Tradotto da Enrico Leone (†1940).
Trascrizione di Vito Leli e coding di Leonardo Maria Battisti, settembre 2019
Où peut-on étre mieux
Qu’au sein de sa famille ?
La Critica critica nella sua esistenza assoluta come il signor Bruno ha proclamato l’umanità in massa, tutta l’umanità, che non è Critica critica, per sua antitesi, per il suo oggetto essenziale: essenziale, perchè la massa esiste ad majorem gloriam dei, della critica, dello spirito: oggetto, pereh’essa è la sola materia della Critica critica. La Critica critica ha proclamato il suo rapporto con la massa come il rapporto storico mondiale della modernità.
Intanto non si forma ancora alcuna antitesi storico-mondiale col proclamare di trovarsi in antitesi con tutto il mondo. Si può immaginare di essere la pietra dello scandalo generale, perchè in generale si urta contro tutti per malgarbo. Per un’antitesi mondiale non basta che io dichiari il mondo per la mia antitesi, ma occorre in contraccambio che il mondo mi dichiari pei sua antitesi sostanziale e mi tratti e mi riconosca come tale. La Critica critica si procura questo riconoscimento con la corrispondenza che ha per missione di attestare al mondo l'ufficio critico di redenzione, come lo scandalo generale del mondo pel vangelo critico. La Critica critica è oggetto di se stessa, come oggetto del mondo. La corrispondenza deve mostrarla come tale, come interesse mondiale presente.
La Critica critica si fa valere come subbietto assoluto. Il subbietto assoluto ha bisogno del culto. Per il culto reale ci vogliono le stesse persone credenti. La Sacra famiglia riceve perciò a Charlottenburg il dovuto culto dei suoi corrispondenti. I corrispondenti le dicono che cosa essa è, e che cosa non è la massa, sua avversaria.
In quanto l’opinione della critica per tal modo si presenta da sè come opinione del mondo, in quanto il suo concetto si realizza, essa cade a vero dire nell’inconseguenza. Nel suo seno stesso si mostra una specie di formazione di massa, cioè la formazione di una massa critica, che ha l’aspirazione concorde, di essere l’infaticabile eco delle parole caratteristiche della critica. Per amore di conseguenza questa inconseguenza è perdonabile. La Critica critica, che non è a casa nel mondo peccatore, deve stabilire nella sua propria casa un mondo peccatore.
Il corrispondente della Critica critica, il membro della massa critica non si muove sulle rose. Il suo sentiero è difficile e spinoso, un sentiero critico. La critica critica è un signore spirituale, pura spontaneità, actus purus, intollerante verso ogni influenza esterna. Il corrispondente può perciò essere soltanto un soggetto apparente, che solo in apparenza abbia rapporti autonomi con la Critica critica, che solo in apparenza voglia comunicarle alcunché di nuovo e di proprio. In verità egli è soltanto una propria acciabbattatura, che soltanto per un momento raccolse e fermò quel che si dice di lei.
I corrispondenti perciò non mancano di assicurare inesauribilmente che la critica stessa sa, vede, conosce, concepisce, prova ciò che a lei viene comunicato in apparenza nell’istesso momento. Così Zerrleder, per esempio, usa queste perifrasi:
«Comprendete? Voi sapete, voi sapete per la seconda e terza volta. Voi sarete ora già erudito abbastanza, per potere vedere da voi».
Così il corrispondente Fleischhammer di Breslavia:
«Ma perchè ecc., sarà per voi così poco un mistero come per me».
O il corrispondente Hirzel di Zurigo:
«Avrete già appreso da voi stesso».
Il corrispondente critico rispetta con tanto ossequio l’assoluto sapere della Critica critica ch’egli pretende ch'ella abbia compreso anche là dove non c’è nulla da comprendere; per esempio Fleischhammer:
«Voi m’intenderete (!) perfettamente (!) se io io vi dico che non si può uscire senza incontrare giovani preti cattolici nelle loro lunghe tonache e mantelli neri».
Già nella (sua) ansietà il corrispondente ode la Critica critica che parla, risponde, esclama, deride!
Così per esempio Zerrleder:
«Ma... ditemi; orbene, vi ascoltiamo».
Così Fleischhammer:
«Però, io già ascolto ciò che voi dite; io ci pensavo già solo».
Così Hirzel:
«Gentiluomo, voi esclamerete!»
Così un corrispondente di Tubinga:
«Non mi deridete».
I corrispondenti usano, perciò, anche il ripiego di comunicare i fatti alla Critica critica, richiedendole l’interpretazione spirituale, di fornire le premesse lasciandole la conclusione, ovvero di scusarsi se rimasti come ciò che, da tempo, le è noto.
Così Zerrleder:
«Al vostro corrispondente è soltanto possibile di dare un quadro, una descrizione degli avvenimenti. Lo spirito che anima questa cosa non può esservi all'atto sconosciuto».
Oppure:
«Ed ora traete da voi stessi la conclusione».
Così Hirzel:
«Io non debbo trattenervi attorno al principio speculativo che ogni creazione proceda dagli estremi della sua antitesi».
Ovvero anche le notizie dei corrispondenti sono semplicemente il compimento e la conferma di profezie critiche.
Così Fleischhammer:
«Il vostro presagio ha colpito giusto».
Così Zerrleder:
«Le tendenze che io vi ho descritto come quelle che si vanno sempre più diffondendo in Svizzera, ben lungi dall’essere funeste sono soltanto propizie: sono soltanto una conferma delle idee già da voi spesso manifestate, ecc.».
La Critica critica si sente talvolta spinta a rilevare la degnazione che si prende col corrispondere, e questa degnazione la motiva pel fatto che il corrispondente abbia assolto felicemente qualche compito. Così, il signor Bruno scrive al corrispondente di Tubinga:
«È veramente una inconseguenza da parte mia che io rispondo alla tua lettera. D’altra parte hai tu di nuovo... fatto così giuste osservazioni, che io... non posso rifiutarti le impetrate spiegazioni».
La Critica critica si fa scrivere dalla provincia, col quale nome non si deve intendere la provincia nel senso politico, che notoriamente in Germania non esiste in nessun luogo, ma la provincia critica, la cui capitale è Berlino, Berlino, la sede dei patriarchi critici e della Sacra Famiglia mentre nella provincia dimora la massa critica. Le provincie critiche osano soltanto fra scuse ed inchini di richiamare l’attenzione della suprema sede critica.
Così un anonimo scrive al signor Edgardo, che come membro della Sacra Famiglia è anche un nobile signore:
«Onorevole signore! Voglia trovare una scusa a queste righe nel fatto che la gioventù si stringe insieme volentieri negli studi comuni (la nostra differenza di età è di soli due anni)».
Questo coetaneo del signor Edgardo si designa inoltre come l’essenza della nuovissima filosofia. Non è cosa ordinaria che la critica si tenga in corrispondenza con la essenza della filosofia? Se il coetaneo del signor Edgardo assicura che egli ha di già perduto i suoi denti è soltanto una allusione alla sua entità allegorica. Questo ente della nuova filosofia ha imparato da Feuerbach a porre il momento della cultura nella intuizione obbiettiva. Ei dà immediatamente una prova della sua cultura e intuizione assicurando subito il signor Edgardo ch’egli ha avuta una «intuizione totale della sua novella» – vivano gli stabili principii fondamentali! – e confessa nell’istesso tempo che l'intuizione del signor Edgardo non gli è risultata per nulla perfettamente chiara, ma anzi alla fine l’assicurazione della intuizione totale viene paralizzata dalla domanda:
«O non vi ho capito totalmente?».
Dopo questa prova si troverà che tutto è perfettamente in ordine se l’essenza della nuova filosofia si esprime in rapporto alla massa in questo modo:
«Noi ci dobbiamo per lo meno degnare una volta di ricercare e di sciogliere il nodo magico che non permette alla comune intelligenza dell’uomo di penetrare nell’infinito flusso dell’Idea».
Se ci si vuol formare una esatta intuizione della massa critica, si legga il signor Hirzel nella corrispondenza da Zurigo (Fascicolo V). Questo disgiaziato rammemora con docilità veramente commovente e con lodevole ricordanza le locuzioni caratteristiche critiche. Nè mancano le frasi predilette al signor Brano delle battaglie ch’egli appresta, dello campagne ch’egli ha disegnate e condotte. Ma specialmente il signor Hirzel adempiè il sao ufficio di membro della critica, allorché egli s’infervora sulla massa profana e sul rapporto di essa con la Critica critica.
Egli parla della massa, che crede di prendere parte alla storia,
della «pura massa» della «pura critica» della «purezza di quest’antitesi» – «un’antitesi tanto pura – quale la storia non ha mai offerto», «dell’entità malcontenta», della «piena vuotaggine del malumore, dello scoraggiamento, della spietatezza, della timidità, della furia, dell’amareggiamento della massa verso la critica, di quella massa che esiste soltanto perchè con la sua resistenza renda la critica più acuta e più vigile».
Egli parla della «creazione dagli estremi dell’antitesi», della superiorità della Critica sull’odio e su simigliane affetti profani. A questa ricchezza di parole caratteristiche si limita tutto il contributo del signor Hirzel alla Gazzetta di Letteratura. Mentre egli rimprovera la massa di accontentarsi di semplici «sensazioni», di «buona volontà», di «frasi», di «fede», esso stessa poi si accontenta, come parte della massa critica, di frasi, di esternazioni dei suoi «sentimenti critici», della sua «fede critica», della sua «buona volontà critica» ed abbandona al signor Bruno l’«azione, i lavori, le lotte» e le «opere».
Malgrado la spaventevole descrizione che i membri della massa critica abbozzano della tensione storico-mondiale del mondo profano contro la Critica critica, per gli infedeli non è neppure una volta constatato il fatto di questa tensione mondiale. La servile e non critica ripetizione delle «immaginazioni» e «pretensioni» critiche sulla bocca dei corrispondenti dimostra soltanto che le idee fisse del padrone sono anche le idee fisse del servo. Uno dei corrispondenti critici procura di provarlo coi fatti.
«Voi vedete», egli scrive alla Sacra Famiglia «che la Gazzetta di Letteratura adempie il suo scopo, cioè che essa non trova affatto eco. Essa potrebbe incontrar favore soltanto se toccasse il bicchiere con spensieratezza, se voi andaste innanzi orgogliosamente con la sonagliera di frasi di una musica giannizzero di categorie «andanti».
Una sonagliera di frasi di una musica giannizzero di categorie in voga! Si vede, che il corrispondente critico si sforza di trottare con frasi non «andanti». La sua spiegazione del fatto che la Gazzetta di Letteratura non incontra favore deve intanto respingersi come puramente apologetica. Si potrebbe invece trovare la spiegazione di ciò nel fatto che la Critica critica si trova in accordo con la grande massa, cioè con la grande massa degli scriventi, la quale non trova eco.
Non basta dunque che i corrispondenti critici dirigano le frasi critiche nell’istesso tempo come «preghiera» alla Sacra Famiglia e come formule di «maledizione» contro la massa. Occorrono corrispondenti non critici in massa, occorrono deputati della massa alla Critica critica per provare la reale separazione della massa dalla critica.
La Critica critica concede dunque un posto anche alla massa non critica. Essa concede ai suoi rappresentanti di corrispondere liberamente con lei, di riconoscere l’antitesi con lei come importante, come assoluta e di far risuonare l’ansietà di liberarsi dall’antitesi.
Il cuore duro, l’impenitenza e la cieca infedeltà «della massa ha un rappresentante passabilmente risoluto. Questo rappresentante parla solo dell’educazione filosofico-hegeliana di colore berlinese.» Il «vero progresso» egli dice, che noi possiamo fare, risiede soltanto nella conoscenza della realtà. Ma da voi noi apprendiamo ora che la nostra non era conoscenza della realtà, ma di qualcosa di irreale». Egli indica la «scienza naturale» come la base della filosofia.
Un buon naturalista si conduce da filosofo, come questi si comporta da teologo». Egli osserva inoltre circa il colore berlinese:
«Io non credo di aver detto troppo, quando cerco di spiegare lo stato di queste persone col fatto ch’essi in verità hanno fatto il processo dell’addomesticamento spirituale, ma non si sono ancora liberati della materia dell’addomesticamento per potere assumere in sé gli elementi della rinnovazione e del ringiovanimento.
«Noi dobbiamo ancora appropriarci queste cognizioni» (le cognizioni naturali ed industriali). «La cognizione del mondo e dell’uomo, che ci è innanzitutto necessaria, può essere acquistata non soltanto con l’acutezza del pensiero, ma debbono cooperare tutti i sensi, e tutte le disposizioni dell’uomo debbono essere impiegate a tale scopo; altrimenti la intuizione e la conoscenza debbono restare difettose...... e recare la morte morale».
Questo corrispondente, ciò nondimeno, indora la pillola ch’egli porge alla Critica critica. Egli «fa che le parole di Bauer trovino la giusta applicazione»; ha «seguito le idee di Bauer»; ammette «aver Bauer detto giustamente»; polemizza, infine, evidentemente, non contro la Critica stessa, ma contro un colore berlinese distinto da lei.
La Critica critica, che si sente colpita, e inoltre in tutte le faccende di fede è sensibile come una zitellona, non si lascia ingannare da queste definizioni e da questi mozzi omaggi.
«Voi vi siete ingannato» — essa risponde: «se voi pensate di vedere il vostro nemico nel partito che descrivete nell’introduzione della vostra lettera; confessatelo piuttosto» — ed ora segue la fulminante scomunica: — voi siete il nemico della critica stessa! «Il disgraziato! L’Uomo di massa! Un nemico della critica stessa!»
Ma, per ciò che riguarda il contenuto di quella polemica da massa, la Critica critica proclama il rispetto per il suo rapporto critico con lo studio della natura e per l’industria.
«Ogni rispetto per lo studio della natura! Ogni rispetto per James Watt e» — veramente sublime applicazione — «nessun rispetto per i milioni che egli ha procacciato ai suoi cugini e alle sue cugine».
Ogni rispetto pel rispetto della Critica critica! Nella stessa lettera, in cui la Critica critica rimprovera all’or mentovato colore di Berlino che essi con poca pena si rendono superiori al solido e valido lavoro senza studiarlo, che essi se la sbrigano con un’opera osservando che farà epoca, ecc.; nella medesima lettera essa si sbriga di tutto lo studio della natura e dell’industria con una semplice dichiarazione di rispetto. La clausola, che la Critica critica appone alla sua dichiarazione di rispetto per lo studio della natura, ci ricorda i primi fulmini contro la filosofia della natura del cavaliere Krng buon’anima.
«La natura non e l’unica realtà, perchè noi la mangiamo e la beviamo nei suoi particolari prodotti».
La Critica critica sa dei singoli prodotti della natura solo che noi li mangiamo e beviamo. I nostri rispetti per la filosofìa della natura della Critica critica!
In maniera conseguente essa oppone la seguente innegabilmente spiritosa, rettorica esclamazione all'incomoda, inopportuna pretesa di studiare «Natura» ed «Industria»:
«O (!) pensate che si sia già esaurita la conoscenza della realtà storica? O (!) sapete voi un unico periodo della storia, che è già conosciuto effettivamente?»
O crede la Critica critica di potere arrivare sia pure al primo rudimento nella conoscenza della realtà storica, finché essa esclude dal movimento storico il rapporto teorico e pratico dell’uomo con la natura, la scienza naturale e l'industria? Essa pensa di aver già riconosciuto effettivamente un qualunque periodo senza avere conosciuti, per esempio, la industria di questo periodo, l’istesso immediato modo di produzione della vita?
Veramente la spirituale, la teologica Critica critica conosce soltanto per lo meno conosce nella propria immaginazione — le azioni politiche, letterarie e teologiche dei capi di Stato e dello Stato nella storia. Come essa separa il pensiero dai sensi, l’anima dal corpo, sè stessa dal mondo, così essa separa la storia dalla scienza naturale e dall'industria, così essa vede la culla della storia non nella grezza produzione materiale sulla terra, ma nella vaporosa formazione delle nuvole nel cielo.
Il rappresentante della massa «impenitente» e «dal cuore indurito» viene spacciato come un materialista degno della massa con i suoi giusti ammonimenti e con le sue esortazioni. Nè è più fortunato un altro corrispondente meno malevolo e meno infetto dalla massa, il quale, a dire il vero, ripone speranza nella Critica critica ma senza ch’essa riesca a sodisfarlo.
Il rappresentante della massa insodisfatta scrive:
«Però io debbo confessare che il primo fascicolo della vostra gazzetta non ci ha completamente sodisfatti. Noi ci saremmo attesi qualcosa d’altro».
Il Patriarca critico risponde in persona propria:
«Sapevo già in antecedenza che essa non avrebbe sodisfatto l’attesa, perchè io potevo abbastanza facilmente immaginare questa attesa. C’è da stancarsi, che si debba volere tutto in una volta! Tutto? No! S’è possibile, tutto e niente nell’istesso tempo. Un tutto che non ci rechi pena alcuna, un tutto che si possa accettare senza farne l’ulteriore sviluppo, un tutto che, in una parola, sia a portata di mano».
Nel suo malumore per le sconvenienti pretensioni della massa, la quale dalla Critica, che per principio e per disposizione «non dà nulla», pretende qualche cosa, anzi tutto, il Patriarca critico racconta a guisa degli antichi signori un aneddoto. Recentemente un conoscente berlinese — è notorio che il signor Bruno asserì come la più piccola presunta idea ha bisogno al minimo d’un’opera di molti fogli — si sarebbe amaramente lagnato della prolissità e della diffusa complicatezza dei suoi scritti. Egli lo avrebbe consolato con la promessa di mandargli per la più facile loro lettura i caratteri tipografici necessari per la stampa del libro fondati in una piccola sfera. Il Patriarca spiega la prolissità della sua «opera» con la cattiva distribuzione dei caratteri tipografici, come spiega il nulla della sua Gazzetta di Letteratura col vuoto della massa profana, che per calmarsi, desidererebbe ingoiare in una volta tutto e nulla.
Per quanto si disconosce poco l’importanza delle comunicazioni fin qua fatte, per altrettanto non si può scorgere un’antitesi storico-mondiale nel fatto che un conoscente della Critica critica la dichiari vuota ed essa per contrario lo dichiari non critico; che un secondo conoscente non veda appagate le speranze riposte nella Gazzetta di Letteratura e che un terzo conoscente ed amico di casa trovi le sue opere troppo prolisse. Ciò nondimeno il conoscente N. 2 che nutrisce la speranza, e l’amico di casa N. 3 che desidera per lo meno imparare a conoscere i segreti della Critica critica, costituiscono il passaggio ad un rapporto più pieno e più netto fra la Critica e la massa non critica. Quanto più è crudele la Critica verso la massa dal «cuore indurito» e «dal senso comune», tanto più la troveremo piena di degnazione verso la massa che geme di liberarsi dall’antitesi. La massa che col cuore infranto, con sentimento di penitenza e con spirito umile, si avvicina alla Critica, riceverà in compenso per le sue brave aspirazioni più d’una parola grave, profetica, leale.
Il rappresentante della massa sentimentale, cordiale, bisognevole di liberazione supplica e scodinzola per una benevola parola della Critica critica con espansione, inchini e contorcimento di occhi, come segue:
«Perchè io vi scrivo ciò, perchè io mi giustifico con voi? Perchè io vi stimo e perciò desidero la vostra stima; perchè io, per ciò che riguarda la mia evoluzione, vi sono debitore della più grande gratitudine, e perciò vi amo. Il mio cuore mi trascina a giustificarmi verso di voi, esso mi...... biasima. Io sono ben lungi dal volermi con ciò imporre a voi, e pensandoci ho stimato che a voi stessi potrebbe riuscire gradita una prova d’interessamento da parte di un uomo sia pure poco noto. Io non ho per nulla la pretesa che voi dobbiate rispondere a questa lettera: io non voglio nè rubarvi il tempo, che voi potreste usar meglio, nè addossarvi una pena, ma neppure espormi alla mortificazione di vedere inadempiuto qualcosa su cui io speravo. Anche se vi piacesse sospettare che il mio scritto sia dovuto a sentimentalità, a importunità, o a vanità (!) o a che cosa voi vogliate, anche vi piacesse o no rispondere, io non so resistere all’impulso di spedirlo e spero solamente che voi possiate riconoscere in esso il senso di amicizia che lo ha ispirato»!!
Poiché Dio da tempo immemorabile ebbe pietà dei pusillanimi, così anche questo corrispondente, infetto dalla massa ma umile e implorante la misericordia critica, vede adempiuto il suo desiderio. La Critica critica gli risponde benevolmente. Fa di più! Essa gli dà le più profonde spiegazioni sugli oggetti della sua curiosità.
Due anni addietro, insegna la Critica critica, era conforme allo spirito dei tempi ricordare la rivoluzione filosofica (Aufklärung) dei Francesi del XVIII secolo, di fare agire anche queste truppe leggiere in un impiego nella battaglia che allora si combatteva.
Ora, è qualcosa di ben diverso. Le verità oramai mutano rapidissimamente. Ciò che allora era a posto, oggi è un errore. Naturalmente era anche allora «uno sbaglio» ma uno sbaglio «a posto» quando l’altissima Critica critica stessa (Anekdota II, p. 89), chiamava queste truppe leggiere «i nostri santi» i nostri «profeti» «patriarchi» ecc. Chi chiamerà delle truppe leggiere una truppa di «patriarchi?» Era un errore «a posto», quando parlava entusiasticamente dell’abnegazione, della energia morale e dell’entusiasmo con cui queste «truppe leggiere» avrebbero per tutta la vita pensato, operato e studiato per la verità. Era un «errore», se nella prefazione del Cristianesimo svelato, dichiarava che queste truppe «leggiere» si sarebbero mostrate invincibili, ed ogni piatico avrebbe rilasciato loro in antecedenza il certificato che esse «scardinerebbero il mondo» e sarebbe «apparso indubbio che riuscirebbe loro di dare al mondo una nuova forma». A queste truppe leggiere?
Inoltre la Critica critica insegna al rappresentante della massa cordiale avido di sapere:
«Benché i Francesi abbiano guadagnato un nuovo merito storico col loro tentativo di fondare una teoria sociale, essi si sono però ora esauriti; la loro teoria non era ancora pura; lo loro fantasie sociali, la loro democrazia pacifica non sono neppure libere del tutto dei pregiudizi del vecchio stato».
La critica parla qui del fourierismo e più specialmente del fourierismo della Démocratie pacifique. Questo è però ben lungi dall’essere la «teoria sociale» dei Francesi. I Francesi hanno delle teorie sociali ma una una teoria sociale; il fourierismo annacquato, come ora lo predica la Démocratie pacifique, non è null’altro che la dottrina sociale d’una parte della borghesia filantropica, il popolo è comunista ed è in verità diviso in una quantità di frazioni diverse; il vero movimento e l’operosità di queste diverse gradazioni politiche non soltanto non si è esaurito, ma comincia proprio adesso. Ma questo movimento non sbocca, come la Critica critica vorrebbe, in una teoria pura, cioè astratta, ma in una praxis del tutto empirica che non si cura in nessuna maniera delle categorie categoriche della critica.
«Nessuna nazione» continua a ciarlare la critica «ha in qualche cosa precorsa un’altra»... «Se una nazione può giungere ad acquistare una prevalenza spirituale sulle altre, sarà quella che è in grado di criticare sè e le altre e di giudicare le cause della generale decadenza.
Ogni nazione ha fin qui preceduto le altre in qualche cosa. Ma, se la profezia critica è giusta, nessuna nazione avrà una eccellenza sulle altre, perchè tutti i popoli civilizzati di Europa – inglesi, tedeschi, francesi – ora «criticano sè stessi e gli altri» e sono «in grado di giudicare delle cause della decadenza generale». Finalmente è una tautologia frasaiuola dire che il «criticare» che il «giudicare», che le attività spirituali diano una preponderanza spirituale; e la Critica che si posa e si libra sulle nazioni con infinita auto-coscienza, fino a che queste inginocchiate ai suoi piedi implorino d'essere illuminate, mostra palesemente con questo idealismo cristiano-germanico in caricatura ch’essa è ancora immersa fino sopra le orecchie nel fango della nazionalità tedesca.
La critica dei Francesi e degl’inglesi non è così una critica astratta trascendentale, che stia fuori della umanità, è l’effettiva attività umana degl’individui che sono i membri operosi della società, che come uomini soffrono, sentono, pensano ed agiscono. Perciò la loro critica è nell’istesso tempo pratica, il loro comunismo un socialismo nel quale vi sono norme pratiche, evidenti, nel quale non si pensa soltanto ma si agisce anche, dippiù; è la critica vitale, reale della società esistente, la conoscenza delle cause «della decadenza».
Dopo la prestazione di lumi che la Critica critica ha fatto al membro della massa spinto da curiosità, può essa a buon diritto dire della sua Gazzetta di Letteratura:
«Qui è adoperata la critica pura, rappresentativa, che comprende l’oggetto non aggiungendovi nulla».
Qui non v’è nulla di obbiettivo, qui non si trova nulla altro che la critica che dà il nulla, cioè la Critica, che si realizza fino all’estreme conseguenze come non – critica. La critica fa stampare i passi interlineati e tocca la sua efflorescenza nei sunti. Volfango Menzel e Bruno Bauer si porgono la mano fraterna, e la Critica critica resta là dove stava la filosofia dell’identità nei primi anni di questo secolo, allorché Schelling protestava contro la pretesa degna della massa, che si voglia offrire qualche cosa, qualcosa che non sia la filosofia pura, la filosofia interamente filosofica.
Il corrispondente dal cuore tenero, al cui ammaestramento appunto abbiamo assistito, era in un rapporto gioviale con la critica. L’ostilità cella massa verso la critica è da lui accennata solo in maniera idillica. I due termini dell’antitesi storico-mondiale si conducono scambievolmente con gentilezza e cortesia, e perciò sono reciprocamente essoterici.
La Critica critica, nella sua azione recalcitrante, salutare e di scuotimento dello spirito sulla massa, appare dapprima ad un corrispondente che sta con un piede già nella Critica e con un altro ancora nel mondo profano. Egli rappresenta la massa nelle sue intime lotte con la Critica.
In certi momenti, che sono veramente di acciecamento, gli sembra «che il signor Bruno ed i suoi amici non intendano l’umanità. Egli si corregge subito.
«Sì, mi sta chiaramente dinanzi agli occhi che voi avete ragione e che le vostre idee sono vere, ma, scusatemi, il popolo non ha neppure torto... Ah sì! il popolo ha ragione... Io non posso negare che voi abbiate ragione... Io non so realmente dove tutto ciò deve andare a finire: voi lo saprete... ora io però resti a casa... Ah ! io non posso più... Ah!... altrimenti si dovrebbe alla fine diventar pazzi... Accetterete ben volontieri... Credetemi, talvolta, per le cognizioni acquistate, uno diventa tanto stordito come se ad uno gli girasse una ruota di mulino nella testa».
Anche un altro corrispondente scrive ch’egli «talvolta perde la bussola». E evidente che la Grazia critica si accinge ad aprirsi in quel corrispondente della massa. Povero verme! La massa peccatrice lo tira da un lato, la Critica critica dall’altro. Non è la conoscenza acquistata che spinge il catecumeno della Critica critica in questo stato di ebetismo, è invece l'interrogativo della fede e della scienza: Cristo critico o popolo! Dio o mondo, Bruno Bauer e i suoi amici o massa profana!
Ma come all’apertura della grazia di Dio precede l’estrema contrizione del peccatore, così l’essere abbattuti da uno istupidimento è il prodromo della grazia critica. Quando questa finalmente gli è aperta, allora l’eletto non perde in verità la stupidaggine, ma perde la coscienza della stupidaggine.
Non è riuscito alla Critica critica di rappresentarsi nell'istesso tempo come antitesi essenziale e come oggetto essenziale quindi della umanità in massa. Prescindendo dal rappresentante della massa impenitente, che rinfaccia alla Critica critica la sua mancanza d’oggetto e le dà ad intendere nella maniera più galante che essa non abbia ancora attraversato il processo di «addomesticamento» spirituale, ma che soprattutto debba acquistare dapprima solide cognizioni, – neppure il corrispondente dal cuore tenero è antitesi, ma per il suo vero motivo di avvicinarsi alla Critica critica è puramente personale. Egli vuole, come si può leggere più oltre nella sua lettera, propriamente conciliare la sua pietà per il signor Arnaldo Ruge con la sua pietà, con il signor Bruno Bauer. Questo tentativo di conciliazione fa onore al suo buon cuore. Ma non forma in nessun caso un interesse della massa. Il corrispondente che viene alla fine, per ultimo, non era più un vero membro della massa, era un catecumeno della Critica critica.
In genere la massa è un oggetto indeterminato, che per conseguenza non può ne esercitare una determinata azione, nè entrare in un rapporto determinato. La massa, in quanto è oggetto della Critica critica, non ha nulla di comune con la massa reale che ricostituisce sotto di sé delle antitesi assai volgari. La sua massa è «creata» da sè stessa, come un naturalista, che invece di parlare di determinate classi, si immaginasse la classe.
Fuori di questa massa astratta, quasi ordito del proprio cervello, la Critica critica, per possedere veramente un’antitesi di massa, ha perciò bisogno ancora di una massa determinata empiricamente dimostrabile, non semplicemente addotta per pretesto. Questa massa deve nell’istesso tempo vedere nella Critica critica la sua essenza e l’annullamento della sua esistenza. Essa deve volere essere Critica critica, non massa, senza poterlo essere. Questa massa critica non-critica è la sopra mentovata couleur di Berlino. Ad una couleur di Berlino si riduce la massa dell’umanità che si occupa seriamente della Critica critica.
La couleur di Berlino, «oggetto essenziale» della Critica critica, della quale essa si occupa sempre con l’idea e di cui essa si vede sempre occupata in idea, consiste, per quanto ne sappiamo, in pochi giovani hegeliani ci-devant, ai quali la Critica critica infonde, com'essa afferma, in parte l’horror vacui, in parte il sentimento della nullità.
La corrispondenza è principalmente destinata a spiegare al pubblico estesamente questo rapporto storico-mondiale della Critica con la couleur di Berlino, a spiegare il suo profondo significato, a provare la necessaria crudeltà della Critica verso la «massa» e finalmente a mettere in chiaro che tutto il mondo sia ansiosamente preoccupato di questa antitesi, manifestandosi ora a favore, ora contrario ai procedimenti della Critica. Così la Critica assoluta scrive, per esempio, ad un corrispondente che segue il partito della couleur di Berlino.
«Io già frequentemente ho udito simili cose, che dovrei risolvermi del tutto a non avere più riguardi a tal proposito.»
Il mondo non sospetta quante volte essa dovette aver da fare con simili cose critiche.
Ascoltiamo ora come un membro della massa critica si esprime sulla couleur di Berlino
«Se uno conosce i Bauer – (si deve sempre riconoscere pêle-mêle la Sacra Famiglia) – cominciò la sua risposta, quello sono io; ma la Gazzetta di Letteratura! Tutto ciò è giusto! M’interessava udire che cosa uno di questi radicali, questi accorti dell’anno 42 pensasse su di voi...»
Si annunzia ora che lo sventurato ebbe a biasimare cose d’ogni genere nella Gazzetta di Letteratura.
Egli trovò la novella del signor Edgardo «I tre galantuomini» rozza e outrée. Egli non intese che la censura è, meno una lotta da uomo ad uomo, meno una lotta al di fuori e più una lotta intima. Essi non si danno la pena di riconcentrarsi in sè e di porre al posto della frase ostica alla censura l’idea critica condotta a compimento con finezza svolta in tutte le parti. Egli trovò inesplicabile l’articolo del signor Edgardo su di Beraud. Il relatore critico lo trova profondo. In verità egli stesso confessa:
«Io non conosco il libro di Beraud».
Invece egli crede che al signor Edgardo sia riuscito, ecc., e si sa bene che la fede fa beati». In genere, prosegue il credente critico
«egli (quegli della couleur di Berlino) non è proprio contento delle cose del signor Edgardo. Egli trova che anche Proudhon, non sia stato trattato con abbastanza profonda serietà.»
Ora qui il signor Edgardo comunica la testimonianza:
«Io ora conosco in verità (!?) Proudhon: io so che la esposizione di Edgardo ha assunto e messo in ordine i punti caratteristici in maniera intuitiva».
L’unico motivo pel quale al signor Edgardo non riesce la critica di Proudhon così eccellente, può essere, secondo il relatore, solo questo, che il signor Edgardo non lascia spirare nessun cattivo vento contro la proprietà. Anzi, si consideri, l’avversario trova insignificante l'articolo del signor Edgardo sull’Union ouvrière. Il signor relatore consola il signor Edgardo:
«Naturalmente, in ciò non vi è niente di proprio e questa gente se ne è tornata realmente al punto di vista di Gruppe, al quale essa si tenne sempre stretta. La critica deve dare, dare dare!».
Come se la critica non avesse dato delle scoverte del tutto nuove, linguistiche, storiche, filosofiche, economiche, giuridiche! Ed è tanto modesta da lasciar dire che non ha dato nulla di proprio! L’istesso nostro corrispondente critico ha fornito quello che finora era ignoto in meccanica, quando egli fa tornare la gente al medesimo punto, al quale era sempre restata ferma. È inabile il ricordo del punto di vista di Gruppe... Gruppe si chiedeva nel suo opuscolo, altre volte misero e non degno di essere nominato per il signor Bruno, che cosa mai egli avesse dato di critico sulla logica speculativa? Il signor Bruno lo rinviò alle generazioni venture, ed «un matto attende la risposta».
Come già Dio punì l’incredulo Faraone facendolo di cuore indurito e non credendolo degno dei suoi lumi, così il relatore assicura:
«Essi perciò non valgono a vedere e a riconoscere il contenuto nella nostra Gazzetta di letteratura».
Ed invece di consigliare al suo amico Edgardo di procurarsi idee e cognizioni, gli dà il consiglio:
«Edgardo dovrebbe procurarsi un sacco di frasi e intercalarle ciecamente nei suoi articoli con arte, per conseguire uno stile seducente pel pubblico».
All’infuori delle assicurazioni di una «certa furia, dell’insopportabilità, della mancanza di contenuto e di idee, presentimento della cosa nell’intimità della quale esse non potrebbero arrivare, di sentimento della nullità» – tutti questi epiteti, si intende, valgono per la couleur di Berlino – alla sacra famiglia sono fatti i seguenti elogi.
«La facilità della trattazione che penetra la cosa, la padronanza delle categorie, la convinzione acquistata con lo studio, in breve, il dominio sugli argomenti. Egli (quello della couleur berlinese) apprende con facilità la cosa, e la insegna ad altri con facilità».
O «Voi nella Gazzetta di Letteratura esercitate la critica pura, espositiva, che penetra le cose».
In conclusione, ciò vuol dire
«Io vi ho scritto tutto ciò tanto diffusamente, perchè so che io vi faccio piacere col comunicarvi le vedute del mio amico. Voi vedete da ciò che la Gazzetta di Letteratura adempie il suo scopo».
Il suo scopo è l'antitesi con la couleur berlinese. Poiché abbiamo proprio ora veduta la polemica della couleur berlinese contro la Critica critica e la sua rimostranza per questa polemica, ci è descritta in doppio modo la sua aspirazione alla misericordia della Critica critica.
Un corrispondente scrive:
«I miei conoscenti in Berlino mi dissero, allorché io fui colà al principio di questo anno, che voi mantenevate tutti lontano, restando del tutto isolati ed evitando ogni avvicinamento, ogni rapporto appositamente. Io naturalmente non posso sapere da qual lato è la colpa».
La Critica assoluta risponde:
«La Critica non crea nessun partito, non suole avere alcun partito per sè, essa è solitaria – sola in quanto essa si profonda nel suo (!) oggetto; sola, in quanto gli si contrappone. Essa si stacca da tutto».
Come la Critica critica pensa di elevarsi su tutte le antitesi dogmatiche, in quanto essa al posto delle antitesi reali pone quella immaginata tra sè stessa e il mondo, dello spirito santo e delle masse profane, così crede di elevarsi al disopra dei partiti cadendo sotto il punto di vista de’ partiti, ponendosi essa stessa come partito di fronte alla restante umanità e concentrando ogni interesse nella personalità del signor Bruno e compagnia.
Che la Critica troneggia nell’isolamento dell'astrazione, che essa stessa, allorché si occupa apparentemente d’un oggetto non esce dal suo isolamento senza obbietto o non entra in un rapporto veramente sociale con un reale obbietto, perchè il suo oggetto è solo l’oggetto della sua fantasia, solo un oggetto fantasticato; – la verità di questa confessione critica è dimostrata da tutta la nostra esposizione.
Così, appunto, stabilisce che il carattere della sua astrazione stia nell’astrazione assoluta in modo che «essa si distacca da tutto»; questo distacco del nulla dal tutto, dall’idee, dall’apprensione ecc. è l’assurdo assoluto. Del resto, l’isolamento che viene raggiunto col distacco, con l'astrazione da tutto, è tanto poco libero dall’oggetto, dal quale esso si astrae, come Origene era libero dall’organo genitale che egli aveva staccato da sè.
Un altro corrispondente comincia col descrivere uno della couleur berlinese, che egli ha veduto e con cui ha parlato «come «scontento» che non sa più aprire la bocca», che «anzi è sempre con una parola sfacciata in bocca», come un pusillanime. Questo membro della couleur berlinese racconta al corrispondente, che a sua volta riferisce alla Critica:
«Egli non potrebbe intendere come della gente, come voi due, che, però, foste devoti altrimenti al principio dell’umanità, potrebbe essere accolta così esclusivamente, così ripugnantemente, così orgogliosameute».
Egli non sa «perchè vi siano persone che, come sembra, provocano intenzionalmente un dissidio. Noi restiamo però tutti al medesimo punto di partenza, noi rendiamo omaggio tutti all’estremo, alla Critica, siamo tutti atti, se non a produrre, almeno ad intendere e ad applicare una idea estrema».
Egli non trova in questa separazione nessun altro principio direttivo che l’egoismo e l’orgoglio. «Ora il corrispondente trova una buona parola». Però, per lo meno alcuni dei nostri amici non hanno capito la Critica o forse la buona volontà della critica... ut desini vires, tamen est laudanda voluntas.
La Critica risponde con le seguenti antitesi fra sè e la couleur di Berlino «Vi sono diversi punti di vista della critica». Quelli
«credevano di avere la critica in tasca»:
essa
«conosce ed applica realmente la forza della critica»,
cioè non la conserva in saccoccia. Pei primi la critica è pura forma, per gli altri invece
«quanto può essere di più pieno, la sola cosa piena di contenuto».
Come l’idea assoluta vale per sè stessa come per ogni realtà, così è a dire della Critica critica. Essa non scorge perciò fuori di sè nessun contenuto, essa perciò non è la critica d’un oggetto reale, dimorante fuori del pubblicista critico, essa crea piuttosto l’oggetto, è subbietto-obbietto assoluto.
V’è dippiù. La prima forma della critica si pone con delle frasi al di sopra di tutto, al di sopra dello studio della cosa, e la seconda con le frasi si stacca da tutti. La prima è «ignorantemente saggia»; la seconda è «apprendista». La seconda veramente non è intelligente, e impara par ça par là, ma soltanto apparentemente, solo per potere scagliare le cose imparate superficialmente come sapienza scoverta da sè stessa, sotto forma di «frasi caratteristiche» contro la massa, dalla quale essa impara e per potere risolvere questo sapere in assurdo criticamente critico.
Per la prima, parole come «estremo» «procedere ulteriormente» «non andare abbastanza oltre» sono categorie importanti estremamente desiderate; l’altra non approfondisce i punti di vista e non applica a sè la misura di quelle categorie astratte.
Le proclamazioni della Critica N. 2 che non sia più da parlare di politica, che la filosofia sia bell’è finita, il suo porsi al disopra dei sistemi sociali e dell’evoluzione con parole come «fantastico» «utopistico» ecc.; che altro è questo se non un'applicazione criticamente emendata del «procedere oltre», del «non andare abbastanza lontano?» E la sua «massa» come la storia, la critica, «comprensione degli oggetti» «il vecchio ed il nuovo», «critica e massa», «lo approfondimento dei punti di vista» – in breve tutte le sue locuzioni caratteristiche non sono forse massa categorica o categoricamente astratta!?
«La prima è teologica, maligna, invidiosa, meschina, arrogante, l’altra è l’opposto di tutto ciò.»
Dopo che la critica a questa maniera si è prodigata in un attimo una dozzina di encomii ed ha affermato di sò tutto ciò che manca alla couleur berlinese, come Dio è tutto ciò che non è l’uomo, essa si fa un certificato:
«Essa raggiunse una chiarezza, un desiderio d’apprendere, una serenità nella quale è inattaccabile ed invincibile.»
Essa può, perciò, sulla sua antitesi, la couleur di Berlino, tutt’alpiù assumersi il compito d’una olimpica risata. Questa risata – con l’abituale profondità, essa dimostra che cosa è e che cosa non è questa risata – questa risata non è punto orgoglio:
«No per l’amore del cielo! Essa è la negazione della negazione.»
Essa è «soltanto il processo che il critico con gusto e con animo sereno deve fare contro un punto di vista subordinato che gli appare – quale presunzione! – indifferente. Dunque se il critico ride, egli fa un processo! E nella sua «serenità d’animo» fa il processo del ridere non contro persone, ma contro un punto di vista! L’istesso riso è una categoria ch’egli applica e deve applicare!
La critica estramondana non è punto attività essenziale del subbietto umano reale, che come tale vive nell’odierna società, che soffre, che prende parte alle sue gioie e ai suoi tormenti. L’individuo reale è soltanto un accidente, un vaso di terra della Critica critica, la quale si manifesta in lui soltanto come l’eterna sostanza. Il subbietto non è la critica dell'individuo umano ma l’individuo non umano della critica. Non è la critica una manifestazione dell’uomo, ma l’uomo una obbiettivazione della critica, il critico vive perciò pienamente fuori della società.
«Può il critico vivere in quella società ch’egli critica?»
Piuttosto: non deve egli vivere in questa società, non deve egli stesso essere una manifestazione di questa società? Perchè il critico vende i proprii prodotti dello spirito, dacché egli con ciò stesso muta nella sua propria legge la pessima legge della società moderna?
«Il critico non deve neppure arrischiarsi di entrare personalmente in società.»
Per questo egli si forma una sacra famiglia, come il Dio isolato cerca abolire nella sacra famiglia la sua noiosa separazione da ogni società.
«Se il critico si vuole render libero dalla cattiva società, deve innanzitutto rendersi libero dalla società di sè stesso.»
Così evita il critico tutte le gioie della società, ma anche le sue passioni gli restano estranee. Egli non conosce «nè amicizia» – ad eccezione degli amici critici, – «nè amore» – ad eccezione dell’amore per sè stessi – ma per questo la calunnia rimbalza impotente da lui; nulla può offenderlo; non lo tocca nessun odio, nessuna invidia; dispiaceri e accoramenti gli sono affatto sconosciuti.»
In breve il critico è libero da ogni passione umana, è una persona divina, ei può cantare per sè la canzone della nonna:
Io non penso a nessuno amore
Io non penso a nessun uomo
Io penso a Dio padre
che mi può conservare.
Non è conceduto alla critica di scrivere un qualunque passo senza contraddirsi. Così essa ci dice in fine
«il filisteismo che tratta il critico a sassate – secondo l’analogia biblica egli dovrà essere lapidato – «che lo disconosce e gli attribuisce impuri motivi» – attribuire motivi impuri alla critica pura ! – «per renderglisi uguale» – la sopra deplorata pretensione di eguaglianza – «non viene deriso da lui perchè ciò non ne vale la pena, ma è scrutato e con serenità respinto nella sua significante sufficienza».
Più sopra il critico dovette fare il processo del riso contro «il punto di vista subordinato, che appare indifferente.» La oscurità della Critica critica circa il suo modo di procedere contro la massa senza Dio sembra (piasi dovuta ad una continua irritazione, ad una biliosità, per la quale gli «affetti» non sono punto «sconosciuti.»
Non si deve, ciò nondimeno, fraintendere. Dopo che la critica ha fin qui combattuto come un Ercole per staccarsi dalla «massa profana» non critica, e da «tutti», è alla fine felicemente giunta a formarsi coi suoi sforzi la sua esistenza isolata, divina, sufficiente a se stessa, assoluta. Se, al primo pronunciarsi di questa sua «nuova fase», sembra che il vecchio mondo degli affetti peccaminosi possegga ancora un potere su se stessa, ora la vediamo trovare in una «forma d’arte» il suo ringiovanimento estetico e la sua trasfigurazione e compiere la sua penitenza, con che essa finalmente, come secondo Cristo trionfante, può celebrare il giudizio universale e dopo la sua vittoria sul drago ascendere tranquillamente al cielo.
Ultima modifica 2019.12.06