Interventi al Reichstag contro il militarismo

Karl Liebknecht (1913)

 


Interventi pronunciati al Reichstag, il parlamento tedesco, il 18, 19 e 26 aprile del 1913
In quell’anno lo Stato tedesco aveva deciso di aumentare ulteriormente le spese militari. L’ala sinistra del Partito Socialdemocratico Tedesco, di cui Liebknecht era uno degli esponenti più attivi, era arrivata ad elaborare, in collaborazione con le frazioni di sinistra degli altri partiti socialisti d’Europa, delle posizioni ben precise sull’opposizione alla guerra.
Già nel 1912, al Congresso di Chemnitz, Carlo Liebknecht aveva dichiarato, parlando dinanzi ai suoi compagni: «Se vogliamo la pace dei popoli, dobbiamo preparare la guerra, la lotta di classe, condurla ed alimentarla sempre più sul piano internazionale».
Si ringraziano i compagni della rivista "Comunismo".
HTML mark-up per il MIA: Mishù, febbraio 2004

 

I

[...] Signori, passo all’argomento vero e proprio del mio intervento.

In un’epoca in cui sulla “Kreuz-Zeitung” un consigliere di governo ha potuto scrivere «Signore, dacci di nuovo la guerra!», in cui la “Konservative Korrespondenz” ha potuto scrivere «Una guerra ci andrebbe proprio bene!», in cui il signor von der Goltz ha potuto dire «Se finalmente scoppiasse!», in un’epoca che con l’incessante incremento degli armamenti invita all’idea pericolosa della guerra preventiva, in un’epoca in cui il generale von der Goltz ha dichiarato a Potsdam, in una delle celebrazioni per Yorck, «Non abbiamo bisogno di moralisti!», Signori, in una simile epoca è straordinariamente interessante illuminare un settore che sinora non è quasi mai stato illuminato, mettendo così a nudo una delle radici del pericolo di guerra che minacciano i popoli europei e in modo specifico anche il popolo tedesco. Mi voglio occupare dei maneggi e delle vie occulte dei nostri fornitori bellici.

Certo, abbiamo già avuto ripetutamente a che fare con i fornitori di materiale bellico. È noto come il Reich tedesco sia stato sistematicamente gabbato da una delle principali ditte fornitrici di materiale bellico in merito alle piastre corazzate; è noto come sia stata alla fine composta una violenta battaglia che infuriò un tempo fra due grandi ditte renane, con la spartizione del bottino.

Lo scorso lunedì il “Vorwärts” è stato in grado di pubblicare – ad illustrazione di questa attività comune degli interessi bellici a beneficio del popolo tedesco (naturalmente, si considerano essi soli il popolo tedesco) — alcuni documenti dai quali risulta come in Germania esista un accordo di cartello tra i diversi fornitori di materiale per la marina, che si tengono a vicenda sotto stretto controllo e che in certo qual modo si garantiscono l’un l’altro il profitto. Nel “Vorwärts” sono stati pubblicati dei formulari, le schede di comunicazione impiegate nel movimento d’affari di questa sana società. È prodotta nel “Vorwärts” la prova documentaria che un vampiro vive in grembo al popolo tedesco.

Signori, questo è un lato della questione. Ed ora passiamo al patriottismo. Per la socialdemocrazia è un fatto arcinoto che il capitale non ha patria. Non abbiamo mai dubitato che il capitale fosse senza patria, e tanto più senza patria quanto più affetta patriottismo. Non c’è bisogno di prove. È un fatto in genere connaturato alla stessa unione personale del capitale sul piano internazionale. Connaturato inoltre all’assoluta mancanza di scrupoli che deriva dal bisogno di profitti del capitale, che trae i profitti là dove può ottenerli.

Forse non ho molto di nuovo da dire su questa mancanza di patria dell’industria degli armamenti, perché la cosa peggiore in questa mancanza di patria, in questo perfetto apatriottismo, è che questi fornitori di materiale bellico inviano le loro forniture con assoluta sistematicità all’estero, ovunque, indifferentemente dove siano meglio pagate, senza curarsi se poi le armi colà inviate verranno impiegate contro l’esercito tedesco.

Il mio amico Südekum ha illustrato qui recentemente un documento particolarmente interessante sotto il profilo della mancanza di patria di questo capitale “patriottico”. Egli ha riferito, dal testo del signor Martin, dei fatti sulla situazione alle Dillinger Werke che sinora, a quanto mi risulta, nessuno ha confutato. La Dillinger è di proprietà degli eredi Stumm, ciò significa innanzitutto del signor tenente generale von Schubert, un signore della camera dei deputati prussiana. Come ora è certo, questa fabbrica è alimentata in gran parte da capitale francese ed è inoltre fortemente francesizzata tanto che nelle riunioni generali della fabbrica è largamente usata la lingua francese. Ciò è straordinariamente istruttivo! Si pensi: “Il nemico ereditario”! Si pensi al “grande pericolo” che scoppi una guerra tra la Germania e la Francia: e intanto capitalisti francesi siedono in questa società tedesca, vengono iniziati a tutti i segreti degli armamenti tedeschi e, insieme a tutti i capitalisti di nazionalità tedesca, fanno in modo che al popolo tedesco ed al Reich tedesco venga spillato tantissimo danaro per gli armamenti. Signori, questo prova una commovente solidarietà internazionale del capitale. Questa solidarietà del capitale supera ogni barriera di nazionalità.

Ma andiamo avanti. Forse si riuscirà una buona volta a consegnare al ministro della guerra i documenti contro un certo signor Schöpp. Gli posso fornire il numero della pratica: Landgericht III, Berlino, B 5, J. 675/10. In questi documenti egli troverà un’infinità di materiale interessante su una delle maggiori fabbriche di armi tedesche, precisamente sulla Deutsche Waffen und Munitionsfabrik. Tra l’altro nei documenti si trova copia di una lettera inviata ad un agente di questa società a Parigi, a Parigi!, con l’indicazione segreta 8236. La lettera contiene quanto segue:

    «Vi abbiamo appena telegrafato: “Preghiamo attendere a Parigi nostra lettera odierna”. Motivo del dispaccio era che desidereremmo che comparisse in uno dei giornali francesi più letti, possibilmente nel “Figaro”, un articolo che dica quanto segue: “L’amministrazione francese dell’esercito è decisa ad accelerare in modo rilevante l’ammodernamento dell’esercito con mitragliatrici e ad ordinarne una quantità doppia di quella in un prima tempo prevista».

Questo è il tenore dell’articolo destinato a comparire nel “Figaro”, in uno dei giornali francesi più letti, dell’articolo ispirato dalla Deutsche Waffen und Munitionsfabrik. La lettera conclude: «La preghiamo di fare il possibile perché simile articolo venga accolto». La lettera è firmata: “Deutsche Munitions und Waffenfabrik, von Gontard, Kosengarten”. Questa lettera dimostra che gli interessati agli armamenti in Germania, che le nostre grandi fabbriche tedesche di armi, per lo meno questa fabbrica — essa è forse, in questa faccenda, non posso dire una mosca bianca, dirò una colomba nera — che per lo meno questa fabbrica non ha timore a diffondere su giornali francesi notizie false, che dovrebbero annunziare un programma francese di incremento dell’esercito. A quale scopo? Per salvare la patria? Signori, a quale scopo? Per riuscire così a creare in Germania la condizione di spirito per ottenere commesse e guadagnare bel danaro, perché il danaro risuoni nelle casse. Ciò è oltremodo significativo! Credo che mai si sia avuta una simile prova del patriottismo del capitale tedesco degli armamenti.

Ma possiamo sperare che la Waffen und Munitionsfabrik rappresenti una pecora nera? Signori, chi di speranza vive di speranza muore. Mi vedo purtroppo costretto a distruggere in voi queste speranze, prestandovi univoche prove sul fatto che la maggiore fabbrica tedesca di armi funziona grazie a mene che sono inconciliabili persino con quel tipo di morale che, forse, come pensavo di dover dedurre dalle interruzioni di poc’anzi, potrebbe ancora incontrare l’approvazione di certi partiti di questa camera. Signori, sono curioso di vedere se approverete quanto sto per dirvi.

La presidenza dell’acciaieria Friedrich Krupp, di Essen sulla Ruhr, manteneva a Berlino – ora lo posso dire – sino a poche settimane or sono un agente di nome Brandt, ex artificiere, il quale aveva il compito di avvicinare i funzionari di segreteria delle autorità dell’esercito e della marina e di corromperli, per ottenere per loro mezzo notizie di documenti segreti il cui contenuto interessasse la ditta. Ciò che loro interessa sono, in modo particolare, le intenzioni delle autorità in materia di armamenti, dati sui programmi delle autorità nonché dei concorrenti, risultati di esperimenti; soprattutto, però, i prezzi che le altre fabbriche chiedono e che sono loro concessi. All’uopo sono stati posti a disposizione del signor Brandt ingenti mezzi.

La nota ditta sfrutta sistematicamente il suo potere finanziario per indurre funzionari prussiani piccoli e grossi a rivelare segreti militari. Questa situazione dura da anni. I resoconti segreti stanno – o stavano – coscienziosamente accatastati nei segreti scrigni di un certo signor von Dewitz, a Essen.

Quanto vi ho appena detto non si basa su una semplice comunicazione pervenutami da una qualche parte. Vi dirò, naturalmente, che ho dato notizia al ministro della guerra di tutto quanto mi è stato comunicato. Mi è stato fatto presente in modo particolare che la ditta, grazie al suo immenso potere finanziario, avrebbe potuto essere in grado, qualora si fosse resa nota la notizia prematuramente, di far scomparire tutti i documenti di prova ed anche delle persone scomode.

In questa occasione il ministro della guerra ha fatto tutto il suo dovere. Il ministro della guerra è intervenuto e non soltanto contro dei militari ma anche contro civili. Contro sei o sette persone – al momento non posso e non voglio per ora farne i nomi: è in corso l’istruttoria preliminare, a meno che non sia già stata conclusa. Si è intervenuto con notevole energia. Gli interessati sono stati rinchiusi nel carcere preventivo. Gente altolocata! Nessun rimprovero quindi si deve muovere all’amministrazione militare. L’inchiesta è sostanzialmente conclusa ed ha confermato punto per punto quanto vi ho qui esposto.

Lo scopo dell’istruttoria non può più essere pregiudicato: conseguentemente ritengo mio dovere e compito esporvi qui questi fatti nell’interesse del popolo tedesco e nell’interesse della pace europea. Perché le cose stanno così: vedendo come una Waffen und Munitionsfabrik compia manovre del genere della lettera inviata in Francia che vi ho letta, le si può sicuramente dar credito che avrebbe il coraggio di fare quello che fa la ditta Krupp. E se la ditta Krupp fa quello che noi qui possiamo dare per provato, possiamo essere certi che non si sentirà imbarazzata a fare le stesse cose che fa la Deutsche Waffen und Munitionsfabrik. Questo è evidente. Tutto bisogna aspettarsi da imprese la cui morale e il cui scrupolo sono scesi al livello sotto zero – non si può dire a zero – come è stato qui dimostrato, vuoi nel caso della Waffen und Munitionsfabrik, vuoi nel caso di Krupp.

Vorrei ora ritornare alla Dillinger. Ecco quanto vi è da aggiungere. Dillinger significa von Schubert. Il signor von Schubert uguale a Stumm. Stumm uguale a “Post”, questo è importante da sapere. Il giornale “Post”! il giornale “Post” è ben noto. Tutti conoscono i “Postesel” [asini del Post, cosiddetti i suoi lettori]. Dunque: Dillinger uguale a “Post”, questo è importante. Non fu “Die Post” a riprodurre nel 1911 quell’articolo, in occasione dell’affare del Marocco, per indurre il governo tedesco ad una “politica più attiva”? Non fu “Die Post” a scrivere l’articolo “Guillaume le timide, le valeureux poltron”? Fu “Die Post”, vi prego di osservare! E fu “Die Post”, per tacere per il momento di altre cose, a far da portavoce – come posso dire – alla cricca dello stato maggiore ai cui piedi sta oggi il ministro della guerra. E non fu sempre “Die Post” a scoprire improvvisamente, allorché la pace “minacciava” – per usare il linguaggio degli interessati agli armamenti – di insediarsi nei Balcani, si era alla fine di febbraio, in un articolo molto allusivo, che nel momento in cui ad est si avvicinava la pace, ad ovest si sviluppava un nuovo e più pericoloso focolaio? E non è “Die Post” che ha sfruttato particolarmente bene gli avvenimenti di Nancy, battendo la sua spada patriottica sul suo scudo patriottico, alla maniera degli antichi germani! [a Nancy (e a Besançon) il 14 aprile 1913 studenti nazionalisti francesi avevano inscenato una manifestazione di ostilità contro una comitiva di turisti tedeschi, episodi che la stampa tedesca ingigantì al di là della loro obiettiva portata]. “Die Post” ha pubblicato gli articoli provocatori sul “nuovo e pericoloso focolaio”, gli avvenimenti di Nancy e – come ho appena detto – ha agitato violentemente lo scudo con tanto fracasso come accade solo in una scena teatrale. In verità però – quale delusione! – batteva soltanto sul portamonete e questo risuonò come se fosse entrato in scena il patriottismo.

Chi intende contestare il nesso tra questo strepito sulla stampa a proposito degli avvenimenti di Nancy e gli interessi al profitto del capitale degli armamenti, questo strepito su avvenimenti, verificatisi talvolta anche in passato, avvenimenti che naturalmente sono stati deplorati dappertutto, anche in Francia? Questi fatti vengono sistematicamente sfruttati da una certa stampa per inasprire sempre più il contrasto tra Germania e Francia, per creare artificiosamente un’atmosfera favorevole, che minaccia di estinguersi, per i grandiosi progetti di bilancio militare e gli immensi guadagni che gli industriali degli armamenti – gli interessati agli armamenti – vogliono ottenere in occasione dell’attuale progetto di bilancio militare. Signori, queste sono cose evidentissime. Il caso di Nancy e di Besançon, con tutti i suoi contorni, è giunto al momento giusto per questa stampa, allorché si profilava ancora una volta la minaccia di uno sviluppo pacifico, si profilava, cioè, una minaccia per il portamonete dei signori interessati agli armamenti.

Quanto ho detto riguarda “Die Post”. Conosciamo però anche la stretta connessione tra altri settori del capitale degli armamenti ed altri giornali in Germania che da tempo immemorabile sono quelli che più gridano a favore di una soluzione bellica e contro una soluzione pacifica delle difficoltà europee. Mi basta ricordare la “Rheinisch-Westfälische Zeitung”, organo che porta sulla fronte il marchio della volontà di profitto degli interessati agli armamenti. E che cosa questo significhi ve l’ho spiegato con alcuni esempi.

Signori, si possono trarre sì delle conclusioni. Tutti sanno come viene fatta, ad esempio, la politica coloniale. Uno dei metodi più noti consiste nel creare provocazioni di carattere politico-coloniale per mezzo di agenti segreti e di spie di ogni specie nel paese che si vuole conquistare in chiave di politica coloniale. Non voglio spingermi a tanto. Non intendo assolutamente formulare il sospetto di una diretta partecipazione anche di agenti tedeschi a certi spiacevoli avvenimenti in Francia, non giungo a tanto; vi dico soltanto questo: non si deve escludere alcun sospetto, la mancanza di scrupoli nello sfruttare questi avvenimenti ce ne dà diritto. Noi riteniamo questi superpatrioti, questi superpatriottardi – si può ben dire – capaci di tutto, anche di questo.

Signori, riflettete soltanto su questo: si tratta degli stessi circoli che tramutano in oro la discordia tra i popoli. Che siano in Germania o in Francia hanno gli stessi interessi. L’aumento degli armamenti in Francia non influisce sui concorrenti tedeschi nella misura in cui è solita influire l’aumento di un’altra industria concorrente; questi “concorrenti” lavorano mano nella mano. I nostri Krupp, Stumm e compagni, Waffen und Munitionsfabrik, non possono augurarsi niente di meglio che un vasto riarmo in Francia, in quanto anch’essi otterranno poi abbondante lavoro e guadagneranno tanto denaro.

Si tratta della stessa gente per la quale seminare e aizzare la discordia tra i popoli, indifferentemente per quale motivo, significa guadagnare denaro. È la stessa gente sui cui profitti non influisce affatto un conflitto tra popoli e il suo esito, per la quale l’ammontare del profitto è semplicemente proporzionale al grado di discordia, di odio tra i diversi popoli.

Signori, questo è l’essenziale per capire la psicologia di questo tipo di capitale e questo è ciò che serve per capire come questo capitale possa operare provocatoriamente in Francia e in Germania, indipendentemente dal fatto che trovi impiego in Francia o in Germania. I loro interessi comuni ne saranno sempre alimentati, si ottengono profitti in qualsiasi circostanza.

Sono certo che le ditte francesi, poniamo la Schneider-Creusot, non sono più ammodo delle ditte tedesche, ed è estremamente probabile che la stampa provocatoria francese, che di fatto non è meno perniciosa della nostra, dipenda da questi interessi degli armamenti al pari della nostra peggiore stampa provocatoria in Germania. Signori, bisognerà attenersi a tutti questi fatti, a queste considerazioni ai fini degli ulteriori importanti dibattiti che dovremo tenere in questa camera. Sino ad oggi il governo del Reich mantiene rapporti con queste imprese. D’altro canto sino ad oggi non era al corrente di queste cose: sicuramente – posso ben dirlo – non ne era al corrente. Ma il ministro della guerra ci ha detto che al ministero della guerra si leggono attentamente i giornali. Se questo è vero, la lettera della Deutsche Waffen und Munitionsfabrik non poteva sfuggire al ministro della guerra, se questi avesse fatto il suo dovere: infatti era già stata pubblicata sul “Vorwärts” e inspiegabilmente ignorata, allora. Attendo chiarimenti al riguardo.

Signori, l’amministrazione militare non si è limitata sinora a dare a questi industriali privati pingui commesse che consentono i giganteschi profitti di queste istituzioni, nate per fabbricare milioni, ma, come ha potuto stabilire lo scorso anno, è arrivata al punto di limitare l’attività degli stabilimenti statali, delle fabbriche statali dì armi, per poter dare determinate commesse all’industria privata, in quanto la conservazione di questa è considerata indispensabile nell’interesse dell’amministrazione bellica. Questa è una vera e propria sovvenzione statale, sulla quale il Reichstag non è stato consultato. Ebbi a parlarne una volta, ma senza fare diretti rimproveri, al ministro della guerra in quanto, nella misura in cui questa industria è in gran parte privata, di fatto esiste, in un certo grado, uno stato di necessità. Non insisterò, in questa sede, sulla questione; una cosa è tuttavia evidente: bisogna smetterla con questo sistema! È assolutamente necessario che le mani del Reich tedesco — se mi è consentita questa metafora — restino pulite. È necessario che il governo non abbia più rapporti di nessun genere con ditte che, come è stato provato, praticano questo genere di intrighi.

Due giorni or sono, se non sbaglio, nella commissione del bilancio, il ministro della guerra, avendolo io interpellato, a causa di due poveri diavoli, sulla disonestà dei fornitori di materiale bellico, disonestà che egli naturalmente ha riconosciuto – in questo senso non posso rivolgergli il minimo rimprovero – ha dichiarato che da tempo è prassi strettamente osservata dell’amministrazione militare di rifiutare ogni contatto con ditte delle quali cui si fosse provato il ricorso anche una sola volta a questi intrighi. Signori, se ne deduce per lo meno che la ditta Krupp e la Deutsche Waffen und Munitionsfabrik – e chissà quante altre? – non dovranno più ottenere commesse sui futuri bilanci militari. È dovere del Reichstag tedesco, se tiene all’onestà, provvedere in questo senso, ed è un dovere per l’amministrazione militare tedesca se tiene all’onestà.

Signori, noi non facciamo pressioni per una radicale trasformazione del sistema soltanto per motivi di correttezza pecuniaria e di onestà. Costi quel che costi dev’essere attuata al più presto la statizzazione dell’intera industria degli armamenti, anche per il suo bene, perché soltanto in tal modo sarà possibile eliminare una classe di interessati la cui esistenza rappresenta per l’intero mondo un costante pericolo di guerra e per estirpare così una delle radici della follia degli armamenti ed una delle radici delle discordie tra i popoli.

II

Signori, il ministro della guerra ieri mi ha risposto dapprima con vuote chiacchiere di economia politica, sulle quali non ho motivo di addentrarmi più dettagliatamente. Poi ha lasciato intendere che nel caso Krupp, che stiamo discutendo, non erano stati svelati segreti di alcun tipo.

Signori, sono stati svelati dei segreti. Ciò dovrebbe essere noto al ministro della guerra. Egli dovrebbe anche sapere e distinguere se si tratta della rivelazione di segreti militari ad uno Stato straniero o della rivelazione di segreti militari ad un privato.

Rivelazioni di quest’ultimo tipo si sono indubbiamente avute, su istigazione e corruzione di impiegati della Krupp. Questo è già stato provato. La ditta Krupp ha nei suoi schedari segreti a Essen una gran copia di rapporti segreti su cose di ogni genere, che in parte riguardano soltanto la concorrenza, in parte, tuttavia, anche i programmi, nuovi programmi che l’amministrazione militare e i concorrenti vogliono introdurre. Questi rapporti segreti in gran parte sono stati sequestrati.

Signori, ho in mia mano un gran numero di copie di questi rapporti segreti. Non intendo metterli a disposizione della camera in questa fase. Ho dimostrato al ministro della guerra la massima lealtà rimettendogli alcune delle carte pervenutemi, nella forma in cui mi erano arrivate.

Il ministro della guerra dice che non sono stati svelati segreti. La ditta Krupp, tuttavia, ha trattato l’intera faccenda con la massima segretezza, con la massima riservatezza. La ditta Krupp ha consegnato questi rapporti segreti ad una persona del tutto particolare, che aveva il compito particolare di conservarli segretamente come segreti.

Il ministro della guerra dice che non è provato che funzionari superiori della Krupp abbiano avuto a che fare nella faccenda. Signori, siamo abituati a vedere usato il metodo di esporre i pesci piccoli, di impiccare i ladri piccoli e di lasciar scappare i grossi: metodo molto cavalleresco! Ma il signor von Dewitz di Essen appartiene ai pesci piccoli della ditta Krupp? Egli è stato il custode dell’intera faccenda; nel suo armadio il giudice istruttore di Berlino ha sequestrato i rapporti segreti. Ma è sui pesci piccoli che si vorrebbe scaricare tutto, perché la ditta Krupp rimanga pulita, perché il Reich possa continuare a darle commesse, perché venga salvato l’onore del Reich tedesco che sembra singolarmente imparentato con l’onore della ditta Krupp.

Signori, naturalmente non mi aspettavo che il ministro della guerra mi ringraziasse. Ma trovo un po’ strana che nelle sue dichiarazioni il ministro della guerra ritenga di dover ringraziare ancora la ditta Krupp per le sue grandi realizzazioni patriottiche. Forse il ministro della guerra, che attualmente deve partecipare con una certa frequenza ai festeggiamenti patriottici per il centenario, vi è stato indotto per abitudine. Senza Krupp non si possono certo cantare tutti gli inni patriottici in gloria della Germania, quali vengono cantati in tutte le associazioni combattentistiche, nella Lega della giovane Germania, in tutti i circoli militari ecc. Se crolla la fama di Krupp, il nostro patentato patriottismo subisce un fiero colpo.

Basta solo osservare come prende posizione la stampa di oggi. La “Deutsche Tageszeitung” registra gli avvenimenti di ieri con la nota: “Una grave offesa – non so, forse addirittura diffamazione – per la ditta Krupp”. Questo è il modo in cui...
Il deputato Oertel si alza dal suo posto. Grande insistente ilarità.
KL: Se lo lasci dire almeno una volta!
Deputato Oertel: “Non è vero!”
KL: Glielo dimostrerò subito.
Vicepresidente dottor Paasche: La prego, onorevole, niente discussioni private!

KL: Signori, la “Tägliche Rundschau” reagisce, ad esempio, agli avvenimenti di ieri nel modo più riprovevole, schernendo in un trafiletto, alquanto insolentemente, quanto ieri ho qui esposto, riportando invece ampiamente e vistosamente le dichiarazioni giustificative della Krupp. Si tratta anche qui di un organo che non sa accontentarsi di schiamazzi patriottici, un organo manovrato – è certo come due più due fa quattro – anche senza che gli interessati forse lo sappiano, attraverso i canali segreti degli interessi degli armamenti.

Signori, il ministro della guerra ha sollevato il problema di quanto noi in Germania dobbiamo alla ditta Krupp. Io rovescio la domanda: “che cosa deve la ditta Krupp al popolo tedesco?” Il ministro della guerra si sarebbe dovuto domandare, una volta tanto, se le prestazioni della ditta Krupp non siano state pagate proprio bene, e se le centinaia di milioni, che si trovano ora nelle mani di questa ditta, non siano state prelevate dalle tasche dei più poveri tra i poveri del popolo tedesco. La ditta Krupp dovrebbe ringraziare il popolo tedesco per aver lasciato fiorire, crescere e prosperare tanto questa ditta, anche se per lo più contro voglia.

La ditta Krupp ditta patriottica! Lei si rammenta forse, signor ministro della guerra, come il 29 aprile 1868 il signor Friedrich Krupp, fabbricante d’acciaio di Essen nel circondario di Duisburg, avesse inviato ad un certo Napoleone III di Francia una lettera, pubblicata nel noto volume Lettere di patrioti-accattoni tedeschi, nella quale si diceva: «Incoraggiato dall’interesse che la Vostra sublime Maestà ha voluto dimostrare per un semplice industriale e per i felici risultati dei suoi sforzi e del suo incessante sacrificio, ardisco presentarmi nuovamente a Vostra Altezza con la preghiera di volersi degnare di accettare l’allegato album. Esso contiene una raccolta di disegni di oggetti diversi introdotti nelle mie fabbriche. Confido che particolarmente le ultime quattro pagine, che raffigurano i cannoni d’acciaio da me allestiti per diversi illustri governi d’Europa, possano richiamare per un attimo l’attenzione di Vostra Maestà e giustificare il mio ardimento. Con il più profondo rispetto, con la massima ammirazione – si potrebbe aggiungere: e con la speranza di ricevere numerose ordinazioni – sono l’umilissimo devotissimo servo di Vostra Maestà».

E perché sappiate inoltre, Signori, sotto quali auspici la ditta Krupp ha avuto così brillanti sviluppi, voglio leggervi anche la risposta di Napoleone III. Essa dice: «L’imperatore ha accolto l’album con grande interesse, e Sua Maestà ha dato ordine di ringraziarvi per questa comunicazione e di farvi sapere che Sua Maestà auspica il successo e lo sviluppo di un’industria destinata a rendere all’umanità considerevoli servigi». Non manca ora che inserire nello stemma della Krupp un’aureola nella quale inscrivere il nome di Napoleone III.

Signori, il ministro non solo si è sentito in dovere di esprimere il particolare patriottico ringraziamento alla ditta Krupp, ma si è spinto sino a muovermi un rabbuffo, per aver io riportato la faccenda; dice che non serve ai fini dell’istruttoria.

Signori, se qualcosa ha dimostrato che era necessario tirar fuori la questione, è il modo in cui il ministro della guerra mi ha risposto ieri e il fatto che il ministro della guerra ha ammesso ieri che quell’inaudita lettera della Deutsche Munitions und Waffenfabrik gli era nota già da due anni e che nondimeno non ha intrapreso nulla contro questa ditta, pur rappresentando la lettera, di fatto, perlomeno un duro colpo anche per i nervi più solidi dei più forti patrioti degli affari.

Quanto fosse necessario presentare qui questo materiale lo dimostra tuttavia anche un altro fatto: l’inchiesta, conclusa per il fatto principale, è stata ora rivolta contro chi viene sospettato di avermi passato le informazioni. Signori, è questo un metodo da lungo tempo sperimentato in Prussia: quando viene svelato un abuso, si procede anche contro quello che lo ha scoperto.

Dal momento che sono stato sentito quale testimone in un procedimento che deve servire ad accertare, stabilire se si possa imputare qualcuno di aver trasmesso questo materiale, mi vedo costretto a procedere anche a mia volta senza riguardo alcuno. Devo del resto sottolineare come l’obiettivo dell’istruttoria non possa più essere pregiudicato, perché tutto il materiale è ormai nelle mani dei giudici, tutto è stato sequestrato; ora si tratta solo di trovare la definizione giuridica delle azioni commesse; gli elementi di fatto sono già agli atti, al sicuro. Ma naturalmente non poteva essere mio dovere aspettare, per dare queste informazioni, che il progetto di bilancio militare fosse arrivato a buon fine, tanto più che io e tutti i miei amici e qualsiasi persona avveduta dopo queste rivelazioni sappiamo, forse più di prima, come in realtà non esista attualmente pericolo maggiore per la pace europea – devo continuare a ripeterlo – dei progetti di bilancio militare francese e tedesco. Ed il progetto militare tedesco, proprio come quello francese, è indubbiamente, in parte assai considerevole, il prodotto dell’opera di sobillazione “patriottica” di quella spregevole specie di patrioti degli affari di cui ho parlato.

Signori, è il pubblico interesse che ha dettato la mia condotta, che mi ha imposto il dovere di svelare le manovre degli interessi degli armamenti che rappresentano un pericolo pubblico.

Ieri ho parlato della Deutsche Waffen und Munitionsfabrik, delle Dillinger Werke, di Krupp. Il ministro della guerra ha preso sotto la sua protezione, al cinquanta per cento o per tre quarti, e per di più glorificato Krupp; per quanto riguarda la Waffen und Munitionsfabrik ha ammesso di non aver fatto nulla ed inoltre non ha detto di avere l’intenzione di fare qualcosa, e sulla Dillinger ha completamente taciuto.

Non sono certo sulla falsa strada se ne traggo la conclusione che manca ancora al ministro della guerra l’energia necessaria ad intervenire, che sino ad oggi egli non ha ancora assunto con la sicurezza auspicabile l’atteggiamento che, a parer mio, non andrebbe neppure discusso né in un’amministrazione né in un parlamento che tenessero alla propria pulizia. D’altro canto la questione è di importanza assai maggiore di quanto non indichi il nome Krupp o non indichino i nomi Krupp, Waffen und Munitionsfabrik, Dillinger.

Ieri all’inizio delle mie considerazioni ho fatto riferimento al cartello per le piastre corazzate. Vi è noto – lo sanno anche i muri; siedono qui molti signori che sono al corrente di queste cose assai più di noi – che gli interessati agli armamenti sono generalmente uniti in cartello. È noto inoltre che Krupp rappresenta il nome di primo piano, la potenza di primo piano nell’industria degli armamenti. Se alla ditta Krupp, la più autorevole di tutte queste fabbriche, avviene quanto ho qui esposto, quale luce si getta sull’intera industria tedesca degli armamenti? Si impone la massima cautela, la diffidenza più illimitata. Perché se ciò è avvenuto alla Krupp o alla Waffen und Munitionsfabrik, nessuno ci garantisce, anzi, direi quasi, esiste una certa probabilità che le altre ditte non si comportino in modo sostanzialmente diverso nelle loro operazioni, non siano più corrette delle due grandi ditte.

Non mi risulta che il ministro della guerra abbia tratto questa conclusione generale. Già il caso Dillinger mostra come il cartello degli interessi degli armamenti non sia un cartello soltanto tedesco, ma internazionale. Debbo anche richiamare l’attenzione sul fatto che la Krupp, con tutta la sua ditta, fa parte, alla luce del sole, di un importante cartello in Austria-Ungheria, quindi oltre i confini della Germania. Non dovrebbe esservi dubbio che si tratta di una questione della massima importanza per il bene della patria.

Che cosa ho dimostrato? Ho provato che la Deutsche Waffen und Munitionsfabrik diffonde sulla stampa estera false notizie per creare così in Germania la condizione di spirito favorevole ad un nuovo progetto di bilancio militare. Ho dimostrato che la ditta Krupp opera a Essen con la corruzione, con la rivelazione di segreti militari, che opera così già da anni, e questo consapevoli per lo meno altissimi funzionari della ditta e su loro istigazione. Queste sono cose della massima importanza che possono indurre il Reichstag a modificare sostanzialmente l’atteggiamento tenuto in passato nella questione dei nostri armamenti e del modo di procacciare i materiali necessari.

Favorire la corruttela – desidero sottolineare – di funzionari inferiori e superiori dell’amministrazione militare, come ha fatto la ditta Krupp, non è in realtà un’inezia. Significa corrompere questi funzionari, significa rendere questi funzionari doppiamente più esposti ad eventuali corruzioni anche dall’estero. Questa non e una “magnanima dimostrazione di sentimenti patriottici”, tale da meritare un ringraziamento quale quello reso ieri dal ministro della guerra.

Questa gente, quella che alla ditta Krupp, alla Waffen und Munitionsfabrik, alle Dillinger Werke, comanda e gestisce simili pratiche d’affari, è la stessa cui deve essere pagata la massima parte dei nuovi miliardi, richiesti alle tasche del popolo, è la stessa nelle cui tasche sono affluiti ogni anno innumerevoli milioni, è la stessa che nel contempo trae il maggior profitto dal nostro attuale sistema militare, dell’attuale situazione capitalistica e che brutalmente tiene soggette, come i peggiori forcaioli, le masse della popolazione; è la gente che istiga all’oppressione della popolazione, che più reclama leggi sull’ergastolo e leggi eccezionali. È la stessa gente che ha l’impudenza di muovere alla socialdemocrazia il rimprovero di essere senza patria. Questi patrioti-modello dovrebbero essere giudicati in base al loro comportamento, che confina quanto meno con il tradimento della patria.

Signori, portando qui il mio materiale ho fatto il mio dovere: il ministro della guerra dovrà fare ancora gran parte del suo. Nulla deve essere nascosto, né messo a tacere. Si tratta qui di un “Panama” peggio del “Panama”. Intendiamo stare a vedere se il governo troverà l’energia necessaria per intervenire con l’efficacia indispensabile anche nei confronti dell’onnipotente ditta Krupp e di tutta questa onnipotente cricca del capitale, e intendiamo stare a vedere se anche la maggioranza di questo Reichstag trarrà le conclusioni indispensabili, che devono essere tratte nell’interesse del popolo tedesco, nell’interesse della pace europea.

Signori, il dottor Oertel ha richiamato l’attenzione sul fatto che il contenuto della nota sulla “Deutsche Tageszeitung” rappresenta, per così dire, un’aspra condanna della ditta Krupp, ovvero degli avvenimenti così come sono stati presentati. Ciò è vero: me ne sono convinto.

Su questo punto posso ritirare i miei rimproveri. Ma sottolineo che l’intitolazione dell’articolo, che tanto salta agli occhi, sembra indubbiamente fatta apposta per sviare. Oggi ci si vede facilissimamente costretti a non leggere un articolo per esteso, ma spesso l’attenzione è attirata da parole d’ordine e se queste parole d’ordine sono fuorvianti, il giornale, in definitiva, è responsabile degli equivoci che ne nascono.

Il deputato Braband e anche un altro signore mi hanno rimproverato di non essermi accontentato di riportare circostanze specifiche ma di averne anche tratto delle conclusioni. Signori, era questo il mio maledetto dovere e compito. Questi avvenimenti sono sintomatici, ecco il loro aspetto sostanziale; ed essendo sintomatici sono terribilmente pericolosi e per questo è così straordinariamente importante adoperare una scopa di ferro. Restiamo in attesa che ciò avvenga.

III

[...] Signori, il ministero degli esteri ha disposto un’inchiesta per accertare in quale misura il capitale straniero abbia partecipazioni in imprese industriali esercite in Germania. È facile che questa inchiesta risulti pressoché infruttuosa; perché prima di tutto è oltremodo difficile stabilire in quali mani si trovano, di volta in volta, le quote, anonime, di capitale, e poi non dovremmo dimenticare una cosa, sulla quale, appunto, la futura commissione di inchiesta dovrà rivolgere la massima attenzione: ossia, se anche la proprietà di singole imprese, considerata sotto il profilo giuridico, dovesse trovarsi in determinate mani, quali che siano, per il fatto che le imprese con grandi capitali sono unite in Konzerne, in cartelli, e che pertanto tra le imprese capitalistiche tedesche e le imprese straniere si stabiliscono stretti, strettissimi rapporti, viene un momento in cui l’accertamento è reso straordinariamente difficile, tanto più proprio in una inchiesta sul capitale degli armamenti.

La cartellizzazione del capitale all’interno e quella tra il capitale nazionale e quello estero non esclude naturalmente, al caso, la reciproca truffa tra le singole imprese capitalistiche. Non bisogna quindi pensare che più imprenditori dell’industria degli armamenti, i quali si abbindolano l’un l’altro, non possano per questo essere in uno stesso cartello: sarebbe una conclusione errata.

Signori, desidero accontentarmi di queste osservazioni generali. In occasione dell’imminente inchiesta il ministro della guerra subirà pesanti attacchi, al cospetto dei quali, forse, le tentazioni di sant’Antonio saranno un gioco da bambini, e, quale Ercole al bivio, il ministro della guerra dovrà decidere se vorrà giocarsi le simpatie dei più potenti gruppi capitalistici e barattarle con la simpatia della grande massa della popolazione. Gli si presenterà forse questa alternativa.

Signori, particolari difficoltà per l’inchiesta derivano anche dai fatto che certi posti nel pubblico impiego, soprattutto nell’amministrazione militare, vengono senz’altro considerati, sistematicamente, posti di passaggio per buone prebende nell’industria privata. L’imparentamento personale tra la burocrazia militare e gli impiegati superiori del capitale degli armamenti è particolarmente stretto; si presenterà l’occasione di provarlo nei particolari. Voglio fare adesso soltanto un paio dì nomi: gli ex ispettori, eccellenze Fromm e Köhne; gli ex direttori Hirschberg, Kummer, Etscheid, eccellenza Brandt, Passauer e altri, che precedentemente lavoravano nell’amministrazione militare, svolgono oggi un’importante funzione nell’industria privata degli armamenti e ancor oggi – vi ho già accennato lo scorso anno – entrano ed escono dalle fabbriche di Stato come se fossero a casa loro.

Ritengo di aver illustrato con sufficiente chiarezza come le manovre anzidette non abbiano luogo soltanto in Germania, ma siano internazionali e come di conseguenza i miei attacchi fossero rivolti al capitale internazionale degli armamenti. Per quei signori che hanno bisogno di istruirsi ulteriormente al riguardo, voglio accennare brevemente allo scritto di Delais, La Démocratie et les Financiers, al breve scritto istruttivo di de Souza Dantas, La Paix et les Armements, dove si descrive specificamente la situazione francese; quindi allo scritto di Eugène Turpin, La spoliation, persécution et haute trahison pour la patrie, inoltre agli opuscoli della Lega della Pace sui cartelli degli armamenti, ed infine agli scritti di Ludwig Pfeiffer, che in realtà non sempre contengono soltanto nudi fatti, ma le cui congetture spesso non possono non incontrare approvazione.

Si è già detto come, soprattutto per quanto riguarda il capitale inglese degli armamenti, siano state più volte scoperte cose del genere. Si tratta, in modo particolare, della Vickers Limited, della John Brown and Company Limited, della Armstrong, Withworth and Company Limited, della Maxim, ecc. che hanno fondato un Konzern, estremamente pericoloso anche politicamente, che si è provato con ogni chiarezza essere il sostanziale promotore della guerra del Transvaal, del “Jameson Raid”. Al nome Jameson si collegano a questo riguardo i ricordi più gravidi di sospetto.

In Francia abbiamo la stessa cosa. Nello stesso momento in cui noi in Germania ci sforziamo, nell’interesse della pace internazionale, di svelare le manovre degli interessi tedeschi degli armamenti, in Francia i nostri amici fanno lo stesso, in modo particolare contro la ditta Schneider-Creusot. Gli articoli pubblicati sull’“Humanité” sono convincenti. Dimostrano nel modo più chiaro come questi interessati agli armamenti abbiano svolto, in collegamento con le banche, una politica internazionale soprattutto nei Balcani, in riferimento alla Bulgaria ed alla Serbia, come queste ditte agiscano in modo assolutamente ricattatorio e come abbiano manifestato un interesse immediato alla guerra nei Balcani.

Recentemente il ministro della guerra si è chiesto se io volessi allora sostenere che la guerra nei Balcani è stata provocata dagli interessi degli armamenti. Anche allo scoppio della guerra nei Balcani hanno sicuramente partecipato mani poco pulite. Sulla base di quanto pubblicato dall’“Humanité” è fuori dubbio che proprio il capitale francese degli armamenti vi ha svolto una funzione rilevante, dimostrabile.

Ma desidero occuparmi della Germania e premettere una breve osservazione prima di arrivare all’essenziale di quanto ho da dire. (Risa a destra ed in centro). Se vi è parso già tanto importante quanto ho detto adesso... (Grida a destra ed in centro: “No!”), potrete giudicare quanto sarà importante quello che ho ancora da dire. (Grande ilarità). Vi prego, dunque!

Trovo straordinariamente interessante leggere su un organo oltremodo beneducato, ossia la “Deutsche Tageszeitung”, che all’industria d’armi di Solingen hanno fatto estremo piacere le grosse commesse procurate dall’estero, soprattutto commesse dalla Russia.

Se vi è uno Stato con il quale sussiste forse pericolo di guerra, mi pare sia la Russia, prima di qualsiasi altro. E la nostra patriottica fabbrica d’armi di Solingen doveva proprio avere il piacere di fornire armi tedesche ai russi, così che l’esercito russo, se si verificherà il caso che tanti pessimisti paventano e che tanti fornitori d’armi auspicano con ottimismo, potrà massacrare i soldati tedeschi con armi tedesche.

Signori, nelle rivelazioni intorno all’internazionale del capitale degli armamenti la Dillinger ha svolto una funzione importante; quindi ancora una parola su questa fabbrica. Recentemente il ministro della guerra ha trovato giusto togliersi dai piedi la Dillinger contestando di essere in rapporti d’affari con essa. Non voglio fare ulteriori indagini, per quanto mi sia stato detto che la Dillinger fornisca piastre corazzate per alcune piazzeforti tedesche. Ma la risposta era alquanto fredda. Se il ministro della guerra non ha nulla a che fare con la ditta, è comunque il suo amico e collega del ministero della marina del Reich ad avere straordinariamente molto a che fare con la Dillinger, amico che peraltro non si è fatto vedere qui nei dibattiti della settimana scorsa, che sino ad oggi non si è neppure ufficialmente pronunciato, che non ha rotto i rapporti con la Dillinger, allo stesso modo in cui il cancelliere del Reich non ha colto sinora l’occasione per pronunciarsi, come che sia, su questa faccenda di vitale interesse per il bene del Reich.

Ora, signori, il consigliere di governo Martin ha subito attaccato acerbamente il tentativo di discolparsi delle Dillinger Werke. Ciò si deve probabilmente al fatto che nel consiglio d’amministrazione delle Dillinger Werke siede un ufficiale francese della riserva. Non intendo dilungarmi neppure sul caso Dillinger, ma aspetto di sapere dal ministro della guerra se anche il suo amico e collega del ministero della marina del Reich abbandonerà completamente, come ha fatto lui, le Dillinger Werke.

Passiamo ora alla Deutsche Waffen und Munitionsfabrik. Il ministro della guerra ha giustificato la lettera da me citata. Il ministro della guerra è l’unico uomo del sacro romano impero di nazione tedesca a prendere per moneta sonante l’incredibile, infondato pretesto addotto dalla Deutsche Waffen und Munitionsfabrik, secondo il quale questa lettera sarebbe stata soltanto un sondaggio per stabilire se la Francia volesse acquistare mitragliatrici, quando la Munitions und Waffenfabrik aveva naturalmente interesse a ricevere ordinazioni di mitragliatrici.

A quanto so, invece, il significato di questa lettera è stato afferrato da tutti. Peraltro, oltre al ministro della guerra, esiste purtroppo un altro ufficio che sinora ha mancato di cogliere questo significato. La lettera è stata scritta nel 1907, è stata da me pubblicata per la prima volta sul “Vorwärts” nel dicembre 1910, senza trovare, sorprendentemente, attenzione alcuna. È stata poi portata al Reichstag. Uno dei firmatari è il signor von Gontard, tuttora mente dirigente alla Munitions und Waffenfabrik. Un anno tondo dopo la pubblicazione di questa lettera il signor von Gontard è stato chiamato alla camera dei signori prussiana dalla particolare fiducia del sovrano. Signori, un meritato riconoscimento!...

Vi voglio ora presentare la stessa Munitions und Waffenfabrik in un nuovo ruolo, forse non privo di interesse per voi. Voglio vedere se poi ricomincerete a ridere.

Fino ad ora non ho portato la prova documentaria, alla lettera, del fatto che il capitale degli armamenti è imparentato e legato in Konzerne su piano internazionale. Sono ora in grado di darvene una prova documentaria. Vi sono interessate le seguenti ditte: la Deutsche Waffen und Munitionsfabrik, Berlino; la fabbrica d’armi Mauser, società per azioni, Oberndorf sul Neckar; quindi la Österreichische Waffenfabrikationsgesellschaft, Vienna e – adesso, vi prego, ascoltate bene – la Fabrique Nationale d’Armes de Guerre de Herstal, nel Belgio, nella quale sostanzialmente è investito capitale francese. Tra queste ditte, nel 1905, è stato concluso – dapprima per dieci anni – un contratto a cartello, integrato nel 1907. Il primo contratto del 1905 riguarda esclusivamente la Russia, il Giappone, la Cina e l’Abissinia, mentre il secondo contratto riguarda, come vi si legge, «tutti i restanti paesi con le eccezioni sottoindicate». Queste eccezioni consistono nel fatto che a singole fabbriche del cartello vengono riservati singoli paesi. Sì, signori, ad esempio la fabbrica austriaca ha l’esclusiva per l’Austria, la belga per il Belgio ed il Congo, la Deutsche Waffen und Munitionsfabrik per la Germania, ecc.

Ma, signori, mi sembra che non abbiate ancora afferrato l’importanza della questione. Mi sembra che il vostro atteggiamento nei confronti delle mie comunicazioni, a mio parere straordinariamente decisive, sia condizionato dalla vostra vivace sensibilità per gli interessi che voi rappresentate qui. Signori, volete allora dimostrare con il vostro atteggiamento che, se sino ad oggi si poteva supporre che tutto il Reichstag disapprovava le cose che sono state scoperte, volete allora, signori (rivolgendosi verso la destra), dimostrare con il vostro odierno comportamento che d’ora in poi intendete essere corresponsabili di fronte al mondo intero di queste cose? Con il vostro comportamento odierno voi vi assumete queste responsabilità. (Tumulti continuati. Grida da destra: “che sfacciataggine!” Acclamazioni tra i socialdemocratici).

Signori, quando gridate “Che sfacciataggine”, io non do alcun peso ai suoni inarticolati che per abitudine vengono lanciati dal settore di destra della camera. Ho già dichiarato poc’anzi quanto mi tocchi questo modo di fare. (Volgendosi a destra) La vostra creanza, signori, è proverbiale ed esemplare. Voi rappresentate qui una piccola parte della camera dei deputati prussiana.

Signori, il contratto tra le sullodate fabbriche prevede l’eliminazione nei rispettivi paesi della concorrenza straniera per agevolare lo sfruttamento “patriottico”, ed inoltre la reciproca garanzia del profitto, proprio come per lo spettabile Konzern della marina; dividono tra loro il guadagno proveniente dalle forniture e si controllano reciprocamente. Per decidere delle eventuali divergenze, viene convocato un tribunale arbitrale. Tra loro naturalmente non esistono segreti. In conformità al contratto devono fornirsi reciprocamente disegni e programmi. Essi intraprendono in comune, in impresa, lo sfruttamento dei popoli dell’Europa e del mondo restante ai fini degli armamenti.

Nel patto integrativo si dice, in modo caratteristico, che le forniture alla Bulgaria ed alla Romania restano affidate alle fabbriche austriache. Signori, ritengo necessario sottolineare in modo particolare questo fatto, a titolo di informazione per tutti gli austriaci che amano la pace. Dopo di che, per lo meno in gran parte, le armi bulgare dovrebbero essere fornite, con gli auspici di questo Konzern internazionale del capitale degli armamenti, da una fabbrica austriaca. Lo stesso vale per la Serbia. Signori, si tratta degli Stati con i quali soprattutto l’Austria deve prevedere la possibilità di un conflitto.

I due contratti, dei quali si disporrà la pubblicazione, in modo che sarete in grado di afferrare tutti i particolari di questa enormità, dimostrano nel modo più evidente quale straordinario pericolo per la pace dei popoli rappresenti il capitale degli armamenti. Dimostrano la perfetta mancanza di scrupoli ed in particolare l’assenza di patria del capitale degli armamenti, con una evidenza sinora difficilmente dimostrabile con documenti. Ecco i grandi patrioti che ardiscono rimproverarci di essere individui senza patria!

La stessa Munitions und Waffenfabrik che scrisse a Parigi quella lettera, che voi stessi (rivolto a destra) recentemente avete disapprovata, ma che oggi sembrate approvare, questa stessa Munitions und Waffenfabrik il cui capo successivamente è stato chiamato alla camera dei signori prussiana, partecipa ad un Konzern internazionale che si è posto in modo particolare il compito di procurare armi alla Russia, di procurare armi alla Russia! Questo prova il contratto. La Russia è il nome che già nel contratto del 1905 figura al primo posto.

Ora, noi non sottovalutiamo certo il pericolo rappresentato per la pace dai provocatori bonapartisti dello stampo delle eminenze grigie della “Post” ed anche della “Kreuz-Zeitung”; gli anni 1909 e 1910 ci hanno fornito drastici ammaestramenti. Né sottovalutiamo certo il grosso pericolo per la pace insito nell’opera di sobillazione di quella camarilla di ufficiali in rappresentanza dei quali si è esibito in questa camera contro il cancelliere del Reich lo stesso principe ereditario tedesco (campanello del presidente).

Presidente: Signor deputato, ho sentito che lei ha fatto il nome del principe ereditario quale capo della camarilla tedesca degli ufficiali. Ritengo la cosa inammissibile e pertanto la richiamo all’ordine!

Liebknecht: Signori, “vi resta una dolce consolazione!”
Ma ora, come per il passato, il maggior pericolo è rappresentato dagli interessati agli armamenti con i loro pertinaci, infaticabili sforzi, che non badano a nessun mezzo, per aumentare la materia infiammabile e, quando è possibile, per mettete la miccia al barile di polvere. Proprio dopo i recenti dibattiti al Reichstag, che tanta polvere hanno sollevato, “Die Post”, questo foglio mantenuto dal capitale degli armamenti, si è abbandonato ancora una volta a rozzi attacchi contro la Francia, attacchi tanto inauditi che persino il cancelliere del Reich ha dovuto opporvisi.

Signori, non dovete meravigliarvi se di fronte a tutti questi avvenimenti noi si riesca, in misura sempre maggiore e con sempre maggiore facilità ad abituare la grande massa della popolazione in Germania e anche negli altri Stati militari a vedere dietro lo sfarzo splendente dello sfoggio patriottico quella auri sacra fames, quella maledetta furiosa brama d’oro, in particolare del capitale degli armamenti. Potrei invocare anche come teste principale il signor Gans Edler zu Pulitz, il quale lo scorso anno ammonì il nostro governo a stare all’erta per non essere coinvolto in una “guerra capitalistica”.

Dopo tutto questo, dobbiamo consigliare ai signori del Ballhausplatz di Vienna di guardarsi anche dagli interessati agli armamenti austriaci, che non sono certamente di pasta diversa di quelli tedeschi. Da quanto è stato rivelato il governo austriaco può avere la certezza che in caso di guerra i cannoni ed i fucili russi gli porteranno i saluti degli interessi degli armamenti austriaci e dei loro soci di profitto francesi. Quando giaceranno dilaniati e insanguinati sui campi di battaglia, i soldati austriaci potranno consolarsi con il patriottico pensiero che gli strumenti di morte russi hanno portato a loro morte e annientamento, ma al capitale austriaco un profitto dal grato suono. E, signori, se poi la fedeltà nibelungica austro-tedesca manterrà le sue promesse al punto che nel caso di una guerra comune della Germania e dell’Austria contro la Russia, i soldati austro-tedeschi potranno morire confortati dal pensiero che i proiettili del nemico sono fabbricati da un Konzern finanziario nel quale operano insieme – in una nuova triplice – il capitale tedesco, quello austriaco e quello francese, questo contribuirà, ne sono fermamente convinto, a rafforzare il patriottismo, l’entusiasmo per la guerra, l’eroismo dei figli dell’Austria e della Germania!

Signori, attualmente è in gioco – bisogna dirlo – il leggendario prestigio dell’Austria, che, a quanto si dice, sarebbe messo in pericolo dalla contingente situazione internazionale. Ma non è vero che questo prestigio sia il prestigio del popolo austriaco; è soltanto il prestigio della diplomazia austriaca e questo prestigio della diplomazia austriaca non ha, a parer mio, importanza sufficiente ad offrire in qualche modo il pretesto per un conflitto internazionale. Non è lecito, oggi, apportando una variante al detto di Orazio, dire: quidquid delirant diplomati, plectuntur Achivi. I popoli non hanno alcun motivo di lasciarsi aizzare alla guerra, di lasciarsi dissanguare per gli errori ed i peccati dei diplomatici.

Nell’interesse del mantenimento della pace, nell’interesse della promozione degli sforzi che debbono impedire che per una simile folle politica di prestigio l’Europa sia trascinata in una guerra, è necessario ancora una volta additare a tutto il mondo quelle cricche capitalistiche il cui interesse ed il cui nutrimento sono la discordia tra i popoli, i conflitti tra i popoli, la guerra; è necessario gridare ai popoli: la patria è in pericolo! Ma non è in pericolo per via del nemico esterno, ma per via di quel minaccioso nemico interno, soprattutto per via dell’industria internazionale degli armamenti.

 


Ultima modifica 6.2.2004