"Una parte sempre crescente del capitale dell'industria non appartiene agli industriali, che lo utilizzano. Essi riescono a disporne solo attraverso le banche, le quali, nei loro riguardi, rappresentano i proprietari del denaro. Gli istituti bancari devono d'altronde fissare nell'industria una parte sempre crescente dei loro capitali, trasformandosi quindi vieppiù in capitalisti industriali. Chiamo capitale finanziario quel capitale bancario, e cioè quel capitale sotto forma di denaro che viene, in tal modo, effettivamente trasformato in capitale industriale" [*1].
Questa definizione è incompleta, in quanto vi manca l'accenno a uno dei fatti più importanti, cioè alla crescente concentrazione della produzione e del capitale in misura tale da condurre al monopolio. Tuttavia la funzione dei monopoli capitalistici è, in generale, messa in rilievo in tutto il libro di Hilferding, e particolarmente nei due capitoli precedenti a quello da cui è stata tratta la precedente definizione [1].
Concentrazione della produzione; conseguenti monopoli; fusione e simbiosi delle banche con l'industria: in ciò si compendia la storia della formazione del capitale finanziario e il contenuto del relativo concetto
Ora dovremo esporre come lo "spadroneggiare" dei monopoli capitalistici, nell'ambito generale della produzione di merci e della proprietà privata, metta inevitabilmente capo al dominio dell'oligarchia finanziaria. E'da osservare che i rappresentanti della scienza borghese tedesca -e non di quella sola- come Riesser, Schulze-Gaevernitz, Liefmann, ecc., sono, senza eccezione, apologeti dell'imperialismo e del capitale finanziario. Essi non svelano, anzi occultano e abbelliscono il "meccanismo" della formazione dell'oligarchia, i suoi metodi, l'entità delle sue entrate (così "lecite" come "illecite"), la sua collusione con i parlamenti, ecc. Essi sfuggono alle "questioni maledette" con frasi ampollose quanto oscure, richiamandosi al "senso di responsabilità" dei direttori di banche, levando alle stelle il "senso del dovere" dei funzionari prussiani e occupandosi con grande serietà dei particolari di progetti di legge poco seri sul.. "sorveglianza" e sulla "regolamentazione" e di frascherie teoriche, quale la seguente "scientifica" definizione alla quale è pervenuto il prof. Liefmann: "Il commercio è l'attività industriale diretta a raccogliere, conservare e mettere a disposizione i beni" [*2] (corsivo nell'opera del prof. Liefmann). Ne viene fuori che il commercio era già esistito presso gli uomini primitivi, che non conoscevano ancora neppure lo scambio, e che continuerà a esistere anche nella società socialista!
Ma i fatti mostruosi, che riguardano il mostruoso dominio dell'oligarchia finanziaria, saltano talmente agli occhi che in tutti i paesi capitalistici, così in America come in Francia e in Germania, è sorta- un'intera letteratura, che pur rimanendo sul terreno dei concetti borghesi, tuttavia dà un quadro approssimativamente esatto e una critica -piccolo-borghese, s'intende- dell'oligarchia finanziaria.
La pietra angolare è nel "sistema della partecipazione" [2] al quale si è già accennato. Un economista tedesco, Heymann, forse il primo che ha rivolto l'attenzione a questo sistema, così lo descrive:
"Il dirigente controlla la "società madre" [cioè la società base], questa le "società figlie" [cioè le società che ne dipendono], queste a loro volta le "società nipoti" e così via. In questo modo, con capitali non eccessivamente grandi, si possono padroneggiare immensi campi della produzione; giacché, posto che per esercitare il controllo sopra una società per azioni è sufficiente la padronanza del cinquanta per cento del capitale, basta al dirigente di possedere un milione, per poter controllare nelle società nipoti già 8 milioni di capitale. Se detto "intreccio" si estende ancor più, si ha il controllo su 16 milioni, su 32 e via dicendo" [*3].
Ma in realtà l'esperienza dimostra che basta possedere il quaranta per cento di tutte le azioni per dominare l'andamento degli affari di una società per azioni [*4], giacché una parte dei piccoli azionisti, disseminati qua e là, non ha la possibilità di intervenire alle assemblee generali, ecc. La "democratizzazione" dei possesso di azioni, dalla quale i sofisti borghesi e gli opportunisti "pseudosocialdemocratici" si ripromettono (o fingono di ripromettersi) la "democratizzazione del capitale" [3], l'aumento d'importanza e di funzione della piccola produzione, ecc., nella realtà costituisce un mezzo per accrescere la potenza dell'oligarchia finanziaria. E' precisamente per questo che nei più progrediti o più antichi ed "esperti"paesi capitalistici la legislazione permette l'emissione delle azioni più piccole. In Germania la legge non permette azioni al disotto di 1.000 marchi, e i magnati della finanza tedesca guardano con invidia all'Inghilterra, ove sono legalmente ammesse azioni da una sterlina. Nella seduta del Reichstag del 7 giugno 1900, Siemens, uno dei maggiori industriali e dei maggiori "re della finanza" di Germania, dichiarò "l'azione da una sterlina essere la base dell'imperialismo britannico" [*5]. Questo mercante sembra possedere sulla natura dell'imperialismo una concezione più profondamente "marxista" che un certo indegno scrittore, ritenute fondatore del marxismo russo, il quale tuttavia crede che l'imperialismo sia soltanto la cattiva particolarità d'un certo popolo... [4].
Il "sistema della partecipazione" non soltanto serve ad accrescere enormemente la potenza dei monopolisti, bensì permette anche di manipolare ogni sorta di loschi e luridi affari e di frodare il pubblico, giacché formalmente, davanti alla legge, le "società madri" non sono responsabili per le "società figlie", considerate "indipendenti", e per mezzo di esse possono far ciò che vogliono. Togliamo il seguente esempio dal fascicolo del maggio 1914 della rivista Die Bank.
"La Società anonima per l'industria dell'acciaio per molle di Kassel, fino a poco tempo fa era ritenuta una delle imprese più redditizie della Germania. La sua cattiva amministrazione condusse le cose a tal punto che i dividendi caddero dal 15% a zero. L'amministrazione, senza che gli azionisti ne sapessero nulla, aveva fatto un prestito di sei milioni ad una sua " società figlia", la Hassia, Il cui capitale nominale non ammontava che a poche centinaia di migliaia di marchi. Di questo prestito, che costituiva quasi il triplo del capitale azionario della "società madre", non v'era traccia nel bilancio di quest'ultima; e contro tale occultamento non si poteva sollevare la minima eccezione giuridica, sicché esso poté essere continuato per due anni, non violando nessuna disposizione del codice di commercio. Il presidente del Consiglio di amministrazione, che firmò sotto la sua responsabilità i bilanci falsi, era ed è presidente della Camera di commercio di Kassel. Gli azionisti furono messi a conoscenza del prestito fatto alla Hassia soltanto quando esso già da lungo tempo era risultato un "errore" [l'autore avrebbe dovuto mettere questa parola tra virgolette] e quando le azioni della Società dell'acciaio per molle, in seguito alla vendita fattane da coloro che erano a conoscenza della cosa, ebbero perduto, nelle quotazioni, circa il cento per cento.
"Questo esempio caratteristico di equilibrio nei bilanci, che è consueto nelle società per azioni, lascia intendere perché mai le amministrazioni delle società per azioni, in generale, si incaricano di affari rischiosi, a cuor leggero, assai più dei privati imprenditori. La moderna tecnica della estensione dei bilanci non solo rende loro agevole di occultare ai comuni azionisti gli affari rischiosi intrapresi, ma permette inoltre ai principali interessati di sottrarsi alle conseguenze di un esperimento fallito col vendere a tempo le loro azioni, mentre il privato imprenditore sopporta sulla propria pelle le conseguenze di quel che fa ...
"... I bilanci di molte società per azioni rassomigliano a quei noti palinsesti medioevali, nei quali si deve prima cancellare la scrittura visibile per poter decifrare i segni che stanno sotto di essa e che formano il vero contenuto del manoscritto ...
"... Il mezzo più semplice, e quindi più spesso adoperato, per rendere impenetrabile un bilancio consiste nello scindere un'azienda unitaria in più parti sotto forma di costituzione o aggregazione di "società figlie". Sono così evidenti i vantaggi offerti da tal sistema per i più svariati scopi -legali e illegali- che ormai si possono considerare come eccezioni le società, alquanto cospicue, che non lo abbiano accolto" [*6].
Come esempio di una grandissima società monopolistica che adopera tale sistema, l'autore cita la famosa A.E.G. (Allgemeine Elektrizitäts-Gesellschaft, Società Generale per l'Elettricità), di cui si parlerà ancora in seguito. Nel 1912 si ammetteva che questa A.E.G. partecipasse a 175-200 società, naturalmente dominandole, e abbracciasse un capitale complessivo di un miliardo e mezzo di marchi [*7].
Tutte le norme di controllo, di pubblicazione di bilanci, di compilazione di un preciso schema di essi, di istituti di sorveglianza, ecc., con le quali distraggono l'attenzione del pubblico i professori benintenzionati -quelli ispirati, cioè dalla buona intenzione di difendere e abbellire il capitalismo- non hanno qui alcun valore. Poiché la proprietà privata è sacra, non si può proibire ad alcuno di comprare, vendere. barattare, impegnare, ecc. azioni.
Quali sviluppi abbia assunto presso le grandi banche russe questo "sistema di partecipazione", lo si può desumere dai dati di E. Agahd, il quale fu per quindici anni impiegato nella Banca russo-cinese, e nel maggio 1914 pubblicò una voluminosa opera, dal titolo, non perfettamente esatto, Le grandi banche e il mercato mondiale [*8].
L'autore ha diviso le grandi banche russe in due gruppi fondamentali: a) quelle che lavorano col "sistema della partecipazione"; b) le "indipendenti", dove però è da osservare che l' "indipendenza" è intesa soltanto come indipendenza dalle banche straniere. Il primo gruppo a sua volta è dall'autore suddiviso in tre sottogruppi: 1) partecipazione tedesca; 2) inglese; 3) francese, dove si tratta della "partecipazione" e del dominio delle grandi banche della rispettiva, nazionalità. L'autore divide i capitali bancari secondo che vengono impiegati "produttivamente" (commercio e industria) o "speculativamente" (nelle operazioni di Borsa e finanziarie) poiché, con la concezione riformista piccolo-borghese che gli è propria, crede veramente che, permanendo il capitalismo, si potrebbero separare l'uno dall'altro questi due tipi di investimento di capitali ed eliminare il secondo. Ecco i dati di Agahd:
L'attivo delle banche in milioni di rubli
(Bilanci all'ottobre-novembre 1913)
Impiego di capitale |
||||
Gruppi di Banche russe |
Produttivo |
Speculativo |
Totale |
|
a1) 4 Banche. Banca |
413,7 |
859,1 |
1.272,8 |
|
a2) 2 Banche: Banca Commerciale |
239,3 |
169,1 |
408,4 |
|
a3) 5 Banche: Banca Russo - |
711,8 |
661,2 |
1.373,0 |
|
(11 Banche) Totale a) |
=1.364,8 |
1.689,4 |
3.054,2 |
|
b) 8 Banche: Banca Mercantile |
504,2 |
391,1 |
895,3 |
|
(19 Banche) Totale . . . |
1.869,0 |
2.080,5 |
3.949,5 |
Secondo questi dati, sui 4 miliardi di rubli che formano il capitale "operante" delle grandi banche, più di tre quarti, oltre 3 miliardi, appartengono a banche che propriamente non sono altro che "società figlie" di banche straniere, specialmente parigine (la famosa trinità bancaria: Unione parigina, Banca di Parigi e dei Paesi Bassi, Società Generale) e berlinesi (specie la Deutsche Bank e la Disconto). Due delle maggiori banche russe, la Banca russa per il commercio con l'estero e la Commerciale Internazionale di Pietroburgo, tra il 1906 e il 1912 hanno elevato il loro capitale da 44 a 98 milioni di rubli, e le riserve da 15 a 39 milioni. Esse "lavorano per tre quarti con capitale tedesco" appartenendo la prima al consorzio della Deutsche Bank, la seconda a quello della Disconto-Gesellschaft di Berlino. Il buon Agahd s'indigna fortemente perché le banche di Berlino hanno nelle loro mani la maggior parte delle azioni, e quindi gli azionisti russi sono impotenti. E naturalmente il paese che esporta il capitale si prende il meglio. Così, per esempio, la Deutsche Bank, allorché portò a Berlino le azioni della Banca Commerciale siberiana, le lasciò giacere nel proprio portafoglio per quasi un anno, e le vendette poi al corso di 193, contro il prezzo di emissione di 100, "guadagnando" in tale occasione circa 6 milioni di rubli, ciò che Hilferding ha chiamato "profitto di fondazione".
Agahd calcola la "potenza" complessiva delle grandi banche di Pietroburgo in 8.235 milioni di rubli (quasi 8 miliardi e un quarto), e divide la "partecipazione", più esattamente il dominio delle banche straniere nel modo seguente: le banche francesi il 55 % inglesi il 10 %, tedesche il 35 % Su questa somma di 8.235 milioni di capitale in funzione, secondo i calcoli dell'autore ben 3.687 milioni, cioè più del 40 % spettano ai sindacati Produgol e Prodameta [5], come pure ai sindacati dell'industria petrolifera, metallurgica e cementiera. Sicché in Russia, in conclusione, con la formazione dei monopoli capitalistici si è sviluppata su scala immensa la fusione del capitale bancario con quello industriale.
Il capitale finanziario, concentrato in poche mani e godendo un monopolio di fatto, ritrae redditi giganteschi e sempre maggiori da ogni fondazione di società, dall'emissione delle azioni, dai prestiti statali, ecc. e consolida l'egemonia delle oligarchie finanziarie [6], imponendo a tutta la società un tributo a favore dei detentori del monopolio. Diamo uno fra i tantissimi esempi addotti da Hilferding dello "spadroneggiare" dei trust americani [7]. Nel 1887 Havermeyer fondò il trust zuccheriero mediante la fusione di 15 società di tale specie, il cui capitale complessivo era di 6 milioni e mezzo di dollari. Il capitale del trust venne, invece, "annacquato", secondo l'espressione americana, ed elevato a 50 milioni. Tale "sovracapitalizzazione" contava sui futuri profitti del monopolio alla stessa guisa che sui futuri profitti monopolistici fa assegnamento -sempre in America- il "trust dell'acciaio", quando compra sempre nuovi territori con giacimenti di ferro. Infatti il "trust zuccheriero", imponendo prezzi di monopolio, conseguì profitti tali da poter pagare dividendi dei 10 % al capitale sette volte "annacquato", che è quanto dire circa il 70 % al capitale effettivamente versato al momento della fondazione! Nel 1909 il trust aveva un capitale di 90 milioni di dollari. Sicché in 22 anni il capitale era stato moltiplicato più di dieci volte!
In Francia, l'egemonia dell'"oligarchia finanziaria" (Contre l'oligarchie financière en France è appunto intitolato il noto libro di Lysis, di cui nel 1908 si fece la quinta edizione) ha soltanto assunto una forma leggermente diversa. Nell'emissione dei titoli le quattro maggiori banche hanno non il monopolio relativo, bensì il "monopolio assoluto". Di fatto ciò costituisce un "trust delle grandi banche". E il monopolio assicura, nelle emissioni, profitti monopolistici. Nei prestiti, il paese che li contrae, ordinariamente, non riceve più del 90 % della somma totale: il rimanente 10 % tocca alle banche e agli altri intermediari. In occasione del prestito russo-cinese, di 400 milioni di franchi, le banche ebbero un profitto dell'8 % nel prestito russo (1904), di 800 milioni, del 10 % nel prestito marocchino (1904), di 62 milioni e mezzo di franchi, del 18,75 % Il capitalismo, che prese le mosse dal capitale usurario minuto, termina la sua evoluzione mettendo capo a un capitale usurario gigantesco. "I francesi sono gli usurai dell'Europa", dice Lysis. Per effetto di questa trasformazione del capitalismo, tutte le condizioni della vita economica soggiacciono ad un profondo mutamento. Nonostante la stasi del movimento della popolazione, del commercio, dell'industria e dei trasporti marittimi, il "paese" può arricchirsi a forza d'usura. "Cinquanta individui, che rappresentano un capitale di 8 milioni di franchi, possono disporre di due miliardi in quattro banche". Agli stessi risultati mette capo il sistema di "partecipazione", che ormai conosciamo. Una delle maggiori banche francesi, la Société Générale, emette 64 mila obbligazioni della sua filiale Raffinerie d'Egitto. Il corso dell'emissione è del 150 % vale a dire che la Banca guadagna 50 centesimi per ogni franco. I dividendi di questa società sono risultati fittizi, e il "pubblico" ha perduto da 90 a 100 milioni di franchi. Uno dei direttori della Socíété Générale era membro dell'amministrazione delle Raffinerie. Non è da meravigliarsi che Lysis debba trarre questa conclusione: "La repubblica francese è una monarchia finanziaria!" - "l'onnipotenza delle nostre grandi banche è assoluta, esse attraggono nella loro orbita il governo e la stampa" [*9].
A sviluppare e a consolidare l'oligarchia finanziaria contribuisce l'altissima redditività dell'emissione di titoli, una tra le principali operazioni del capitale finanziario. "Nessun affare all'interno del paese -dice la rivista tedesca Die Bank- arreca, neppure approssimativamente, i benefici dati dalla mediazione nell'emissione di un prestito estero" [*10].
"Non vi è operazione bancaria, che dia guadagni così grandi come li danno gli affari d'emissione". Il profitto nella emissione di titoli di imprese industriali, secondo i dati raccolti dal Deutsche Oekonomist, ascendeva in media negli anni:
1895 al 38,6 % |
1898 al 67,7 % |
1896 al 36,1 % |
1899 al 66,9 % |
1897 al 66,7 % |
1900 al55,2 % |
"Nel decennio 1891-1900, soltanto sulle emissioni di titoli industriali tedeschi si è fatto un "guadagno" di oltre un miliardo di marchi" [*11].
Mentre nei periodi di prosperità industriale i profitti del capitale finanziario aumentano a dismisura, in quelli di decadenza industriale le imprese piccole e deboli vanno a picco; allora le banche "partecipano" alla compera a buon mercato di queste piccole aziende o al "risanamento" e alla "riorganizzazione"delle imprese dissestate. Nel "risanamento" delle imprese dissestate
"il capitale azionario viene svalutato, il che significa che gli utili vengono suddivisi su un capitale più ristretto. Nel caso poi che non vi sia alcun utile, viene raccolto nuovo capitale il quale, insieme a quello già posseduto e svalutato, riesce di nuovo a produrre un utile sufficiente. Va notato, a questo proposito -aggiunge Hilferding- che questo riassestamento e questa riorganizzazione hanno per le banche una duplice importanza: in primo luogo perché rappresentano affari vantaggiosi e, in secondo luogo, perché offrono loro l'occasione di assoggettare quelle società che si siano rivolte a loro per aiuti" [*12].
Esempio: la società mineraria per azioni Union fu fondata a Dortmund nel 1872 con un capitale di circa 40 milioni di marchi. Siccome dopo il primo anno essa dette dividendi del 12 % il corso delle azioni salí fino al 170 % Il capitale finanziario si prese la crema, intascando qualche cosa come 28 milioni. Nella fondazione di questa società aveva avuto parte principale la banca tedesca Disconto-Gesellschaft, quella stessa grande banca cioè che aveva felicemente raggiunto il capitale di 300 milioni di marchi. Ma in seguito i dividendi della Union si ridussero a zero. Gli azionisti dovettero consentire a un "diffalco" di capitale, cioè a perdere una parte del loro denaro per non sacrificare tutto. E, come risultato di una serie di "risanamenti", nel corso di 30 anni scomparvero dai libri della Union oltre 73 milioni di marchi. "Oggi l'azionista originario possiede soltanto il 5 % del valore nominale delle azioni Union" [*13]. Ma in ogni "risanamento" le banche continuarono a "guadagnare".
Una delle più redditizie operazioni del capitale finanziario è costituita dalla speculazione fondiaria sui terreni posti nelle vicinanze di città in rapido sviluppo. In questo campo il monopolio bancario si fonde col monopolio della rendita fondiaria e col monopolio dei mezzi di comunicazione, giacché l'aumento dei prezzi dei terreni, la possibilità di venderli vantaggiosamente a parcelle, ecc., dipende anzitutto dalla comodità delle comunicazioni col centro della città, e i mezzi di comunicazione si trovano nelle mani di grandi società, che a loro volta sono legate alle banche mediante il sistema della partecipazione e della distribuzione dei posti di direttore.
Ne risulta ciò che è stato indicato col nome di "pantano"da L. Eschwege, collaboratore della rivista Die Bank, che ha studiato in modo speciale le operazioni di compravendita dei fondi, il loro pignoramento, ecc.: frenetica speculazione sui terreni suburbani, fallimento delle imprese edilizie, quale la ditta berlinese Boswau e Knauer che ingoiò circa 100 milioni di marchi, precisamente coll'aiuto della "solidissima e rispettabilissima" Deutsche Bank, che naturalmente cooperò dietro le quinte secondo il sistema della "partecipazione", cioè clandestinamente, e se la cavò da questo affare col sacrificio di "soli" 12 milioni, quindi fallimento dei piccoli proprietari e degli operai che non ricevettero nulla dalle bluffistiche ditte dell'industria edilizia, truffe stipulate con l'"onesta" polizia e amministrazione berlinese per accaparrarsi il servizio di informazioni concernenti i vari appezzamenti e le licenze rilasciate dal Consiglio comunale per la costruzione degli edifici, e così via [*14].
"Il costume americano", di fronte al quale i professori e i borghesi benintenzionati d'Europa levano così ipocritamente gli occhi al cielo, nell'epoca del capitale finanziario è diventato, alla lettera, il costume di ogni grande città in qualsivoglia nazione.
Al principio del 1914 si parlava a Berlino di formare un "trust dei trasporti", vale a dire di stabilire una "comunità di interessi" tra le tre imprese berlinesi di trasporti, della ferrovia elettrica, dei tram e degli omnibus.
"Che esistesse tale intenzione -scriveva Die Bank- si sapeva fin dal giorno in cui fu noto che la maggioranza delle azioni della Società degli omnibus era passata nelle mani delle altre due società dei trasporti. Si può senz'altro concedere ai promotori di questo piano che essi mediante la regolarízzazione unitaria dei metodi di trasporto si propongano di conseguire economie, una parte delle quali, in fin dei conti, potrebbe andare a beneficio del pubblico. Ma la questione è complicata dal fatto che dietro al trust dei trasporti in via di formazione esistono delle banche, le quali, volendo, possono porre i mezzi di comunicazione da loro monopolizzati a servizio dei propri interessi di speculazione fondiaria. Per convincersi della veridicità di tale supposizione, basta ricordarsi come, già al momento della fondazione della Società per la ferrovia elettrica urbana, vi fossero implicati gli interessi della grande banca che ne aveva favorito la fondazione. E precisamente gli interessi di quell'impresa di trasporto s'intrecciano con gli interessi della speculazione fondiaria. Il fatto è che dalla linea orientale della ferrovia elettrica furono fatti percorrere terreni i quali, dopo che fu assicurata la costruzione della ferrovia, furono venduti dalla banca con grande beneficio per sé e per alcuni altri compartecipi dell'affare ..." [*15].
Il monopolio, non appena creato, dispone di miliardi, penetra necessariamente tutti i campi della vita pubblica, indipendentemente dalla costituzione politica del paese e da altri consimili "particolari". Gli scrittori tedeschi di economia politica sono generosi di incensamenti all'onestà dei funzionari prussiani e di riprovazione all'indirizzo del "panamismo"francese [8] o della corruzione americana. Ma è un fatto che perfino la letteratura borghese sul sistema bancario tedesco è costretta continuamente a uscire dalla sfera delle pure operazioni bancarie, e a trattare, per esempio, della "corsa verso le banche", a motivo del sempre maggior numero dei casi di passaggio di funzionari governativi al servizio delle banche. "Dove se ne va la incorruttibilità del funzionario statale, quando il suo segreto desiderio è quello di avere un posticino caldo nella Belarenstrasse?" [*16] - la via di Berlino dove ha sede la Deutsche Bank. Alfred Lansburgh, editore della Bank, scriveva nel 1909, in un articolo su L'importanza economica del bizantinismo, che il viaggio di Guglielmo Il in Palestina e la "sua immediata conseguenza, la ferrovia di Bagdad [9], questa fatale opera grandiosa dello spirito d'iniziativa tedesco", furono, più di tutti gli altri errori politici messi insieme, responsabili dell' "accerchiamento" [*17] (per accerchiamento s'intende la politica di Edoardo VII, rivolta ad isolare la Germania, e a circondarla di un anello di alleanze imperialiste antitedesche). Il già menzionato collaboratore della stessa rivista L. Eschwege, nell'articolo Plutocrazia e burocrazia (1912), svela, ad esempio, il caso del funzionario statale tedesco Völker, che, essendo membro della commissione per i cartelli, si distinse per la sua energia e poco dopo risultò detentore di un lucroso posticino nel cartello più potente: il Sindacato dell'acciaio. Simili casi costringono il nostro autore borghese ad ammettere che "già fin d'ora la libertà economica garantita dalla Costituzione germanica, in molti campi della vita economica del paese non è che una frase priva di contenuto" e che, dato l'esistente imperare della plutocrazia, "neppure la più ampia libertà politica può salvarci dal diventare un popolo di uomini non liberi ..." [*18].
Per quanto concerne la Russia, vogliamo limitarci a un solo esempio. Alcuni anni fa tutti i giornali riportarono la notizia che il direttore dell'Ufficio di credito, Davidov, lasciava il servizio di Stato e accettava in una grande banca un posto con uno stipendio, che, a termini del contratto, in alcuni anni doveva salire ad oltre un milione di rubli. L'Ufficio di credito è un'istituzione che ha il compito di "unificare l'attività di tutti gli istituti di credito nell'impero" e che concede alle banche della capitale sovvenzioni fino ad 800.000-1.000.000 di rubli [*19].
In generale il capitalismo ha la proprietà di staccare il possesso del capitale dall'impiego del medesimo nella produzione, di staccare il capitale liquido dal capitale industriale e produttivo, di separare il rentier, che vive soltanto del profitto tratto dal capitale liquido, dall'imprenditore e da tutti coloro che partecipano direttamente all'impiego del capitale. L'imperialismo, vale a dire l'egemonia del capitale finanziario, è quello stadio supremo del capitalismo, in cui tale separazione raggiunge dimensioni enormi. La prevalenza del capitale finanziario su tutte le rimanenti forme del capitale importa una posizione predominante del rentier e dell'oligarchia finanziaria, e la selezione di pochi Stati finanziariamente più "forti" degli altri. In quali proporzioni si verifichi tale processo, ci è dimostrato dalla statistica delle emissioni di titoli di ogni specie.
Nel Bollettino dell'Istituto statistico internazionale, il Neymarck [*20] pubblicò intorno alle emissioni di tutto il mondo i dati più circostanziati, completi, e controllabili, dati che in seguito vennero spesso parzialmente riprodotti nelle pubblicazioni di economia politica. Ecco, per quattro decenni, dal 1870 al 1910, la somma delle emissioni in miliardi di franchi:
1871-1880 |
76,1 |
1881-1890 |
64,5 |
1891-1900 |
100,4 |
1901-1910 |
197,8 |
Nel 1870-1880 la somma delle emissioni aumentò in tutto il mondo, specialmente a causa dei prestiti connessi alla guerra franco-prussiana e al successivo periodo di intensa speculazione finanziaria in Germania. Nel corso degli ultimi tre decenni del secolo XIX in complesso l'aumento è poco rapido, e solo col primo decennio del secolo XX si ha un enorme aumento, quasi un raddoppiamento. Pertanto l'inizio del secolo XX rappresenta un'epoca che segna una svolta non solo, come già si è detto, nei riguardi dell'incremento dei monopoli (cartelli, sindacati, trust) ma anche nei riguardi dell'incremento del capitale finanziario [10].
Neymarck computa all'incirca in 815 miliardi di franchi la somma totale dei titoli di tutto il mondo nel 1910. Sottraendo in modo approssimativo i duplicati, questa somma si riduce a 575-600 miliardi. Calcolando 600 miliardi, ecco la distribuzione secondo i paesi.
Ammontare dei titoli nel 1910 |
||
Inghilterra |
142 |
479 |
Stati Uniti |
132 |
|
Francia |
110 |
|
Germania |
95 |
|
Russia |
31 |
|
Austria-Ungheria |
24 |
|
Italia |
14 |
|
Giappone |
12 |
|
Olanda |
12,5 |
|
Belgio |
7,5 |
|
Spagna |
7,5 |
|
Svizzera |
6,25 |
|
Danimarca |
3,75 |
|
Svezia, Norvegia, Romania, ecc. |
2,5 |
|
Totale Fr. |
600 miliardi |
Ci si accorge subito da questi dati quanto sia netto il distacco tra i quattro paesi capitalistici più ricchi, che posseggono titoli per un importo di circa 100-150 miliardi di franchi ciascuno, e gli altri paesi. Tra quelli, due sono i paesi capitalistici più ricchi di colonie, cioè l'Inghilterra e la Francia; gli altri due sono i paesi capitalistici più progrediti in rapporto alla rapidità di sviluppo e all'ampiezza di diffusione del monopolio capitalistico della produzione, cioè gli Stati Uniti e la Germania. Questi quattro paesi insieme posseggono 479 miliardi di franchi, vale a dire circa l'80 % del capitale finanziario internazionale. Quasi tutto il resto del mondo, in questa o quella forma, fa la parte del debitore o tributario di questi Stati, che fungono da banchieri internazionali, di queste quattro "colonne" del capitale finanziario mondiale.
Dobbiamo ora esaminare con attenzione particolare la parte che nella creazione della rete internazionale della dipendenza e dei nessi del capitale finanziario è rappresentata dall'esportazione del capitale.
*1. RUDOLF HILFERDING, op. cit., p. 301 [trad. it. cit., pp. 295 296].
1. Lenin si riferisce ai capitoli XII "Il monopolio capitalistico e il commercio" e XIII "Cartelli e trusts".
*2. R. LIEFMANN, op. cit., p. 476.
2. E' quello che oggi viene comunemente definito sistema delle holdings e delle società a catena.
*3. HANS GIDEON HEYMANN, Die gemischten Werke im deutschen Grosseisengewerbe, Stoccarda, 1904, p. 269.
*4. LIEFMANN, op. cit., p. 358.
3. La versione contemporanea della "democratizzazione" del capitale è data, come è noto, dal "capitalismo popolare" e dall'"azionariato operaio".
*5. SCHULZE-GAEVERNITZ nel Grundriss der Sozialkönomik, vol. cit., p. 110.
4. Allusione a Plekhanov che all'inizio della guerra del 1914-1918 divenne socialsciovinista.
*6. L. ESCHWGE, Tochtergesellschaften, in Die Bank, 1914, I, pp. 544-546.
*7. KURT HEINING, Der Weg des Eektrotrusts, in Neue Zeit, 1912, II, p. 484.
*8. E. AGAHD, Grossbanken und Weltmarkt. Die wirtschaftliche und politische Bedeutung der Grossbanken im Weltmarkt, unter Berücksicktigung ihres Einflusses auf Russlands Volkswirtschaft und die deutsch-russischen Beziehungen, Berlino, 1914, pp. 11-17.
5. Produgol: Sindacato russo delle grandi imprese carbonifere del bacino del Don. Prodameta: Società per la vendita della produzione metallurgica del Sud della Russia.
6. In merito al potere di queste "oligarchie finanziarie", Hobson, più di cinquanta anni fa, scriveva: "Il fattore che controlla e dirige l'intero processo ... è la pressione dei moventi finanziari e industriali, utilizzati per gli interessi materiali diretti e immediati di gruppi nazionali piccoli, capaci e ben organizzati. Questi gruppi si assicurano l'attiva cooperazione degli statisti e dei gruppi politici che detengono il potere nei "partiti", in parte associandoli direttamente alle loro combinazioni, e in parte appellandosi all'istinto di conservazione dei membri delle classi possidenti, i cui interessi costituiti e il cui predominio di classe possono meglio preservarsi deviando le correnti politiche dalla politica interna a quella estera. L'acquiescenza e persino l'appoggio attivo ed entusiastico delle masse di un paese a una linea politica fatale ai veri interessi è assicurato, in parte, mediante appelli alla missione di civiltà della nazione; ma, soprattutto, speculando sugli istinti primitivi della razza". J. A. HOBSON, Imperialism, Londra, 1922, p. 212.
7. Cfr. Il Capitale finanziario, ed. cit., p. 294.
*9. LYSIS, Contre l'oligarcbie financière en France, 5. ed., Parigi, 1908, pp. 11, 12, 26, 39, 40, 48.
*10. Die Bank, 1913, n. 7, p. 630.
*11. STILLICH, op. cit., p. 143 e W. SOMBART, Die Deutsche Volkswirtschaft im 19. Jahrhundert und im Anfang des 20. Jahrbunderts, 2, ed., 1909. Appendice 8, p. 256.
*12. RUDOLF HILFERDING, op. cit., p. 152 [trad. it. cit., p. 152].
*13. STILLICH, op. cit., p. 138 e LIEFMANN, op. cit., p. 51.
*14. L. ESCHWEGE, Der Sumpf, in Die Bank, 1913, 11, p. 952 e sgg.; ibid. I, 1912, p. 223 e sgg.
*15. Verkehrstrust, in Die Bank, I, 1914, pp. 89 e 90.
8. Nello scandalo (1888) seguìto al fallimento della compagnia francese Lesseps che aveva condotto i lavori del canale di Panama, furono implicati, come è noto, Clemenceau, Loubet ed altri uomini politici.
*16. LANSBURGH A., Der Zug zur Bank, in Die Bank, 1909, I, p. 79.
9. Al progetto della linea ferroviaria dei "Tre B" (Berlino-Bisanzio-Bagdad), con la quale la Germania si proponeva di rafforzare il proprio dominio nell'Asia Minore, gli inglesi contrapponevano il progetto della linea dei "Tre C" (Città del Capo-Cairo-Calcutta) e i russi quello della linea dei "Due P" (Pietroburgo-Golfo Persico).
*17. LANSBURGH A., Der Zug zur Bank, cit., I, p. 301.
*18. Die Bank, 1912, II, p. 835; 1913, II, p. 962.
*19. E. AGAHD, op. cit., pp. 201-202.
*20. Bulletin de l'Institut international de statistique, vol. XIX, libro II, L'Aia, 1912. I dati sui piccoli Stati (II colonna) sono quelli del 1902 aumentati del 20%.
10. Nella Miscellanea di scritti di Lenin, vol. XII, p. 277, ed. russa, è riprodotto, dai Quaderni sull'imperialismo, il seguente prospetto:
Totali per periodi |
Emissioni |
|
1871-5 |
45,0 |
|
1876-80 |
31,1 |
|
NEYMARCK, |
1881-85 |
24,1 |
Vol. XIX, parte II, p. 206. |
1886-90 |
40,4 |
1891-95 |
40,4 |
|
1896-900 |
60,0 |
|
(Nota di E. Varga) |
1901-1905 |
83,7 |
1906-1910 |
114,1 |
IV. L'esportazione del capitale.
Indice de L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo
Ultima modifica 21.9.2001