà, esclama, pietà, mio Dio! Io sono ancora tanto giovane... malheur à moi! »
E l’ipocrita sofìstica del prete raggiunge il suo culmine:
«Al contrario, felice te, Maria, felice te, che il Signore ti manda i rimorsi della coscienza, pieni di amarezza, ma benefici! Essi provano la suscettibilità religiosa della tua anima... ogni tua sofferenza sarà ricompensata lassù. Credimi, Dio ti ha lasciato un momento sulla cattiva strada per riservarti la gloria del pentimento e il premio eterno che è dovuto alla penitenza».
Da questo momento in poi Maria diventa l’ancella della coscienza del peccato. Mentre essa nella situazione più sfortunata della vita si seppe formare una individualità amabile, umana, e, pur entro l’esteriore abbassamento, seppe rendersi cosciente della sua essenza umana, come della sua vera essenza, ora il fango dell'attuale società, con la quale ha soltanto un esteriore contatto, si muta per lei nella sua intima essenza; e il continuo tormentarsi ipocondriaco per questo fango diventa il dovere, l’imposizione prescritta da Dio stesso per tutta la vita, l’unico scopo della sua esistenza. Mentre essa prima si vantava:
Je ne suis pas pleurnicheuse;
mentre prima sapeva che:
Ce qui est fait est fait;
ora per lei la conpunzione diventa il bene e il pentimento la gloria.
Si scovrirà più tardi che Fleur de Marie è figlia di Rodolfo. Noi la ritroveremo principessina di Gerolstein. Noi lo origliamo in un dialogo con suo padre:
En vain je prie dieu de me délivrer deces obsessions, de remplir uniquement mon coeur de son pieux amour, de ses saintes espérances, de me prendre enfin toute entière, puisque je veux me donner tonte entière à lui... Il n'exauce pas mes voeux sane doute, parce que mes préoccupations terrestres me rendent indigne frentrer en commun avee lui.
Dopo che l’uomo ha considerato i suoi errori come un infinito delitto contro di Dio, può ora assicurarsi soltanto la liberazione e la grazia, se egli si dà interamente a Dio, se si ritira del tutto dal mondo e dagli altari del mondo. Dopo che Fleur de Marie ha appreso che la liberazione delle sua vita di abbrutimento è un miracolo divino, dovrà essa stessa diventare santa per essere degna di tale miracolo. Il suo amore umano si deve trasformare in amore religioso, l’aspirazione alla felicità in aspirazione alla beatitudine eterna, l’appagamento terreno in santa speranza, la comunanza con l’uomo in comunanza con Dio. Dio deve prenderla tutta. Ella manifesta anche il segreto perchè non la prende tutta. Ella non si è data ancora tutta a lui, il suo cuore è ancora impacciato e posseduto dalle faccende terrene. E questo l’ultimo lampo della sua buona natura. Essa si dà interamente a Dio, morendo pel mondo e andando nel monastero.
Nessuno deve andare al monastero
Tranne che non sia ben provveduto
D'un opportuno deposito di peccati
Perchè a lui o presto o tardi
Non debba mancare il piacere
Di tormentarsi col pentimento.
(GOETHE)
Nel monastero, Fleur de Marie è promossa abbadessa per gl’intrighi di Roberto. Essa si rifiuta a tutta prima dall’assumere questo posto pel sentimento della propria indegnità. La vecchia abbadessa le dice:
Je vous dirais plus, ma chère fille, avant d'entrer au berçail, votre existence aurait étè aussi égarée, qu'elle a étè au contraire pure et louable... que les vertus évangéliques, dont vouz avez donné l'exemple dépuis volte séjour iei, expireraient et racheteraient encore aux yeux du Seigneur un passé si coupable qu'il fût.
Noi vediamo dalle parole dell'abbadessa che le virtù mondane della Fleur de Marie si sono trasformate in virtù evangeliche, o piuttosto le sue virtù effettive possono apparire soltanto più evangelicamente messe in caricatura.
Maria risponde alle parole dell’abatessa:
Sainte mère je crois maintenant pouvoir accepter.
La vita del monastero non risponde all’individualità di Maria – ella muore. Il cristianesimo la consolò soltanto nell’immaginazione, ossia la sua consolazione cristiana è appunto l’annientamento della sua vita e del suo essere effettivo – la sua morte.
Rodolfo ha dunque trasformato dapprima Fleur de Marie in una peccatrice penitente, poi la peccatrice penitente in una monaca, ed infine la monaca in un cadavere. In occasione della sua morte, oltre del prete cattolico, tiene un sermone funebre anche il prete critico Szeliga.
La «innocente» esistenza di lei egli la chiama esistenza «caduca» e le contrappone la «colpa eterna ed indimenticabile».
Ei si vanta che il suo «ultimo respiro» è la «preghiera per la remissione e pel perdono». Ma come il prete protestante, dopo che ha esposto la necessità della Grazia del Signore, la partecipazione del defunto al comune peccato originale e la forza delle sua coscienza del peccato, ora con una voltata mondana deve decantare le virtù dell’estinto, così anche il signor Szeliga ha bisogno della trovata:
«Eppure personalmente non le si ha nulla a perdonare».
Egli getta infine sulla tomba di Maria i fiori appassiti della eloquenza predicatoria:
«Intimamente pura, come raramente fu mai uomo, ella chiuse gli occhi al mondo» – Amen !
Il maître d'école è un delinquente di forza erculea nella persona e della più grande energia spirituale. Egli è, di origine, un uomo educato ed istruito. Egli, l’appassionato atleta, viene in collisione con le leggi e le abitudini della società borghese, la cui misura è la mediocrità, la morale delicata e il pacifico commercio.
Egli diventa omicida e si abbandona a tutti gli stravizi d’un temperamento violento che non trova in nessun luogo una conveniente attività umana.
Rodolfo ha acchiappato questo delinquente. Ei lo vuole riformare criticamente, vuole statuire in lui un esempio per il mondo giuridico. Ei litiga col mondo giuridico non sulla pena stessa, ma sulla natura e il modo della pena. Egli scovre secondo l’espressione caratteristica del medico dei negri David una teoria della pena, che sarebbe degna del piu «grande criminalista tedesco», e che anzi d’allora in qua ha avuto la fortuna di essere difeso da un criminalista tedesco con serietà tedesca e con protondità tedesca. Rodolfo non sospetta neppure che lo si possa elevare al disopra dei criminalisti, che il suo orgoglio miri ad essere «il più glande criminalista» primus inter pares.
Rodolfo innanzi tutto ripete tutte le triviali obbiezioni alla pena di morte: che essa sia inefficace sul delinquente, che sia inefficace sul popolo al quale essa appare come uno spettacolo di trattenimento. Inoltre Rodolfo statuisce una differenza tra il maître d'école e l’anima del maitre d reale. Ei non vuole salvare l’uomo, non il reale maître d'école, ma la salute dell’anima della sua anima.
«La salute di un’anima» egli insegna «è una cosa sacra. Ogni delitto si espia e si lascia riscattare, ha detto il Salvatore, ma solo per colui che vuole seriamente l’espiazione ed il pentimento. Il passaggio dal tribunale al patibolo è breve... Tu (il maître d'école) hai abusato delittuosamente della tua forza, io paralizzerò la tua forza... Tu tremerai dinanzi ai deboli... la tua pena sarà eguale al tuo delitto... ma questa terribile pena ti lascerà per lo meno lo sterminato orizzonte dell’emenda... Io ti separo soltanto dal mondo esterno per sprofondarti in una notte senza fondo, solo col ricordo dei tuoi misfatti... Tu sarai costretto a guardare in te... la tua intelligenza che tu hai degradato, si desterà e ti condurrà al l’espiazione».
Poiché Rodolfo stima l’anima santa, ma stima profano il corpo del uomo; poiché dunque soltanto l’anima considera come il Vero, quale entità che appartiene al cielo – secondo la circonlocuzione critica che dell’umanità fa il signor Szeliga – così il corpo, la forza del maître d’ecole non appartiene all’umanità, la sua estrinsecazione essenziale non e da educare umanamente e da rivendicare all’umanità, essa non deve essere trattata che come un essere per sè stesso umano. Il maître d'école ha abusato della sua forza: Rodolfo paralizza, storpia, annienta questa terza. Non c’è nessun mezzo più critico di questo per staccare dalla forza esistenziale umana le espressioni pervertite, dell’annientamento di questa orza esistenziale. E questo il mezzo cristiano, che strappa l’occhio se occhio dà scandalo, che tronca la mano se la mano dà scandalo, che in una parola uccide il corpo se il corpo dà scandalo; perchè occhio, mano, corpo sono in verità degli ingredienti dell’uomo meramente superflui, peccaminosi. Si deve colpire a morte la natura umana per guarire le sue infermità. Anche la giurisprudenza della massa, all’unissono in questo con quella critica, trova nello storpiamento, nel paralizzamento delle forze umane l’antidoto contro le manifestazioni perturbatrici di queste forze.
Ciò che infastidisce Rodolfo, l’uomo della critica pura, nella criminalistica profana, è il troppo rapido passaggio dal tribunale al patibolo. Egli invece vuol congiungere la vendetta sul delinquente con l’espiazione e con la consapevolezza del peccato del delinquente, la pena corporale con la pena spirituale, il martirio sensibile nel martirio non sensibile del pentimento. La pena profana deve nell’istesso tempo essere un mezzo critico di educazione morale.
Questa teoria della pena, che congiunge la giurisprudenza con la teologia, questo «mistero svelato del mistero» non è altro interamente che la teoria penale della Chiesa cattolica come già Bentham ha spiegato diffusamente nella sua opera: Teoria della pena e delle ricompense. Bentham ha parimente nel citato opuscolo osservato la nullità morale delle pene odierne. Egli chiama «parodie giudiziarie» i castighi legali.
La pena che Rodolfo applica al maître d'école è la istessa pena che Origene operò su sè stesso. Egli lo smascolinizza, lo deruba di un membro di produzione, l’occhio.
«L’occhio è la luce del corpo».
Che Rodolfo pensi proprio alla cecità, è cosa che fa molto onore ai suoi istinti religiosi. E la pena che era all’ordine del giorno in tutto l’impero cristiano di Bisanzio e che fiorì nel vigoroso periodo di giovinezza dell’impero cristiano-germanico di Inghilterra e di Francia. La separazione dell'uomo dal mondo esteriore sensibile, il lanciarlo di nuovo nella sua astratta interiorità per correggerlo – l’accecamento – è una conseguenza necessaria della dottrina cristiana, secondo la quale il perfetto conseguimento di questa separazione, l’isolamento puro dell’uomo nel suo Io spirituale, è il bene stesso. Se Rodolfo, come si faceva in Bisanzio e in Francia, non ficca il maître d'école in un chiostro reale, lo ficca però almeno in un chiostro ideale, nel chiostro di una notte impenetrabile non turbata dalla luce del mondo esteriore, nel chiostro d’una coscienza inoperosa e di una coscienza del peccato che è solo popolata dai ricordi spettrali.
Un certo speculativo pudore non permette al signor Szeliga di aderire apertamente alla teoria penale del suo eroe Rodolfo, all’unione della pena mondana con il pentimento e l'espiazione cristiana. Egli gli sostituisce, al contrario – s’intende anche da sè come mistero che per la prima volta deve scovrirsi al mondo – la teoria secondo cui il delinquente deve elevarsi nella pena a «giudice» dei suoi «particolari» delitti.
Il mistero di questo mistero svelato è la teoria penale hegeliana. Secondo Hegel il delinquente, nella pena, irroga a sè stesso la condanna. Gans ha sviluppato più estesamente questa teoria. Essa è in Hegel la rinverniciatura speculativa del vecchio Jus talionis, che Kant ebbe a dimostrare come l'unica legittima teoria penale. In Hegel l’autoesecuzione del delinquente rimane una mera «Idea», una interpretazione semplicemente speculativa delle pene criminali empiriche correnti. Egli abbandona perciò il suo modus al grado di civiltà che pel momento ha lo Stato, cioè egli lascia stare la pena come sta.
In ciò appunto egli si addimostra più critico del suo pappagallo critico. Una teoria penale, che riconosca nel delinquente nell’istesso tempo l’uomo, può far ciò soltanto nell’astrazione, nella fantasia, appunto perchè la pena, la costrizione contraddicono alla natura umana. Nell’applicazione inoltre la cosa sarebbe impossibile. Al posto della legge astratta sottentrerebbe l’arbitrio puramente subbiettivo, poiché in ogni momento dovrebbe dipendere dagli uomini ufficialmente riconosciuti come «onorandi ed onesti» di regolare la pena a seconda l’individualità del delinquente. Già Platone ha avuto la convinzione che la legge deve essere unilaterale e deve astrarre dall’individualità. Nei rapporti umani invece la pena non sarà altro effettivamente che la condanna del colpevole su sè stesso.
Non lo si vorrà persuadere che una violenza esterna esercitata su lui da altri sia una violenza, che egli si sia fatta da sè. Egli piuttosto troverà negli altri uomini i naturali liberatori della pena che egli ha inflitto a sè stesso, cioè il rapporto s’invertirà addirittura.
Rodolfo esprime il suo intimo pensiero – lo scopo dell’accecamento – allorché dice al maître d'école:
Chacune de tes parolea sera une prióre.
Ei vuole insegnargli a pregare. Ei vuole trasformare l’erculeo ladrone in un monaco, tutto il lavoro del quale consiste nella preghiera. Quanto è umana la teoria penale in confronto di questa crudeltà cristiana che tronca semplicemente il capo ad un uomo, se lo vuole annientare! S’intende da sè finalmente, che la legislazione reale della massa, ogniqualvolta ebbe da fare seriamente con la correzione dei delinquenti, fu incomparabilmente più ragionevole ed umana del Harun al Raschid tedesco. Le quattro colonie agricole olandesi, le colonie penali Ostwald in Alsazia sono in verità degli esperimenti umani, di fronte all'accecamento del maître d'école. Come Rodolfo suicida Fleur de Marie, consegnandola al prete e alla coscienza dei peccati; come suicida Chourineur, rubandogli la sua autonomia umana ed abbassandolo al grado di cane molosso; così egli suicida il maître d'école estraendogli gli occhi perchè impari a «pregare».
Questo è veramente il modo come ogni realtà risulta «semplicemente» dalla critica pura, cioè come sfiguramento e come astrazione estrasensibile della realtà.
Il signor Szeliga dopo l’accecamento del maître d’ecole fa subito accadere un miracolo morale. «Il terribile maestro di scuola riconosce, a detto suo, incontanente» il potere dell’onestà e della morigeratezza; ei dice a Schurimann:
sì, io mi posso affidare a te, tu non hai giammai rubato.
Sfortunatamente Eugenio Sue ha conservato una espressione del maître d'école su Chourineur la quale contiene il medesimo riconoscimento, e non può essere in nessun modo effetto dell’acciecamento, perchè ha luogo prima di esso. Il maître d’ecole si esprime infatti nel suo tète-à-tète con Rodolfo su Chourineur con queste parole: Du reste il n’est pas capable de vendre un ami. Non; il a du bon... il a toujours eu des idèes singulières.
Il miracolo morale del signor Szeliga sarebbe con questo annientato. Consideriamo ora i reali risultati della cura critica di Rodolfo.
Noi troviamo il maître d'école dapprima in una spedizione con la Chouette nel podere di Bouqueval per fare un brutto tiro alla Fleur de Marie. L’idea che lo domina, è naturalmente l’idea della vendetta contro Rodolfo, ed egli si sa solo metafisicamente vendicare di lui, pensando e covando a suo dispetto «il male».
Il m’a ôté la vue, il ne m'a pas ôté la pensée du mal.
Egli racconta alla Chouette, perchè la fece ricercare. «Io mi annoiavo, io, del tutto solo con questa gente onesta».
Se Eugenio Sue appaga la sua voluttà monacale, la sua voluttà bestiale nell’abbassamento volontario della natura umana fino al segno che egli la implorare al maître d'école in ginocchi dinanzi alla vecchia strega Chouette e al tolletto Tortillard di non abbandonarlo, il grande moralista dimentica che egli porge alla Chouette il fiore di una voluttuosità infernale. Come Rodolfo dimostrò al delinquente la potenza della violenza fisica, che egli vuole rappresentare a lui come futile, appunto con l’accecamento violento il signor Eugenio Sue ammaestra qui più che mai il maître d’ecole della potenza della completa sensualità. Egli gli insegna a capire che senza di essa l’uomo si abbrutisce e diventa inerme zimbello delle beffe dei bambini. Ei lo persuade che il mondo ha meritato i suoi delitti, perchè basta soltanto aver perduto gli occhi per essere da esso maltrattato. Egli gli ruba l'ultima sua illusione umana, poiché il maître d'école credeva all’attaccamento della Chouette. Egli aveva detto a Rodolfo:
«Ella si farebbe gettare nel fuoco per me».
Invece Eugenio Sue gode la soddisfazione che il maître d'école esclami nella più alta disperazione:
«Mon dieu! mon dieu! mon dim!»
Egli ha imparato a «pregare». E il signor Suo trova in questo appel involontaire de la commisération divine quelque chose de providentiel.
La prima conseguenza della Critica di Rodolfo è questa preghiera involontaria. La segne subito dopo una volontaria espiazione nella fattoria di Bouqueval, ove al maître d'école appaiono in sogno gli spettri degli uccisi.
Noi sorvoliamo sulla minuta descrizione di questo sogno, per ritrovare il maître d'école criticamente riformato nella cantina della Bras Rouge, saldato in catene, mezzo rosicchiato dai topi, semi affamato, mezzo impazzito dai tormenti della Chouette e di Tortillard, muggendo come una bestia. Tortillard ha messo la Chouette nelle suo mani. Consideriamolo durante l’operazione ch’egli intraprende con lei. Egli non copia l’eroe Rodolfo soltanto esteriormente levando gli occhi a Chouette, ma anche moralmente ripetendo l’ipocrisia di Rodolfo ed ornando con frasi devote la sua crudele operazione. Non appena il maître d'école ha la Chouette in suo potere, manifesta une jote effrayante, la sua voce trema nell’accesso di rabbia... e:
Tu sens bien, egli dice, que je ne veux pas en finir tout de suite... torture pour torture... il faut que je parie longuement avant de te tuer... ça va être affreux pour toi. D’abord, vois-tu... depuis ce rève ce la ferme de Bouqueval, qui m'a remìs sous les yeux tous nos crimes, depuis ce rève, qui a manqué de me rendre fou... qui me rendra fou... il s'est passé en moi un changement étrange... J'ai cu horreur de ma férocité passé... d'dbord je ne t'ai pas permis de martyriser la goualeuse, cela n’était rien encore... en m'entraînant ici dans cette cave, en m'y faisant souffrir le froid et la faim... tout m'a laissè tout à l'épouvante de mes reflexions... Oh! tu ne sais pas ce que c'est que d'etre seul... l'isolement m'a purifié. Je ne l'aurais pas cru possible... une preuve que je suis peut-être moins scélérat qu'autrefois... cesi que j'éprouve une joie infinie à te tenir là... monstre.... non pour me venger, mais... mais pour venger nos victimes... oui, j'aurai accompii un devoir quand de ma propre main j'aurai punie ma complice... j'ai maintenant horreur de mes meurtres passés, et pourtant trouves tu pas cela bizarre! c'est sane crainte, c'est avec sécurité que je vais commettre sur toi un meurtre affreux avec des raffinements affreux... dis... dis... conçois-tu cela?
Il maître d'école percorre in queste poche parole una gamma di casuistica morale.
La sua prima espressione è una franca manifestazione del desiderio di vendetta. Ei vuol dare tortura per tortura. Ei vuole uccidere la Chouette, ei vuole prolungare il suo terrore della morte con un lungo sermone; e – deliziosa sofistica! – questo discorso con cui la tormenta è un sermone morale. Egli afferma che il sogno di Bouqueval lo ha corretto. Egli dichiara insieme la efficacia propriamente vera di questo sogno confessando che lo abbia quasi reso pazzo, che lo renderà pazzo. Come una prova della sua correzione cita il fatto ch’egli ha impedito il tormento di Fleur de Marie. Per Eugenio Sue i personaggi, prima Chourineur, ora il maître d'école, debbono esprimere la sua propria intenzione letteraria che lo induce a farli agire così e non altrimenti, come suo riflesso, come il consapevole motivo della sua azione. Essi debbono costantemente dire «D'allora in qua mi sono corretto in questo, in quest’altro, ecc.» Poiché essi non giungono ad avere alcuna vita che abbia un reale contenuto, debbono prestare con la loro lingua ai tratti insignificanti, come qui alla protezione di Fleur de Marie, delle forti tinte.
Dopo che il maître d'école ha riferito la benefica efficacia del sogno di Bouqueval, può egli dichiarare perchè Eugenio Sue lo lasciò rinchiudere in una cantina. Ei deve trovare ragionevole il procedimento del romanziere. Ei deve dire a Chouette:
Rinchiudendomi in una cantina, lasciandomi rosicchiare dai topi, facendomi soffrire la fame e la sete, tu hai compiuto la mia correzione. La solitudine mi ha purificato.
L’urlo bestiale, il furioso accesso di rabbia, le terribile sete di vendetta, con cui il maître d'école acchiappa la Chouette, urtano potentemente con questa psicologia morale. Queste cose tradiscono il carattere delle riflessioni, che lo avevano occupato nel suo carcere. Il maître d'école sembra da sè stesso capire questo, ma come un moralista critico ei saprà riconciliare le contraddizioni.
Egli spiega appunto la «sconfinata gioia» di tenere in suo potere la Chouette per un segno della sua correzione. La sua sete di vendetta non è cioè punto una sete naturale di vendetta, ma una sete morale di vendetta. Ei non vuol vendicare sè stesso, ma le vittime comuni sue e di Chouette. Se egli la uccide, non commette nessun omicidio, compie un dovere. Ei non si vendica in lei, ei punisce come un giudice imparziale la sua complice. Egli ha un raccapriccio pei suoi misfatti passati e però – egli stesso si sorprende della sua causistica – e però ei chiede a Chouette:
non trovi bizzarro che io ti uccida senza paura, tranquillamente?
Per motivi morali non denunciati nell’istesso senso ei si inebbria nella descrizione dell’omicidio ch’egli vuole commettere come di un meurtre affreux, come di un meurtre avec des raffinements affreux.
Che il maître d'école uccida Chouette, risponde al suo carattere, cioè alla crudeltà con la quale essa lo ha maltrattato. Ma che egli uccida per motivi morali, che egli interpreti moralmente la sua gioia barbara nel meurtre affreux, nei raffinements affreux, che egli confermi il pentimento dei suoi misfatti passati con un nuovo misfatto, che egli da omicida semplice sia diventato un omicida ambiguo, morale, ecco il risultato glorioso della cura critica di Rodolfo.
La Chouette procura di sfuggire al maître d'école.
Ei se ne accorge e la tiene ferma:
«Tiens-toi dono, la chouette, il faut que je finisse de t'expliquer, comment peu à peti j'en suis venu à me repentir... cette révélalion te sera odieuse... et elle te prouvera aussi, combien je dois être impitoyable dans la vengeance, que je veux exercer sur toi au nom de nos victimes... «Il faut que je me hâte.... la joie de te tenir là me fait boullir le sang.... j'aurai le temps de te rendre les approches de la mori effroyables en te foriant de m'entendre.... Je suis aveugle.... et ma pensée prend une forme, un corp pour me représenter incessamment d’une manière visible, presque palpable... les traits de mes victimes... les idées s'imagent presque matóriellement dans le cerveau. Quand au repentir se joint une expiation d'une effrayante sévèrité... une expiation qui change notre vie en une longue insomnie remplie d'hallucinations vengeresses ou de rèflexions dèsespèrées... peut-être alors le pardon des hommes succède au remord et à l’expiation.»
Il maître d'école continua nella sua ipocrisia che ogni momento si tradisce per ipocrisia. Chouette deve ascoltare, come egli sia a poco a poco giunto al pentimento. Questa rivelazione le sarà odiosa perchè dimostrerà che è suo dovere di compiere una spietata vendetta su di lei non nel suo nome, ma in nome delle loro vittime comuni. D’un tratto il maître d'école interrompo la sua lezione didattica. Ei deve, come dice, «affrettare» la sua lezione, poiché: la gioia di tenerla stretta, fa saltare il sangue nelle sue vene; una ragione morale per abbreviare la lezione. Poi calma di nuovo il sangue. Il lungo tempo, durante il quale egli le predica la morale, non è perduto affatto per la sua vendetta. Esso le «renderà terribile ravvicinarsi della morte». Altra ragione morale per continuare a filare il suo sermone! E solo dopo queste ragioni morali, può egli riprendere il suo morale dove l’aveva lasciato.
Il maître d'école descrive bene lo stato in cui l’isolamento dal mondo esterno precipita l’uomo. L’uomo pel quale il mondo sensibile diventa una mera idea, trasforma al contrario mere idee in esseri sensibili. Le fisime del suo cervello assnmono forma corporea. Entro il suo spirito si produce un mondo di spettri tangibili e sensibili. È questo il mistero di tutte le visioni dei devoti, ed è questa pure la forma generale della pazzia.
Il maître d'école, che ripete le frasi di Rodolfo sulla «forza del sentimento e dell’espiazione, collegata con spaventevoli martiri» le ripete, le ripete dunque, come uno che sia già quasi pazzo e consorva così in effetto la connessione della cristiana coscienza dei peccati con la follìa.
Quando il maître d'école considera appunto la trasformazione della vita in una notte di sogni, che è prodotta dall’influsso della cecità, come il vero risultato del pentimento e dell’espiazione, manifesta il vero mistero della Critica pura e della correzione cristiana. Essa consiste appunto nel tramutare l’uomo in uno spettro e la sua vita in una vita di sogno.
Eugenio Sue sente a questo punto quale smentita hanno le sante idee che egli fa ripetere dal ladro cieco a Rodolfo nella sua condotta verso Chouette. Egli perciò metto in bocca al maître d'école:
La salutaire influence de ces pensèes est telle que ma fureur s'apaise.
Il maître d'école ora confessa dunque che il suo furore morale non era altro che rabbia profana.
Le courage.... la force... la volonté me manquent pour te tuer... non, ce n'est pas à moi de verser ton sang... ce serait... un meurtre, – egli chiama le cose col loro nome – meurtre excusable peut-etre... mais ce serait toujours un meurtre.
La Chouette arriva a tempo a ferire il maître d'école col suo stiletto. Eugenio Sue ora non può fare che la Chouette lo uccida senza una altra casustica morale.
Il perca un cri de douleur... les ardeurs feroces de sa vengeance, de ses rages, ses instincts sanguinaires brusquement reveillés et exaspérés par cette attaque firent une explosion soudaine, terrible où s'abîma sa raison déja fortement ébranlée.. Ah vipèrei!, j'ai senti tadent... tu serait comme moi sans yeux.
Egli le cava gli occhi.
Nel momento in cui la natura del maître d'école, solo ipocriticamente, solo sofisticamente listata, e dirozzata solo asceticamente, prorompe, l'esplosione è tanto più violenta e terribile. È notevole la confessione di Eugenio Sue, secondo la quale la ragione del maître d'école attraverso tutti gli avvenimenti, che Rodolfo aveva preparati, era già fortemente scossa.
«L’ultimo raggio della sua ragione si spense in questo grido del terrore, in questo grido di un condannato (egli vede gli spettri degli uccisi): il maître d'école strepita ed urla come una bestia furiosa.. Egli trascina a morte la Chouette».
Il signor Szeliga mormora fra la sua barba:
«Col maestro di scuola non si può avere una così rapida (!) e felice (!) trasformazione come con Schurimann»
Come Rodolfo fa diventare la Fleur de Marie un’abitatrice del monastero, fa diventare il maître d'école un’abitatore del manicomio, di Bicrtre. Egli non ha soltanto paralizzato la sua forza fisica, ma anche quella spirituale. E a ragione. Perchè egli non ha peccato solo con la forza fisica, ma con la forza spirituale, e secondo la teoria penale di Rodolfo si debbono distruggere le forze peccatrici.
Ma il signor Eugenio Sue non ha ancora completati «il pentimento e la espiazione, legati ad una terribile vendetta». Il maître d'école ritorna alla ragione, ma resta a Bicètre per paura di essere consegnato alla giustizia e fa il pazzo. Il signor Sue dimentica che «ogni sua parola debba essere una preghiera» e che invece è alla fine il mugolio inarticolato e il furore di un delirante, oppure Eugenio Sue pone forse in maniera ironica ad uno stesso grado le espressioni di questa vita con la preghiera ?
La idea della pena che Rodolfo applica nell’accecamento del maître d'école, questo isolarsi dell’uomo nella sua anima separato dal mondo esteriore, questa unione della pena giuridica col tormento teologico, ha la sua applicazione più decisiva, nel sistema cellulare. Il signor Sue solennizza perciò anche il sistema cellulare.
«Quanti secoli occorsero per riconoscere che v’è un solo mezzo per sterminare la feroce lebbra che si va diffondendo, che minaccia il corpo sociale (cioè la coercizione nelle carceri): l’isolamento».
Il signor Sue comunica la convinzione della gente onesta, che spiegano la propagazione dei delitti con l’ordinamento delle carceri. Per sottrarre il delinquente alla cattiva società, essa lo abbandona alla sua propria società.
Il signor Eugenio Sue dichiara:
«Io mi stimerei felice, se la mia debole voce potesse essere ascoltata fra quelle che con così grande ragione e con così grande perseveranza spingono all’applicazione assolutamente perfetta del sistema cellulare».
Il desiderio del signor Sue è stato attuato solo in parte. Nelle discussioni della Camera dei deputati di quest'anno sul sistema cellulare dovettero anzi i difensori officiali di questo sistema confessare che esso avrebbe presto o tardi come conseguenza l’impazzire del delinquente. Tutte le pene della reclusione al di là dei dieci anni dovettero perciò essere commutate in deportazione. Se il signor Tocqueville e il signor Beaumont avessero studiato a fondo il romanzo di Eugenio Sue, essi avrebbero propugnato indubbiamente l’applicazione assolutamente completa del sistema cellulare.
Se in effetto Eugenio Sue sottrae alla società il delinquente con la ragione sana per renderlo pazzo, egli regala i pazzi alla società per restituirli alla ragione
L’expérience prouve, que pour les aliénés l'isolement est aussi funeste qu'il est salutaire pour les déténus criminels.
Se ora Eugenio Sue e il suo eroe critico Rodolfo nè con la teoria cattolica della pena nè col sistema cellulare metodistico hanno liberato il diritto di un qualche mistero, hanno all’opposto arricchito la medicina di un nuovo mistero; ed è alla fine altrettanto meritevole scovrire nuovi misteri che scovrire vecchi misteri. La Critica critica riferisce d’accordo col signor Sue sull'accecamento del maître d'école:
«Ei non crede neppure, se gli si dice, che gli si sia rubata la luce degli occhi».
Il maître d'école non poteva credere alla perdita della luce degli occhi perchè realmente egli vedeva ancora: il signor Sue descrive una nuova malattia degli occhi, ci comunica un nuovo vero segreto per la oftalmologia della massai per la oftalmologia non critica.
La pupilla è bianca dopo l’operazione. Si tratta dunque d’una nuova lente per cataratte. Ciò veramente si è potuto praticare fin qui anche per le ferite alla capsula della lente, anche passabilmente senza dolore, sebbene non senza dolore del tutto. Ma, poiché la medicina ottiene i suoi risultati colle vie naturali non per le vie critiche, non restava altro, che curare dopo la ferita l'infiammazione con la sua plastica percezione, per ottenere un rintorbidamento della lente.
Un miracolo e mistero anche più grande si ha nel terzo capitolo del terzo volume col maître d'école. Il cieco torna a vederci.
La chouette, le maître d'école et Tortillard virent le prêtre et Fleur de Marie.
Se noi non vogliamo spiegare l’importanza di questo vedere del maître d'école secondo il procedimento della «Critica dei sinotici» come un miracolo letterario, il maître d'école ha dovuto farsi operare di nuovo di cataratta. Più tardi accecherà di nuovo. Egli ha fatto uso troppo presto dei suoi occhi, l'irritazione della luce ha prodotto una infiammazione che finì con un guasto della retina ed opera una insanabile amaurosi. Che questo processo si svolge in un minuto secondo, è un nuovo mistero per la oftalmologia non critica.
L’eroe Rodolfo svela la nuova teoria, che la società si tiene in piedi mercè il premio dei buoni e il castigo dei cattivi. Considerata in modo non critico questa teoria non è altro che la teoria della odierna società. Come poco essa fa difettare il premio pei buoni e le pene pei malvagi! Contro questo mistero svelato, quanto è non critico il comunista della massa Owen, che vede nella pena e nel premio la salute della società divisa gerarchicamente e l’espressione perfetta d’una servile abbiezione.
Potrebbe apparire come una nuova scoperta che Eugenio Sue faccia discendere le ricompense dalla giustizia – da un equivalente della giustizia criminale, e scontento d’una sola giurisdizione ne inventa due. Purtroppo anche questo mistero scoverto è la ripetizione di una vecchia dottrina sviluppata largamente da Bentham nel suo sopracitato libro. Invece al signor Eugenio Sue non dev’essere contrastato l’onore di avere motivato e svolto in una maniera, senza pari più critica di Bentham, il suo progetto. Mentre l’inglese della massa resta del tutto a fior di superficie, la deduzione di Sue si solleva nella regione critica del cielo. Eugenio Sue ragiona come segue:
«Per spaventare i cattivi si materializzano le presupposte azioni della collera di Dio. Perchè non si dovrebbe materializzare e anticipare sulla terra l’azione divina in maniera analoga rapporto ai buoni?».
Secondo la veduta non critica si è invece idealizzata soltanto nella teoria criminale celeste quella terrestre, come si è nel premio divino idealizzata soltanto l’umana l’ordinaria rimunerazione umana dei servizi giornalieri.
Se la Società non ricompensa tutti i buoni, ciò è indispensabilmente necessario, perchè la giustizia divina abbia in qualche cosa prevalenza sulla umana.
Il signor Sue or dà nella dipintura della sua giustizia criticamente ricompensatnce un «esempio di quel donnesco dogmatismo» rimproverato a Flora Tristan con tutta la «serenità della conoscenza» dal Signor Edgardo «che vuole avere una formula e se la forma secondo la categoria dell’esistente». Il signor Eugenio Sue abbozza in tutti i suoi particolari di fronte alla giustizia criminale Mistente, che egli fa sussistere, un quadro corrispondente della giustizia compensatrice, che egli foggia, da copiarsi negli intimi particolari. Noi vogliamo, per la più facile intelligenza del lettore sintetizzare in una tabella la sua descrizione dell’immagine e del riscontro:
Giustizia esistente |
Giustizia da completare criticamente |
Nome: Giustizia criminale. |
Nome: Giustizia virtuosa. |
Connotati: Tien ferma in mano una spada per accorciare i cattivi verso la testa. |
Connotati: Tien ferma in mano una corona per allungare i buoni verso la testa. |
Scopo: Punizione del maligno, carcerazione, infamia, sottrazione della vita.
|
Scopo: Premio dei buoni, vitto gratuito, onore, conservazione della vita.
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Mezzo per scoprire i cattivi: Spionaggio poliziesco, spie per vigilare i cattivi. |
Mezzo per scoprire i buoni: Espionage de vertu, spie per vigilare i virtuosi. |
Decisione, se uno sia un cattivo: Les assisto du crime, Assise per il delitto. Il Pubblico Ministero segnalai delitti del l’accusato e li denunzia alla pubblica vendetta. |
Decisione, se uno sia un buono: Assises de la vertu, Assise per la virtù. Il Pubblico Ministero segnala le nobili azioni dell'accusato e lo indica alla pubblica riconoscenza. |
Stato del delinquente dopo il delitto: Egli resta sotto la sorveglianza de la haute police. Egli vien nutrito in carcere. Lo Stato fa le spese per lui. |
Stato del virtuoso dopo il giudizio: Egli è sotto la sorveglianza de la haute charitè morale. Egli viene nutrito a casa sua. Lo Stato fa le spese per lui. |
Esecuzione: Il delinquente sale il patibolo. |
Esecuzione: Proprio di fronte al patibolo di il delinquente si eleva un piedistallo sul quale sale il grand homme de bien. – Una berlina della virtù. |
Il signor Sue preso dalla visione di questo quadro esclama:
Hélas, c’est une utopie, mais supposez qu'une société soit organisée de ielle sorte!
Questa sarebbe adunque la organizzazione critica della società. Noi dobbiamo prendere formalmente le difese di questa organizzazione contro il rimprovero di Eugenio Sue ch’essa fin'ora sia rimasta una utopia. Sue ha dimenticato di nuovo il «premio della virtù» che annualmente si distribuisce in Parigi, e ch’egli stesso ha mentovato. Questo premio è anzi organizzato in doppio modo, il materiale prix Monthion per le nobili azioni degli uomini e delle donne, e il prix rosière per le ragazze più oneste. Qui non manca perfino la corona di rose propugnata da Eugenio Sue.
Per ciò che ha riguardo all’espionnage de vertu come la surveillance de la haute charité morale, essa è da lungo tempo organizzata dai gesuiti. Oltracciò il Journal des débats, il Siècle, il Petites affiches de Paris, ecc., ogni giorno a prezzo di costo segnalano e denunziano le virtù, le nobili azioni, e i meriti di tutti gli aggiotatori puro sangue, a prescindere dal segnalare e dal denunziare che fanno le nobili azioni politiche, per le quali ogni partito possiede il suo proprio organo.
Già il vecchio Voss ha notato che è migliore Omero dei suoi dei. Il «mistero svelato di ogni mistero», Rodolfo, noi possiamo renderlo responsabile perciò delle idee di Eugenio Sue. Oltracciò il signor Szeliga riferisce:
«Inoltre nei passi, coi quali Eugenio Sue interrompe il racconto, introduce ed inferisce episodi, assai numerosi e che sono tutti critica».
Il mezzo preventivo giuridico per l’abolizione del delitto e perciò dell’abbrutimento nel seno della civilizzazione consiste nella
«tutelle protettrice, che lo Stato assume dei figli dei giustiziati e dei condannati a pene perpetue».
Sue vuole organizzare più liberamente la distribuzione dei delitti. Nessuna famiglia deve possedere più un privilegio ereditario al delitto: - la libera concorrenza dei delitti deve averla vinta sul loro monopolio.
«La illegalità nello Stato» è abolita dal signor Sue mercè la riforma del code pénale nella sezione che riguarda gli abus de confiance, e ciò mercè l’istituzione di speciali avvocati dei poveri. Eugenio Sue perciò nel Piemonte, in Olanda, ecc., dove esiste l’avvocato dei poveri, trova abolita la illegalità nello Stato. La legislazione francese è difettosa solo pel fatto che non stipendia l’avvocato dei poveri, non è fondata esclusivamente sulla insolvibilità dei poveri, e il limite legale della povertà è troppo angusto. Come se la illegalità non cominci proprio precisamente nel processo stesso, e come se in Francia non si sapesse già da molto tempo che il diritto non offre nulla, ma soltanto sanziona ciò che esiste. La differenza ormai diventata triviale del droit e del fait sembra al romanziere critico che sia rimasta un mystère de Paris.
Si aggiungano alla scoverta critica dei misteri giuridici anche le grandi riforme, che Eugenio Sue vuole fare degli uscieri, e si capirà il giornale parigino «Satana». Esso fa scrivere da un quartiere della città a quel grand reformateur à tant la ligne che le sue strade difettino ancora di luce a gas. Il signor Sue risponde che egli ha nel sesto volume del suo Juif errant rimediato a questo inconveniente. Un altro quartiere si lagna del difettoso insegnamento primario. Egli promette di eseguire la riforma dell’insegnamento primario di quel quartiere nel decimo volume del suo Juif errant.
«Rodolfo non riman fermo al suo sublime (!) punto di vista... egli non bada a fastidi per guadagnare di libera elezione il punto di vista di destra e di sinistra, di su e di giù...» Szeliga.
Un mistero capitale della Critica critica è il punto di vista, e la decisione del punto di vista del punto di vista. Ogni uomo, come ogni prodotto spirituale si muta per lei in un punto di vista.
Non v'ha nulla di più facile che arrivare a penetrare il mistero del punto di vista allorché si è considerato il mistero generale della Critica critica, di riscaldare di nuovo il vecchio cavolo speculativo.
Innanzi tutto si esprima la Critica stessa per la bocca del patriarca, del signor Bruno Bauer, sulla teoria del punto di vista.
«La scienza» non ha avuto mai da fare con questi individui particolari o con questo determinato punto di vista... Essa non lo farà veramente mancare ed abolirà le barriere di un punto di vista se ne vale la pena e se questo limite ha una importanza realmente umana; ma essa lo comprende come categoria pura e determinazione dell’auto-coscienza, e parla perciò solo per coloro che hanno l’arditezza di elevarsi all’universalità dell’auto-coscienza, cioè che non vogliono rimanere in quel limite ad ogni costo (Anekdota, T. Il, p. 27).
Il mistero di questa arditezza è la Fenomenologia hegeliana. Poiché Hegel qui pone l’auto-coscienza al posto dell’uomo, la realtà umana più svariata appare soltanto come una forma determinata, come una determinazione dell’auto-coscienza. Ma una mera determinazione dell’auto-coscienza è una categoria pura, un semplice «pensiero» che io perciò posso abolire anche nel puro «pensiero» e che posso superare col puro pensiero.
Nella Fenomenologia di Hegel sono state lasciate le basi materiali, sensuali, oggettive delle diverse forme straniate dell’auto-coscienza, e tutta l’opera distruttiva ebbe per risultato la filosofia più conservatrice, perchè egli pensa di aver superato il mondo oggettivo, il mondo reale sensibile, non appena egli lo ha trasformato in una «cosa ideale», in una mera determinazione dell’auto-coscienza e può risolvere ora l’avversario diventato etereo in «etere della pura idea». La Fenomenologia finisce perciò conseguentemente col porre al posto di ogni realtà umana l’«assoluto sapere»: — sapere, perchè questa è l’unica maniera di esistere dell’auto-coscienza e perchè l’auto-coscienza ha valore per l’unico modo di esistere dell’uomo; — sapere assoluto appunto, perchè l’auto coscienza sa soltanto sè stessa, e non si dà fastidio più di nessun mondo obbiettivo. Hegel muta l’uomo in uomo dell’auto-coscienza, invece di mutare l’auto-coscienza in auto-coscienza dell’uomo, dell’uomo reale epperciò vivente anche nel mondo reale obbiettivo e condizionato da esso. Ei pone il mondo sulla testa e può perciò anche nella testa eliminare tutti i limiti, con che naturalmente essi continuano ad esistere per il cattivo senso, per gli uomini reali. Oltracciò per lui in modo necessario vale come limite, ciò che tradisce la limitatezza dell’auto coscienza generale, ogni sensibilità, realtà, individualità dell’uomo, come del loro mondo. Tutta la Fenomenologia vuol provare che l’auto-coscienza è l’unica e sola realtà.
Il signor Bauer ha in tempo più recente ribattezzato il sapere assoluto in Critica, e la determinatezza dell’auto-coscienza nel profano e sonante punto di vista. Negli Anekdota sono ancora confusi entrambi i nomi, e il punto di vista è cementato ancora con la determinatezza dell’autocoscienza.
Poiché il «mondo religioso quale mondo religioso» esiste soltanto come il mondo dell’auto coscienza, così il critico critico non può — teologo ex-professo — arrivare all’idea che vi sia un mondo, in cui la coscienza e l’essere sono distinti, un mondo che prima come dopo resta fermo se io abolisco semplicemente la sua esistenza ideale, la sua esistenza come categoria, come punto di vista, cioè se io modifico la mia propria coscienza subiettiva, cioè senza mutare la realtà obbiettiva in maniera realmente obbiettiva, cioè senza mutare la mia propria realtà obbiettiva, quella mia e degli altri uomini. La mistica identità speculativa dell’essere e del pensiero si riflette perciò nella Critica come l’identità ugualmente mistica della prassi e della teoria. Di qui il suo rancore contro la prassi, la quale voglia essere qualcosa di diverso della teoria e contro la teoria, la quale voglia ancora essere qualcosa di diverso della risoluzione di una determinata categoria nella «illimitata generalità dell’auto-coscienza». La sua propria teoria si limita a spiegare tutto il determinato come un’antitesi con l’illimitata universalità dell’auto-coscienza, ossia a dichiararlo nulla, come per esempio lo Stato, la proprietà privata, ecc. Deve invece essere dimostrato come Stato, proprietà privata, ecc., trasformano gli uomini in astrazioni, ossia sono prodotti dell’uomo astratto, invece di essere la realtà degli uomini individuali, concreti.
S’intende infine da se stesso che mentre la Fenomenologia di Hegel, malgrado il suo peccato originale speculativo, offre in molti punti gli elementi di una caratteristica effettiva dei rapporti umani, il signor Bruno e consorti invece offrono solamente la vuota caricatura, una caricatura la quale si accontenta di togliere qualunque determinatezza ad un prodotto spirituale oppure anche a rapporti e movimenti reali, di trasformare questa determinatezza in determinatezza ideale, in una categoria e di spacciare questa categoria pel punto di vista del prodotto del rapporto e del movimento, per potere ora trionfantemente guardare con la sua saccenteria questa determinatezza dall’alto del suo punto di vista dell’astrazione, della categoria generale, dell’auto-coscienza generale.
Come per Rodolfo tutti gli uomini si classificano dal punto di vista del bene e del male e si giudicano alla stregua di tutte e due queste idee fisse, così per il signor Baner e consorti dal punto di vista della critica o della massa. Ma entrambi mutano degli uomini reali in un punto di vista astratto.
Fin qui Rodolfo ha saputo soltanto premiare a suo modo i buoni e punire a suo modo i cattivi. Noi «lo vedremo» ora in un esempio mettere a profitto le passioni e dare al «bel naturale della Clemence d’Harville un adeguato sviluppo».
«Rodolfo - dice il signor Szeliga - la rimanda al lato divertente della beneficenza».
Un’idea, che può discendere da una cognizione umana derivata dall’intimo passato di Rodolfo.
L’espressione della quale si serve Rodolfo nel trattenimento con Clemence:
faire attrayant, utiliser le goût naturel, regler l'intrigue, utiliser les penchants à la dissimulation et à la ruse, changer en qualités géné- reuses des istincts imperieux, inaxorables, etc.,
queste espressioni appunto, più degli istinti stessi che sono qui in modo distinto ascritti alla natura umana, tradiscono la segreta sorgente del sapere di Rodolfo: Fourier. Gli è caduta fra mani una esposizione popolare della dottrina fourierista.
L’applicazione è tanto la proprietà critica di Rodolfo quanto lo è lo svolgimento della teoria di Bentham. La giovane marchesa non nella beneficenza come tale deve trovare una sodisfazione del suo essere umano, un contenuto umano e uno scopo dell’attività, epperciò un trattenimento. La beneficenza offre piuttosto soltanto il motivo esteriore, solo il pretesto, solo la materia ad una specie di divagazione, che potrebbe appunto fare adeguare l’altra materia al suo contenuto. La miseria viene con coscienza sfruttata per procurare al benefattore
«il piccante del romanzo, sodisfazione della curiosità, dell'avventura, travestimenti, godimento della propria squisitezza, scosse di nervi e simiglianti».
Rodolfo ha con ciò manifestato inconsciamente il motivo da lungo tempo svelato, che la miseria umana medesima e che la infinita abiezione, che deve ricevere l’elemosina, deve servire di spasso all’aristocrazia del danaro e della cultura, a sodisfare il proprio amor proprio, a stuzzicare la propria petulanza, a scopo di divertimento. Le molte leghe di beneficenza in Germania, le molte società di benefattori in Francia, le numerose Don Chisciottate di beneficenza in Inghilterra, i concerti, balli, spettacoli, pranzi pei poveri, e anche le pubbliche sottoscrizioni per gli infortunati non hanno altro significato. In questo modo sarebbe adunque la beneficenza organizzata come trattenimento già da lungo tempo.
La subitanea inesplicabile trasformazione della marchesa alla semplice parola «divertente» ci fa dubitare della durevolezza della sua cura, ossia piuttosto questa trasformazione è soltanto in apparenza subitanea e inesplicabile, solo in apparenza agisce mediante la prospettiva della charité come un divertimento. La marchesa ama Rodolfo, e Rodolfo si vuole travestire, intrigare e spogliare nelle avventure di beneficenza. Più tardi in una visita di beneficenza della marchesa nel carcere di Saint Lazare viene fuori la sua gelosia per Fleur de Marie e per fare la beneficenza alla sua gelosia ella tace a Rodolfo la detenzione di Maria. Ma, nel caso migliore a Rodolfo è riuscito di insegnare a recitare ad una donna sfortunata una insulsa comedia con essenza sfortunata. Il mistero della filantropia da lui creato, lo tradì quel dandin di Parigi, che invitava la sua dama al desinare dopo il ballo con le seguenti parole:
Ah madame! ce n'cst pas assez d'avoir dansé au bénéfice de ces pauvres Polonais... soyons philantropes jusqu'au bout... allons souper maintenant au profit des pauvres!
In occasione dell’arresto di Luisa Morel, Rodolfo mette avanti delle riflessioni, le quali si riassumono così:
«Il padrone corrompe spesso la serva sia con l’intimidazione, sia di sorpresa, sia profittando delle altre circostanze che la natura dei rapporti di servitù reca con sè. Egli la precipita nella infelicità, nell’ignominia, nel delitto. La legge resta estranea a quest’evento... Il delinquente che ha costretto effettivamente la serva all’infanticidio non viene punito».
Le riflessioni di Rodolfo non si estendono nemmeno tanto ampiamente da sottoporre i rapporti stessi del servizio alla sua critica da Altezza Serenissima. Come piccolo Sovrano egli è un gran fautore del mantenimento della servitù.
Ancora meno Rodolfo arriva a comprendere la posizione generale della donna nella società moderna come inumana. Fedele interamente alla sua teoria fin qui professata, non osa proporre altro che una legge che punisca il seduttore ed unisca il pentimento e l’espiazione con castighi terribili.
Rodolfo avrebbe dovuto guardarsi intorno nelle legislazioni presenti delle altre nazioni. La legislazione inglese adempie tutti i suoi desiderii. Essa va tanto oltre nella sua delicatezza, che è rilevata orgogliosamente da Blackstone, da dichiarare per colpevole di fellonia anche quegli che seduce una prostituta.
Il signor Szeliga strombetta: «Questo! - pensa! - Rodolfo! - ed ora sostiene questa idea contro le vostre fantasie dell’emancipazione della donna. Il fatto di questa emancipazione è da loro quasi toccata con mano, mentre voi in origine siete troppo pratici e tante volte siete vittime perciò dei vostri semplici tentativi».
In ogni caso si deve esser grati al signor Szeliga della scoverta del mistero che un fatto può esser tratto quasi con mano dall’idea... Per ciò che la sua buffa immagine di Rodolfo riguarda gli uomini che hanno insegnato l'emancipazione della donna, si paragoni in qualche modo l’idea di Rodolfo con le seguenti fantasie di Fourier:
«Adulterio, seduzione fanno onore al seduttore, sono di buon tono... Ma povera ragazza! l’infanticidio, quale delitto! Se essa tiene all’onore deve distruggere la traccia del disonore, e se essa sagrifica il suo bambino ai pregiudizii del mondo, allora è anche più svergognata e cade sotto i pregiudizii della legge... Questo è il circolo vizioso che descrive ogni meccanismo civilizzato».
«La figliuola nubile non è essa una merce offerta in vendita al migliore offerente, che vuole acquistare pagando la proprietà esclusiva di questa fanciulla?... De mème qu'en grammaire deux négations valent une affirmation, l’on peut dire qu'en negoce conjugale deux prostitutions valent une vertu».
«La mutazione di un’epoca storica si commisura sempre dal rapporto progressivo della donna alla libertà, perchè qui nel rapporto dell’uomo alla donna, del debole al forte, appare nel modo più evidente la vittoria della natura umana sulla brutalità. Il grado dell’emancipazione femminile è la misura naturale della emancipazione generale».
«L’abbassamento del sesso femminile è un tratto caratteristico essenziale della civilizzazione come della barbarie, solo con la differenza che l'ordine civilizzato eleva ogni vizio, che la barbarie usa in una maniera semplice, ad un'esistenza complessa, ambigua, dubbia, ipocrita. Tal pena, per tenere la donna in schiavitù, non colpisce nessuno più profondamente dell'uomo stesso». (Fourier).
È superfluo di opporre ancora all’idea di Rodolfo la maniera degna della massa con la quale Fourier caratterizza il matrimonio, come gli scritti della frazione materialistica del comunismo francese.
I mesti avanzi della letteratura socialistica, come devono trovarsi nel romanziere, discoprono sempre più alla Critica critica «misteri» ignoti.
Prima scoverta: La ricchezza conduce spesso allo sciupìo, lo sciupìo alla ruina.
Seconda scoverta: Le conseguenze ora descritte della ricchezza sorgono da un difetto di istruzione nella gioventù ricca.
Terza scoverta: L’eredità e la proprietà privata sono e debbono essere inviolabili e sacre.
Quarta scoverta: Il ricco deve rendere conto moralmente ai lavoratori dell’applicazione del suo patrimonio. Un grande patrimonio è un deposito ereditario —, un feudo —, affidato a mani accorte, ferme, abili, coraggiose, che sono anche incaricate di renderlo fruttifero e di impiegarlo in maniera che tutto ciò che ha la fortuna di trovarsi nel dominio dell’irradiazione splendente e salutare del grande patrimonio è fecondato, avvivato, migliorato.
Quinta scoverta: Lo Stato deve fornire alla gioventù ricca inesperta i rudimenti dell’economia individuale. Deve moralizzare il possesso.
Sesta scoverta: Finalmente lo Stato deve ingerirsi della enorme questione della organizzazione del lavoro. Egli deve dare il salutare esempio dell’associazione dei capitali e del lavoro, e più propriamente d’una associazione, che sia onesta, intelligente, giusta, che assicuri il benessere dei lavoratori, senza nuocere al possesso dei ricchi, che stabilisca fra queste due classi vincoli d’affezione e di riconoscenza ed assicuri con questo mezzo per sempre la tranquillità dello Stato.
Poiché lo Stato frattanto non aderisce ancora a questa teoria, Rodolfo stesso dà alcuni esempi pratici. Essi scopriranno il mistero che i più ovvii rapporti economici sono rimasti dei «misteri» per il signor Sne, pel signor Rodolfo e per la Critica critica.
Rodolfo fonda una banca dei poveri. Gli statuti di questa critica banca dei poveri sono i seguenti:
Essa deve soccorrere gli onesti lavoratori, che abbiano famiglia, durante il periodo di disoccupazione. Essa deve sostituire l’elemosina e le agenzie di pegno. Essa dispone di un reddito annuo di 12,000 franchi e fa dei mutui di 20 fino a 40 franchi senza interessi. Essa estende la sua influenza dapprima al settimo arrondissement di Parigi, ove abita la maggior parte degli operai. I lavoratori e le lavoratrici, che fanno appello al soccorso, debbono essere portatori di un certificato che è rilasciato dal loro ultimo padrone, garantisce la loro buona condotta e notifica la causa e la data dell’interruzione del loro lavoro. Questi prestiti sono restituiti mensilmente, in ragione del sesto o dodicesimo secondo la scelta del prestatore, dal giorno in cui ha trovato di nuovo occupazione. Come garanzia del prestito basta l’obbligazione sulla propria parola. Due altri operai debbono inoltre prestare garanzia per la parole jurée del prestatore. Perchè lo scopo critico della banca dei poveri consiste nel portar rimedio alla più grave disgrazia della vita dei lavoratori, la sospensione del lavoro, i soccorsi dovrebbero spettare esclusivamente ai lavoranti disoccupati. Il signor Germain che amministra questo istituto, percepisce uno stipendio annuo di 10,000 franchi.
Gettiamo ora uno sguardo di massa sulla prassi della economia politica critica. Il reddito annuo ammonta a 12,000 franchi. I soccorsi ammontano per ogni persona da 20 a 40, cioè in media a 30 franchi. La cifra degli operai ufficialmente riconosciuti come «miseri» nel settimo arrondissement ammonta per lo meno a 4000. Potrebbero dunque esserne soccorsi annualmente 400, cioè la decima parte degli operai indigenti del settimo arrondissement.
In Parigi è poco se riduciamo la cifra media del periodo di disoccupazione a 4 mesi (fissato a una ragione molto meschina), cioè a 16 settimane. 30 franchi divisi in 16 settimane, sono qualche cosa meno di 37 soldi e 3 centesimi per settimana, ciò che significa neppure 37 centesimi al giorno. La spesa giornaliera per un singolo carcerato ammonta in Francia in media a qualcosa più di 47 centesimi, dai quali si devono togliere soltanto più di 30 centesimi pel vitto. Ma il lavoratore, che il signor Rodolfo protegge, ha famiglia. Calcolando che la famiglia oltre il marito e la moglie abbia 2 figli, restano da ripartirsi 27 centesimi fra 4 persone. Togliendo da ciò l’abitazione - un minimo di 15 centesimi al giorno - restano 12 centesimi. Il pane che un solo carcerato consuma in media, costa circa 14 centesimi. Il lavoratore con la famiglia, dunque, trascurando tutti gli altri bisogni, con il soccorso della critica banca dei poveri non potrà comprare neppur la quarta parte del pane necessario, e dovrà toccargli una sicura morte per fame, se egli non suole cercare scampo in quei mezzi, che questa (Banca) del lavoro vuol prevenire, nell’agenzia di pegni, nella mendicità, nel furto e nella prostituzione.
In maniera tanto più splendida l’uomo della spietata critica provvede all’amministratore della banca dei poveri. Il reddito amministrato ammonta a 12,000, lo stipendio dell'amministratore a 10,000. L’amministrazione costa così il 45 per cento, presso a poco il sestuplo dell’amministrazione dei poveri di Parigi, degna della massa, che costa circa il 17 per cento.
Ma anche assumendo ora per un momento che il soccorso che la banca dei poveri garantisce sia un soccorso reale non meramente illusorio, l’istituzione del motivo svelato di tutti i motivi poggia sulla follia che occorra soltanto una diversa distribuzione del salario perché il lavoratore possa con esso vivere l’intero anno.
Per parlare in senso prosaico, il reddito di 7,500,000 lavoratori francesi ammonta a 91 franco per testa, il reddito di altri 7,500,000 lavoratori francesi ammonta solo a 120 franchi a testa: dunque già per 15,500,000 operai meno di ciò che è assolutamente necessario alla vita.
L’idea della banca critica dei poveri si riduce a ciò — se è concepita del resto in maniera ragionevole — che al lavoratore durante il periodo in cui è occupato deve esser tolto tanto di salario quanto occorra per farlo vivere in tempo di disoccupazione Se io gli anticipo una data somma di denaro nel periodo della disoccupazione, ed egli me la restituisce nei periodo del lavoro, o se io mi ritengo da lui nel periodo in cui è occupato, una data somma e gliela restituisco, nel periodo di disoccupazione, è sempre la medesima cosa. Egli mi dà pur sempre nel periodo di lavoro ciò che egli ottiene da me nel periodo di disoccupazione.
La banca dei poveri «pura» si distingue perciò dalle casse di risparmio proprie della massa, solo per queste due qualità originalissime, criticissime: in primo luogo che la banca presta il suo denaro a fondo perduto, nel folle presupposto che il lavoratore possa restituire quando voglia, e che voglia sempre restituire quando possa; — in secondo luogo; poi che la banca non paghi nessun interesse per le somme depositate dai lavoratori. Poiché la somma depositata si presenta nella forma di anticipo, la banca ne fa già una grossa quando non piglia essa stessa nessun interesse dai lavoratori.
La critica banca dei poveri si distingue dunque dalle casse di risparmio proprie della massa pel fatto che il lavoratore perde i suoi interessi e la banca il suo capitale.
Rodolfo fonda una economia modello in Bouqueval. Il luogo è tanto più felicemente scelto che esso si allieta ancora di ricordi feudali - cioè di un château seigneurial.
Ognuno dei lavoratori maschi, che sono occupati in questa affittanza ottiene 150 écus o 450 franchi, di salario annuo, e ciascuna delle lavoratrici 60 écus ossia 180 franchi. Essi hanno oltracciò il pasto gratis e l’abitazione gratis. L’abituale pasto quotidiano della gente di Bouqueval si compone di un «formidabile» piatto di prosciutto, di un non meno spaventevole piatto di carne di montone e finalmente di un non meno volgare pezzo di carne di vitella, ai quali si aggiungono come piatti secondarii due insalate d’inverno, due grossi caci, pomi di terra, limoni, ecc. Ognuno dei sei lavoratori maschili lavora due volte di più dell’ordinario giornaliero di campagna francese.
L’intera somma del reddito annualmente prodotto dalla Francia ammonterebbe, in media, se fosse ripartita in modo eguale a soli 93 franchi e la cifra degli abitanti immediatamente occupati nei lavori campestri ammonta ai due terzi della popolazione totale: si può perciò concludere quale rivoluzione non solo nella ripartizione ma anche nella produzione della ricchezza nazionale recherebbe con sè l’imitazione della economia modello del Kaliffo tedesco.
In conseguenza di ciò Rodolfo ha ottenuto questo enorme accrescimento della produzione facendo lavorare ogni lavoratore il doppio di quanto si lavorasse finora e facendogli consumare sei volte tanto.
Poiché il contadino tedesco è diligentissimo, gli operai che lavorano il doppio debbono essere degli atleti sovrumani, di che anche i «formidabili» piatti di carne ce ne fanno avvertiti. Noi potremo dunque supporre che ciascuno di questi sei operai cousuma giornalmente per lo meno una libbra di carne.
Se tutta la carne che si produce in Francia fosse distribuita ugualmente, non toccherebbe neppure un quarto di libbra di carne a testa ogni giorno. Si vede dunque quale rivoluzione anche per questo aspetto scatenerebbe il modello di Rodolfo. La popolazione campagnuola consumerebbe da sola più carne di quanto si produca in Francia, sicché la Francia eleverebbe con questa riforma critica l'allevamento di tutto il bestiame.
La quinta parte del reddito lordo che Rodolfo, secondo ne riferisce l’amministratore di Bouqueval, il padre Chatelain, fa venire fuori dall'alto salario e dal vitto lussurioso dei lavoratori, non è altro che la sua rendita fondiaria. Si ritiene dunque secondo un calcolo medio che in generale, sottraendo tutti i costi di produzione e i lucri per il capitale di esercizio, resta una quinta parte del reddito lordo per il proprietario fondiario francese, cioè la sua quota di reddito ascende ad un quinto del reddito lordo. Sebbene ora Rodolfo senza dubbio diminuisca sproporzionatamente il lucro del proprio capitale di esercizio elevando la spesa per gli operai sproporzionatamente — secondo Chaptal (De l'industrie francaise, I, 239) il prezzo medio dell’introito annuo del contadino francese è di 120 franchi, — sebbene doni tutta la sua rendita fondiaria agli operai, padre Chatelain riferisce però che Monseigneur con questo metodo elevi la propria entrata e di guisa tale da infervorare gli altri proprietari critici di terra ad una economia somigliante.
L'economia modello di Bouqueval è un’apparenza semplicemente fantastica; il suo fondo più riposto non è la terra e il suolo di Bouqueval, ma è la favolosa borsa di Fortunatus di Rodolfo!
La Critica critica strepita: «Si vede a prima vista dando uno sguardo a tutto il piano, che esso non è affatto utopia». Soltanto la critica critica può parere a prima vista alla borsa di un Fortunato che non è utopia.
La «prima vista» critica è la «mala vista».
Il mezzo miracoloso, col quale Rodolfo opera tutte le sue soluzioni e le sue cure meravigliose, non consiste nelle sue belle parole, ma nel suo danaro contante. Tali sono i moralisti, dice Fourier. Si deve essere un milionario per potere imitare i loro eroi.
La morale è la impuissance, mise en action. Ogni qualvolta combatte un vizio, essa soccombe. E Rodolfo non si eleva nemmeno al punto di vista della morale indipendente, che almeno poggia sulla coscienza delle dignità umana. La sua morale si appoggia invece sulla coscienza dell’umana debolezza. È la morale teologica. Noi abbiamo seguito fin nei particolari le gesta eroiche che egli compie con le sue idee fisse, con le sue idee cristiane, alla cui stregua giudica il mondo, con la charité, il dévouement, l’abnégation, il repentir, i bons e i méchants, la récompense e la punition, i châtiments terribles, l'isolement, le salut de l'àme, ecc., e le abbiamo dimostrate delle buffonate. Ora qui dobbiamo solamente trattare ancora del personale carattere di Rodolfo, il «mistero svelato d’ogni mistero» ossia il mistero svelato della Critica pura.
L’antitesi del «buono e del cattivo» viene incontro al critico Ercole ancor giovinetto in due personificazioni: Murph e Polidori sono tutteddue maestri di Rodolfo. Il primo lo educa al bene, ed è «il buono». Il secondo lo educa al male ed è «il cattivo». Perchè questa concezione non ceda proprio per nulla in trivialità alle simili concezioni degli altri romanzi morali, occorre che il «buono» Murph, non sia savant, non sia «particolarmente» di spirito distinto. Invece egli è onesto, semplice, monosillabico, si fa grande con le sillabe: vergognoso, abbietto contro il cattivo, ed ha un horreur per ciò che è basso. Ei mette, per parlare con Hegel, nel modo più onesto la melodia del buono e del vero nell’equazione del tono, cioè in una nota.
Polidori invece è un miracolo di saggezza, di sapere e di educazione ed e inoltre della immoralità più pericolosa. Specialmente egli possiede ciò che Eugenio Sue come membro della giovane borghesia devota di Francia non poteva dimenticare: le plus effrayant scepticisme. Si può giudicare della cultura ed energia spirituale di Eugenio Sue e del suo eroe dal terror panico per lo scetticismo.
«Murph» dice il signor Szeliga «è nell’istesso tempo il debito reso eterno del tredici gennaio, e l'eterna estinzione di questo debito mercè impareggiabile amore e devozione per la persona di Rodolfo».
Come Rodolfo e il deus ex machina e l’intermediario del mondo, Murph è a sua volta il deus ex machina personale e l’intermediario di Rodolfo.
«Rodolfo e la salute dell’umanità, Rodolfo e la realizzazione della perfezione essenziale dell’uomo» ecco una indissolubile unità per Murph, una unità alla quale egli non crede con la sciocca dedizione da cane dello schiavo, ma consapevolmente e indipendentemente».
Murf dunque è uno schiavo illuminato, consapevole e indipendente. Ei personifica, come ogni servitore di principe, il suo signore con la salute dell’umanità. Graun lusinga il Murph con questo titolo:
intrèpide garde du corps.
Rodolfo stesso lo chiama il modéle d’un valet, ed egli è realmente un servo modello. Egli era puntualissimo, come riferisce Eugenio Sue, nel chiamare Rodolfo in tète-à-tète col suo titolo di Monseigneur. Fra gli estranei egli a causa dell’incognito lo chiama Monsieur con le labbra, ma col cuore Monseigneur.
«Murph solleva il velo dei misteri, ma solo per volere di Rodolfo. Egli si adopera nel lavoro di sfatare la potenza dei misteri».
Quanto fitto sia il velo che covre a Murph la più semplice condizione del mondo, si può giudicare dal suo trattenimento con l’ambasciatore Graun. Inducendo dalla autorizzazione alla legittima difesa in caso di necessità egli conclude che Rodolfo abbia dovuto accecare il maître d’ecole incatenato o indifeso come giudice del tribunale segreto. La sua descrizione, come Rodolfo farà raccontare dinanzi alle assisi le sue nobili azioni, sciorinare e sgorgare dal suo gran cuore frasi declamatorie, è degna d’un alunno di ginnasio, che proprio allora abbia letto i Masnadieri di Schiller. L’unico mistero che Murph dovea risolvere al mondo è se egli ha insudiciato il volto con la polvere di carbone o col colore nero quando faceva il charbonnier.
«Gli angeli appariranno e separeranno i buoni dai cattivi» (Matt. 13, 49).
«Tribolazioni e spavento nelle anime degli uomini, che operano il male; ma premio ed onore e pace a tutti coloro che operano il bene. (Paolo, Rom 8, 7)»
Rodolfo si muta egli stesso in tale angelo. Egli viene al mondo per separare il cattivo dal giusto, per punire i malvagi, per compensare i buoni. L'idea del cattivo e del buono si è impressa nel suo debole cervello in modo che egli crede in Satana in carne ed ossa, e vuole acchiappare il diavolo vivo, come già una volta il professor Sack in Bonn. D’altro lato, egli procura, all’opposto, di copiare in piccolo l’antitesi del diavolo, e Dio. Egli ama de jouer un peu le róle de la providence. Come in realtà, tutte le distinzioni si riassumono nella distinzione fra il povero e ricco; così tutte le distinzioni aristocratiche nell’idea, si risolvono in antitesi di bene e di male. Questa distinzione è l’ultima forma che l’aristocratico dà ai suoi pregiudizi. Rodolfo si presume da sè stesso come un buono ed i cattivi esistono soltanto per assicurargli il godimento personale della propria superiorità. Consideriamo il «buono» un poco più davvicino.
Il signor Rodolfo esercita la beneficenza e la prodigalità presso a poco come il Califfo di Bagdad nelle Mille ed una notte. È impossibile che egli continui questo modo di vivere senza succhiare fino all’ultima stilla come un vampiro il suo piccolo staterello tedesco. Secondo un particolare riferimento di Eugenio Sue egli sarebbe passato tra i principi tedeschi medìatizzati se non lo avesse salvato la protezione di un marchese francese dalla non spontanea abdicazione. La grandezza del suo dominio deve tassarsi secondo questa dichiarazione. Quanto Rodolfo giudichi cristianamente i suoi propri rapporti, si può scorgere inoltre da ciò che il piccolo serenissimo tedesco crede di dovere conservare un mezzo incognito per non richiamare l’attenzione. Egli conduce veramente con sè un cancelliere per il motivo critico che, gli mostri le cóté théatral et puéril du pouvoir souverain, come se un piccolo serenissimo abbia necessità all’infuori di sè stesso e del suo specchio ancora d’un terzo rappresentante del lato teatrale e puerile del potere sovrano. Rodolfo ha saputo indurre i suoi uomini nella medesima persuasione critica. Così il servo Murph e l’ambasciatore Graun non osservano come l'homme d'affaires parigino Badinot li canzoni quando si dà l'aria di reputare i suoi incarichi privati come faccende di Stato, quando sarcasticamente chiacchiera di rapports occulte, qui peuvent exister entre les intéréts lea plus diverses et les destinés des empires: Egli — riferisce l’ambasciatore di Rodolfo - ha avuto l’impertinenza di dirmi parecchie volte:
«Quante complicazioni, ignote al popolo, nel governo di uno Stato! Chi direbbe che le note che io, signor barone, le comunico, hanno senza dubbio la loro parte d’influenza sul corso degli affari europei?»
L’ambasciatore e Murph non trovano l’impudenza nell’attribuire che si fa loro un’influenza sulle faccende europee, ma nel fatto che Badinot idealizzi in tal guisa la sua bassa vocazione.
Rievochiamoci dapprima una scena della vita famigliare di Rodolfo. Rodolfo racconta a Murph, che
«egli si trova nei momenti del suo orgoglio e della sua felicità».
Subito dopo egli si adira perchè Murph non vuole rispondere ad una sua domanda.
Je vous ordonne de parler.
Murph non vuol farsi comandare. Rodolfo gli dice:
Je n'aime pas les réticences.
Egli si dimentica di sè stesso fino a lasciarsi andare alla volgarità di accennare a Murph ch’egli lo paga al pari di tutti i suoi servi. Il ragazzo non si tranquillizza fino a che Murph non gli abbia ricordato il tredici gennaio.
Dopo di ciò la natura servile di Murph, che per un momento si era dimenticata, si impone. Egli si strappa i «capelli» che fortunatamente non possiede: egli è perplesso, che abbia lasciato quasi rauco il suo alto signore, il quale lo chiama «il modello di un servo» che lo chiama «il suo buono, il suo vecchio, il suo fedele Murph».
Dopo questa prova del male in lui, Rodolfo ripete la sua idea fissa sul «bene» e sul «male» e riferisce sui progressi che egli fa nel bene. Egli chiama l’elemosina e la compassione le caste e pie consolatrici della sua anima ferita. Prostituirle per esseri abbietti, indegni sarebbe terribile, empio, sarebbe un sacrilegio; s’intende, la compassione e l’elemosina sono le consolatrici della sua anima. Profanarle sarebbe perciò un sacrilegio. Sarebbe ispirare «il dubbio di Dio e colui che deve fare credere in lui». Dare l’elemosina ad un reietto — nemmeno per idea!
Ciascun moto della sua anima è d'una infinita importanza per Rodolfo. Egli la valuta e analizza perciò continuamente. Così si diletta quello sciocco con Murph che Fleur de Marie lo abbia commosso.
«Io ero commosso fino allo lagrime, e mi si accusava di essere scettico, duro, inflessibile!»
Dopo che egli in tale guisa ha dimostrato la sua particolare «bontà», ora si esalta per il «male», per la malignità della sconosciuta madre di Maria, e con la maggiore festevolezza possibile si volge a Murph:
Tu le sais — certaines vengeanses me sont bien chères, certaines souffrances bien prècieuses.
Inoltre manifesta così diabolici propositi che il fedel servo spaventato esclama:
Hélas, Monseigneur!
Questo gran signore rassomiglia a quei membri della giovane Inghilterra i quali vogliono anche riformare il mondo, compiere buone azioni e sono soggetti a simili attacchi isterici.
Noi troviamo la spiegazione delle avventure e delle situazioni alle quali Rodolfo si espone, innanzi tutto nella sua natura avventurosa. Egli ama «il piccante del romanzo, la dissipazione, le avventure, i travestimenti»; la sua «curiosità» è «insaziabile», egli prova il «bisogno di eccitazioni dell’anima vivaci e pungenti», è «avido di violente scosse di nervi».
Questo suo naturale è rafforzato dalla sua brama di fare la parte di provvidenza, e di ordinare il mondo secondo le sue fantasie fisse. Le sue relazioni con terze persone, o sono realizzate da un’idea fissa astratta, o da un motivo del tutto personale ed accidentale.
Così egli libera il medico dei negri David e la sua amata non per l’umana simpatia che queste persone ispirano, non per liberare essi stessi, ma per giuocare la parte di provvidenza di fronte al proprietario di schiavi Willis, per castigare la sua incredulità in Dio. Così il maître d’ecole gli sembra nato apposta per applicare la sua teoria della pena da lungo tempo covata.
Il trattenimento di Murph con l’ambasciatore Graun d’altra parte ci fa fare serie considerazioni sui motivi personali che determinano le buone opere di Rodolfo.
L’interesse del Monseigneur è rivolto a Fleur de Marie, perchè, come dice Murph, à part la compassione che ispira la poveretta, la figlia, di cui sente tanta amara la perdita, avrebbe presentemente la medesima età. L’interessamento di Rodolfo per la marchesa di Harville, à part i suoi meriti filantropici, ha il motivo personale che senza il vecchio marchese di Harville e la sua amicizia con l’imperatore Alessandro, il padre di Rodolfo sarebbe stato eliminato dal numero dei sovrani tedeschi.
La sua beneficenza verso madama Georges ed il suo interesse per Germain, suo figlio, ha il medesimo motivo. Madama Georges appartiene alia famiglia di Harville.
C’esi non moins à ses malheurs et à ses vertus qu'à cette parente qur la pauvre Madame Georges à du les incessantes bontìs de son Altesse.
L’apologetico Murph procura, con delle voltate come «surtot, à part, non moins que» di mettere a tacere la doppiezza del motivo di Rodolfo.
Tutto il carattere di Rodolfo si riassume infine nella «pura» ipocrisia, con la quale egli sa esprimere gli sfoghi della sua cattiva passione, come sfogo contro la passione del male, nell’analoga maniera con la quale la lontana critica rappresenta la sua propria stupidaggine come stupidità della massa, il suo rancore d’odio contro l’evoluzione del mondo fuori di lei come rancore del mondo a lei esterno contro l’evoluzione, finalmente il suo egoismo che crede di avere inghiottito in sè stesso tutto lo spirito come egoistica contradizione della massa con lo spirito.
Mostreremo la «pura» ipocrisia di Rodolfo nel suo contegno con Il maître d’ecole, con la contessa Sarah Mac Gregor e col notaio Jacques Ferrand.
Rodolfo ha indotto il maître d’ecole ad una invasione a scopo di furto nella sua abitazione, per attirarlo nella trappola ed impadronirsene. In ciò egli non ha alcun interesse puramente personale e alcun interesse generale umano. Il maître d’ecole è infatti in possesso del portafoglio della contessa Mac Gregor, e Rodolfo ha un grande interesse ad impadronirsi di questo portafoglio. Nell’occasione del tète-à-tète col maître d’ecole dice egli espressamente:
Rodolphe se trouvait dans une auxieté cruelle: s'il laissait échapper cette occasion de s'emparer de maître d’ecole, il ne la retrouveràit sans doute jamais; ce brigand emporieralt les secrets que Rodolphe avait tant d’intèrét à savoir.
Rodolfo dunque s'impossessa nella persona del maître d’ecole del portafoglio della contessa Mac Gregor; egli s'impadronisce del maître d’ecole per un personale interesse, egli lo acceca per una passione personale.
Quando Chourineur racconta a Rodolfo la lotta del maître d’ecole con Murph e spiega la sua resistenza col fatto ch'egli sapeva che cosa gli incombesse davanti, Rodolfo risponde: «Ei non sapeva» e dice ciò
d’un air sombre, les traits contractés par cette expression presque féroce, dont nous arons parlé.
Gli passa per la testa l’idea della vendetta; egli anticipa la gioia selvaggia che gli appresterà la barbara punizione del maître d’ecole. Perciò egli esclama, all’entrare del medico dei negri David, che ha chiamato come strumento della sua vendetta:
Vengeance!... vengeance! s’écria Rodolphe avec une fureur froide et concentrée.
Una rabbia fredda e concentrata operava in lui. Poi mormora sommessamente il suo piano all’orecchio del medico, e, quando questi s’arretra spaventato, egli sa subito attribuire alla sua vendetta personale un motivo teorico «puro». Si tratta, egli dice, soltanto dell’applicazione d’un'idea che è passata varie volte pel suo sublime cervello, e non dimentica di aggiungere untuosamente:
«Egli avrà ancora dinnanzi a sè lo sconfinato orizzonte del pentimento».
Egli imita l’inquisizione spagnuola che dopo aver mandato alla giustizia secolare il condannato al fuoco aggiungeva un’ipocrita preghiera di misericordia per il peccatore penitente.
S’intende che il grazioso signore, quando debbono cominciare l’interrogatorio e l’esecuzione del maître d’ecole, si trattiene in un gabinetto pieno di conforto, con una lunga nerissima veste da camera, in un pallore molto interessante, e per copiare fedelmente la Corte si è posto dinanzi ad un lungo tavolo coi tiretti. Egli non deve che perdere l’espressione selvaggia di vendetta colla quale ha manifestato al Chonrinenr e al medico il piano dell’accecamento, e con la cera altamente comica di un giudice mondiale, allegro della propria trovala, deve presentarsi «tranquillo, mesto e rassegnato».
Per non lasciar dubbio di sorta sul motivo «puro» dell’accecamento, lo sciocco Murph confessa all’ambasciatore Graun: Il crudele accecamento del maître d’ecole ebbe per iscopo principalmente di vendicare me dell’assassino.
In un tète-à-tète con Murph, Rodolfo si esprime così:
Ma haine des méchants... est devenue plus vivace, mon aversion pour Sarah augmente en raison sans doute du chagrin que me cause la mort de ma fille.
Rodolfo ci riferisce la grande vivacità che il suo odio ha acquistato verso i cattivi. S’intende, il suo è un odio critico, morale, puro, l’odio verso i cattivi, perchè sono cattivi. Egli considera perciò quest’odio come un progresso che egli stesso muta in bene.
Ma ei tradisce nell’istesso tempo che questo sviluppo dell’odio morale non è altro che una ipocrita sanzione, con la quale egli coonesta la intensificazione della propria avversione verso Sarah. L’immaginazione indeterminata — morale — l'accrescersi dell’odio contro i cattivi è soltanto la scala al fatto determinatamente immorale dell’accrescersi dell’avversione verso Sarah. Questa avversione ha un motivo molto naturale, molto individuale: il suo dolore personale. Questo dolore è la misura della sua avversione. Sans doute!
Una ipocrisia ancor più selvaggia appare nel convegno di Rodolfo con la moribonda contessa Mac Gregor.
Uopo della scoverta del segreto, che Fleur de Marie è la figlia di Rodolfo, le si accosta, l'air monacante, impitoyable. Ella implora grazia da lui:
Pas de gràce, risponde lui, malediction sur vous... vous... mon mauvais genie et celui de ma race.
Anche la «razza» vuol vendicare! Indi riferisce alla contessa, inoltre, come, in espiazione dell’aggressione mortale patita da suo padre, egli si sia imposto il giro del mondo, nel quale premia i buoni e punisce i cattivi. Rodolfo tormenta la contessa, poco si cura della sua eccitazione; ma egli non ha dinnanzi ai suoi occhi che il compito che si è proposto dopo il tredici gennaio, de poursuirre le mal.
Allorché egli prosegue, Sarah esclama:
Pitié! je meurs... Mourez dono, mandile, dit Bodolphe, effrayanl de fureur.
Nelle ultime parole: effrayant de fureur, sono svelati i motivi puri... e morali della sua mansuetudine. È appunto questo accesso di rabbia che, gli La fatto sguainare la sua spada contro, come lo chiama il signor Szeliga, il defunto Padre. Invece di combattere questo male in sè stesso, lo combatte come critico puro negli altri.
In conclusione lo stesso Rodolfo distrugge la sua teoria cattolica della pena. Egli voleva abolire la pena di morte, mutare la pena in espiazione, ma solo sempre che l'omicida uccida gente estranea e lasci in pace i membri della famiglia rodolfiana. Rodolfo adotta la pena di morte non appena l’omicidio riguarda uno dei suoi. Egli ha bisogno d'una doppia legislazione, una per la sua propria persona, ed un’altra per le persone profane.
Egli apprende da Sarah che Giacomo Ferrami abbia cagionato la morte di Fleur de Marie. Egli dice a sè stesso:
«No! non basta!... Quale bruciore di vendetta! Qual sete di sangue! Qual rabbia tranquilla e ponderata. Finché io non sapevo che una delle vittime di questo mostro fosse mia figlia, io mi dicevo: la morte di quest’uomo sarebbe inutile... la vita senza danaro, la vita senza l’appagamento delle sue sensualità frenetiche non è una doppia e prolungata tortura?... Ma è mia figlia! Io ucciderò quest'uomo!»
Ed egli si precipita per ucciderlo, ma lo trova in uno stato che rende superflua l'uccisione.
Il «buon» Rodolfo! Col bruciore febbrile della brama di vendetta, con la sete di sangue, con la rabbia tranquilla e meditata, con la ipocrisia che coonesta casuistieamente ogni cattivo impulso, possiede appunto tutte le passioni del male, a cagione delle quali egli cava gli occhi agli altri. Soltanto la congiuntura favorevole, il danaro e il grado, salvano il buono dal «bagno penale».
«La potenza della critica», per rifarsi della nullità mostrata altre volte, muta questo Don Chisciotte in bon locataire, bon voisin, bon ami, bon pére, bon bourgeois, bon citoyen, bon prince, e prosegue nei nomi, come questa scala musicale che il signor Szeliga solfeggia. Questo è da più d’ogni risultato che «l’umanità» ha acquistato «nell’intera sua storia». Questo basta perchè Rodolfo salvi il «mondo» dalla ruina.
Ultima modifica 2019.12.11