Critica del Giudizio

Immanuel Kant (1790)


PREFAZIONE DEL TRADUTTORE

I

La Critica del Giudizio, terza ed ultima delle opere fondamentali di Kant, veniva pubblicata nel 1790, due anni dopo la Critica della Ragion pratica, e nove dopo la Critica della Ragion pura. Con essa Kant chiudeva il suo sistema.

Nella prima edizione della C.d. R. pura è decisamente affermata l’origine empirica delle regole e dei criteri del giudizio sul bello, e quindi la loro incapacità a servire come leggi a priori nella seconda edizione (principio del 1787), è detto invece, che quelle regole sono empiriche circa le loro fonti principali, e non possono mai servire come determinate leggi a priori. E lo stesso anno, nel dicembre, Kant scriveva al Reinhold:

Così io mi occupo ora della critica del gusto, la quale dà occasione a scoprire un’altra specie di principii a priori, diversi dai precedenti. Giacché le facoltà dell’animo son tre: la facoltà conoscitiva, il sentimento di piacere e dispiacere, la facoltà di desiderare. Per la prima io ho trovato principii a priori nella critica della ragion pura (teoretica), per la terza nella critica della ragion pratica. Ne cercavo anche per la seconda; e, sebbene prima tenessi per impossibile trovarli, il procedimento sistematico, che mi aveva fatto scoprire nell’animo umano la divisione nelle tre facoltà menzionate..., mi condusse su questa via; sicché ora io riconosco tre parti nella filosofia, di cui ciascuna ha i proprii principii a priori, che si possono dedurre, determinando con certezza i limiti della conoscenza possibile in tal modo: — filosofia teoretica, teologia e filosofia pratica, di cui certamente la seconda è la più povera di fondamenti a priori1.

Questa lettera non lascia dubbi sul processo di formazione della terza Critica, e sul posto che, nella mente di Kant, essa doveva aver nel sistema. Una discussione critica, che qui non può aver luogo, potrebbe mostrare, per via di congetture, in quale stadio di sviluppo era il pensiero di Kant al momento della lettera; il che non è possibile se non mediante un confronto di questa con l’intera opera, o almeno con l’introduzione. A tal riguardo, gioverà vedere le giustissime osservazioni dell’Erdmann2.

Kant non si era mai prima occupato di proposito di questioni estetiche, se non in quello scritto assai noto: Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen, in cui sono osservazioni davvero finissime, ma puramente empiriche3. Così questo scritto, come tutti gli altri presi in considerazione dallo Schlapp4 , nei quali si tocca incidentalmente l’estetica, hanno solo una relazione lontana con la Critica del Giudizio, derivata essenzialmente dal procedimento sistematico.

II

Le tre edizioni della C. d. G., curate da Kant, furono pubblicate la prima nel 1790 (Berlino e Libau, presso Lagarde e Friederich), la seconda e la terza nel 1793 e nel 1799 (Berlino, presso Lagarde). Curate da Kant, come bene osserva l’Erdmann, per modo di dire; giacché Kant affidava d’ordinario la correzione delle sue opere agli allievi5. La seconda e la terza edizione differiscono per non molte varianti, che riguardano solo la forma dell’espressione (il numero delle pagine, 476, è lo stesso). La seconda differisce dalla prima, scorrettissima, per molte correzioni non solo di errori di stampa, ma di forma; contiene molte aggiunte, per lo più brevi, e porta anche nel titolo «migliorata» (ha sei pagine in più). In una traduzione non era il caso di far presente al lettore le varianti di pura forma; e neppure io ho creduto necessario notare — pigliando a fondamento, com’era naturale, la terza edizione — tutte le aggiunte della seconda passate in questa, giacché quasi nessuna ha importanza sostanziale. Special-mente per un traduttore vale ciò che ebbe a dire il Rosenkranz, che cioè Kant non introdusse mai in quest’opera qualche intimo cambiamento.

Con vari criteri gli editori tedeschi presero a fondamento ora questa ed ora quella delle tre edizioni originali, dando luogo nelle note alle varianti delle altre edizioni, e introducendo anche correzioni proprie. Così il Rosenkranz6 il Kirchmann7 e il Kehrbach8 presero a fondamento la prima; l’Hartenstein9 e l’Erdmann10, la seconda; il Vorländer11, la terza.

La presente traduzione è stata fatta sull’edizione accuratissima dell’Erdmann, col confronto dell’ultima, quella del Vorländer. L’edizione dell’Erdmann è ricca di molte correzioni originali, alcune interpretative, tutte a mio parere giuste, ed accolte anche in massima parte dal Vorländer.

Non ho pensato neppure per un momento di aggiungere, seguendo l’Erdmann, il riassunto del Beck12 della prima introduzione, abbandonata da Kant per ragioni di brevità: l’introduzione definitiva contiene tutto quello che è nella prima (nel riassunto), ed esposto con maggiore ordine, concisione e chiarezza.

III

Questa traduzione è letterale, sempre, s’intende, nei limiti del possibile; ma soprattutto io non mi sono curato di rendere più agile l’espressione dove di necessità risultava troppo involuta e pesante, rispettando anche, salvo qualche rara volta, la lunghezza eccessiva del periodo. È nota l’abbondanza di proposizioni subordinate, relative, incidentali, che rende faticoso e spesso oscuro, special-mente in quest’opera, il periodo kantiano. Un amico, il consigliere Wlömer, al quale Kant chiedeva se leggesse i suoi scritti, gli rispondeva che li avrebbe letti più spesso, se non gli fossero mancate le dita: «Sì, caro amico, il vostro stile è così ricco di parentesi e di proposizioni subordinate, da tener presenti, che io pongo un dito su di una parola, poi il secondo, il terzo, il quarto, e, prima di finir la pagina, le mie dita sono esaurite». Il traduttore di Kant ha quasi sempre la tentazione di spezzare il periodo lungo; ma ciò non è perfettamente lecito se non qualche volta. La lunghezza in Kant deriva dal modo di pensare: da un certo modo di pensare che raccoglie tutta l’attenzione dello scrittore nell’interno di ciascun periodo, senza alcuna preoccupazione dello scrivere, cioè dell’ordine e dell’effetto generale: Kant pensa scrivendo, ma non pensa a scrivere, se mi è lecita questa espressione. Tutte quelle proposizioni accessorie sono spesso chiarimenti o ripetizioni inutili; e a me non di rado è avvenuto, volendo spostarne qualcuna, di osservare che era più logico sopprimerla che spostarla.

Ho confrontata la mia con la traduzione francese del Barni13. Non mi è riuscito di vedere la traduzione inglese di I. H. Bernard (Londra, 1892). Una traduzione poi non può dirsi il libero rifacimento del Colecchi, per la parte che riguarda il Giudizio estetico14.

La traduzione del Barni, che è rimasta unica in Francia, ed è servita molto anche in Italia, non è priva di pregi, specialmente se si pensi che è, in quella lingua, la prima ed unica. Bertrando Spaventa, a proposito della traduzione del Barni della C. d. R. pratica, disse, non senza ragione:

Quanto alla traduzione, non essendo io giudice competente in questa materia, dirò solo che a me pare la migliore di tutte le traduzioni francesi di Kant, per fedeltà e precisione, e per proprietà di linguaggio filosofico15.

Un altro traduttore della C. d. R. pratica, il Picavet (Parigi 1886), preoccupatissimo dell’espressione letterale, ponendo in nota tutti i passi in cui la traduzione del Barni diverge dalla sua, non trova moltissime osservazioni da fare; e gli appunti che gli occorre di muovere al suo predecessore, riguardano specialmente qualche falso riferimento di pronomi (cioè veri errori), parole improprie, varianti libere a scopo esplicativo.

Improprietà di linguaggio io veramente non ne ho riscontrate: ho trovato invece veri errori di interpretazione (non però molti), e varianti frequenti, e talvolta troppo libere. Aggiungo, quali per me non encomiabili, le spezzature del periodo, spesso assolutamente ingiustificate.

Do come saggio gli appunti presi tra le prime pagine.

Il testo dice: « Poiché lo studio del gusto..., non è intrapreso qui allo scopo d’educarlo e coltivarlo..., ma soltanto per uno scopo trascendentale, esso sarà giudicato, spero, con indulgenza riguardo alla sua insufficienza circa quel primo scopo » (Da die Untersuchung des Geschmacksvermögens... hier nicht zur Bildung und Kultur des Geschmaks... sondern bloss in transscendentaler Absicht angestellt wird; so wird sie, wie ich mir schmeichle, in Ansehung der Mangelhaftigkeit jenes Zwecks auch mit Nachsicht beurtheil werden); e il Barni traduce (p. 8): «Comme je n’entreprends pas l’étude du goùt..., dans le but de le former et de le cultiver..., mais seulement à un point de vue transcendental, on sera, je l’espère, indulgent pour les lacunes de cette étude». Subito dopo, «un problema, che la natura ha tanto avviluppato» (ein Problem, welches die Natur so verwickelt hat), è tradotto: «un problème, naturellement si embrouillé». «Ora, qui, riguardo al pratico, si lascia indeterminato se...» (Hier wird nun in Ansehung des Praktischen unbestimmt gelassen, ob...); e il Barni (p. 13) traduce « Or ici on parle de pratique d’une manière générale, sans déterminer si...». «Esse tutte, difatti, non contengono se non regole dell’abilità, per conseguenza tecnico-pratiche, destinate a produrre un effetto, che è possibile secondo i concetti naturali delle cause ed effetti; i quali concetti appartengono alla filosofia teoretica, sicché anche quelle regole rientrano come corollari nella filosofia teoretica (o scienza della natura) e non possono pretendere...» (weil sie insgesammt nur Regeln der Geschicklichkeit, die mithin nur iechnischpraktisch sind, enthalten, um eine Wirkung hervorzubringen, die nach Naturbegriffen der Ursachen und Wirkungen möglich ist, welche, da sie zur theoretischen Philosophie gehören, jenen Vorschriften als blossen Ko-rollarien aus derselben (der Naturwissenschaft) unterworfen sind, und also... verlangen können); Barni (p. 15): «En effet, ils ne contiennent tous que des règles qui s’adressent à l’industrie de l’homme, qui, par conséquent ne sont que techniquement pratiques, ou destinées à pro-duire un effet possible d’après les concepts naturels des causes et des effets, et qui, rentrant dans la philosophie théorique (ou dans la science de la nature), dont eiles sont de simples corollaires, ne peuvent réclamer...». Qui il testo, forse per chiarirlo, è tradito addirittura. «Quanto si estende l’applicazione dei concetti a priori, altrettanto si estende l’uso della nostra facoltà di conoscere secondo princìpi, e per conseguenza la filosofia» (Soweit Begriffe a priori ihre Anwendung haben, so weit reicht der Gebrauch unseres Erkenntnissvermögens nach Prinzipien und mit ihm die Philosophie); il Barni (pp. 16-17) traduce con questa inutile artificiosa variante: «L’usage de notre faculté de connaìtre par des principes et la philosophie par conséquent n’ont pas d’autres bornes que celles de l’application des concepts a priori». Immediatamente dopo: «Ma l’insieme di tutti gli oggetti ai quali sono riferiti quei concetti, per darne, se è possibile, una conoscenza, può essere diviso secondo la varia sufficienza o insufficienza delle nostre facoltà rispetto a tale scopo» (Der Inbegriff aller Gegenstände aber worauf jene Begriffe bezogen werden, um womöglich eine Erkenntniss derselben zu Stande zu bringen, kann nach der verschiedenen Zulänglichkeit oder Unzulänglichkeit unserer Vermögen zu dieser Absicht eingetheit werden); il Barni diluendo: «Mais l’ensemble de tous les objets auxquels se rapportent ces concepts, pour en constituer, s’il est possible, une connaissance, peut être divisé selon que nos facultés suffisent ou ne suffisent pas à ce but, et selon qu’elles y suffisent de teile ou teile manière». «Sicché vi deve essere un principio che stabilisca l’unità del soprasensibile, che sta a fondamento della natura, e di quello che il concetto della libertà contiene praticamente; un principio, il cui concetto è insufficiente, in verità, a darne la conoscenza, sia teoricamente che praticamente, e quindi, non ha alcun dominio proprio, ma che permette nondimeno il passaggio dal modo di pensare secondo i principii dell’uno al modo di pensare secondo i principii dell’altro» (Also muss es doch einen Grund der Einheit des Uebersinnlichen, welches der Natur zum Grunde liegt, mit dem, was der Freiheitsbegriff praktisch enthält, geben, wovon der Begriff, wenn er gleich weder theoretisch noch praktisch zu einer Erkenntniss desselben gelangt, mithin kein eigenthümliches Gebiet bat, dennoch den Uebergang von der Denkungsart nach den Prinzipien der einen zu der nach Prinzipien der anderen möglich macht); il Barni (pp. 20-21): «Il doit donc y avoir un principe qui rende possible l’accord du supra-sensibile, servant de fondement à la nature, avec ce que le concept de la liberté contient pratiquement, un principe dont le concept insuffisant, il est vrai, au point de vue théorique et au point de vue pratique, à en donner une connaissance, et n’ayant point par conséquent de domaine qui lui soit propre, permette cependant à l’esprit de passer d’un monde à l’autre».

Mi restringo a poche pagine, perché queste varianti si somigliano tutte, e i veri errori non sono poi tanti da doverli menzionare. S’intenderà però da questi accenni, tenendo conto anche delle spezzature dei periodi, la specie di alterazione che ha subito il testo nella traduzione francese. S’intenderà anche meglio se si pensi che la lingua francese di sua natura diluisce ciò che è concentrato e, in certo modo, concretizza ciò che è astratto. È da sperare perciò che la presente traduzione, anche non per merito esclusivo di chi l’ha fatta, e che ha avuto di mira la massima fedeltà, riesca un’immagine più fedele dell’originale, e quindi più utile agli studiosi d’Italia. L’apparente facilità non deve lusingare; Kant non è oscuro — a chi è oscuro — perché abbia periodi lunghi, o perché talora non sviluppi abbastanza il suo pensiero, o perché si ripeta, e via discorrendo. «Se lo stile di Kant è oscuro — diceva Schopenhauer —, è soprattutto per la profondità non comune del suo pensiero».

Napoli, 10 ottobre 1906.

ALFREDO GARGIULO


Note

1. Sämmtliche Werke, pubbl. da G. HARTENSTEIN (Leipzig 1868; sgg.); vol. VIII, p. 739.

2. IMMANUEL KANT'S Kritik der Urtheilskraft, pubbl. da B. Erdmann (Hamburg-Leipzig 1884); vedi l’introduzione.

3. Fu pubblicato la prima volta nel 1764 a Königsberg e oltreche nelle varie edizioni delle opere complete, un’altra volta a Riga, nel 1771. Ebbe fortuna in Francia, dove l’autore meritò il nome di Labruyère de l'Allemagne. Il Barni credette opportuno tradurlo in appendice alla Critica del Giudizio. Altre traduzioni sono quelle di Peyer Imhoff (1796), Weyland (1823), e Kératri (1823), preceduta da un lungo commentario: Examen philosophique des consi-dérations sur le sentiment du sublime et du beau de Kant. Una traduzione italiana da quest’ultima: Considerazioni sul sentimento del sublime e del bello di E. KANT, fu pubblicata a Napoli da V.M. C. nel 1826. [Vedi ora la trad. di P. Carabellese alle pp. 303-363 di I. KANT, Scritti precritici, nuova ed. riv. e accresciuta a cura di R. Assunto e R. Hohenemser, Bari, Laterza 1953 (N.d.E.).]

4. OTTO SCHLAPP, Kants Lehre vom Genie und die Entstehung der Kritik der Urtheilskraft (Göttingen 1901): libro, per altro, assai importante. Cfr. B. CROCE, Estetica, 19122, p. 280-2.

5. Cfr. BOROWSKI, Darstellung des Lebens und Charakters L Kants (Königsberg 1804), p. 174. [Vedi la trad. it. di E. Pocar in L. E. BOROWSKI, R. B. JACHMANN, A. CH. WASIANSKI, La vita di Immanuel Kant, Bari, Laterza 1969 (N.d.E.).]

6. In Sämm Werke, pubbl. da K. ROSENKRANZ e FR. W. SCHUBERT, in 12 voll. (Leipzig 1838-42).

7. In Sämm. Werke, pubbl. da I.H. VON KIRCHMANN, in 8 voll. (Berlin-Leipzig-Heidelberg 1868 ss.).

8. Kritik d. Urtheilskraft. Texte der Ausg. 1790 mit Beifügung sämm. Abweichungen der Ausg. 1793 und 1799, pubbl. da K. KEHRBACH (Leipzig 1878).

9. Nei Sämm. Werke, pubbl. da G. HARTENSTEIN, in 10 voll. (Leipzig 1838-39); in chronol. Reihenfolge, in 8 voll. (Leipzig 1867-69).

10. Kr.d.Ur., pubbl. da B. ERDMANN (Hamburg 1880, 18842).

11. Kr. d. Ur., pubbl. da K. VORLÄNDER (Leipzig 1902); voi. 39 della «Philosophische Bibliothek» edita da Dürr.

12. II B ECK pubblicò questo estratto in appendice al secondo vol. del suo Erläuternde Auszug aus den kritischen Schriften des Herrn Prof. Kant (Riga 1794), pp. 541-90, col titolo: Anmerkungen zur Einleitung in die Kr. d. Ur. L’Erdmann lo ha riprodotto con questo titolo più appropriato: I. S. Becks Auszug aus Kant’s ursprünglichem Entwurf der Einleitung in die Kr. d. Ur. [La prima edizione della Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft apparve nella Kantsausgabe di E. Cassirer, nel 1914, a cura di O. Buek; la più recente è quella di M. Theunissen (Fromann Verlag 1965); vedi la trad. it. di P. Manganato, Prima introduzione alla Critica del Giudizio, Bari, Laterza 1969 (N.d.E.).]

13. Critique du Jugement, suivie des Observations sur le senti-ment du beau et du sublime par E. K., traduite par J. Barni, in 2 voll. (Paris 1846).

14. OTTAVIO COLECCHI, Sopra alcune quistioni le più importanti della filosofia. Osservazioni critiche (Napoli, all’insegna di Aldo Manuzio 1843): vedi il 3° ed ultimo volume.

15. Da Socrate ad Hegel, nuovi saggi di critica filosofica a cura di G. GENTILE (Bari, Laterza 1905), p. 138.



Ultima modifica 2024.01