Che fare?

Lenin (1902)

 

2. La spontaneità delle masse e la coscienza della socialdemocrazia

Abbiamo detto che è necessario animare della stessa illimitata risolutezza ed energia il nostro movimento incomparabilmente più vasto e profondo di quello degli anni settanta. Infatti, fino ad oggi nessuno ancora, sembra, aveva messo in dubbio che la forza del movimento contemporaneo consiste nel risveglio delle masse (e principalmente del proletariato industriale) e la sua debolezza nella mancanza di coscienza e d'iniziativa dei dirigenti rivoluzionari.

Ma di recente è stata fatta una scoperta sbalorditiva, che minaccia di rovesciare tutte le idee dominanti sull'argomento. Essa è opera del Raboceie Dielo che, polemizzando con l'Iskra e la Zarià, non si è limitato a muovere obiezioni su alcuni punti, ma ha tentato di scoprire la radice profonda del «dissenso generale» e l'ha trovata nella «diversa valutazione della importanza relativa dell'elemento spontaneo e dell'elemento "metodico" cosciente». L'atto di accusa del Raboceie Dielo afferma: «Sottovalutazione dell'importanza dell'elemento oggettivo e spontaneo dello sviluppo» [1*]. Noi rispondiamo: anche se la polemica dell'Iskra e della Zarià avesse avuto il solo risultato di indurre il Raboceie Dielo a escogitare questo «dissenso generale», questo solo risultato ci darebbe una grande soddisfazione, tanto questa tesi è significativa ed illumina vivamente il fondo delle divergenze teoriche e politiche esistenti tra i socialdemocratici russi.

Ecco perché la questione del rapporto tra coscienza e spontaneità presenta un interesse generale immenso ed esige uno studio particolareggiato.

a) Inizio dell'ascesa del movimento spontaneo

Nel precedente capitolo abbiamo notato il contagioso entusiasmo dei giovani intellettuali russi, intorno al 1895, per la teoria marxista. Nello stesso periodo, anche gli scioperi operai, dopo la famosa guerra industriale del 1896 a Pietroburgo [1], presero lo stesso carattere contagioso. La loro estensione in tutta la Russia attestava chiaramente quanto fosse profondo il movimento popolare che rialzava ancora una volta la testa, e se si vuol parlare di "elemento spontaneo" è certamente in questo movimento di scioperi che bisogna innanzi tutto vederlo. Ma vi è spontaneità e spontaneità. Anche negli anni sessanta e settanta (e persino nella prima metà del secolo) vi furono in Russia degli scioperi accompagnati da distruzioni "spontanee" di macchine e simili. In confronto con queste "rivolte", gli scioperi avvenuti dopo il 1890 potrebbero perfino essere chiamati "coscienti", tanto è importante il passo in avanti fatto nel frattempo dal movimento operaio. Ciò prova che in fondo l'"elemento spontaneo" non è che la forma embrionale della coscienza. Anche le rivolte primitive esprimevano già un certo risveglio di coscienza: gli operai perdevano la loro fede secolare nella solidità assoluta del regime che li schiacciava; cominciavano... non dirò a comprendere, ma a sentire la necessità di una resistenza collettiva e rompevano risolutamente con la sottomissione servile all'autorità. E tuttavia questa era ben più una manifestazione di disperazione e di vendetta che una lotta. Gli scioperi della fine del secolo, invece, rivelano bagliori di coscienza molto più numerosi: si pongono rivendicazioni precise, si cerca di prevedere il momento più favorevole, si discutono i casi e gli esempi noti delle altre località, ecc. Mentre prima si trattava semplicemente di una rivolta di gente oppressa, gli scioperi sistematici rappresentavano già degli embrioni - ma soltanto degli embrioni - di lotta di classe. Presi in sé, questi scioperi costituivano una lotta tradunionista, ma non ancora socialdemocratica; annunciavano il risveglio dell'antagonismo fra operai e padroni; ma gli operai non avevano e non potevano ancora avere la coscienza dell'irriducibile antagonismo fra i loro interessi e tutto l'ordinamento politico e sociale contemporaneo, cioè la coscienza socialdemocratica. Gli scioperi della fine del secolo dunque, malgrado il progresso immenso che rappresentavano in confronto con le "rivolte" anteriori, restavano un movimento puramente spontaneo.

Abbiamo detto che gli operai non potevano ancora possedere una coscienza socialdemocratica. Essa poteva essere loro apportata soltanto dall'esterno. La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia colle sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai, ecc. [2*] La dottrina del socialismo è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali. Per la loro posizione sociale, gli stessi fondatori del socialismo scientifico contemporaneo, Marx ed Engels, erano degli intellettuali borghesi. Anche in Russia la dottrina teorica della socialdemocrazia sorse del tutto indipendentemente dallo sviluppo spontaneo del movimento operaio; sorse come risultato naturale e inevitabile dello sviluppo del pensiero fra gli intellettuali socialisti rivoluzionari. Nell'epoca della quale ci occupiamo, cioè intorno al 1895, non soltanto questa dottrina ispirava completamente di sé il programma del gruppo "Emancipazione del lavoro", ma aveva conquistato la maggioranza della gioventù rivoluzionaria della Russia.

Avevamo, dunque, contemporaneamente, un risveglio spontaneo delle masse operaie, risveglio alla vita e alla lotta cosciente, e la presenza di una gioventù rivoluzionaria che, armata della teoria socialdemocratica, nutriva il desiderio ardente di avvicinarsi agli operai. È molto importante, inoltre, notare il fatto spesso dimenticato (e relativamente poco noto) che i primi socialdemocratici di questo periodo, i quali si occupavano con ardore dell'agitazione economica (approfittando per questo delle utili indicazioni dell'opuscolo Dell'agitazione [2], allora manoscritto), non consideravano quell'agitazione come il loro unico compito, ma al contrario, fin dal principio, assegnavano alla socialdemocrazia russa i più grandi compiti storici in generale, e in particolare il rovesciamento dell'autocrazia. Così, per esempio, il gruppo dei socialdemocratici di Pietroburgo, che fondò l’ «Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia», preparò verso la fine del 1895 il primo numero di un giornale intitolato Raboceie Dielo, completamente pronto per la stampa, questo numero fu sequestrato dai gendarmi durante una perquisizione operata la notte dall'8 al 9 dicembre 1895 presso uno dei membri del gruppo, Anat. Alex. Vaneiev [3*], cosicché, nella sua prima edizione, il Raboceie Dielo non poté vedere la luce. L'editoriale di quel giornale [3] (che, forse, fra una trentina di anni, una rivista del tipo della Russkaia Sfarina riesumerà dagli archivi della polizia) tracciava i compiti storici della classe operaia in Russia, e il primo di essi era la conquista della libertà politica. Seguiva un articolo, A che cosa pensano i nostri ministri?[4] dedicato alla devastazione poliziesca dei comitati per l'istruzione elementare, ed una serie di corrispondenze non solo da Pietroburgo, ma da altre località della Russia (per esempio, su un massacro di operai nella provincia di Iaroslavl). Dunque, questo, se non erro, «primo saggio» dei socialdemocratici russi della fine del secolo scorso, non era un giornale strettamente locale, e ancor meno un giornale di carattere «economico», poiché si studiava di unire gli scioperi del movimento rivoluzionario contro l'autocrazia e di spingere tutti gli oppressi, vittime della politica di oscurantismo reazionario, a sostenere la socialdemocrazia. Per coloro che più o meno conoscono lo stato del movimento in quell'epoca è indubbio che un simile giornale sarebbe stato favorevolmente accolto dagli operai della capitale e dagli intellettuali rivoluzionari ed avrebbe avuto la massima diffusione. L'insuccesso dell'iniziativa provò unicamente che i socialdemocratici di allora erano incapaci di rispondere alle esigenze del momento soprattutto per mancanza di esperienza rivoluzionaria e di preparazione pratica. Lo stesso si può dire per il Raboci Listok e specialmente per la Rabociaia Gazieta e per il Manifesto del Partito operaio socialdemocratico russo, costituitosi nella primavera del 1898. È chiaro che non è affatto nelle nostre intenzioni di rimproverare ai militanti di quel tempo la loro impreparazione; ma per trarre profitto dall'esperienza del movimento e ricavarne delle lezioni pratiche bisogna rendersi ben conto delle cause e del significato di questa o quella deficienza. Perciò è estremamente importante stabilire che una parte (forse anche la maggioranza) dei socialdemocratici attivi negli anni 1895-98 riteneva possibile presentare, proprio allora, agli inizi stessi del movimento «spontaneo », un vasto programma ed una tattica di combattimento [4*]. L'impreparazione della maggior parte dei rivoluzionari, essendo un fenomeno del tutto naturale, non poteva suscitare particolari timori. Poiché i compiti erano giustamente determinati, poiché si possedeva l'energia necessaria per ripetere i tentativi di adempierli, i momentanei insuccessi non erano che un mezzo male. L'esperienza rivoluzionaria e la capacità organizzativa sono cose che si acquistano. Basta voler sviluppare in sé le qualità necessarie! Basta aver coscienza dei propri errori, coscienza che, nelle questioni rivoluzionarie, equivale già ad una mezza correzione!

Ma il mezzo male diventa un male effettivo quando questa coscienza comincia ad oscurarsi (ed essa era vivissima nei militanti dei gruppi menzionati), quando c'è della gente — e persino dei giornali socialdemocratici — che è pronta a presentare le deficienze come virtù e persino a tentar di giustificare teoricamente la propria sottomissione servile alla spontaneità. È tempo di fare il bilancio di questa tendenza, molto inesattamente definita col termine di «economismo», che è troppo ristretto per esprimerne tutto il contenuto.

b) La sottomissione alla spontaneità.

Prima di passare alle manifestazioni letterarie di questa sottomissione alla spontaneità, segnaleremo un fatto caratteristico (comunicatoci dalla fonte già citata), che getta una certa luce sul modo come tra i compagni attivi di Pietroburgo era sorto e si era sviluppato il dissenso tra le due future tendenze della socialdemocrazia russa. All'inizio del 1897, A. A. Vaneiev ed alcuni suoi compagni, prima di essere deportati, parteciparono a una riunione privata dove s'incontrarono dei membri «vecchi» e «giovani» dell'«Unione di lotta per l'emancipazione della classe operaia». La conversazione verte principalmente sull'organizzazione e, in particolare, su quello «statuto della cassa operaia » che venne pubblicato nella sua forma definitiva nel num. 9-10 del Listok Rabotnika (p. 46). Fra i «vecchi» (i «decabristi», come li chiamavano per ischerzo i socialdemocratici pietroburghesi) e alcuni dei «giovani» (i quali, in seguito, collaborarono attivamente alla Rabociaia Mysl) si manifestò subito un dissenso nettissimo e si impegnò un'accanita discussione. I «giovani» difendevano i punti principali dello statuto così com'era stato pubblicato. I «vecchi» dicevano che non da ciò bisognava cominciare, ma che si doveva prima di tutto consolidare l'«Unione di lotta», farne un'organizzazione di rivoluzionari alla quale fossero subordinate le diverse casse operaie, i circoli di propaganda fra la gioventù studentesca, ecc. Gli avversari erano certamente lontani dall'indovinare in questo dissenso il germe di una divisione; lo consideravano al contrario come accidentale ed isolato. Ma l'episodio dimostra che il sorgere e l'estendersi dell'«economismo» in Russia non furono disgiunti dalla lotta contro i «vecchi» socialdemocratici (cosa che spesso dimenticano gli economisti dei nostri giorni). E se questa lotta non ha, in generale, lasciato tracce «documentarie», lo si deve unicamente al fatto che i membri dei circoli operai cambiavano con inverosimile rapidità, che non si creava nessuna continuità e che, perciò, i punti di vista divergenti non venivano fissati in nessun documento. La pubblicazione della Rabociaia Mysl portò l'economismo alla luce del sole, ma non di colpo. Bisogna rappresentarsi concretamente le condizioni di lavoro e l'effimera esistenza degli innumerevoli circoli russi (cosa possibile soltanto a chi vi è passato) per comprendere quanto vi fosse di fortuito nel successo o nell'insuccesso della nuova tendenza nelle diverse città e l'assoluta impossibilità nella quale si trovarono per lungo tempo, sia i partigiani che gli avversari di questa «nuova » tendenza, di determinare se essa era effettivamente una tendenza definita o semplicemente il prodotto dell'impreparazione di singole persone. Per esempio, i primi numeri poligrafati della Rabociaia Mysl furono completamente sconosciuti alla immensa maggioranza dei socialdemocratici, e noi abbiamo ora la possibilità di richiamarci all'editoriale del primo numero, unicamente perché esso è stato riprodotto nell'articolo di V. I. [5] (Listok Rabotnika, n. 9-10, p. 47 e sgg.), il quale, con uno zelo per lui eccessivo, porta alle stelle il nuovo giornale, così diverso dai giornali e progetti già citati [5*]. Vale la pena di arrestarsi un po' su questo editoriale, che esprime con tanto rilievo tutto lo spirito della Rabociaia Mysl e dell'economismo in generale.

Dopo aver detto che le uniformi azzurre non arresteranno mai i progressi del movimento operaio, l'editoriale continua: «...Il movimento operaio deve questa sua vitalità al fatto che l'operaio ha preso finalmente nelle sue mani la propria sorte, strappandola dalle mani dei suoi dirigenti». Questa tesi fondamentale è poi svolta in seguito particolareggiatamente. In realtà, i dirigenti (cioè i socialdemocratici, fondatori dell'«Unione di lotta») erano stati strappati, si può dire, alle mani degli operai dalla polizia [6*], mentre ci si vuol far credere che gli operai lottavano contro questi dirigenti e si erano liberati dal loro giogo! Invece di esortarli ad andare avanti, a consolidare l'organizzazione rivoluzionaria e ad estendere l'attività politica, si esortano gli operai ad andare indietro, a ritornare alla pura lotta tradunionista. Si proclama che «la base economica del movimento è oscurata dall'aspirazione a non dimenticare mai l'ideale politico», che la parola d'ordine del movimento operaio è: «Lotta per le condizioni economiche» (!), oppure meglio ancora: «Gli operai per gli operai»; si dichiara che le casse di sciopero «hanno per il momento più valore di un centinaio di altre organizzazioni» (si confronti questa affermazione, che risale all'ottobre 1897, con la disputa fra «decabristi» e «giovani» agli inizi del 1897), ecc. Le formule come quella che la chiave di volta della situazione deve essere non il «fiore» degli operai, ma l'operaio «medio», l'operaio di massa, o come: «La politica segue sempre docilmente l'economia»[7*] ecc, acquistarono gran voga ed ebbero un'influenza irresistibile sulla massa dei giovani venuti al movimento alla vigilia e che, per la maggior parte, conoscevano soltanto frammenti del marxismo attraverso l'esposizione che ne facevano le pubblicazioni legali.

Così la coscienza era completamente soffocata dalla spontaneità, dalla spontaneità di quei «socialdemocratici» che ripetevano le «idee» del signor V. V., dalla spontaneità degli operai che erano stati sedotti dall'argomento che un copeco su di un rublo valeva molto più di ogni socialismo e di ogni politica, che essi dovevano «lottare sapendo che lottavano non per delle ignote generazioni future, ma per sé e per, i propri figli» (editoriale del n. 1 della Rabociaia Mysl). Le frasi di questo genere sono sempre state l'arma preferita di quei borghesi dell'Europa occidentale i quali, odiando il socialismo, lavoravano essi stessi (come il «sozialpolitiker » tedesco Hirsch) a trapiantare nel loro paese il tradunionismo inglese, ed affermavano agli operai che la lotta esclusivamente sindacale [8*] è precisamente una lotta per sé e per i propri figli, e non per una qualche generazione futura, per un qualche socialismo futuro. E ora «i V. V. della socialdemocrazia russa» si mettono a ripetere queste frasi borghesi. È importante rilevare qui tre punti che ci saranno di grande aiuto nella nostra analisi dei dissensi attuali...[9*]. In primo luogo, il soffocamento della coscienza da parte della spontaneità, da noi indicato, è avvenuto anch'esso in modo spontaneo. Sembra un giuoco di parole, ma è purtroppo l'amara verità. Esso non è avvenuto attraverso la lotta dichiarata fra due concezioni diametralmente opposte e la vittoria dell'una sull'altra, ma perché in numero sempre maggiore i "vecchi" rivoluzionari sono stati "prelevati" dalla polizia e sostituiti gradualmente dai "giovani" "V. V. della socialdemocrazia russa". Tutti coloro che hanno, non dico partecipato al movimento russo contemporaneo, ma ne hanno semplicemente respirato l'aria, sanno perfettamente che le cose stanno così. E se, ciò nonostante, insistiamo perché il lettore si renda ben conto di questo fatto già noto, se, per rendere le cose più evidenti, citiamo dei fatti sulla prima edizione del Raboceie Dielo e sulla discussione fra "giovani" e "vecchi" agli inizi del 1897, è soltanto perché gente che si vanta del suo "spirito democratico" specula sulla ignoranza di questo fatto da parte del gran pubblico (o dei giovanissimi). Del resto, ritorneremo su questo punto.

In secondo luogo, possiamo osservare, fin dalla prima manifestazione letteraria dell'economismo, un fenomeno altamente originale ed estremamente caratteristico per la comprensione di tutti i dissensi fra i socialdemocratici del giorno d'oggi: i partigiani del "movimento puramente operaio", i fautori del legame più stretto e più "organico" (espressione del Raboceie Dielo) con la lotta proletaria, gli avversari di tutti gli intellettuali non operai (anche se socialisti) sono costretti, per difendere le loro posizioni, a ricorrere agli argomenti dei "puri tradunionisti " borghesi. Ciò ci dimostra che, fin dal principio, la Rabociaia Mysl si è - senza rendersene essa stessa conto - accinta ad attuare il programma del "Credo". Il che prova (e il Raboceie Dielo non può riuscire a comprenderlo) che ogni sottomissione del movimento operaio alla spontaneità, ogni menomazione della funzione dell'"elemento cosciente", della funzione della socialdemocrazia significa di per sé - non importa lo si voglia o no - un rafforzamento dell'influenza dell'ideologia borghese sugli operai. Tutti coloro che parlano di "sopravvalutazione della ideologia" [10*], di esagerazione della funzione dell'elemento cosciente [11*], ecc., immaginano che il movimento puramente operaio sia di per sé in grado di elaborare - ed elabori in realtà - una ideologia indipendente; che ciò che più conta sia che gli operai "strappino dalle mani dei dirigenti le loro sorti". Ma questo è un profondo errore. Per completare quanto abbiamo detto sopra, riportiamo anche le seguenti parole di K. Kautsky, profondamente giuste e importanti, circa il progetto di un nuovo programma del Partito socialdemocratico austriaco [12*].

    «Parecchi dei nostri critici revisionisti immaginano che Marx abbia affermato che lo sviluppo economico e la lotta di classe non soltanto creano le condizioni della produzione socialista, ma generano anche direttamente la coscienza [sottolineato da K. K.] della sua necessità. Ed ecco questi critici obiettare che il paese del più avanzato sviluppo capitalistico, l'Inghilterra, è il più estraneo, fra tutti i paesi moderni, a questa coscienza. In base al progetto si potrebbe credere che anche la commissione la quale ha elaborato il programma austriaco condivida questo punto di vista sedicente marxista ortodosso che viene confutato nel modo suindicato. Il progetto dice: "Quanto più lo sviluppo capitalistico rafforza il proletario, tanto più esso è costretto a lottare contro il capitalismo ed ha la possibilità di farlo. Il proletario giunge ad aver coscienza" della possibilità e della necessità del socialismo. La coscienza socialista sarebbe, per conseguenza, il risultato necessario, diretto della lotta di classe proletaria. Ma ciò è completamente falso. Il socialismo, come dottrina, ha evidentemente le sue radici nei rapporti economici contemporanei, al pari della lotta di classe del proletariato; esso deriva, al pari di quest'ultima, dalla lotta contro la miseria e dall'impoverimento delle masse generati dal capitalismo; ma socialismo e lotta di classe nascono uno accanto all'altra e non uno dall'altra; essi sorgono da premesse diverse. La coscienza socialista contemporanea non può sorgere che sulla base di profonde cognizioni scientifiche. Infatti, la scienza economica contemporanea è, al pari della tecnica moderna, una condizione della produzione socialista, e il proletariato, per quanto lo desideri, non può creare né l'una né l'altra; la scienza e la tecnica sorgono entrambe dal processo sociale contemporaneo. Il detentore della scienza non è il proletariato, ma sono gli intellettuali borghesi [sottolineato da K.K.]; anche il socialismo contemporaneo è nato nel cervello di alcuni membri di questo ceto, ed è stato da essi comunicato ai proletari più elevati per il loro sviluppo intellettuale, i quali in seguito lo introducono nella lotta di classe del proletariato, dove le condizioni lo permettono. La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall'esterno [von aussen hineingetragenes], e non qualche cosa che ne sorge spontaneamente [urwüchsig]. Il vecchio programma di Hainfeld diceva dunque molto giustamente che il compito della socialdemocrazia è di introdurre nel proletariato [letteralmente: di permeare il proletariato] la coscienza della sua situazione e della sua missione. Non occorrerebbe far questo se la coscienza emanasse da sé dalla lotta di classe. Il nuovo progetto ha ripreso questa tesi del vecchio programma e l'ha sovrapposta alla tesi sopra citata. Ma ciò ha completamente spezzato il corso del pensiero...».

Dal momento che non si può parlare di una ideologia indipendente, elaborata dalle stesse masse operaie nel corso stesso del loro movimento [13*], la questione si può porre solamente così: o ideologia borghese o ideologia socialista. Non c'è via di mezzo (poiché l'umanità non ha creato una "terza" ideologia, e, d'altronde, in una società dilaniata dagli antagonismi di classe, non potrebbe mai esistere una ideologia al di fuori o al di sopra delle classi). Ecco perché ogni menomazione dell'ideologia socialista, ogni allontanamento da essa implica necessariamente un rafforzamento dell'ideologia borghese. Si parla della spontaneità; ma lo sviluppo spontaneo del movimento operaio fa sì che esso si subordini all'ideologia borghese, che esso proceda precisamente secondo il programma del "Credo", perché il movimento operaio spontaneo è il tradunionismo, la Nur-Gewerkschaftlerei, e il tradunionismo è l'asservimento ideologico degli operai alla borghesia. Perciò il nostro compito, il compito della socialdemocrazia, consiste nel combattere la spontaneità, nell'allontanare il movimento operaio dalla tendenza spontanea del tradunionismo a rifugiarsi sotto l'ala della borghesia; il nostro compito consiste nell'attirare il movimento operaio sotto l'ala della socialdemocrazia rivoluzionaria. La frase degli autori della lettera «economica» pubblicata nel n. 12 dell'Iskra, secondo cui gli sforzi degli ideologi meglio ispirati non potrebbero far deviare il movimento operaio dalla strada tracciata dal giuoco reciproco degli elementi materiali e dell'ambiente materiale, equivale assolutamente ad una rinunzia al socialismo. Se coloro che hanno scritto questa frase fossero capaci di pensare fino in fondo a quanto dicono, con logica e senza paura, come devono fare tutti coloro che scendono sul terreno dell'attività letteraria e sociale, non avrebbero da far altro che «incrociare le inutili braccia sul petto deserto» e... lasciare campo libero agli Struve e ai Prokopovic, che orientano il movimento operaio «secondo la linea del minimo sforzo», cioè secondo la linea del tradunionismo borghese, e agli Zubatov, che lo orientano secondo la linea dell'«ideologia» clerico-poliziesca.

Ricordate l'esempio della Germania. Qual è stato il merito storico di Lassalle nel movimento operaio tedesco? Di avere allontanato il movimento dal tradunionismo progressista e dal cooperativismo verso i quali si dirigeva spontaneamente (con la benevola collaborazione degli Schulze-Delitsch e consorti). Per riuscirvi, è stato necessario ben altro che qualche frase sulla sottovalutazione dell'elemento spontaneo, sulla tattica-processo, sul giuoco reciproco degli elementi e dell'ambiente, ecc. È occorsa una lotta accanita contro la spontaneità, e soltanto dopo lunghi, lunghissimi anni di questa lotta si è giunti a fare, della popolazione operaia di Berlino, per esempio, che era un baluardo del partito progressista, una delle migliori fortezze della socialdemocrazia. E questa lotta non è terminata nemmeno ora (come potrebbero credere coloro che studiano la storia del movimento tedesco su Prokopovic e la sua filosofia su Struve). Ancora oggi la classe operaia tedesca è divisa, se cosi si può dire, fra parecchie ideologie: una parte è raggruppata nei sindacati cattolici e monarchici; un'altra nei sindacati Hirsch-Duncker [6], fondati dai partigiani borghesi del tradunionismo inglese; una terza parte nei sindacati socialdemocratici. Quest'ultima parte è incomparabilmente più numerosa di tutte le altre, ma l'ideologia socialdemocratica non ha potuto ottenere e non potrà conservare questa supremazia se non attraverso una lotta instancabile contro tutte le altre ideologie.

Ma perché - domanderà il lettore - il movimento spontaneo, il movimento che segue la linea del minimo sforzo, conduce al predominio dell'ideologia borghese? Per la semplice ragione che, per le sue origini, l'ideologia borghese è ben più antica di quella socialista, essa è meglio elaborata in tutti i suoi aspetti e possiede una quantità incomparabilmente maggiore di mezzi di diffusione [14*]. E quanto più giovane è il movimento socialista di un determinato paese, tanto più energica deve essere la lotta contro tutti i tentativi di consolidare la ideologia non socialista, tanto più risolutamente bisogna premunire gli operai contro i cattivi consiglieri che gridano alla "sopravvalutazione dell'elemento cosciente", ecc. All'unisono col Raboceie Dielo, gli autori della lettera economica tuonano contro l'intolleranza propria del periodo infantile del movimento. Rispondiamo: si, il nostro movimento è ancora nell'infanzia, e per raggiungere presto la virilità deve corazzarsi d'intolleranza contro coloro i quali, sottomettendosi alla spontaneità, ne ritardano lo sviluppo. Nulla di più ridicolo e di più nocivo che darsi l'aria di vecchi che già abbiano vissuto tutti i momenti decisivi della lotta!

In terzo luogo, il primo numero della Rabociaia Mysl ci dimostra che la denominazione di "economismo" (alla quale non abbiamo nessuna intenzione di rinunziare poiché, in un modo o nell'altro, essa ha ormai ottenuto diritto di cittadinanza) traduce solo approssimativamente la sostanza della nuova tendenza. La Rabociaia Mysl non nega completamente la lotta politica: lo statuto della cassa, che essa pubblica nel suo primo numero, parla di lotta contro il governo. Essa pensa soltanto che "la politica segue sempre docilmente l'economia". (Quanto al Raboceie Dielo, esso espone una variante a questa tesi, affermando nel suo programma che "in Russia più che in qualsiasi altro paese la lotta economica è inseparabile dalla lotta politica".) Queste tesi della Rabociaia Mysl e del Raboceie Dielo sono assolutamente sbagliate se per politica s'intende la politica socialdemocratica. La lotta economica degli operai è spessissimo, come abbiamo visto, legata (ma non indissolubilmente) alla politica borghese, clericale, ecc. Le tesi del Raboceie Dielo sono giuste se per politica si intende la politica tradunionista, vale a dire l'aspirazione di tutti gli operai a ottenere dallo Stato misure atte a rimediare ai mali che comporta la loro condizione, ma non ancora a sopprimere questa condizione, cioè a distruggere la sottomissione del lavoro al capitale. Questa aspirazione, infatti, è comune ai tradunionisti inglesi, che sono ostili al socialismo, agli operai cattolici, agli "operai di Zubatov" e ad altre tendenze. Vi è politica e politica. Vediamo dunque che la Rabociaia Mysl è, di fronte alla politica, non tanto in una posizione di negazione quanto in una posizione di sottomissione alla sua spontaneità e alla sua incoscienza. Riconoscendo pienamente la lotta politica che sorge spontaneamente dallo stesso movimento operaio (o, meglio, le rivendicazioni e le aspirazioni politiche degli operai), la Rabociaia Mysl rifiuta assolutamente di elaborare essa stessa una politica socialdemocratica specifica, che risponda ai compiti generali del socialismo e alla attuale situazione russa. Dimostreremo più avanti che il Raboceie Dielo commette lo stesso errore.

c) il "gruppo di autoemancipazione" [7] ed il Raboceie Dielo

Abbiamo analizzato così minutamente l'editoriale poco noto, ed oggi quasi dimenticato, del primo numero della Rabociaia Mysl, perché questo articolo ha espresso per primo e con maggior rilievo la corrente fondamentale che è poi venuta alla luce del sole ramificata in innumerevoli ruscelletti, V. I. aveva completamente ragione quando, nel lodare questo primo numero e questo editoriale, ne costatava «la foga e il brio» (Listok Rabotnika, n. 9-10, p. 49). Chiunque è convinto della propria opinione e crede di portare qualche cosa di nuovo, scrive con « foga» e in modo da dare rilievo ai propri punti di vista. Soltanto chi vuol star seduto fra due sedie manca di «foga» e può oggi rimproverare ai suoi avversari la «vivacità della polemica» contro la Rabociaia Mysl, dopo aver lodato ieri la vivacità di quest'ultima.

Senza soffermarci sul Supplemento speciale alla Rabociaia Mysl (in seguito, su diverse questioni, dovremo frequentemente riferirci a questa pubblicazione nella quale sono esposte nel modo più conseguente le idee degli economisti), ci limiteremo a segnalare brevemente l'Appello del gruppo di autoemancipazione degli operai (marzo 1899, riprodotto nel Nakanunie di Londra, n. 7, giugno 1899). Molto giustamente gli autori di questo appello dicono che «la Russia operaia si risveglia appena, guarda intorno a sé per la prima volta, e afferra istintivamente i primi mezzi di lotta che le cadono sottomano », ma ne traggono la stessa conclusione sbagliata della Rabociaia Mysl, dimenticando che l'istintivo è precisamente l'incosciente (lo spontaneo), al quale i socialisti devono venire in aiuto, e che i primi mezzi di lotta «che cadono sottomano» saranno sempre, nella società contemporanea, i mezzi tradunionisti, e la prima ideologia che «cade sottomano» sarà sempre l'ideologia borghese (tradunionista). Allo stesso modo gli autori dell'Appello non «negano» affatto la politica; dicono soltanto (soltanto!), seguendo il signor V. V., che la politica è una sovrastruttura e che, per conseguenza, « l'agitazione politica deve essere la sovrastruttura dell'agitazione in favore della lotta economica, deve sorgere sul terreno di questa lotta e seguirla».

Da parte sua, il Raboceie Dielo ha cominciato col prendere la «difesa» degli economisti. Dopo aver dichiarato falsamente nel suo primo numero (n. 1, pp. 141-142) di «ignorare di quali giovani compagni parlasse Axelrod» nel celebre opuscolo [15*] in cui metteva in guardia gli economisti, ha dovuto riconoscere, nel corso della polemica avuta a causa di questa menzogna con Axelrod e Plekhanov, che, «mostrando di non aver capito, voleva difendere tutti i giovani socialdemocratici che si trovano all'estero da questa accusa ingiusta» (l'accusa di limitatezza intellettuale lanciata da Axelrod contro gli economisti). Questa accusa era in realtà perfettamente giusta, e il Raboceie Dielo sapeva benissimo che essa era diretta fra gli altri anche contro V. I., della sua redazione. Farò notare, in proposito, che, nella polemica in questione, Axelrod aveva completamente ragione e il Raboceie Dielo completamente torto nella interpretazione del mio opuscolo I compiti dei socialdemocratici russi. Questo opuscolo fu scritto nel 1897, prima della pubblicazione della Rabociaia Mysl, quando, a buon diritto, consideravo come dominante la tendenza iniziale dell'«Unione di lotta» di Pietroburgo, di cui ho parlato sopra. La tendenza dell'«Unione» fu infatti preponderante almeno fin verso la metà del 1898. Il Raboceie Dielo non aveva dunque nessun diritto di smentire l'esistenza e il pericolo dell'economismo, richiamandosi a un opuscolo nel quale si esponevano opinioni che a Pietroburgo nel 1897-1898 furono soppiantate da opinioni economiste [16*].

Ma il Raboceie Dielo non ha soltanto «difeso» gli economisti; è esso stesso costantemente incorso nei loro principali errori. L'origine di questi errori risiede nel contenuto equivoco della seguente tesi del suo programma: «Il fenomeno più importante della vita russa, quello che determinerà in principal modo i compiti [il corsivo è nostro] e il carattere dell'attività pubblicistica dell'Unione, è, a nostro avviso, il movimento operaio di massa [il corsivo è del Raboceie Dielo] sorto in questi ultimi anni». Non si può mettere in dubbio che il movimento di massa è un fenomeno molto importante; ma tutta la questione sta nel modo di intendere come questo movimento «determinerà i compiti». La cosa si può intendere in due modi: o nel senso che si debba sottomettere il movimento alla spontaneità, cioè ridurre la socialdemocrazia ad essere semplicemente l'ancella del movimento operaio come tale (così intendono la Rabociaia Mysl, il «Gruppo di autoemancipazione» e gli altri economisti); oppure nel senso che il movimento di massa ci pone nuovi compiti teorici, politici e organizzativi, molto più complessi di quelli di cui potevamo accontentarci prima dell'apparizione del movimento di massa. Il Raboceie Dielo si è sempre avvicinato e si avvicina tuttora alla prima interpretazione, perché non ha mai parlato con precisione di nuovi compiti e ha sempre argomentato come se il «movimento di massa» ci sbarazzasse della necessità di vedere chiaramente e di assolvere i compiti che esso pone. Basterà rammentare che il Raboceie Dielo ha ritenuto impossibile assegnare al movimento operaio di massa come primo compito il rovesciamento dell'autocrazia e (in nome del movimento di massa) ha degradato questo compito a quello della lotta per le rivendicazioni politiche immediate (Risposta, p. 25).

Senza occuparci dell'articolo pubblicato dal direttore del Raboceie Dielo, B. Kricevski, nel n. 7 della rivista (La lotta economica e politica del movimento russo), nel quale si ritrovano gli stessi errori [17*], passeremo direttamente al n. 10 del Raboceie Dielo. Non esamineremo una per una tutte le obiezioni che B. Kricevski e Martynov oppongono alla Zarià e all'Iskra. Qui ci interessa soltanto la posizione di principio assunta dal Raboceie Dielo nel n. 10. Per esempio non esamineremo il fatto strano che il Raboceie Dielo veda una «contraddizione fondamentale» fra l'affermazione:

    La socialdemocrazia non si lega le mani, non restringe la propria attività in base ad un qualche piano o metodo di lotta politica prefissato: essa ammette tutti i mezzi di lotta, purché corrispondano alle forze reali del partito... (Iskra, n. 1 )[8].

e l'affermazione:

    ...e se non esiste una salda organizzazione, preparata alla lotta politica in ogni momento e in tutte le situazioni, non si può parlare di quel piano sistematico d'azione, illuminato da principi fermi e rigorosamente applicato, che è l'unico che meriti il nome di tattica (Iskra, n, 4).

Confondere il riconoscimento in via di principio di tutti i mezzi, piani e metodi di lotta, purché adeguati allo scopo, con la necessità di essere guidati, in un dato momento politico, da un piano rigorosamente applicato — se si vuole parlare di una tattica — è come confondere il riconoscimento da parte della medicina di tutti i sistemi terapeutici con la necessità di attenersi a un sistema determinato per la cura di una determinata malattia. Ma il fatto è che proprio il Raboceie Dielo, poiché soffre della malattia da noi chiamata sottomissione alla spontaneità, non vuol ammettere nessun «sistema di cura» di questa malattia. Perciò ha fatto la notevole scoperta che «la tattica-piano contraddice allo spirito fondamentale del marxismo» (n. 10, p. 18); che la tattica è «il processo di sviluppo dei compiti del partito che si sviluppano insieme con il partito stesso» (p. 11; il corsivo è del Raboceie Dielo). Quest'ultima frase ha tutte le probabilità di diventare una sentenza famosa, un monumento indistruttibile della «tendenza» del Raboceie Dielo. Alla domanda: «dove andare?» quest'organo dirigente risponde: il movimento è il processo di variazione della distanza fra il punto iniziale e i successivi punti del movimento. Un'osservazione di tale incomparabile profondità non costituisce soltanto una curiosità (non varrebbe allora la pena di occuparsene), ma è il programma di tutta una tendenza: quel programma che la Rabociaia Mysl (nel Supplemento speciale) ha così enunciato: è desiderabile la lotta che è possibile; e possibile è la lotta che si svolge in questo momento. Questa è appunto la tendenza del più illimitato opportunismo, che si adatta passivamente alla spontaneità.

«La tattica-piano contraddice allo spirito fondamentale del marxismo»! Questa è una calunnia, una caricatura del marxismo, analoga a quella che ci era presentata dai populisti in guerra contro di noi. È appunto una svalutazione dell'iniziativa e dell'energia dei militanti coscienti, mentre, al contrario, il marxismo stimola in modo formidabile l'energia e l'iniziativa del socialdemocratico, aprendogli le più larghe prospettive, mettendo a sua disposizione (se così si può dire) le forze formidabili di milioni e milioni di operai che scendono « spontaneamente» in lotta! La storia della socialdemocrazia internazionale pullula di piani proposti da questo o da quel capo politico, piani che ora attestano la chiaroveggenza e la giustezza delle opinioni politiche e organizzative, ora svelano la cecità e gli errori politici dei loro autori. Quando la Germania attraversò una delle più grandi crisi della storia — formazione dell'Impero, apertura del Reichstag, concessione del suffragio universale — Liebknecht aveva un piano di politica e di azione socialdemocratica e Schweitzer ne aveva un altro. Quando i socialisti tedeschi furono colpiti dalle leggi eccezionali, Most e Hasselmann avevano un piano, l'appello puro e semplice alla violenza e al terrore; Höchberg, Schramm e (in parte) Bernstein ne avevano un altro: si dettero a predicare ai socialdemocratici che, poiché avevano provocato con la violenza inconsiderata e con il loro spirito rivoluzionario la legge che li colpiva, dovevano ora ottenere il perdono con una condotta esemplare; esisteva infine un terzo piano: quello degli uomini che preparavano e attuavano la pubblicazione di un giornale illegale. Quando si considerano gli avvenimenti dopo parecchi anni, quando la lotta per la scelta della strada da seguire è terminata e la storia si è definitivamente pronunziata sul valore della strada prescelta, non è difficile naturalmente dare prova di profondità di pensiero e dichiarare sentenziosamente che lo sviluppo dei compiti del partito procede insieme con lo sviluppo del partito stesso. Ma nelle ore di confusione [18*], quando i «critici» e gli economisti russi abbassano la socialdemocrazia al livello del tradunionismo, e i terroristi predicano con ardore l'adozione di un «piano tattico» il quale non fa che ripetere i vecchi errori, in un momento simile attenersi a simili sentenze significa rilasciare a se stessi « un certificato di povertà». Nel momento in cui numerosi socialdemocratici russi soffrono appunto di mancanza di iniziativa e di energia, di mancanza di «larghezza nella propaganda, nell'agitazione e nell'organizzazione politica» [9], di mancanza di «piani» per una più ampia impostazione del lavoro rivoluzionario, dire che «la tattica-piano contraddice allo spirito fondamentale del marxismo» significa non soltanto degradare teoricamente il marxismo, ma anche, praticamente, tirare indietro il partito.

Il socialdemocratico rivoluzionario — ci insegna più avanti il Raboceie Dielo — ha come compito di accelerare lo sviluppo oggettivo col proprio lavoro cosciente, e non di sopprimerlo o di sostituirlo con piani soggettivi. L'Iskra sa tutto questo teoricamente. Ma in pratica, a causa del suo dottrinarismo nelle questioni tattiche, è trascinata dall'immensa importanza che il marxismo attribuisce giustamente al lavoro rivoluzionario cosciente a sottovalutare l'importanza dell'elemento oggettivo e spontaneo dello sviluppo (p. 18).

Eccoci daccapo in una straordinaria confusione teorica, degna del signor V. V. e consorti. Ma domandiamo al nostro filosofo: in che può consistere la «sottovalutazione» dell'oggettivo nell'autore di piani soggettivi? Senza dubbio nel dimenticare che lo sviluppo oggettivo crea o consolida, rovina o indebolisce queste o quelle classi, strati sociali, gruppi, nazioni, gruppi di nazioni, ecc. ecc, determinando per ciò stesso questo o quel raggruppamento politico internazionale di forze, questa o quella posizione dei partiti rivoluzionari, ecc. Ma, in tal caso, il suo errore consisterà nell'avere sottovalutato non già l'elemento spontaneo ma, al contrario, l'elemento cosciente, poiché gli sarà mancata la «coscienza» necessaria all'esatta comprensione dello sviluppo oggettivo. Il solo fatto di parlare della «valutazione dell'importanza relativa » (il corsivo è del Raboceie Dielo) della spontaneità e della coscienza rivela perciò una completa mancanza di «coscienza». Se certi « elementi spontanei dello sviluppo» sono accessibili in generale alla coscienza umana, l'errata valutazione di essi equivarrà a una « sottovalutazione dell'elemento cosciente». E se sono inaccessibili, noi non li conosciamo e non ne possiamo parlare. Di che cosa parla Kricevski? Se trova sbagliati i «piani soggettivi» dell'Iskra (come infatti dichiara), dovrebbe dimostrare di quali fatti oggettivi questi piani non tengono conto ed accusare perciò l’Iskra di mancanza di coscienza, di « sottovalutazione dell'elemento cosciente», per parlare il suo linguaggio. Ma se, scontento dei piani soggettivi, non ha altri argomenti che il ricorso alla «sottovalutazione dell'elemento spontaneo» (!!), egli in questo modo prova soltanto: primo, che, teoricamente, egli comprende il marxismo alla maniera di Kareiev e di Mikhailovski, così giustamente presi in giro da Beltov; secondo, che, praticamente, è del tutto soddisfatto di quegli «elementi spontanei di sviluppo» che hanno portato i nostri marxisti legali al bernsteinismo e i nostri socialdemocratici all'economismo, e che egli è furioso contro coloro che si sono decisi ad allontanare a ogni costo la socialdemocrazia russa dalla strada dello sviluppo « spontaneo».

E più avanti seguono cose spassosissime. «Allo stesso modo che gli uomini, nonostante tutti i successi delle scienze naturali, si moltiplicheranno alla maniera dei loro nonni, così l'apparizione alla luce di un nuovo ordine sociale, nonostante tutti i successi delle scienze sociali e l'aumento di combattenti coscienti, anche nell'avvenire sarà prevalentemente il risultato di scoppi spontanei.» Allo stesso modo che la saggezza dei nonni dice: chi non ha abbastanza intelligenza da avere dei bambini? così la saggezza dei «modernissimi socialisti» (alla Narciso Tuporylov [10] dice: ognuno avrà abbastanza intelligenza per partecipare alla spontanea apparizione alla luce di un nuovo ordine sociale. Anche noi pensiamo che ognuno ne avrà abbastanza. Per una simile partecipazione basta cedere all'economismo, quando regna l'economismo, e al terrorismo, quando scoppia il terrorismo. Così il Raboceie Dielo nella primavera di quest'anno, quando era così importante mettere in guardia contro il pericolo di lasciarsi attirare dal terrorismo, rimaneva perplesso di fronte al problema per lui «nuovo». Ed ora, sei mesi dopo, allorché il problema ha cessato di essere così attuale, ci offre nello stesso tempo sia la dichiarazione: «Noi pensiamo che il compito della socialdemocrazia non può e non deve essere l'opposizione alla ripresa delle tendenze terroristiche» (Raboceie Dielo, n. 10, p. 23), che la risoluzione del congresso: «Il congresso considera intempestivo il terrorismo offensivo sistematico» (Due congressi, p. 18). Come tutto ciò è meravigliosamente chiaro e coerente! Non ci opponiamo, ma lo dichiariamo intempestivo; e lo dichiariamo in modo tale da non includere il terrorismo non sistematico e difensivo nella «risoluzione». Bisogna riconoscere che una simile risoluzione non è affatto pericolosa e pienamente garantita dagli errori, così come è garantito dagli errori un uomo che abbia parlato per non dire nulla! E per compilare una simile risoluzione occorre soltanto una cosa: sapersi tenere alla coda del movimento. Quando l’Iskra ha preso in giro il Raboceie Dielo per aver esso dichiarato che il problema del terrorismo era nuovo [11] il Raboceie Dielo, stizzito, ha accusato l’Iskra di avere «la pretesa veramente incredibile di imporre all'organizzazione del partito la soluzione di problemi tattici data oltre quindici anni fa da un gruppo di scrittori emigrati» (p. 24). E infatti, quale pretesa e quale sopravvalutazione dell'elemento cosciente: risolvere dapprima i problemi teoricamente, per poi convincere della giustezza di questa soluzione l'organizzazione, il partito e le masse [19*]! Altra cosa è rimasticare le cose vecchie, non «imponendo» nulla a nessuno, sottomettersi ad ogni «svolta», tanto dalla parte dell'economismo, quanto dalla parte del terrorismo. Il Raboceie Dielo giunge persino a generalizzare questo grande comandamento della saggezza, accusando l’Iskra e la Zarià «di opporre al movimento il loro programma come uno spirito aleggiante sull'informe caos» (p. 29). In che consiste la funzione della socialdemocrazia se non nell'essere lo «spirito» che non soltanto aleggia sul movimento spontaneo, ma eleva quest'ultimo fino al «suo programma »? In ogni caso, la funzione della socialdemocrazia non è di trascinarsi alla coda del movimento: cosa che nel migliore dei casi è inutile, e, nel peggiore, estremamente nociva per il movimento stesso. Il Raboceie Dielo, da parte sua, non si limita a seguire questa «tattica-processo», ma la erige a principio, sicché la sua tendenza deve essere definita non tanto opportunismo quanto (dalla parola: coda) codismo. Certo si è che della gente fermamente decisa a stare sempre dietro al movimento come una coda è assolutamente e per sempre garantita contro la «sottovalutazione dell'elemento spontaneo dello sviluppo».

Abbiamo dunque costatato che l'errore fondamentale della "nuova tendenza" della socialdemocrazia russa è di sottomettersi alla spontaneità, di non comprendere che la spontaneità delle masse esige da noi, socialdemocratici, un alto grado di coscienza. Quanto più grande è la spinta spontanea delle masse, quanto più il movimento si estende, tanto più aumenta, in modo incomparabilmente più rapido, il bisogno di coscienza nell'attività teorica, politica e organizzativa della socialdemocrazia.

La spinta spontanea delle masse in Russia si è prodotta (e si produce ancora) con tale rapidità che la gioventù socialdemocratica ha mostrato di non essere preparata all'adempimento di questi compiti giganteschi. Questa impreparazione è la disgrazia di noi tutti, la disgrazia di tutti i socialdemocratici russi. La spinta delle masse è cresciuta e si è estesa continuamente e di giorno in giorno; senza cessare dov'era incominciata, si è estesa a nuove località e a nuovi strati della popolazione (sotto l'influenza del movimento operaio si è ravvivato il fermento fra la gioventù studentesca, fra gli intellettuali in genere e persino fra i contadini). I rivoluzionari sono rimasti indietro al progresso del movimento, e nelle loro "teorie" e nella loro attività non sono riusciti a creare una organizzazione che non abbia soluzioni di continuità, un'organizzazione permanente capace di dirigere l'insieme del movimento.

Abbiamo costatato nel primo capitolo che il Raboceie Dielo svilisce i nostri compiti teorici e ripete "spontaneamente" la parola d'ordine di moda: "libertà di critica", senza avere sufficiente "coscienza" per comprendere che le posizioni dei "critici" opportunisti e quelle dei rivoluzionari in Germania e in Russia sono diametralmente opposte.

Nei capitoli successivi esamineremo come questa sottomissione alla spontaneità si è manifestata nel campo dei compiti politici e nel lavoro organizzativo della socialdemocrazia.

 

 

Note

*1. Raboceie Dielo, n. 10, settembre 1901, pp. 17 e 18. Il corsivo è del Raboceie Dielo.

1. Nella primavera del 1896 ci fu nelle fabbriche di Pietroburgo una grande ondata di scioperi, ai quali parteciparono oltre 30.000 operai.

*2. Il tradeunionismo non esclude affatto ogni "politica", come talvolta si crede. Le trade-unions hanno sempre fatto una determinata agitazione politica ed una determinata lotta politica (ma non socialdemocratica). Nel capitolo seguente esporremo la differenza che passa fra la politica tradeunionista e la politica socialdemocratica.

2. Di A. Kremer, con un poscritto di P. Axelrod, egizio dell’Unione dei socialdemocratici russi, 1896.

*3. A. A. Vaneiev è morto nel 1899, nella Siberia orientale, di tisi contratta durante la detenzione preventiva, passata nell'isolamento della segregazione cellulare. Ci è parso perciò possibile pubblicare le informazioni di cui sopra. Rispondiamo della loro esattezza, perché provengono da persone che hanno intimamente conosciuto Vaneiev.

3. L'editoriale scritto da Lenin, dal titolo Agli operai russi, non è stato più ritrovato.

4. Si trova in Lenin, Opere, cit., vol. II, pp. 77-82.

*4. «Prendendo una posizione negativa di fronte all'attività dei socialdemocratici alla fine degli anni novanta, l’Iskra ignora che allora mancavano le condizioni per un altro lavoro che non fosse la lotta per le piccole rivendicazioni.» Così parlano gli economisti nella loro Lettera ai giornali socialdemocratici russi (Iskra, n. 12). Ma i fatti da noi citati provano che questa affermazione sulla «mancanza delle condizioni» è diametralmente opposta alla verità. Non soltanto alla fine del secolo, ma intorno al 1895 esistevano tutte le condizioni — tutte, meno una sufficiente preparazione dei dirigenti — per un lavoro che non fosse la lotta per le piccole rivendicazioni. Ed ecco che invece di riconoscere questa deficienza di preparazione di noi ideologi, dirigenti, gli «economisti» fanno ricadere tutta la colpa sulla «mancanza delle condizioni», sull'influenza dell'ambiente materiale che determina la strada dalla quale nessun ideologo potrà far deviare il movimento. Che cosa è questo se non cieca sottomissione alla spontaneità, se non amore degli «ideologi» per le loro proprie deficienze?

5. V. P. Ivanscin.

*5. A proposito, questo elogio della Rabociaia Mysl, fatta nel novembre 1898, mentre l'economismo, particolarmente all'estero, si era già completamente formato, emanava dallo stesso V. I. che, ben presto, diventò redattore del Raboceie Dielo. E questo giornale negava e continua a negare l'esistenza di due tendenze nella socialdemocrazia russa!

*6. L'esattezza di quest'affermazione è dimostrata da un fatto caratteristico. Quando, dopo l'arresto dei «decabristi», fra gli operai della strada di Schliesselburg si diffuse la notizia che la caduta era dovuta al provocatore N. Mikhailov (dentista), il quale era in stretti rapporti col gruppo dei « decabristi», questi operai ne furono così indignati che decisero di uccidere Mikhailov.

*7. Dallo stesso editoriale del primo numero della Rabociaia Mysl. Si può così giudicare quale fosse la preparazione teorica di questi «V. V. della socialdemocrazia russa», i quali ripetevano le grossolane deformazioni del « materialismo economico», mentre nei loro scritti i marxisti combattevano contro il vero V. V., già da lungo tempo soprannominato «maestro di imprese reazionarie» a causa di questo stesso modo di comprendere i rapporti fra politica e economia.

*8. I tedeschi possiedono perfino una parola, Nur-Gewerkschaftler, per indicare i partigiani della lotta «soltanto sindacale».

*9. Sottolineiamo attuali per i farisei che alzeranno le spalle dicendo: «È facile denigrare ora la Rabociaia Mysl, ma tutto ciò appartiene al passato». Mutato nomine, de te fabula narratur, risponderemo noi a questi moderni farisei, di cui dimostreremo in seguito il completo asservimento alle idee della Rabociaia Mysl.

*10. Lettera degli economisti nel numero 12 dell’Iskra.

*11. Raboceie Dielo, numero 10.

*12. Neue Zeit, 1901-1902, XX, I, n. 3, pag. 79. Il progetto della commissione di cui parla K. Kautsky fu approvato dal Congressi di Vienna (alla fine dell’anno scorso) con alcune modificazioni.

*13. Certo non ne consegue che gli operai non partecipino a questa elaborazione; ma non vi partecipano come operai, bensì come teorici del socialismo, come i Proudhon e i Weitling. In altri termini, non vi partecipano che nella misura in cui giungono ad acquisire più o meno completamente cognizioni della loro epoca ed a farle progredire. Ma perché possano riuscirvi più spesso bisogna sforzarsi di elevare il livello della .loro coscienza in generale, bisogna che essi non si rinchiudano nella cornice artificialmente ristretta della «letteratura per operai », ma imparino sempre meglio a comprendere la letteratura in generale. Sarebbe anzi più giusto dire che gli operai non si «rinchiudono» in una letteratura speciale, ma vi sono rinchiusi, perché essi leggono e vorrebbero leggere tutto ciò che si scrive per gli intellettuali, e soltanto alcuni intellettuali (scadenti) pensano che «agli operai» basti parlare della vita d'officina e rimasticare ciò che essi da molto tempo sanno.

6. I sindacati fondati in Germania nel 1868 dai liberali Hirsch e Duncker, che circoscrivevano i compiti del movimento sindacale alle casse di mutuo soccorso e alle organizzazioni culturali educative.

*14. Si dice spesso: la classe operaia va spontaneamente al socialismo. Ciò è perfettamente giusto nel senso che più profondamente e più esattamente di tutte le altre la teoria socialista determina le cause dei mali della classe operaia. Perciò gli operai l'assimilano così facilmente, purché questa dottrina non ceda davanti alla spontaneità, purché essa sottoponga quest'ultima a se stessa. Questo è ordinariamente sottinteso; ma il Raboceie Dielo dimentica e snatura precisamente questo sottinteso. La classe operaia va spontaneamente al socialismo, ma l'ideologia borghese, che è la più diffusa (e che risuscita costantemente nelle più svariate forme), resta pur sempre l'ideologia che, spontaneamente, soprattutto s'impone all'operaio.

7. Piccolo gruppo di "economisti", che sorse nell’autunno del 1898 a Pietroburgo e visse per pochi mesi.

*15. Sulla Questione degli obiettivi attuali e della tattica della socialdemocrazia russa (Ginevra, 1898). Due lettere alla Rabociaia Gazieta, scritte nel 1897.

*16. Il Raboceie Dielo, difendendosi, ha aggiunto alla sua prima menzogna («noi ignoriamo di quali giovani compagni parli P. Axelrod») la seconda, scrivendo nella Risposta: «Da quando è stata scritta la recensione dei Compiti, tra alcuni socialdemocratici russi sono sorte o si sono definite in modo più o meno chiaro delle tendenze all'unilateralità economica, che rappresentano un passo indietro in confronto a quello stadio del nostro movimento che è descritto nei Compiti» (p. 9). Così dice la Risposta uscita nel 1900. E il primo numero del Raboceie Dielo (con la recensione) è uscito nell'aprile del 1899. Ma l'economismo è forse sorto soltanto nel 1899? No, nel 1899 si è fatta udire per la prima volta la protesta dei socialdemocratici russi contro l'economismo (protesta contro il «Credo»). L'economismo in realtà è sorto nel 1897, e il Raboceie Dielo lo sa perfettamente, perché V. I. già nel novembre 1898 (Listok Rabotnika n. 9-10) elogiava la Rabociaia Mysl.

*17. Ecco, per esempio, com'è espressa, in quest'articolo, la «teoria degli stadi» o teoria del «timido zigzag» nella lotta politica: «Le rivendicazioni politiche, comuni per il loro carattere a tutta la Russia, devono tuttavia corrispondere, nei primi tempi [e questo è stato scritto nell'agosto del 1900!] all'esperienza compiuta nella lotta economica da un determinato [sic!] strato di operai. Soltanto [!] sul terreno di questa esperienza si può e si deve intraprendere l'agitazione politica...» (p. II). A p. 4, protestando contro le accuse di eresia economica, secondo lui assolutamente ingiustificate, l'autore esclama pateticamente: «Quale socialdemocratico ignora che, secondo la dottrina di Marx e di Engels, gli interessi economici delle diverse classi hanno una funzione decisiva nella storia e che, per conseguenza, in particolare la lotta del proletariato per i suoi interessi economici deve avere somma importanza per il suo sviluppo di classe e la sua lotta liberatrice?» (il corsivo è nostro). Questo «per conseguenza» è assolutamente fuori posto. Dal fatte che gli interessi economici esercitano una funzione decisiva non consegue affatto che la lotta economica (professionale) sia di sommo interesse, perché gli interessi essenziali, « decisivi», delle classi possono essere soddisfatti solamente con trasformazioni politiche radicali, e particolarmente, l'interesse economico fondamentale del proletariato può essere soddisfatto solamente con una rivoluzione politica che sostituisca alla dittatura della borghesia la dittatura del proletariato. B. Kricevski ripete il ragionamento dei «V. V. della socialdemocrazia russa» (la politica segue l'economia, ecc.) e dei bernsteiniani della socialdemocrazia tedesca (con un ragionamento analogo, Woltmann, per esempio, dimostrava che gli operai devono incominciare ad acquistare la «forza economica» prima di pensare alla rivoluzione politica).

8. Dallo scritto di Lenin, I compiti urgenti del nostro movimento, in Opere, cit., vol. IV, p. 406. Il passo seguente è contenuto nell'articolo Da che cosa cominciare? , ivi, vol V, p. 10.

*18. Ein Jahr der Verwirrung (Un anno di confusione), così Mehring ha intitolato, nella sua Storia della socialdemocrazia tedesca, il capitolo in cui descrive le esitazioni e le indecisioni che i socialisti manifestarono agli inizi nella scelta di un «piano tattico» rispondente alla nuova situazione.

9. Da I compiti urgenti del nostro movimento, cit., p. 404.

10. Si tratta dell'Inno del moderno socialista russo, pubblicato dalla Zarià, n. 1 (aprile 1901), a firma Nartsis Tuporylov (Narciso muso ebete); era una satira degli «economisti» e del loro adattamento al movimento spontaneo. Autore del l'inno era I. O. Martov.

11. Nell'articolo citato Da che cosa cominciare?, pp. 10-11.

*19. Non si deve neppure dimenticare che, risolvendo «teoricamente» il problema del terrorismo, il gruppo dell'«Emancipazione del lavoro» generalizzava l'esperienza del movimento rivoluzionario precedente.

 


Ultima modifica 8.2.2004