Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza

Immanuel Kant (1783)


Soluzione del problema generale dei Prolegomeni176

COME È POSSIBILE LA METAFISICA IN QUANTO SCIENZA?

La metafisica, come disposizione naturale della ragione è reale, ma è anche, per se sola (come ci ha mostrato la risoluzione analitica della terza questione), dialettica ed illusoria. Voler quindi trarre da essa i principii e nell’uso loro andare appresso alla illusione naturale, che non è per questo meno falsa, non può mai costituire una scienza, ma solo una vana arte dialettica, nella quale l'una, scuola potrà sorpassare l’altra, ma nessuna potrà conquistarsi mai un legittimo e duraturo consenso.

Affinchè pertanto essa possa, come scienza, non soltanto persuadere abbagliando, ma veracemente ammaestrare e convincere, è necessaria una critica della ragione stessa, la quale in un sistema completo esponga l’intera serie dei concetti a priori classificandoli secondo le diverse sorgenti — il senso, l’intelletto e la ragione —, dia una tavola completa degli stessi e li analizzi derivandone tutte le conseguenze in essi implicate, sopratutto poi dimostri per mezzo di una deduzione di questi concetti la possibilità della conoscenza sintetica a priori e fissi infine i principii ed i limiti della loro applicazione. La critica quindi — ed essa sola — contiene il disegno ben verificato e saggiato d’una metafisica scientifica, come pure i materiali necessarii per realizzarlo: per qualunque altra via o mezzo essa è impossibile. Noi non abbiamo quindi a ricercare qui come quest’impresa sia possibile, ma piuttosto come essa possa venir intrapresa, come si possa condurre gli spiriti chiaroveggenti dalle sterili aberrazioni passate ad un’opera feconda di risultati durevoli e quale sia il modo migliore di dirigere l’unione dei loro sforzi verso il fine comune.

[366] Questo è certo: che chi ha una volta assaggiato la critica, proverà sempre d’allora in poi un’avversione profonda per tutte le ciancio dogmatiche, delle quali prima necessariamente si contentava, perchè la sua ragione aveva pur bisogno di qualche cosa e non trovava alimento migliore. La critica sta all’ordinaria metafisica delle scuole come la chimica all’alchimia o l’astronomia all’astrologia divinatrice. Io garantisco che nessuno, il quale abbia meditato e compreso, anche solo in questi Prolegomeni, i principi fondamentali della Critica, vorrà ritornare ancora a quell’antica e sofistica pseudo-scienza: piuttosto volgerà il suo sguardo con piacere verso quella metafisica che sta ormai in suo potere, che non ha più bisogno di scoperte che la preparino e che sola potrà dare alla sua ragione una soddisfazione duratura. Perchè questo è un privilegio sul quale la metafisica sola fra tutte le scienze possibili può contare con sicurezza, e cioè che essa può venir portata alla perfezione ed in uno stato immutabile, nel quale essa non ha più bisogno di modificazione alcuna e non può più venir accresciuta da nuove scoperte: perchè qui la ragione ha le sorgenti del conoscere suo non negli oggetti e nell’intuizione loro (che non possono aggiungere nulla a ciò che essa sa), ma in sè stessa, e quando essa abbia esposto in modo completo e sicuro da ogni falsa interpretazione le leggi fondamentali dell’attività sua, non rimane nulla che la ragione potesse ancora conoscere a priori od anche solo domandarsi. Questa sicura previsione d’un sapere ben preciso e finito è già per se una notevole attrattiva, anche facendo astrazione da tutti i vantaggi (dei quali dirò in appresso).

Ogni arte falsa, ogni vana saggezza fa il suo tempo177: poi si distrugge da sè e il culmine del suo fiorire segna anche l’inizio del suo dissolvimento. Che in riguardo alla metafisica questo momento sia arrivato, lo prova lo stato in cui essa, in mezzo all’ardore col quale sono coltivate tutte le altre scienze, è caduta in tutti i popoli d’una certa coltura. L'antico ordinamento degli studi universitarii ne conserva ancora l’ombra; di tanto in tanto un’Accademia isolata stabilisce dei premii per questo o quel tentativo; ma essa non conta più fra le scienze serie e fondate e tutti sanno bene qual conto farebbe un uomo di spirito, che alcuno volesse chiamare un grande metafisico, di questa lode benevolmente intesa,, ma certo non invidiata da nessuno.

[367] Ma se l’età della rovina di ogni metafisica dogmatica è senza dubbio spuntata, ciò non vuol dire ancora che sia già iniziato il periodo del suo risorgimento per mezzo di una critica radicale e profonda della ragione. Tutte le transizioni da una tendenza alla tendenza opposta passano per lo stato di indifferenza e questo, se è il più pericoloso per uno scrittore, è tuttavia, a parer mio, il più favorevole per la scienza. Perchè quando per la completa dissoluzione dei collegamenti antichi lo spirito di parte è spento, gli spiriti sono nella miglior disposizione per prestare orecchio, a poco a poco, alle nuove proposte di una sistemazione secondo altri disegni.

. Quando io esprimo la mia speranza che questi Prolegomeni eccitino la ricerca nel campo della Critica e porgano allo spirito filosofico, al quale sembra mancare nel campo speculativo l’alimento, un nuovo e fecondo campo di studi, io m’immagino bene che coloro i quali m’avranno seguito, riluttanti e disgustati, sulle spinose vie della Critica, mi domanderanno su che cosa io fondi questa mia speranza. Io rispondo: sulla legge irresistibile della necessità.

Perchè, che lo spirito umano rinunci un giorno ad ogni ricerca metafisica è così poco da attendersi come che, per non respirare sempre un’aria impura, noi preferissimo un giorno di astenerci affatto dal respirare. La metafisica vivrà quindi sempre nel mondo, anzi meglio, vivrà sempre in ogni uomo, specialmente in ogni uomo capace di riflettere: ciascuno in mancanza di un criterio comune se ne costituirà una alla sua maniera. Ora ciò che è stato finora chiamato metafisica non può soddisfare nessun spirito critico: pure il rinunciarvi del tutto è impossibile; dovrà quindi bene essere tentata una Critica della ragion pura medesima o, se già esiste, esser presa in esame e sottoposta all’universale giudizio, dal momento che non vi è altro mezzo di dare soddisfazione a questo urgente bisogno, che è qualche cosa di ben più profondo che un semplice desiderio di sapere.

Dopo che conosco la Critica, non ho mai potuto, quando ho finito di leggere uno scritto di contenuto metafisico, che per la precisione dei concetti, per la varietà, per l’ordine, per la chiarezza dell’esposizione mi ha piacevolmente trattenuto ed ammaestrato, astenermi [368] dal chiedere: questo autore ha fatto progredire d’un passo la metafisica? Io chieggo scusa ai dotti uomini, i cui scritti mi hanno in altro rispetto giovato ed in ogni modo hanno contribuito alla coltura del mio spirito, se io confesso che nè nei loro, nè nei miei poveri saggi178 (in favor dei quali pure parla l’amor proprio) ho potuto trovare che abbiano promosso menomamente il progresso della scienza; e questo per la naturalissima ragione che la scienza non esisteva ancora e nemmeno può venir messa insieme pezzo a pezzo, ma deve essere prima totalmente preformata, come in germe, nella Critica. Certo bisogna qui ricordare da quanto s’è detto, perchè non si fraintenda il mio pensiero, che la trattazione analitica dei nostri concetti può essere utilissima al nostro intelletto, pur non facendo con ciò progredire menomamente la metafisica come scienza, perchè quelle analisi di concetti sono soltanto materiali, dai quali deve poi essere costruita la scienza. Così si potrà analizzare e determinare quanto si vuole i concetti di sostanza e di accidente: questo sarà una bellissima cosa per un qualunque uso futuro. Ma se io non posso provare che in tutto ciò che è, la sostanza persiste e solo gli accidenti mutano, tutta quella mia analisi non ha fatto fare un passo alla scienza. Ora la metafisica non ha potuto finora validamente dimostrare a priori nè questo nè il principio di ragion sufficiente, nè, tanto meno, alcuno dei principi derivati, p. es., uno dei principi della Psicologia o della Cosmologia razionale, insomma nessun principio sintetico: quindi quell’analisi non è riuscita a niente, non ha prodotto nulla, non ha promosso nulla e la metafisica è ancora, dopo tanto movimento e tanto fracasso, sempre là dove l’aveva lasciata Aristotele, sebbene i preparativi, quando soltanto si fosse scoperto il filo che conduce alle conoscenze sintetiche, sarebbero senza dubbio migliori che per il passato.

Se qualcuno si credesse offeso da quanto io ho detto179, egli non ha che da abbattere la mia accusa con tutta facilità, adducendo anche un solo principio sintetico appartenente alla metafisica, che egli si offra di provare dogmaticamente a priori: chè allora soltanto quando riesca in questo, io ammetterò che egli abbia fatto progredire la metafisica: fosse pure questo principio anche abbastanza confermato altrimenti per via dell’esperienza comune. Nessuna pretesa è più moderata, più giusta e, quando non venga soddisfatta (come è certissimo), nessuna sentenza [369] più giustificata di questa: che la metafisica come scienza è stata finora un pio desiderio.

Due cose soltanto io debbo prevenire, nel caso che la mia sfida venga accolta: e cioè che non ammetto mi si venga innanzi con giuochi di verisimiglianze e di congetture, i quali si addicono così poco alla metafisica come alla geometria: e che respingo fin d’ora ogni appello alla bacchetta divinatoria del così detto buon senso, che non è uguale nella mano di tutti, ma si modella variamente secondo le proprietà personali.

Che, riguardo al primo punto, nulla è più sconveniente, in una metafisica, in una filosofia fondata sulla ragion pura, del voler fondare i propri giudizi sulla verisimiglianza e sulla congettura. Tutto ciò che deve essere conosciuto a priori, viene appunto perciò dato come apoditticamente certo e deve essere anche così provato. Si potrebbe altrimenti voler fondare una geometria od un’aritmetica su delle congetture: che, per quanto al calcolo delle probabilità nell’ultima, anch’esso contiene dei giudizi non soltanto verosimili, ma assolutamente certi sul grado di possibilità di certi casi verificantisi sotto date condizioni simili, i quali debbono avverarsi nella somma di tutti i casi possibili con perfetta conformità alla legge, sebbene questa non sia abbastanza determinata in rapporto ad ogni singolo caso. Solo nelle scienze naturali empiriche si ammettono le congetture (per via dell’induzione e dell’analogia), in modo tuttavia che almeno la possibilità di ciò che si ammette sia assolutamente sicura.

Riguardo poi all’appello al buon senso quando si tratta di concetti e di principi, non in quanto debbono valere nell’esperienza, ma in quanto vengono posti come validi anche all’infuori delle condizioni dell’esperienza, la cosa sta, se è possibile, ancora peggio. Perchè che cosa è il buon senso? È l’intelletto volgare in quanto giudica rettamente. E che cosa è l’intelletto volgare? È la facoltà della conoscenza e dell’uso delle regole in concreto, a differenza dell’intelletto speculativo che è la facoltà della conoscenza delle regole in astratto. Così l’intelletto volgare intenderà appena la regola che: tutto ciò che avviene è determinato per mezzo della sua causa, certo non la vedrà mai in questa sua universalità. Esso chiede quindi un esempio all’esperienza e quando apprende che tutto questo non significa altro se non ciò che già esso aveva sempre pensato quando gli si era rotto un vetro della finestra o sparito [370] un arnese di casa, intende il principio e lo ammette. Il buon senso non può avere quindi altra applicazione se non in quanto vede confermate nell’esperienza le sue regole (sebbene esse gli siano realmente date a priori): il considerarle a priori ed indipendentemente dall’esperienza appartiene solo all’intelletto speculativo ed è del tutto fuori del dominio del buon senso. Ora la metafisica ha da fare soltanto con la conoscenza del secondo genere ed è certo indizio d’uno scarso buon senso il fare in questo campo appello ad un’autorità che qui non ha voce e che ordinariamente si guarda con un certo spregio, salvo poi a ricorrervi quando si è nell’imbarazzo e non si sa più nelle speculazioni da qual parte rivolgersi.

La scappatoia ordinaria della quale sogliono servirsi questi falsi amici del buon senso (che lo esaltano per l’occasione, ma di solito lo sprezzano) sta nel dire: vi devono pur essere infine alcuni principi immediatamente certi, dei quali non solo non si ha a dare alcuna prova, ma non si deve nemmeno in genere dar conto, perchè altrimenti non si finirebbe mai di dar la ragione dei proprii giudizi: ma per prova di questo diritto essi non possono mai (all’infuori del principio di contraddizione che però non serve a dimostrare la verità dei giudizi sintetici) addurre degli esempi superiori ad ogni dubbio, che essi possano riferire senz’altro al buon senso, se non delle proposizioni matematiche: p. es. che due per due fa quattro, che fra due punti si dà solo una retta., ecc. Ma queste sono proposizioni d’una natura del tutto diversa da quelle della metafisica. Perchè nella matematica io posso col mio stesso pensiero creare (costruire) tutto ciò che io mi rappresento per mezzo d’un concetto come possibile: io aggiungo successivamente alle due unità le due altre e costruisco da me il numero quattro o tiro mentalmente da un punto all’altro ogni sorta di linee e posso tirarne una sola che sia simile a se stessa in tutte le sue parti (uguali o disuguali). Ma io non posso dal concetto d’una cosa ricavare per la forza del mio pensiero il concetto di un’altra cosa, la cui esistenza sia necessariamente collegata con la prima, bensì debbo fare intervenire l’esperienza: e sebbene il mio intelletto mi dà a priori (ma sempre in rapporto ad una esperienza possibile) il concetto d’un tale collegamento (cioè della causalità), tuttavia non posso [371], come per i concetti della matematica rappresentarlo a priori nell’intuizione e così dimostrarne a priori la possibilità: questo concetto insieme con i principi fondamentali della sua applicazione ha sempre bisogno, se deve valere a priori — come si esige nella metafisica — di una giustificazione e deduzione della sua possibilità, perchè altrimenti non si sa fin dove sia valido e se possa venir usato soltanto nell’esperienza od anche fuori di essa. Quindi noi non possiamo nella metafisica, come scienza speculativa della ragione pura, fare appello al buon senso: ben lo possiamo invece, quando siamo costretti — in riguardo a certi punti — a rinunziare ad ogni conoscenza speculativa, che del resto deve sempre essere un mezzo, e così a rinunziare alla metafisica stessa ed ai suoi ammaestramenti, standoci contenti ad una fede razionale, come quella che sola è a noi possibile e sufficiente pel nostro bisogno (se anche non più salutare dello stesso sapere). Che allora l'aspetto della cosa è del tutto mutato. La metafisica deve essere scienza non solo nel suo complesso, ma anche in tutte le sue parti, del resto è nulla: perchè essa, come speculazione della ragion pura, non può fondarsi sopra altro che sopra delle verità universali. All’infuori di essa ben possono la verisimiglianza ed il buon senso avere le loro utili e legittime applicazioni, ma secondo principi del tutto propri, la cui importanza dipende sempre dal loro rapporto con le esigenze pratiche.

Questo è quanto io mi credo autorizzato ad esigere circa la possibilità d’una metafisica come scienza.


Note di Piero Martinetti

176) [p. 145,1]. Che cosa sostituiremo dunque all’antica metafisica, quale sarà la metafisica scientifica? Questa è la domanda che Kant si propone in quest’ultima Parte. E la risposta è già implicita nella soluzione della terza questione: alla metafisica dogmatica dobbiamo sostituire una metafisica critica, una critica della ragione, che, dissipata l’antica illusione di avere dinanzi a noi un mondo di cose in sè, analizzi l’esperienza, metta in luce gli elementi a priori del senso, dell’intelletto e della ragione e ne determini la funzione. Questa metafisica critica, essendo un’autoanalisi della ragione, può subito essere costituita nella sua perfezione per ogni tempo. Vedi Kr. r. Vern., A 13 (cfr. tuttavia Reflex., II, 56); ib., 15, 22-23; Proleg., 263, 382; Metaph. Anfangsgr., 473.

177) [p. 146,27]. Nell’ultima parte del capitolo esprime la speranza che questa sostituzione avvenga ben presto. L’antica metafisica è caduta fra il discredito; d’altra parte lo spirito umano non può rinunciare alla metafisica, verso la quale è attratto “da qualche cosa di ben più profondo che da un semplice desiderio di sapere„. Kant chiude con una recisa condanna della filosofia popolare, fondata sulla verisimiglianza e sul buon senso, che al suo tempo aveva cercato di sostituire l’antica metafisica dogmatica cadente in rovina. La metafisica dev’essere una costruzione razionale e deve essere trattata sistematicamente con metodo rigoroso, secondo il buon esempio degli antichi metafisici (cfr. Kr. d.r. V., 21-22). Sul buon senso in filosofia si cfr., oltre a Proleg., Prefaz., anche Reflex., II, 53, 197; Kr. d. Urt., § 40; Log., 21.

178) [p. 148, 2]. Reflex., II, 7: “Questa mia trattazione annulla del tutto il valore dei miei scritti metafisici anteriori„. Si cfr. ib., 21.

179) [p. 148,28]. Una sfida consimile al suo recensente nell’Appendice (Proleg., 379); si cfr. Kr. pr. Vern., 5: “Quelli che si vantano di avere queste conoscenze così alte non dovrebbero nasconderle, ma offrirle pubblicamente all’esame ed alla venerazione. Essi vogliono provare: provino dunque e la critica deporrà le sue armi ai piedi dei vincitori. Quid statis? Nolint. Atqui licet esse beatis„.



Ultima modifica 2021.07