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George Bernard Shaw

Il credo politico di chiunque

 

PARTE SECONDA.
16. La guerra e i suoi grandi uomini
17. Il militare
18. L'uomo economico
19. L'uomo istruito
20. L'uomo di media istruzione
21. L'uomo traviato dall'educazione
22. L'esteta
23. Lo scienziato
24. L'uomo medico
25. L'architettura: una forza mondiale
26. L'uomo teocratico
27. Il biologo della collettività
28. Lo studioso di statistica della collettività

16. LA GUERRA E I SUOI GRANDI UOMINI
La guerra non è una delle complicate istituzioni pubbliche, economiche, finanziarie o giudiziarie che si trovano nei pasticci perché maldirette da dilettanti di politica che non le comprendono. Ognuno comprende anche troppo bene la guerra; perché essa è uno sport cruento primitivo che appaga la bellicosità umana. I giocatori che in essa riportano successo conquistano una fama sufficiente a soddisfare la più folle ambizione umana. Io godo di celebrità civile; ma siccome non ho ucciso mai alcuno in modo violento, la mia gloria è offuscata senza rimedio da quella dei guerrieri che hanno a loro credito centinaia di migliaia di morti violente. Napoleone era contemporaneo di Kant, Goethe, Mozart e Beethoven. Confrontate le loro tombe e otterrete un estetico esempio di quanto noi ammiriamo un grande soldato più di un grande filosofo, poeta o compositore. Quando Adolf Hitler, dopo aver decimato la Polonia e demolito mezza Varsavia, cacciò dalla Francia a mare l'esercito britannico, e l'esercito rosso dalle province baltiche al Don, era padrone di mezza Europa, mentre Einstein si trovava in esilio, con un reddito molto inferiore a quello di un campione di baseball. Noi parliamo di dèi della guerra, ma non di dèi matematici, poeti o pittori, o di dèi inventori. Nessuno mi ha mai chiamato un dio: alla meglio sono un saggio. Noi adoriamo tutti i conquistatori, ma abbiamo un principe della pace, che fu orrendamente messo a morte, e, se vivesse oggi in queste isole, avrebbe difficoltà per farsi esonerare dal servizio militare quale coscienzioso oppositore, a meno che poi non avesse contratto l'infezione della guerra, e si precipitasse ad arruolarsi.

In tutto ciò non v'è mistero né malinteso. Sebbene oggi la guerra sia così diabolica che i belligeranti moderni debbano protestare di combattere per difendersi, e che ogni guerra è fatta per porre fine alla guerra e salvare la civiltà, noi continuiamo a ucciderci a vicenda e a glorificare come prima i nostri comandanti fortunati.

Una simile diavoleria è una briscola in mano ai pessimisti; ma non è che un altro esempio di qual sia la lentezza della nostra evoluzione, dal tempo in cui gli antichi valori morali e l'educazione adatta a essi divennero abitudini inveterate, che persistono dopo che i fatti sono da lunga pezza mutati e li hanno ridotti a funeste superstizioni. La voga di Napoleone e Alessandro può ritrovare le sue origini nelle tribù primitive, dove nessuna donna onorata sposerebbe un uomo se questi non è in grado di esibire trofei dimostranti che ha ammazzato almeno quattro nemici maschi adulti in singolar tenzone; ma né Napoleone né Alessandro ostentarono mai un cuoio capelluto o uno scroto per provare di aver ucciso un nemico in battaglia. Non portarono mai a casa il cadavere di un mammut o di una tigre ircana, e neppure quello d'un cinghiale, perché le loro mogli li cuocessero per la cena della famiglia. Infatti Napoleone, valoroso come si dimostrò nella sua prima campagna d'Italia, si rimproverò d'essersi comportato da codardo dirigendosi all'Elba travestito da postiglione; e in una crisi politica si dimostrò così nervoso che perse la testa, e probabilmente gliel'avrebbero mozzata, se non fosse stato salvato dalla presenza di spirito di uno dei suoi fratelli. Alessandro si ubriacò e uccise il suo miglior amico; però non è per questo motivo che noi lo ammiriamo. Ma è per aver ordinato la morte di un numero strepitoso di persone che quei due conseguiranno il più alto splendore raggiungibile nella storia dell'umanità. I grandi soldati-assassini diventano despoti e, quando muoiono, lasciano la loro forma di governo in mano a uomini che non sono affatto grandi, anzi, talvolta, proprio tutto il contrario. Allora capitano i guai. I despoti che non sono all'altezza del loro compito, quando giungono al culmine del peggio devono essere assassinati dai loro popoli, come Nerone e lo zar Paolo. A ogni modo risalta ben presto evidente che il despotismo da Conquistatore è disastroso negli intervalli tra le apparizioni dei grandi soldati, e che si deve trovare una qualche alternativa per questi intervalli, e che il mondo deve essere governato tanto se vi sono geni a dirigerlo, quanto se non ve ne sono. Quando non c'è alcun uomo di merito, ed esso è costretto a venir governato da teste di legno, queste teste di legno devono a loro volta esser governate da una sequela di regole basate sulla storia, sull'esperienza e sul riguardo al benessere comune. Tali sequele di regole sono quel che vien chiamato Costituzione.

Quando la conquista diventa la strada per raggiungere il potere e la gloria, le nazioni dimenticano il benessere comune e combattono per l'egemonia militare, chiamandola bilancia del potere, ma interpretandola come preponderanza in loro favore. Ogni Stato sovrano, quando si sente abbastanza forte, si proclama culla di una razza eletta, sotto la cui guida gli atri Stati si troverebbero meglio che non sotto la propria. In Germania questo è pubblicamente discusso, proclamato, predicato, e infine messo alla prova della guerra. In Inghilterra è supposto senza venir detto, come una verità tanto evidente da non aver bisogno d'esser discussa fra persone sane di mente. Questo pretesto si mantiene valido sotto i grandi capi; sotto i loro piccoli successori produce le guerre mondiali e rende necessarie le Costituzioni sovrastatali. La Società delle Nazioni è l'ultimo tentativo di tale costituzione; ma gli artefici delle sue Convenzioni le infransero accuratamente tutte, a causa dell'impossibilità che tutte le sue decisioni fossero unanimi. E così il Comitato di cooperazione intellettuale, creato in seno a essa negli ultimi tempi a opera di sociologi privati, non trovò fondi né pubblicità e, in conseguenza, non destò attenzione. Così le potenze continuarono a far la guerra come se la società e il suo comitato non esistessero. Mussolini aprì il fuoco su Corfù all'inizio, così come l'Inghilterra dichiarò guerra alla Germania alla fine, e nessuno dei due si sognò di sottoporre il proprio caso alla Società, che avrebbe potuto anche benissimo non esistere, considerando tutto quel che fu in grado di fare per prevenire una seconda guerra mondiale. Ma la Società, ribattezzata Consiglio internazionale, o che altro, dovrà rinascere, con accordi fattibili e avveduti; perché la civiltà, non meno degli Stati che la compongono, deve avere una costituzione, o venir dominata da teste di legno, fannulloni, monarchi ereditari incapaci, conquistatori ambiziosi, oratori e radio-oratori popolari, bande finanziarie e commerciali, rivoluzionari fortunati che non sono capaci di governare o governanti codini che non sono rivoluzionari: in breve, da attori dilettanti di ogni genere, abbastanza intelligenti da rendersi idoli della massa degli ignoranti di politica che si idoleggia a sua volta come democrazia.

Nel frattempo la Società, attraverso il suo organo più anomalo e tuttavia più utile, l'Organizzazione internazionale del lavoro (l'unico ramo della Società che ebbe consistenza reale), tien duro come meglio può.

La disciplina militare è istruttiva? Più di cinquanta anni fa io stavo marciando in un corteo che comprendeva perlomeno mille uomini. Esso fu diviso e disperso in una disperata confusione e terrore da non più di venti poliziotti pallidi e nervosi armati unicamente dei loro sfollagente. Nessuno dei mille uomini sapeva che cosa fare o che cosa avrebbe fatto ognuno degli altri; così corsero tutti via, all'infuori di quelli che furono sopraffatti da un colpo sulla testa. Io non corsi via: mi allontanai camminando; e poiché ero ben vestito e parevo estraneo alla cosa, nulla mi accadde salvo che un vecchio, il quale ravvisò in me uno degli oratori che avevano incitato i mille uomini a marciare verso la vittoria prima che il corteo si mettesse in moto, mi si precipitò addosso gridando: «Diteci quel che dobbiamo fare! Dateci l'esempio!», rendendomi profondamente conscio della mia disgraziata posizione di impotente parolaio. Non potei dirgli altro se non che non c'era nulla da fare che cercar di ritrovarci tutti al posto della riunione, come meglio si poteva.

Ora quest'uomo era chiaramente meno spaventato di qualcuno dei venti poliziotti. Desiderava combatter contro di loro, più di quel che essi non desiderassero combattere contro di lui. Ma ciascuno dei venti poliziotti sapeva quel che gli altri diciannove avrebbero fatto, e aveva la legge dalla sua. Aveva una divisa, un elmetto e un'arma, e poteva contare sulla cooperazione di diciannove camerati muniti di divisa, elmetto e armi. Fu un trionfo della condotta preorganizzata sull'incertezza e l'anarchia. Da allora non ho più avuto altro che un sorriso sardonico per il «Voi siete molti, essi son pochi» di Shelley. Fu per me la fine dell'illusione democratica che il mondo sia o possa mai esser governato da maggioranze composte da individui non organizzati. Anche al comando della minoranza che può prender decisioni, che sa cosa fare e lo può fare, vi sono uomini organizzati. E costoro possono essere tanto ambiziosi mascalzoni quanto uomini di buona volontà. La vera democrazia deve trovar qualche mezzo per riuscir a fare distinzioni tra essi e privare dei diritti politici i cittadini tanto ignoranti da ammirare i mascalzoni e preferire d'esser governati da loro. L'assioma di Morris, secondo cui «nessun uomo è abbastanza bravo da poter essere padrone di un altro» (avendo lui stesso una mentalità da padrone sapeva quel che si diceva), è irrimediabilmente irriconciliabile coll'illusione democratica che ognuno sia abbastanza bravo da poter essere padrone di tutti. Ciò che noi chiamiamo libertà dipende dalla nostra facoltà di sceglierci i nostri capi (ce ne sono sempre abbastanza da lasciarci facoltà di scelta), e dalla consapevolezza e saggezza con cui facciamo la scelta. Quando mi si chiede su quali basi sostengo l'asserzione che ci siano sempre abbastanza governanti-nati da lasciarci facoltà di scelta, posso solo rispondere che esiste una forza di natura che si suol chiamare Provvidenza. E' essa che combina queste cose. Non possiamo darne ancora una spiegazione scientifica; ma la pratica politica deve accettarla come dato di fatto a dispetto dell'aura di superstizione che essa ha acquisito per merito delle associazioni ecclesiastiche. La disciplina è tanto necessaria e potente nell'industria quanto in guerra; finché un uomo non cessa di essere un individuo per divenire operaio di una fabbrica, non può produrre nulla. La guerra stessa è un'industria che ha le funzioni di uccidere, sopprimere, bruciare e distruggere per comandare, e la meccanica moderna ha grandemente aumentato la propria potenza e la capacità per servire a tali scopi. E' questa funzione peculiare e terrificante a riportarci a un antico problema. Che giustificazione ha un cittadino quando uccide il suo vicino, sia che lo faccia in veste di privato e per fini privati, sia che faccia parte di una giuria, sia come feldmaresciallo? Uccidere è talvolta una cosa troppo semplice perché ci si discuta sopra: un contadino deve uccidere conigli e scoiattoli, altrimenti saranno loro a ucciderlo. Talvolta è molto complicata: per esempio io ho detto che, eccettuato il codice penale che decide di gente chiaramente nociva, come i conigli, la miglior ragione per ammazzare un vicino sta nel fatto che lui possiede tre scellini mentre voi avete solo mezza corona. Ora questo è un argomento molto discutibile. Se il vostro scopo, nell'ucciderlo, è di appropriarvi i tre scellini, oppure i sei pence in sovrappiù che stanno fra voi, allora commettete un delitto volgare e non siete adatto a vivere in una comunità civile. Una giuria attuerà questo punto di vista affidandovi al carnefice. Ma se da sociologo vi siete reso conto che la prima condizione della stabilità di uno Stato civile e la prima condizione di giustizia, produzione equa, buona nutrizione, buoni sentimenti e buona educazione stanno nella parità del reddito; se voi credete in conseguenza che lo Stato deve prendere a voi la mezza corona e a quell'altro i tre scellini per restituirvi due scellini e nove pence a testa, e lui è disposto a uccidere per non assoggettarsi a questa operazione, allora avete un motivo valido per ucciderlo, se non riuscite a disarmarlo.

L'argomento finale «la tua vita o la mia» è valido sia per il bene sia per il male. Dick Turpin che vi chiede o la borsa o la vita, e Adolf Hitler che vi chiede o il territorio o la vita, non possono esser sconfitti da rimostranze morali: dovete per forza, o porgere la borsa a Turpin o portare una pistola ed esser più svelti di lui a maneggiarla. E per tener duro davanti a Hitler dovete avere più battaglioni o più armi di lui, o tutte e due le cose. Di fronte a Turpin, Hitler ha lo svantaggio che deve assicurarsi il consenso di milioni di suoi vicini che mettano a sua disposizione le loro coscienze e uccidano chiunque egli vuole sia ucciso, anche a rischio della loro stessa vita. E finalmente voi battete Turpin non portando una pistola, ma organizzando una polizia così diffusa e capace che egli disperi di eluderla. E perciò potete anche indurre uno scaglione di vostri vicini a porre a vostra disposizione la loro capacità di ammazzare.

Uccidere per comando altrui rende l'assassinio più facile. Hitler, dall'epoca in cui era un oscuro caporale, non uccise mai nessuno. Altri hanno compiuto per lui i suoi assassinii. Torquemada non arse mai un ebreo. Cromwell non tagliò la testa di re Carlo, né re Giacomo soppresse Guy Fawlies. Essi indussero altri a farlo per loro.

Ciò significa che c'è un freno alla guerra, nella persona dell'oppositore cosciente. L'ufficiale più disciplinato ha un limite oltre il quale non va. Un secondino è disposto a frustare un uomo per mezza corona; e non è difficile trovare un boia disposto a lavorare per una retribuzione modesta e il privilegio di vendere pezzetti di corda usata a collezionisti di simili curiosità. Ma il secondino non è necessariamente uno sciagurato crudele e senza scrupoli disposto a far qualunque cosa per pochi soldi, o anche per divertimento. I maestri di scuola che picchiano i bambini non sono tutti dei sadici, sebbene mi spiaccia di aggiungere che le biografie di quei miei coetanei che son passati attraverso le nostre scuole preparatorie private provano che alcuni di essi lo sono di certo. Ma nessuno può indurre un uomo a ucciderne un altro per lui, a meno che lo convinca che può farlo onorevolmente. Quelle poche canaglie e sadici che godono della crudeltà fine a se stessa devono sostenere di essere patrioti e amministratori di giustizia per garantirsi la tolleranza dei loro concittadini.

La meccanizzazione della guerra moderna diminuisce molto la facoltà della coscienza umana di tener sotto controllo i propri eccessi. Sarebbe difficile indurre un giovanotto normale a far a pezzi con una bomba Mills una donna col suo bimbo in braccio, avendo l'obiettivo sotto gli occhi. Ma lo stesso giovane, a migliaia di metri d'altezza, su un aeroplano, preoccupato delle manovre del suo apparecchio e della precisione della mira, sgancerà la bomba che ridurrà a brandelli intere famiglie, ustionando, accecando e mutilando torme intere di madri e bambini, senza vedere della sua opera altro che il bagliore dello scoppio, che è bello come uno spettacolo di fuochi artificiali. Il chirurgo dell'ospedale vedrà quello che ha fatto il pilota; ma è il pilota, e non il chirurgo, a sganciare la bomba.

Il soldato di fanteria non vede neppure i fuochi artificiali. Io mi sono soffermato su un moderno campo di battaglia a osservare un gruppo di soldati che facevano la guerra. Ebbi compassione della loro noia estrema. Avevano un cannone mimetizzato e lo riempivano di granate. Si doveva avvitare un fuso a ogni granata, prima di introdurla nella culatta del cannone. Poi un uomo tirava una cordicella, e la granata saliva in aria con un tremendo bang-zuzz. Dove andasse, che cosa facesse una volta giunta alla meta, se esplodesse o meno, tutto ciò era ignorato da quegli uomini stanchi che raccoglievan le granate, vi avvitavano i fusi, chiudevano la culatta e tiravano la cordicella di continuo senza aver l'orrore di vedere alcun risultato del loro lavoro monotono. Non riuscii a provare il minimo interesse in questa faccenda, dopo il primo sparo, neanche cercando di ricordare che un altro gruppo di uomini, intenti alla medesima opera dalla parte tedesca, potevano mandare da un momento all'altro una granata nel mio diaframma con la stessa noia. Rievocai le battaglie descritte da Omero, che avevan deliziato la mia infanzia, e mi chiesi sardonicamente che cosa ne avrebbe detto Omero di quella battaglia in cui io mi trovavo sotto il fuoco, e che il nostro corrispondente di guerra avrebbe reso emozionante sui giornali come le battaglie sulla pianura di Troia, a cui prendevano parte gli dèi e le dèe in persona. Non riesco a concepire un'occupazione più tediosa. Ma essa mi palesò la completa scissione fra il guerriero e gli effetti del suo vile operato. Egli non vede né sa quel che sta facendo: si limita a porgere una granata o a tirare una cordicella. E a sei miglia di distanza un Beethoven o un bambino muoiono. Tutto ciò che prova è il desiderio che il suo turno di lavoro finisca e che sia pronta la sua razione di manzo. Non mi infuriai neppure, come fecero Goethe a Valmy, Wagner a Dresda e un mio autista a King's Cross durante un'incursione. L'idea che quegli uomini stanchi morti fossero eroici, crudeli, o qualsiasi altra cosa romantica e sensazionale, era ridicola.

Solo i duelli degli aeroplani riallacciano la guerra moderna ai duelli eroici di Aiace e Diomede, Ettore e Achille, ma con la profonda differenza che il vincitore deve volarsene via senza «consolidare le proprie posizioni» né ottenere una resa o una decisione militare di qualsiasi genere. Le battaglie solevano durare una giornata e terminare con una vittoria o una sconfitta. Adesso durano mesi senza risultato decisivo, cominciando gli offensori con successi allarmanti e finendo poi con lo smetterla, ed essendo questa sanguinosa faccenda superata al giorno d'oggi da linee di sbarramento, esaurimento, fame, rivoluzione, o da altri eventi lontani dai campi di battaglia, dove gli eserciti «concimano il campo che ciascuno pretende di conquistare».

Non bisogna presumere, per quanto talvolta sia così, che i militari sian tutti per la guerra e i civili contro di essa. Sarebbe più vicino alla, verità dire il contrario. Sono i soldati che ci dicono che se potessimo vedere per un sol giorno una guerra non vorremmo più vederne una seconda. Soldati esperti, capaci di far qualsiasi cosa di meglio che non il militare, finiscono coll'aborrire cordialmente la guerra come Paderewski ha finito col detestare il piano. Marlborough era un generale fortunato quanto Napoleone. Wellington sconfisse Napoleone. Bismarck sconfisse la Francia e l'Austria e creò il Reich tedesco "col sangue e col ferro". Tutti e tre finirono col desiderare la pace a qualunque costo. Napoleone pare un'eccezione; ma fu costretto a continuare a nutrire il popolo francese di gloria militare perché esso non poteva capire nient'altro di ciò ch'egli era in grado di fare. Il nostro Lord Protettore Cromwell, quando scoprì che poteva sconfiggere tutti i generali che fossero alla sua portata, non cercò di trovare un impero mondiale a cui fare da despota: esaurì ogni possibilità di Governo parlamentare prima che questo, divenuto incapace di far altro che ostruzionismo e logorree, lo costringesse a governare secondo la legge marziale con uno Stato Maggiore che prendesse decisioni per lui tutte le volte che egli doveva dire, come Napoleone quando ebbe notizia di Trafalgar, «Non posso esser dovunque». Sono i borghesi e le donne a mantener vivo il prestigio romantico della guerra, non i militari.

Temo che sia ancora vero il fatto che quando un capo di Stato è scelto dal popolo invece che eletto per eredità o per ammesso diritto divino, deve far colpo sui suoi elettori facendo cose orrende. Mucchi di crani umani nelle piazze, vergini bruciate vive sotto i lampioni della sua abitazione, sacrifici umani eseguiti da sacerdoti che si imbrattano le chiome di sangue umano, sembrano alle signore e ai gentiluomini civili crudeltà detestabili; ma codesta gente raffinata adora Gesù e non tiene relativamente in nessun conto Socrate e Maometto, per nessun altro motivo esplicito salvo che Gesù fu orribilmente torturato, e Socrate umanamente avvelenato, mentre Maometto fece una morte per nulla sensazionale nel suo letto. Quando la trascuranza delle norme igieniche porta spaventose epidemie nelle grandi città, i giornalisti le spiegano come prova della maestà e della grandezza di Dio Onnipotente; e ora, perfino nell'ultramoderna Russia, la guerra attuale fu santificata da un Te Deum proprio nella cattedrale che era stata adibita a museo anti-religioso. Noi sacrifichiamo alla guerra tutte le libertà: libertà di parola, di stampa, di vita, e tutte le nostre altre libertà all'infuori dell'unica libertà di combattere. Aboliamo financo la nostra libertà di non combattere. Quando la guerra diventa una seccatura perniciosa tale che le grandi potenze si accordano per imporre la pace alle altre, gli Stati minori le combatteranno per il diritto di combattere, e muteranno la guerra destinata a por fine alla guerra in una guerra destinata a por fine alla pace (= la guerra per la pace in una guerra per la guerra).

Possiamo quindi accettare senza ulteriori esempi il fatto che la guerra non può essere abolita e deve talvolta esser controllata al disopra degli interessi nazionali e convertita in forza politica per annullare i tentativi che voglion far di essa un mezzo per soddisfare l'istinto imperiale e altri istinti antisociali, nazionali o personali. Perché la guerra non è necessariamente il culmine della depravazione umana: ora è una superstizione romantica che ha le sue radici nel coraggio e nella generosità - nella cavalleria, in breve - piuttosto che nella selvaggia ferocia aborigena su cui fu innestata. Queste virtù non sono cadute in disuso, tutt'altro. Bisogna che trovino da esser impiegate e organizzate. Negli affari, nella scienza, in politica, nelle esplorazioni e ricerche di tutti i generi ci sono ora scopi infinitamente più grandi, per l'irrequieto coraggio dei giovani e per i ponderati tentativi degli anziani, che non nell'omicidio e nella distruzione. H. G. Wells è pioniere sul sentiero della saggezza quando asserisce che bisogna provvedere la nostra gioventù di imprese eroiche, altrimenti, senza tali opportunità, essa commetterà nefandezze politiche o si perderà in sport sterili. L'assioma secondo cui Satana troverebbe da far commettere nefandezze a mani oziose vale anche per le virtù e le capacità inutilizzate.

Tuttavia sarebbe erroneo supporre che gli eserciti siano composti di giovani aspiranti eroi trascinati a trovar nella vita militare una soddisfazione alle proprie energie costrette a piegarsi in direzioni opposte. Essi sono formati per la massima parte da uomini dotati di un fisico robusto e mentalmente così incapaci da aver bisogno di una continua guida e tutela che non potrebbero trovare in alcun altro luogo all'infuori dell'esercito. Essi sono gli strumenti con cui i conquistatori diventano grandi uomini. E hanno ufficiali che, per quanto meglio nutriti e addestrati, si trovano nella loro stessa situazione. Dobbiamo tener conto non solo della guerra in astratto e dei conquistatori idolizzati, ma anche degli uomini che vivono della guerra, come di una specie a sé. Perché così come esistono varietà umane che possiamo chiamare nera, di colore, gialla, e bianca (più correttamente descritta come rosa nella gialla Cina), così abbiamo nella società civile il militare, l'economico, il religioso, lo scienziato, varietà che abbisognano di conoscenza e studio diversi da parte degli uomini di Stato. Prenderle in blocco per tutti i progetti considerandoli umanità comune equivale a combinar guai.

E giacché siamo in argomento di guerra, esaminiamo per primo il militare.

17. IL MILITARE
Il Militare pretende d'esser dispensato dalla morale civile per seguire la sua passione ed esercitare il proprio genio. Il Maresciallo Ney, «l'ardito fra gli arditi», era una nullità fuori del campo di battaglia. La guerra gli era necessaria come l'acqua a un pesce. Seguì Napoleone finché Napoleone ebbe un esercito; lo abbandonò quando lo perse; tornò a unirsi a lui quand'egli riebbe il suo esercito: carriera di devota bellicosità che lo portò a esser fucilato, non molto generosamente, dagli Alleati per la sua seconda diserzione. Poi ci fu lo stesso Napoleone, per cui le battaglie impetuose divennero un tal giochetto puerile che egli finì per considerarsi invincibile. Milioni di persone morirono per appagare la sua ambizione e tener in esercizio il suo genio, prima che le nazioni europee si unissero abbastanza solidamente e trovassero un capo abbastanza abile da estirparlo. E' stupefacente quel che può fare un uomo della sua specie. Mentre scrivo, Adolf Hitler è in piena carriera napoleonica: stanno morendo uomini a milioni, le città vengono distrutte, e un impero si disintegra a causa sua. E, come Napoleone, egli viene idoleggiato per questo: i nostri contemporanei muoiono per il loro FÅhrer venuto dal nulla, così come i francesi morivano per il loro Imperatore venuto dal nulla. Tutti i Napoleoni e gli Hitler, da Alessandro e Attila ai nostri giorni, sono stati classificati dai loro compatrioti non come i furfanti del melodramma storico, ma come i suoi eroi. I loro adoratori civili dan loro voti sufficienti a metterli in grado di controllare il parlamento finché la fortuna è dalla loro; e il parlamento dà loro soldati ordinando il servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini fisicamente abili.

Ora il servizio militare obbligatorio è la più completa forma di schiavitù che un'umanità civilizzata conosca. Che cosa induce l'umanità a sottomettervisi e a glorificarlo? E, prima di tutto, perché la guerra esisteva già anche prima del moderno servizio militare obbligatorio? Fino a qual punto l'uomo è un combattente, un rapinatore, un omicida: insomma, un soldato, ad onta della pur sensata asserzione di Mark Twain secondo la quale «l'uomo medio è un codardo»? L'inizio della faccenda si può solo indovinarlo. Sappiamo soltanto che su ogni cento uomini ve ne sono alcuni che sanno pensare, far progetti e attenderne i risultati che verranno tra anni, e persino fra una generazione in modo che essi non li vedranno ma avranno operato solo per la causa dell'avvenire dell'umanità, e altri che sanno pensare, progettare e attendere soltanto alla giornata, non avendo praticamente presente alla coscienza il proprio avvenire e tanto meno quello del mondo. Questi ultimi sono spesso tremendamente coraggiosi perché non vedono un palmo di là dal nemico più vicino o dal desiderio della giornata. Non avvertono il pericolo perché non avvertono nulla oltre la punta del proprio naso. Agli albori della storia uomini simili dovevano vivere di caccia, di rapina, di schiavitù, di omicidio. Si specializzarono così come cacciatori, tiratori, soldati, combattenti, maturi per essere inquadrati come guerrieri di professione da chiunque possedesse il cervello, l'energia e l'inclinazione speciale che una simile bisogna richiedeva. E così nacque l'Uomo Militare. Come comandante egli preferisce il signorotto di campagna che non produce nulla all'infuori della preda di caccia e di pesca e considera il servizio prestato nell'esercito o nella diplomazia militante come l'unica professione degna del suo rango, e qualunque attività commerciale, professionale e manuale come sconveniente. Ora, se la razza umana deve sopravvivere bisogna che ogni donna abbia il suo uomo e ogni uomo la sua donna: due in uno. Ma benché la donna debba soffrire tutti i gravami e le doglie del parto nonché nutrire e proteggere l'infante durante la sua lunga minorità, per lei l'uomo è qualcosa di più che un mero fecondatore. Egli dev'essere un lottatore che sappia difendere lei e i bambini inermi dall'aggressione di combattenti stranieri. Deve prendere e uccidere gli animali che essa cucinerà per la famiglia e scorticherà per farne pellicce ad uso di vestiario. Per conseguenza, prima di presceglierlo come compagno essa gli chiede prove della sua capacità di uccisore. In Occidente egli deve mostrarle gli scalpi di coloro che ha uccisi. In Oriente uno scalpo non ha valore di prova: potrebbe essere quello di una donna. Ci vuole l'organo genitale di un maschio adulto. Si sa che le donne dancale di Abissinia chiedono ai loro guerrieri quattro di tali trofei se neri, ma si accontentano di uno se bianco. Non è perciò, come hanno supposto i soldati italiani, una semplice ferocia senza motivo quella che spinge gli uomini delle tribù a mutilare i cadaveri dei loro nemici: i trofei sono l'equivalente primitivo della "Victoria Cross", della "croix de guerre", e di tutte le altre targhette che designano gli uomini civili come guerrieri di provato valore nella difesa della patria e del focolare domestico.

E intanto che cosa fanno i pensatori e i progettisti a lunga portata? Scoprono l'arte fondamentale dell'agricoltura, e in tal modo rendono possibile la civilizzazione pacifica. Vedono i vantaggi di attendere il raccolto un anno, e molti anni la crescita degli alberi da frutto e da legname. Addomesticano il bove invece di mangiarlo, e lo aggiogano all'aratro. Uccidono i rettili per sterminarli, non per mangiarli; e ben presto scoprono che la peggior specie di rettile è quel genere d'uomini il cui motto è: «Devi morir di fame tu, altrimenti muoio io», mentre il loro è «Dobbiamo smettere di ucciderci, derubarci e mangiarci l'un l'altro, altrimenti moriremo tutti di fame».

Questa divisione naturale della società umana fra persone barbare e persone civili, fra Napoleone-Hitler e oppositori coscienziosi, fra l'Enrico quinto di Shakespeare e il Parsifal di Wagner, fra cannibali e vegetariani, viene confusa dalle unioni matrimoniali; in tal modo gli esemplari puri son rari; ciononostante la divisione resta ancora marcata. L'eredità, come dimostrò Mendel, non agisce producendo solo un figlio grigio dall'unione di un genitore bianco con uno nero: produce anche figli tutti neri o tutti bianchi, in determinate proporzioni. Il bianco eredita le tradizioni del nero e il nero quelle del bianco. E le influenze esterne su di essi sono potenti in ambo i casi. Le donne sono costrette dalla loro condizione a esser pacifiche, econome, e previdenti per la salvezza dei loro figli; cioè per la salvezza della razza; ma sono anche costrette ad ammirare e incoraggiare la bellicosità negli uomini, loro guardia del corpo. Essendo previdenti sono esclusiviste, e gelosamente pugnaci nella difesa dei loro averi, e vendicative.

Inoltre le tradizioni che iniziano con la cruda barbarie in conflitto con gli albori della civiltà non sussistono intatte. E' nato un meraviglioso e affascinante lustro poetico e romantico per glorificare i rischi e le audacie e le battaglie e le vittorie e persino le vicende amorose dei combattenti. «Quando Adamo zappava ed Eva filava, il cortese signore dove stava?» L'assassino Caino è divenuto, se non il cortese signore, sicuramente il gentiluomo. Idealizzato da romanzieri e trovatori quale perfetto cavalier cortese la cui forza valeva quella di dieci uomini perché il suo cuore era puro, egli fece girar la testa a Don Chisciotte. E anche la mia. Quand'ero bambino e famoso vigliacco mi vedevo con la fantasia nelle vesti di invincibile guerriero. Quando mi conducevano a teatro a vedere una recita in costume, le spade degli attori mi interessavano quanto il dramma. Se pensavo all'avvenire - come sogliono fare i ragazzini - e a quello che avrei comprato quando fossi diventato grande e avessi avuto un sacco di quattrini, non dubitai un istante che il mio primo e più agognato acquisto sarebbe stato una rivoltella. Se qualcuno mi avesse predetto che sarei cresciuto e avrei avuto un sacco di quattrini e avrei raggiunto gli ottantotto anni senza aver mai comprato un'arma da fuoco, non gli avrei creduto. La letteratura che mi eccitava con le grida dei capitani e i clamori della Bibbia, e il combattimento di Cristiano contro Apollione e di Greatheart coi giganti nel "Pilgrim's Progress", riesce ancora a eccitarmi nella "Canzone di Lepanto" di Gilbert Chesterton. Gilbert divenne uomo di corporatura colossale; ma anche quando raggiunse il culmine della grossezza continuava a giocare con la baionetta come un ragazzino. Nel 1914, quando avevo cinquantanove anni, fui stupefatto e scandalizzato nello scoprire che si agitavano ancora in me tracce di eccitazione guerriera.

Gli amanti di letteratura e le persone che se ne occupano sanno meglio di chiunque altro come la barbarie, sopravvivendo travestita da eroismo cavalleresco, sia sfociata in un'idolatria dei guerrieri famosi, fanatica come quella della gloriosa schiera degli apostoli o del nobile esercito dei martiri. Il più saggio dei re di Francia, nonno del più saggio re d'Inghilterra, vien ricordato non per la sua aspirazione a una Francia in cui ognuno avesse un pollo in pentola, ma per la ballata della battaglia di Ivry di Macaulay in cui Dio è rappresentato come capo dell'esercito. Il monarca o uomo di Stato che desidera prevenire un movimento popolare può ancora riuscirvi infallibilmente ostacolandolo con una guerra. Quantunque un riformatore possa cantar le lodi di Gesù quale principe della pace, il rombo di un sol colpo di cannone potrà mutare l'inno in «Il Figlio di Dio va alla guerra». La gente non fa nulla per la pace e per la libertà all'infuori di combattere per loro (o contro di loro) anche se così facendo le deve sacrificare tutte e due. La gloria non fu inventata da Napoleone: l'avevano già approntata per lui tutti i bardi e i romanzieri: egli non aveva altro da fare che appropriarsela come un'aureola e servirsene fino al limite delle sue possibilità per vincer le battaglie, e fino al limite della capacità degli altri generali per batterli, e far di se stesso l'Imperatore di quasi tutta Europa per una dozzina d'anni. I conquistatori possono abbattere tutte le leggi costituzionali, finché non sono a lor volta abbattuti. Loro baluardi inespugnabili sono la bellicosità popolare, l'idolatria e l'adorazione della gloria.

Ma l'adorazione della gloria, sebbene essa valga per la mentalità degli ufficiali, di cui un conquistatore non manca mai, mal s'adatta alla ignoranza del corpo dei soldati comuni, dei "soldati semplici", dei fanti e dei cavalieri di cui nemmeno i poeti laureati posson dir nulla di più glorioso che «Non discutono: agiscono e muoiono» e di quei sergenti di cui Wellington si lamentava perché era impossibile trovarne uno non avvinazzato o disposto a eseguire un ordine dopo le otto di sera. Tuttavia senza questi eroi Blenheim, Waterloo, Balaclava, Wagram e Austerlitz non avrebbero nome. Che cosa dunque li attraeva, nella vita militare?

Be', era più una necessità che un'attrazione. La civiltà apporta benefici al genere umano; ma impone anche attività e sforzi di cui non tutti siamo parimenti capaci; anzi alcuni di noi ne sono totalmente incapaci. Bisogna far progetti per il lavoro, prender decisioni, resistere alle tentazioni, capire procedimenti difficili. La capacità di assolvere a queste richieste varia da individuo a individuo, e anche da classe a classe, quando ci sono profonde diversità di educazione e di reddito. Coloro che son capaci di scoprire che cosa fare nell'organizzare affari son pochi. Meno ancora quelli che riescono a scoprire come farlo. Uomini che si trovano sperduti finché non vien detto loro cosa fare e come farlo sono numerosissimi in ogni popolazione proletaria. La loro scelta sta fra l'ubbidienza e la morte per fame. Sarebbero completamente alla mercé degli organizzatori e di coloro che prendon le decisioni se la loro forza fisica e il loro coraggio insensato non li rendessero indispensabili ai loro datori di lavoro come questi sono indispensabili a loro.

Nei popoli moderni sono numerosi anche i casi di estrema incapacità. Mettiamo che non siano più del cinque per cento, tuttavia una popolazione di quaranta milioni - di cui metà donne- fornisce a un conquistatore un milione di incapaci che trovano la tutela di cui hanno bisogno, con vitto assicurato, abiti, alloggio, rispettabilità e condizione sicura, soltanto nell'esercito. Vestiti in divisa, la loro condotta è spesso esemplare e il loro ardimento provato dalle numerose "Victoria Crosses". Smobilitati, vanno a finire sul banco degli accusati per aver ceduto a tentazioni puerili o esser stati indotti dal bisogno a firmare assegni a vuoto o a spender denaro non loro.

Oltre questi poveri diavoli, che lo Stato dovrebbe metter sotto tutela allo stesso modo che assicura la libertà ai più forti, abbiamo una massa di persone dotate di capacità normale, le quali non si occupano di politica. Accettano la società così come la trovano, e assumono qualsiasi impiego legale e rispettabile purché si confaccia loro. Cromwell raccolse i suoi "Ironsides" non solo tra i fanatici repubblicani e livellatori, ma tra gli uomini rispettabili che eran soddisfatti dei salari da lui offerti e della certezza che nel suo esercito si sarebbero trovati in un'ottima compagnia dove non venivan tollerati l'ubriachezza e i discorsi scurrili. Ai nostri moderni Ironsides chiamati alle armi vien negato quel minimo di decoro, né, a quanto pare, lo desiderano; perché potrebbero facilmente imporselo a vicenda. Il proletario moderno, sotto questo aspetto, è una canaglia. In breve, i conquistatori e i mercanti di gloria non sono mai stati a corto di soldati, per quanto si sappia. Sono anche riusciti ad arruolare genti di prim'ordine: Coleridge e John Bunyan partirono come soldati semplici volontari; e Bunyan non prestò servizio solo nelle file della propria fazione, ma combatté anche per i realisti, i quali lo cacciarono poi in prigione per dodici anni perché non apparteneva alla Chiesa d'Inghilterra.

Infine, la barbarie militare gode di tal prestigio, e il genio militare di tal potere, che l'uomo civile deve difendersi per non fare una guerra dopo l'altra e diventare in questo frattempo un barbaro. Conquistatori esperti come Marlborough e Wellington odiavano forse la guerra; ma gli agitatori romantici la esaltano come scuola necessaria per le virtù virili, e son appoggiati da verità come il fatto che è arduo svellere la civiltà dai solchi profondi in cui è radicata, con qualcosa di meno terribile della guerra. Ci son volute due guerre mondiali per mettere i nostri orologi e arrangiare le nostre ore di lavoro e di riposo secondo i mutamenti delle stagioni, cosa ovvia e semplice come ha dimostrato l'esperienza. Non posso immaginare quanto verrebbe a costare una riforma della nostra aritmetica e della nostra ortografia. Tuttavia l'avvenimento economico della creazione di un alfabeto britannico capace di scrivere il mio nome in due lettere invece di quattro è molto più urgente di quello meteorologico di regolare i nostri orologi secondo le due ore di differenza fra il solstizio d'estate e quello d'inverno.

Perciò a nessun uomo di Stato passa per la mente di poter escludere la guerra dalle possibilità contro cui deve prender provvedimenti, finché essa non si sopprimerà da sola per il costo e la crudeltà eccessivi. Ma per ora non c'è modo di evitarla. Il «resistere non è un male» come ci insegnano i discepoli di Tolstòi e il Mahatma Gandhi; è un invito all'aggressione e alla conquista. Un uomo di Stato prudente non può far a meno del militare. Deve anche provvedere a che una parte della popolazione venga militarmente addestrata: cioè da barbari romantici. Ma deve sapere quel che fa e fare in modo da esercitare su di loro un controllo politico. E può far questo solo se è più saggio e più abile di loro. Come il migliore dei chirurghi può esser il peggior giudice nel decidere se un'operazione va fatta o no, così il più brillante dei conquistatori può esser pessimo giudice nel decidere se una guerra è necessaria o no: comunque, in ambedue i casi, è sicuramente un giudice prevenuto.

Talvolta però accade che un soldato nato sia più abile e saggio di un uomo di Stato. Il suo Governo può esser migliore di qualsiasi Governo civile, e il suo potere necessario per stroncare le superstizioni da cui il Governo civile non è abbastanza forte per liberarsi. Napoleone non si sarebbe proclamato Imperatore se il Direttorio fosse stato intelligente, capace e onesto. Se gli Alleati non avessero abusato della loro vittoria sulla Germania, nel 1918, invece di preoccuparsi di risanarla con quella stessa squisita attenzione che usarono ai prigionieri di guerra tedeschi feriti, l'ascesa al potere di Adolf Hitler sarebbe stata impossibile. Prima che un paese abbia bisogno di un salvatore militare, deve ridursi o esser ridotto da un cattivo Governo in una condizione che lo condurrebbe alla rovina se qualcuno non lo salvasse; e noi e i nostri Alleati fummo abbastanza stupidi e vigliacchi da ridurre la Germania in quella condizione e offrire l'occasione opportuna a Hitler. Egli si meritò la gratitudine che il suo paese gli dimostrò, per aver colto quell'occasione; ma la vittoria gli andò alla testa, e gli fece credere (come accadde anche a Napoleone) di essere un invincibile inviato del destino, giudicando essere tale destino la salvezza del mondo sotto la sua conquista.

Ora non basta conquistare il mondo: il conquistato deve esser rabbonito facendogli scoprire che sta meglio sotto il conquistatore che non prima che egli gli imponesse il suo dominio. Giulio Cesare fu abbastanza accorto da capirlo. Quand'egli, come Napoleone, trovò che le battaglie eran per lui un gioco da bambini, e anche che poteva governare i popoli molto meglio che lasciandoli governarsi da sé, ebbe cura che il popolo vinto - per quanto stava nelle sue possibilità - fosse contento d'esser stato conquistato da lui, e molto riluttante a riavere i governanti di prima. Anche Stalin l'ha capito. E anche Napoleone lo capì abbastanza da annunciarsi sempre come liberatore e farsi considerare per un momento come un eroe da Beethoven. E' inutile che un Governo minacciato da un conquistatore induca la popolazione a resistergli fino alla morte per difendere la democrazia, la libertà, il re e la nazione, e tutta la rimanente nomenclatura della piattaforma patriottica di reclutamento, se il paese è realmente così mal governato che ogni mutamento sarebbe il benvenuto, e ogni pretendente in vista sicuro di esser seguito. Se la monarchia borbonica in Francia fosse stata abbastanza efficiente da pagar puntualmente lo stipendio ai soldati invece di pagare con esso i debiti di gioco di Maria Antonietta, l'insurrezione che diede inizio alla Rivoluzione francese sarebbe stata soffocata dall'esercito, e le sue riforme varate costituzionalmente sotto Luigi sedicesimo, nel qual caso Napoleone sarebbe diventato chissà cosa: forse sarebbe stato congedato dall'esercito per aver prestato servizio oltre il termine dovuto, o forse sarebbe diventato un attempato maresciallo al servizio del re, il che corrispondeva alle sue aspirazioni. Ormai questo non importa; ma la lezione della sua carriera e quella dei suoi imitatori del ventesimo secolo rimangono: cioè, che i Governi incompetenti con ideologie sorpassate, per quanto formalmente possan esser democratici, cadono dinanzi ai conquistatori d'attualità. E quando la vittoria dà alla testa al conquistatore e lo rende un fenomeno patologico invece di un fenomeno politico (cosa che può esser considerata come di ordinaria amministrazione perché il potere politico illimitato avvelena come l'acido prussico), la si deve pagar cara; e questo è un debito che noi stiamo pagando ora (1944) col sangue.

18. L'UOMO ECONOMICO
Tutti sono uomini economici dalla nascita alla morte, stante il fatto che le altre categorie sono minoranze talvolta trascurabili.

Per noi tutti vengono in prima linea il mangiare, il bere, un letto al coperto e gli indumenti necessari, perché senza queste cose morremmo. Sotto questo punto di vista siamo perciò tutti problemi economici per gli uomini di Stato. Ma nove su dieci di noi possono venir contentati con due sterline alla settimana per famiglia, spesa che anche il capitalismo più egoista può e deve fare per non uccidere la gallina dalle uova d'oro prima che sia tempo di rimpiazzarla con una più giovane e più aurifera. Quando ha fame e freddo ed è nudo l'uomo è economico al massimo. Quando lo nutrite, lo vestite e gli date una casa, sia pur misera, cessa di esser solo economico e diventa una creatura dotata di aspirazioni e scrupoli, con una coscienza, punti di vista, passioni e pregiudizi tutti immateriali e irrazionali: cioè metafisici.

Keir Hardie, il fondatore del partito laburista indipendente, tenne un comizio a certi miserabili che aspettavano di trovare un lavoro occasionale ai "docks" di Londra, all'alba di una gelida mattina invernale. Erano i lavoratori manuali peggio pagati di Londra; e la loro povertà era spietatamente accresciuta dalla pioggia dirotta. Keir Hardie parlò loro dell'economia socialista come del loro più urgente interesse politico. E poi, in veste di candidato del locale seggio parlamentare, chiese se avevano domande da fare. E allora un uomo, che se ne stava schiacciato contro il muro per ripararsi come poteva dal diluvio, si fece avanti e disse che aveva ascoltato l'abile discorso dell'oratore, ma era rimasto sorpreso nel constatare che non conteneva alcun accenno politico. Disse che quel che loro volevan sapere era il parere dell'oratore sulla soppressione della Chiesa gallese.

Nell'eventualità d'esser scelto dal capo-operaio per scaricare una nave col compenso di sei pence all'ora e il rischio d'incidenti ogni venti minuti, secondo le statistiche del London Hospital, l'economico era diventato un metafisico. Non era un gallese; e il mantenimento o l'abolizione della Chiesa gallese non gli avrebbero portato la minima differenza. Ed era un elettore tipico. Il cittadino che non è reso disperato dall'inedia è portato insanamente alla metafisica per quel che riguarda l'attuazione di propositi pratici. Ha condotto Ferdinand Lassalle alla disperazione con la sua «maledetta mancanza di desideri». Dobbiamo rendere quest'uomo ancor più economico, e non continuare ad asserire che è un'invenzione degli economisti capitalisti. Egli ha già elevato il suo reddito da due a quattro sterline alla settimana; ed è possibile elevare finalmente questo reddito al più lauto dividendo dell'intera produzione del lavoro nazionale che lascerà abbastanza per il nuovo capitale e nulla per i dissipatori e gli oziosi. Questo è l'ideale comunista, e fra esso e la povertà ci son molti stadi che soddisferebbero i filantropi e i tradunionisti che credono ancora nella proprietà privata e nella sufficienza del profitto come incentivo.

E' chiaro, allora, che la qualità che manca all'uomo perché l'uomo economico corrisponda al vero animale umano, e il sistema di lavoro capitalista diventi così meraviglioso nella realtà come lo era cent'anni fa sulla carta, è l'insaziabilità economica. Come tale cosa sia rara è dimostrato dal fatto che un grado minimo di capacità mette gli individui in grado di diventar ricchi, solo che dedichino tutte le loro energie al far denaro. Una persona comune non farà questo. Un merciaio ambulante deve continuare a fare il suo mestiere finché ha guadagnato uno scellino con cui procurarsi un letto in un dormitorio pubblico e due pasti. Deve lavorare a questo modo o morir di fame. Dategli una mezza corona al mattino presto e invece di girare con la sua mercanzia fino a sera come al solito, quadruplicando forse il suo reddito giornaliero, lascerà immediatamente la strada e se ne andrà con la sua cassetta a vivere a proprio agio per il resto della giornata e forsanco fino all'indomani.

Un operaio intelligente che lavora a cottimo in una fabbrica trova che un miglioramento nel suo metodo di lavoro, di tanto in tanto, lo mette in grado di guadagnare in una settimana il doppio di quanto abitualmente gli serve per vivere. Invece di elevare il suo livello di vita del cento per cento smette di lavorare in fabbrica per tre giorni alla settimana. E' avido, non di guadagnare o lavorare, ma di vivere comodamente in libertà. Il suo datore di lavoro, per quanto possa esser generoso, è in conseguenza obbligato a far cessare questo "assenteismo" riducendo le paghe dei lavori a cottimo, e allora gli operai scioperano, ed entrambe le parti hanno guai e perdite a non finire sinché i lavoratori non consentono ad accettare un dividendo sull'aumento di produzione, abbastanza esiguo da obbligarli a venire in fabbrica tutti i giorni come prima.

Da tutto ciò si potrebbe dedurre che il dieci per cento dei nostri ricchi proprietari, che fin dalla nascita hanno avuto denaro e agi in sovrabbondanza, non esercita alcuna pressione economica sugli uomini di Stato; ma un uomo di Stato che governasse con l'interferenza di codeste persone scoprirebbe ben presto che, se la povertà è tristemente saziabile, la ricchezza è praticamente insaziabile. Nei quartieri orientali di Londra la rivolta contro la miseria può esser domata con quattro sterline alla settimana come massimo e meno di una sterlina come minimo. Procedendo invece verso ovest la pace non si acquista a così basso prezzo. Due giovani sposi di Mayfair, anche se non hanno figli, sono convinti di aver bisogno per lo meno di nove domestici; credono che i loro figli non possan venire educati per meno di trecento sterline all'anno, somma che vien raddoppiata quando vanno all'università; e che i loro denti non possano venire curati e la loro vista esaminata per meno di tre ghinee, e tutte le altre eventuali spese vanno considerate sulla medesima scala.

Karl Marx dimostrò come il capitale che aspira a impossessarsi di plusvalore (reddito non guadagnato) è insaziabile e privo di scrupoli al massimo grado. Come si può conciliare questo fatto con quello parimenti accertato che i capitalisti sono animali umani e che l'animale umano non è né insaziabile né privo di scrupoli? Che cosa fa sì che l'animale uomo N. 1 si adatti a vivere in una sola stanza sovrabitata dei sobborghi, mentre l'animale uomo N. 2 è lussuosamente domiciliato in un grande palazzo di una piazza elegante di Londra, con una casa di caccia negli Highlands, un castello nei Lowlands, una villa al mare dove va a fare i bagni, un "pied-à-terre" principesco in Riviera, e uno yacht di prima categoria per potersi godere l'aria in alto mare? Chiedete al N. 1 perché non costruisce un castello: vi risponderà che non può permettersi la spesa: è troppo povero. Chiedetegli perché non rifiuta un salario di fame: vi dirà che l'altra alternativa è l'inedia senza salario. Chiedetegli perché non si ribella: vi risponderà che la polizia non glielo permetterebbe e che la polizia ha alle sue spalle esercito e marina, e aviazione; inoltre, anche se non ci fosse la polizia, non saprebbe in che modo ribellarsi né come nutrirsi durante il tempo della rivolta.

Catechizzate il N. 2, e probabilmente si offenderà per la vostra impertinenza e ordinerà ai domestici di gettarvi fuori e di non farvi mai più entrare. Però potrebbe essere abbastanza filosofo da chiedersi perché si comporta così come si comporta; e in tal caso potrebbe esser disposto a discutere con voi della sua condotta, e perfino ad ammettere che avete ragione, se avete ragione, se avete credenziali ragionevoli per cui vi siate potuto permettere di fargli visita e parlargli così. Chiedetegli perché, non potendo vivere altro che in una casa alla volta, ne costruisce o ne compra quattro o cinque. Probabilmente vi risponderà che in effetti vive quasi sempre in albergo e in vettura-letto, e tiene quattro cinque case col loro stato maggiore di noiosa servitù (che quasi sempre non ha da far altro che servirsi a vicenda) perché la società è organizzata in modo tale per cui egli deve far così per «mantenere la sua posizione», e perché la stima e il rispetto che nutre verso se stesso sono direttamente proporzionali a quanto spende per le spese superflue. Forse aggiungerà anche: «Non posso licenziare tutte quelle persone che dipendono da me. Morirebbero di fame, non conoscendo altro servizio che quello alla dipendenza dei ricchi. Combatterebbero fino alla morte in difesa di questo servizio, così come adesso votano per esso». Parecchi numeri 2 direbbero: «Io sono un uomo di gusti e bisogni semplici che il denaro non basta a soddisfare; e odio tutta questa maledetta società elegante e vorrei esser nato in Russia; perciò andatevene e non scocciatemi. Parlate di questo al Governo e alla democrazia, dato che solo loro potrebbero cambiare questo stato di cose».

Non disarmate: incalzate con le vostre domande chiedendo perché, quando ha speso tutti i soldi che la società lo obbliga a spendere, cerca ancora di aumentare il suo reddito superfluo investendolo di continuo in azioni e cartelle di rendita. Egli ribatte chiedendovi che altro dovrebbe fare con quel denaro. Se non lo presta a interesse lo farà per lui il suo banchiere. Se, preso dalla disperazione, voi ricadrete nel «Vendi tutto quel che hai e dallo al povero», la sua risposta sarà che se lui vende azioni e cartelle non farà che mettere un altro azionista al suo posto, e, se anche riuscisse a trovare il mezzo di dare il ricavato «alla decima parte oppressa» di una moderna popolazione proletaria, il dividendo non basterà a procurare un pasto per persona, e l'unico effetto della traslazione sarebbe di aggiungere anche lui al numero dei diseredati. E' verità dimostrabile che in un sistema capitalistico il più saggio consiglio economico attuabile da parte di un ricco è «Investi tutto ciò che metti da parte al più alto tasso d'interesse compatibile con una relativa sicurezza». Così alla fine il ricco è per forza uomo economico a dispetto della sua propria natura; e l'uomo di Stato è per forza obbligato ad avere a che fare con lui così com'è, all'ingrosso, pur sapendo che in natura non esiste un simile animale.

Tuttavia in questa faccenda c'è qualcosa che non va. Se il capitale è insaziabile di denaro, e gli uomini no, presto o tardi essi finiranno a trovarsi in una scandalosa contraddizione. Perché è conseguenza inevitabile della saziabilità umana che ciascun aumento nella quantità di qualsiasi articolo richiesto ne riduce il prezzo sul mercato; e questo si adatta al capitale (denaro messo da parte) allo stesso modo che si adatta al cibo o agli articoli di vestiario. Per mantener alto il prezzo del pesce una certa quantità ne deve esser rigettata in mare. Devono venir bruciate tonnellate di frumento e caffè perché si possa vendere il resto. La sovraproduzione è la maledizione del capitalismo, e la concorrenza commerciale la sua molla principale; tuttavia la concorrenza commerciale rende inevitabile la sovraproduzione. Quando cento persone han bisogno di cento paia di scarpe nuove, e dieci calzolai concorrenti, ciascuno dei quali spera di ricever l'ordinazione, ordinano cento paia di scarpe dalla fabbrica, che in conseguenza ne farà mille paia, novecento paia di scarpe rimarranno inutilizzate negli scaffali dei negozi. Finché novecento persone non avranno consumato le scarpe e compreranno quelle rimaste nei negozi, la fabbrica non avrà più ordinazioni e dovrà licenziare i suoi operai aggiungendoli alla lista dei disoccupati. Da qui possiamo vedere il ciclo di sovraproduzione seguito dalla disoccupazione e dalla depressione del mercato, gli alti e i bassi, le crisi e le riprese, che sono caratteristiche del sistema capitalistico e temuti flagelli economici.

Quando comincia il ribasso le fabbriche non possono licenziare tutti i loro operai in una volta, né fermare le macchine, chiudere capannoni e uffici, e lasciare che le macchine si arrugginiscano e che il loro capitale «si consumi da solo». Devono continuare a produrre merce invendibile perché le fabbriche restino in vita; e se non possono vendere le merci in patria sono costretti a cercare nuovi mercati all'estero. E siccome le diverse nazioni gareggiano forzatamente per tali mercati, gli industriali, per i quali un arresto delle operazioni commerciali significherebbe la rovina, vengono ad avere un forte interesse economico a che si facciano guerre di conquista. E questo interesse va dai fabbricanti ai loro banchieri, le cui fortune reggono o crollano con le loro.

Ora, l'aristocrazia della finanza, sebbene il suo interesse sia strettamente legato a quello dei fabbricanti, non tratta direttamente con essi: anzi, quasi tutti i suoi componenti non sono mai entrati una sola volta in vita loro in una fabbrica o in un laboratorio, non son mai scesi in una miniera. Vivono vendendo il capitale: cioè denaro messo da parte. E il capitale, come qualsiasi articolo richiesto, è caro o a buon mercato secondo la quantità che viene posta in vendita sul mercato monetario. Come si arriva a un momento in cui il pesce dev'esser rigettato in mare e il caffè e il frumento bruciati per mantener il loro prezzo a un dato livello, così giunge un momento in cui solamente la distruzione del capitale può impedire la discesa a zero del suo valore, o anche a una cifra inferiore allo zero, per cui noi dovremmo pagare i banchieri perché ci tengano il nostro denaro invece di prestarlo ad alto tasso d'interesse.

Per spiegare come va questa faccenda devo cominciare dimostrando la profonda differenza che corre fra capitale e proprietà.

La proprietà aumenta di valore sul mercato in proporzione diretta allo sviluppo industriale e all'aumento della popolazione. Il capitale fa tutto il contrario. Quand'ero giovane potevo ricavare un reddito sicuro di 1000 sterline all'anno su 20000 di capitale. Lavorando non ero in grado di metter da parte 20000 sterline perché guadagnavo al massimo cinque o sei sterline alla settimana; ma divenni proprietario dei diritti che si dimostrarono lucrativi e mi concessero di goder il frutto del lavoro di altre persone per una somma superiore di 20000 sterline a quanto mi bastava per vivere. Poche persone erano in quella posizione, e il denaro che io avevo messo da parte non fruttava più del cinque per cento all'anno. Ma l'invenzione e la moltiplicazione delle macchine, e l'eliminazione della perdita dovuta alla concorrenza, causata dalla fusione di ditte e società concorrenti senza un equivalente aumento nel costo di produzione, fecero aumentare il capitale risparmiato a disposizione sul mercato, finché il suo prezzo cadde al tre e financo al due e mezzo per cento. Quando potei metter da parte altre ventimila sterline ne ricavai solo cinquecento all'anno di rendita, senza correr rischi, invece delle mille di prima. Il Governo riuscì a saldare i debiti con coloro cui doveva pagare il cinque per cento prestando il denaro al due e mezzo.

Ciò non andava ai finanziatori. E neppure a me. Furono adottate le solite misure per limitare l'accumularsi dei risparmi, distruggendo i beni rappresentati dal denaro. Fu bruciato il frumento, fu bruciato il caffè, e il pesce venne ributtato a mare appena pescato, mentre il proletariato moriva di fame non avendo i mezzi necessari per comprarsi da mangiare. Ma queste ritorsioni puerili contro il ribasso del denaro messo da parte non servirono. Era stupido bruciare i sacchi di caffè; quel che occorreva era una distruzione in misura tale che solo il Governo poteva conseguire, con le centinaia di milioni di sterline e i milioni di soldati al suo comando. Lo scoppio della guerra sudafricana parve opera della provvidenza, e io potei ancora ricavare 1000 sterline all'anno su un capitale di ventimila.

Ma re Edoardo settimo insistette a voler la pace per la sua incoronazione, e fece cessare la guerra a condizioni tali da lasciar praticamente vittorioso il Sud Africa. Non importava. Per i nostri padroni finanzieri bastava che il reddito dei risparmi fosse risalito al tasso del cinque per cento.

Seguì un periodo di grande attività industriale, con l'inevitabile risultato che i risparmi tornarono ad accumularsi, e una società mineraria a cui avevo prestato denaro con una garanzia dei sei per cento di reddito mi restituì il denaro lasciandomi nella vana attesa di poter ricavare il cinque per cento dalla somma che mi era stata restituita. Era difficile sperare che la provvidenza facesse ristabilire ancora una volta il valore del mio denaro.

Ma lo fece.

La guerra dei Quattro Anni arrivò proprio a tempo e io prestai al Governo 20000 sterline al cinque per cento, mentre l'anno prima avrei potuto considerarmi fortunato se ne ottenevo tre. Il mio patriottismo fu applaudito dalla stampa.

Vent'anni dopo l'armistizio tornai a trovarmi in cattive acque. Il denaro da mettere a frutto sovrabbondava sul mercato. Olocausti di grano e caffè vennero offerti in quantità che non aveva precedenti. Le aringhe vennero gettate a mare al cento per mille. I miei banchieri mi pagavano un interesse così irrisorio sulla somma da me depositata, che aleggiava sull'orizzonte la minaccia di un interesse negativo. Poi l'armistizio venne infranto; e la guerra con la Germania fu ripresa e poi complicata con una guerra contro l'Italia, a un costo che si aggira oggi sui quindici milioni di sterline al giorno. Il Governo mi invitò a prestargli i miei risparmi al due per cento. Così esso confiscò i miei averi con una tassa di diciannove scellini e sei pence per sterlina.

Posso attribuire queste coincidenze a possibilità matematiche? Eminenti matematici di mia conoscenza andarono a Montecarlo, dove, dopo aver dimostrato che certi risultati del girar della pallina sulla roulette potevano capitare solo una volta ogni mille anni, scoprirono che accadevano tre volte in sette settimane. Tuttavia tre coincidenze di una guerra che eleva il valore dei depositi aurei del due e mezzo per cento era più di quanto io potessi digerire. Non potevo attribuir questo alla provvidenza: perché una provvidenza che brucia la casa per arrostire il maiale è un'incredibile imprevidenza. Quando una coincidenza miracolosa ricorre regolarmente in determinate circostanze si comincia a sospettare che non si tratti di miracolo, ma di semplice causa ed effetto, intenzione e progetto. Qualcuno fa da oracolo.

Chi, non son riuscito a scoprirlo. La guerra, finanziariamente, per me era un bene: son sempre stato troppo vecchio per prestar servizio militare, e a causa sua ho perso soltanto un parente anziano. Gli altri hanno fatto enormi fortune grazie a essa, vendendo vecchie navi a un prezzo dieci volte superiore al loro valore anteguerra, e godendo inoltre di enormi rendite e dividendi senza neanche alzare un dito per procurarseli. Non venitemi a dire che la guerra non giova a nessuno: me ne intendo più di voi. Se il denaro fosse stato l'unica cosa di cui mi importava sarei stato militarista come Adolf Hitler e Benito Mussolini. Stando così le cose, si suppone che io abbia avuto la mia parte nel far nascere la guerra. Ora io non ho mai scritto una riga in favore della guerra. Lungi dal curarmi esclusivamente del denaro, sarei molto più ricco se avessi dedicato ai miei affari un centesimo del tempo, dell'attenzione, e dell'interessamento che ho dedicato alla mia professione e ai problemi pubblici. La guerra è più penosa per me che per i guerrafondai perché io mi addoloro per le perdite di ambedue i contendenti, laddove essi sembrano aver fatto un buon affare se l'uccisione di un inglese è seguita da quella di due tedeschi o di due italiani. Non posso dimenticare che la perdita per l'Europa, e di conseguenza per tutti noi europei, è la stessa quando l'ucciso si chiami John o Fritz o Beppo. Io non provo le consolazioni e le esultanze del patriottismo inglese; perché sono un irlandese che per i suoi principi patriottici si rallegra delle disfatte inglesi. Odio la guerra, e trovo che non ci sia alcuna differenza di atrocità fra i bombardamenti di Londra e quelli di Napoli e di Colonia. Mi disgustano tutti allo stesso modo.

Ora non sono io solo a pensarla così. Tutti i capitalisti di mia conoscenza odiano la guerra come la odio io. Il supporre che uno di noi potrebbe deliberatamente gettare un fiammifero acceso in una polveriera con lo scopo di far elevare del due o tre per cento il tasso d'interesse è assurdo e insultante nei riguardi della natura umana. E' evidentemente falsa la concezione per cui tutti i finanzieri, tutti gli ebrei, tutti gli azionisti di fabbriche d'armi, di fabbriche di carne in scatola e di abiti in serie, che tutte le fabbriche di scarpe, i cantieri navali, e gli altri industriali che traggon profitto dalla guerra, per non parlare dei proletari disoccupati, che non sono mai tanto ben vestiti nutriti e alloggiati come sotto le armi, siano birbe matricolate. Così i Governi che offrono agli elettori una guerra come tonico salutare e ingrediente necessario al sostentamento di un carattere nazionale virile alla maniera pseudo-nietzschiana son forse più onesti dei Governi pseudo- cristiani; ma in Inghilterra i Governi si preoccupano di professare la loro fede cristiana per cui Dio è dalla loro parte, e se fan la guerra vi sono obbligati per impedire le guerre del futuro.

E tuttavia alla guerra vien dietro il due e mezzo per cento, così come il giorno vien dietro alla notte. La verità è che il bisogno di morte e distruzione provato dal capitale mette in movimento la forza umana della bellicosità naturale, incarnata nel Militare. Ma di lui ci siamo già occupati.

19. L'UOMO ISTRUITO
Il signor H. G. Wells non perde mai l'occasione di ricordarci che le razze che non riescono ad adattarsi alle condizioni naturali in cui son costrette a vivere, e a mutar le loro abitudini col variare di queste condizioni, sono condannate. L'alternativa opposta è di adattare le condizioni alle nostre abitudini, comprendendo fra esse le nostre fedi e le nostre speranze. Ambedue queste attività sono praticabili in misura cui non osiamo porre limite, a dispetto della gente che dice che non possiamo cambiare la natura umana, né il clima, e che non possiamo muovere le montagne. Non solo sono mutabili, ma lasciate a se stesse si mutano più in fretta di quel che ci mettiamo noi a cambiare il parere secondo cui i nostri Governi raffazzonati non sono mai capaci di mantenere all'altezza dei tempi le nostre istituzioni.

La più intralciante delle nostre incapacità a mutare le istituzioni sincronisticamente col mutamento degli eventi sociali e naturali è il nostro sistema scolastico. Molto tempo fa, quando tutti i nostri libri erano scritti in latino, non potevamo leggerli se non conoscevamo il latino, e neppure scriverli. Senza il latino eravamo degli ignoranti. Oggi il latino è una lingua morta in cui non si scrivono libri. Una persona che non conoscesse altra lingua sarebbe ignorante e virtualmente sorda e muta, senza scampo. Tuttavia il nostro sistema scolastico ignora questo mutamento e resta ancora fisso nella certezza che il latino sia la lingua delle persone colte e letterate. Ne risulta che la nostra classe governante, che è passata attraverso la macina della preparazione scolastica, elementare, secondaria e universitaria, è ignorante per quanto è possibile che lo sia oggi una classe di popolazione civile, e mantiene un disprezzo e un disgusto di cui è capace solo l'ignoranza più crassa, per le occupazioni intellettuali, scientifiche e artistiche. E qui finalmente scopriamo che, sebbene non esista al mondo un animale più ignorante dell'uomo istruito, tuttavia le persone che sono state a scuola devono esser considerate dagli uomini di Stato come forza sociale alla pari degli ignoranti e degli incolti.

Il dottor Inge ci ha detto molto saggiamente che, se noi formuliamo il nostro ideale di istruzione, potremmo dire che ci si dovrebbe insegnare tutto quanto ci interessa di sapere in modo da poter diventare tutto quel che ci interessa di essere. E' una tragedia nazionale che, istruzione a parte, le scuole secondarie e l'università non abbiano insegnato a lui nulla di quanto gli premeva sapere, e in conseguenza lo abbiano penosamente ostacolato impedendogli di diventare quello che gli premeva, cioè molto più che decano di una cattedrale troppo vasta per la sua congregazione.

Quel che maggiormente ci minaccia non è l'ignoranza dell'uomo incolto, sebbene al giorno d'oggi sia diventata molto pericolosa, col voto per tutti, mascherato da democrazia, e basato sulla presunzione che ognuno sia onnisciente in politica. L'ignorante può venir istruito: è facile scrivere su una lavagna pulita. Ma le lavagne delle nostre scuole non sono pulite: son tutte scarabocchiate non solo di versi pseudo-latini, ma di favole, di superstizioni barbare, di codici e "slogans" sorpassati, e delle sciocchezze e stupidaggini accumulate da secoli; perché queste lavagne non sono mai state pulite; e chiunque abbia tentato di farlo è stato punito, o, se non era possibile colpirlo personalmente, denunciato come nemico di Dio e degli uomini. Dalle lavagne di Eton e Harrow, Rugby e Winchester, i nostri governanti imparano che i deisti come Voltaire, Rousseau e Tom Paine erano atei malvagi, e che Washington, Brigham Young, Marx e Lenin erano mostri sovversivi. E parimenti che le battaglie di Trafalgar e Waterloo, grazie alla quale ultima Napoleone fu sostituito da Luigi diciottesimo, sovrano migliore per la Francia, furono trionfi della civiltà e del buon senso britannici. Questi sono soltanto alcuni dei più noti esemplari delle stupidaggini di cui son nutrite le menti dei nostri studenti. In rari casi esse provocano un'accanita resistenza nelle persone più risolute, come è il caso di Voltaire, che fu educato dai gesuiti e tuttavia è diventato universalmente famoso come nemico implacabile della Chiesa francese; ma la corruzione politica e l'assurdo anacronismo della nostra istruzione sono stati denunciati e sviscerati da tanti scrittori che mi limito ad accennarne senza soffermarmi, dato che se ne è parlato abbastanza, mentre tratterò qui degli aspetti della questione più pericolosi a essere esaminati. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, essa ha ancora tanta potenza che una vecchia cravatta coi colori della scuola vien considerata alla stregua dello stemma di un signorotto del diciassettesimo secolo.

L'istruzione è strettamente connessa al problema dell'infanzia. Ho già messo in evidenza il fatto che gli uomini di Stato non devono occuparsi dei bambini della nazione all'istesso modo in cui i genitori devono occuparsi dei propri bambini, perché i bambini della nazione non crescono mai e gli altri invece sì. Ora, i genitori non possono imparare i loro compiti finché non hanno allevato più figli di quanti oggi acconsentano a metterne al mondo, guastando i primi due o tre perché si occupano troppo o troppo poco di loro. Ciò dà allo statista un vantaggio sui genitori. Quando deve occuparsi di bambini di tutte le età, in massa, ha come guida l'esperienza di tutta la storia dell'umanità, laddove i genitori cominciano senza alcuna esperienza, e scoprono che i loro problemi mutano di anno in anno. Gli insegnanti di scuola godono degli stessi vantaggi: per esempio, Eton sa come trattare i ragazzi fra i tredici e i diciott'anni molto più scientificamente di quanto non lo possano fare le madri.

Ciò spiega l'asserzione di William Morris di Kelmscott, citata al capitolo sesto. Grande fra i più grandi vittoriani, come poeta, artigiano e abile uomo d'affari, e uno dei pochi che non furono corrotti dalla falsa prosperità del tardo periodo vittoriano, disse, parlando da genitore e da comunista: «Il problema di chi sian le persone migliori cui affidare i bambini è molto difficile; ma è certo che le peggiori sono i genitori». E la classe benestante cui apparteneva era talmente del suo parere che dava i figli da allevare non ai genitori, ma alle bambinaie, alle domestiche, alle governanti e ai maestri. Prima che l'istruzione scolastica divenisse obbligatoria, i poveri eran costretti ad allevare da sé i propri bambini; e alcuni eseguirono magnificamente bene il loro compito; ma in generale mandavano i bambini ancor piccoli a lavorare per salari miserabili; ostacolarono fieramente la legge sul lavoro che proibiva di assumere bambini nelle fabbriche; e furono poi ben lieti di liberarsi dei bambini per mezza giornata, affidandoli ai maestri elementari, quando l'istruzione divenne obbligatoria. Il sindaco di un paese riuscì a ridurre la mortalità infantile dando una sterlina a ogni madre della sua giurisdizione che gli portasse a vedere il suo bambino ancora vivo il giorno del suo primo compleanno.

Paragonato a questi fatti, il nostro sentimentalismo domestico, che blatera di cure dei genitori e santità della famiglia come dell'unità inviolabile della società umana, non è altro che una scusa per non far niente. Una civiltà elementare non può effettuarsi senza un codice morale come i Dieci Comandamenti, e senza una tecnica del linguaggio, della scrittura e dell'aritmetica, e un codice legale di comportamento obbligato che abolisca completamente la libertà individuale e il libero arbitrio in tutto quel che cade nel suo raggio di azione. La gente non può vivere nella società umana se non si comporta in un dato modo, e altrimenti va corretta, e, se si dimostra incorreggibile, soppressa. La vita deve svolgersi secondo norme fondamentali prescritte, e le attività devono essere stabilite e oneste. E qualcuno deve insegnare questi codici ai bambini. Devono essere imposti dogmaticamente al bambino finché non sia abbastanza grande da poterli capire. Si possono imporre in vari modi, tanto con crudeli bastonature ai bambini e spietate punizioni agli adulti, quanto con metodi meno selvaggi e nocivi; però in qualche modo vanno imposti, altrimenti il mondo diventerebbe una gabbia di matti. E' una necessità fondamentale; e lo statista il quale immagina che una formula di libertà, eguaglianza e fratellanza sia sufficiente a risolvere tutti i problemi, scoprirà, se è capace di trarre insegnamento dall'esperienza, che la libertà deve cedere il passo alla uguaglianza e che la fraternità può significare tanto quella di Caino e Abele quanto l'amicizia di Davide e Gionata. I bambini, se devono diventar cittadini, devono imparare molte cose che i loro genitori non sono in grado di insegnare neppure se ne avessero il tempo necessario. Lo statista deve provvedere a questo insegnamento, altrimenti verrà a trovarsi di fronte all'impossibile compito di mantenere la civiltà con selvaggi al posto di cittadini.

Ma se la civiltà deve esser mantenuta da tutti facendo quel che fanno gli altri, che cosa ne avviene del progresso, dei mutamenti, delle evoluzioni, delle invenzioni, del libero arbitrio, della libertà di pensiero e di parola, dei diritti individuali, e di tutto ciò che distingue uomini vivi da automi conservatori? Questa domanda capita a buon punto per me, sotto molti aspetti che mi paiono di importanza vitale; vorrei che il mondo cercasse di fare quel che fan tutti e facesse qualcos'altro, anche fino al punto di far diventare criminali alcune delle attività del giorno d'oggi. E la storia dimostra che, se a nessuno è permesso di patrocinare e iniziare questi mutamenti, la civiltà si fossilizzerà e perirà. Dunque, non ci può esser civiltà senza legge e ordine, convenzioni ed etichetta; tuttavia quando queste cose son stabilite, deve esserci il diritto di rivolta, bestemmia, eresia, eccentricità, innovazione, varietà e mutamento, altrimenti la civiltà crollerà un'altra volta non riuscendo ad adattarsi alle scoperte scientifiche e allo sviluppo della mentalità. I Governi devono perseguitare e tollerare contemporaneamente, stabilendo di continuo quando devono perseguitare e quando tollerare. Non devono mai assumere a principio la persecuzione o la tolleranza. La diffidenza inglese verso i principi e la logica ha le sue radici nella saggezza di questa regola.

La morale che si deduce da questo è che bisogna dichiarare inabili a trattare questioni culturali le persone incolte, che ignorano le lezioni della storia. Avendo (e probabilmente li avremo) Gabinetti e anche Parlamenti diversi, per le questioni culturali, per le questioni industriali, per le questioni agricole, e così via, ci sarà una tendenza alla persecuzione, perché la persecuzione non solo è sempre necessaria ma di ovvia e immediata ragionevolezza, laddove la tolleranza, sebbene parimenti necessaria, è immediatamente e apparentemente irragionevole e pericolosa. L'eventualità che ciò avvenga è improbabile, ed è stata pensata solo da poche persone che, come me, essendo autori, giornalisti, sociologi e propagandisti di qualsiasi tendenza, sono all'avanguardia della massa, e chiedono per le loro attività letterarie un'esenzione dalla legge comune completa come quella richiesta dai fisiologi per le ricerche mediche. Sotto denominazioni quali Libertà di Stampa, Libero Pensiero, Libertà di Parola, Libertà di Coscienza, c'è la nostra richiesta di essere immuni in materia d'opinione pubblica dalle leggi contro le sedizioni, la bestemmia, l'oscenità, e che ci sia concessa un'ampia immunità per il ridicolo, la caricatura, l'invettiva politica e l'insulto personale volgare. La pubblicità gode di impunità anche se mente su fatti positivi, con lo scopo di far denaro con falsi pretesti. E proprio questa pretesa, che è la più palesemente indecente, è l'unica ad essere completamente concessa; perché sebbene ricorrano, abbastanza spesso da tenerli vivi e renderli minacciosi, persecuzioni contro i libelli diffamatori, sediziosi e osceni, non si sente parlare di persecuzioni contro i guadagni ottenuti con una pubblicità ingannevole. Chiunque può farsi una fortuna alla maniera del signor Ponterevo del famoso romanzo di Wells intitolato "Tono Bungay".

Questa estrema forma di tolleranza è realmente vergognosa e si può spiegare soltanto col controllo esercitato non ufficialmente sullo Stato dalla plutocrazia commerciale; ma esiste un caso che richiede ampia libertà di opinione, stampa, e propaganda. Ogni forma di progresso significa mutamento di opinione, sia pur soltanto di opinione tecnica; e le opinioni nuove appaiono spesso, in principio, assurde e fantastiche, poi empie e pericolose, quindi come questioni da discutere, e finalmente come verità accertate. In Inghilterra e in America c'era l'usanza di frustare pubblicamente le donne rispettabili affiliate alla Società degli Amici (e che poi si chiamarono Quacchere); e tuttavia, oggi, un membro di codesta associazione è considerato persona di grande intelligenza e probità. Vent'anni fa il bolscevismo russo era condannato in Inghilterra, come lo è oggi nella Germania nazista, come un'infamia che va bandita da ogni nazione civile. Oggi la costituzione bolscevica viene considerata un modello per tutte le comunità progressiste; e l'Inghilterra e la Russia si son giurate amicizia e alleanza, difensive e offensive, per i prossimi vent'anni. Alcune delle mie commedie furono tenute per parecchi anni al bando dalla censura che le considerava vergognosamente inadatte a esser rappresentate a causa della loro oscenità e della loro empietà; e tutte furon considerate sediziose e paradossali. Al giorno d'oggi sono deprezzate, perché fuori moda e troppo pudiche, dai giovani leoni della letteratura drammatica. Perché non mi impedirono di scrivere invece di sopportarmi e lasciarmi relativamente libero sebbene con qualche danno per il portafogli e per la reputazione? Senza dubbio l'anarchia plutocratica che protegge la pubblicità ha lo zampino anche in questo (commercialmente i miei libri e le mie commedie fruttarono moltissimi soldi); ma talmente tanti riformatori furon arsi vivi sul rogo o impiccati, castrati, e squartati per aver espresso opinioni che oggi nessuno si sogna più di discutere, che la persecuzione delle opinioni è segnata a dito dai nostri giornali come politica di pericolosa ristrettezza di vedute. Ma in pratica non è mai possibile applicare la tolleranza su larga scala, perché la santità della morale stabilita, essendo diventata un riflesso meccanico, non consente di ammettere che la morale sia questione di opinioni, finché, mutando le circostanze, non danneggia la gente a tal punto da obbligarla a cambiare mentalità o a perire.

Dobbiamo convincerci che la persecuzione è una funzione necessaria di governo, entro dati limiti. Quando un paese civilmente progredito deve governarne uno meno civile, essa è necessaria. Per questo motivo il Governo inglese perseguita spietatamente il "sati" (grafia inglese "suttee" (1), i Thugs, e il carro di Juggernaut in India (2) e i Vudu in Africa e nelle Indie Occidentali. I nostri amici liberali indiani ci dicono talvolta che il nostro dovere in India sarebbe di cessare le persecuzioni e stabilirvi la libertà di pensiero, parola, religione ed educazione. In verità le persecuzioni sono l'unica giustificazione valida della nostra presenza in India. Probabilmente, sia in patria sia all'estero, le nostre persecuzioni hanno metà del vigore che dovrebbero avere. La nostra tolleranza nei riguardi dell'ozio e del parassitismo è sbalorditiva. E' vero che la persecuzione attuale degli ebrei come si fa in Germania, e quella degli africani, cinesi e giapponesi che si pratica nell'Impero britannico e negli Stati Uniti, han dato una trista fama a questa parola. Il rapimento, l'uccisione, l'esilio di un cittadino tedesco colpevole del fatto che suo nonno pregava in una sinagoga non hanno alcuna giustificazione plausibile, e lo stesso si dica per il divieto ai negri di esercitare una professione intellettuale (questa è una delle nostre più stupide colpe). Un uomo di Stato può leggere 10 volte i "Saggi sulla Libertà" di Mill o la "Storia" di Croce concepita come storia della Libertà, senza arrivare a capire se una data attività vada tollerata o dichiarata colpevole.

E adesso, che ha a che fare tutto questo con l'istruzione dei bambini? Ha molto a che fare, direi; siccome bisogna insegnare al bambino una religione e una morale, sorge la questione se bisogna insegnargli la religione e la morale del suo maestro o quelle dei suoi genitori; e se i genitori sono Fratelli di Plymouth o Testimoni di Jehovah e il maestro un agnostico darwiniano, sorgerà la questione se tocca al Governo farsi avanti e imporre ai genitori un corpo d'insegnanti fra cui non abbiano possibilità di scelta. Nel diciannovesimo secolo fu patrocinata dagli atei, dagli agnostici e dai darwiniani una novità chiamata educazione secolare, secondo cui non si doveva affatto insegnare nelle scuole morale e religione; ma siccome si doveva insegnare ai bambini come comportarsi bene a scuola, fu impossibile seguire questa norma, che in pratica significò solo la sostituzione del timor di Dio col timore della bacchetta. Si trovò un altro espediente istituendo corsi di letture bibliche da cui i genitori potevano liberamente esentare i propri figli e in cui non eran permessi commenti settari da parte degli insegnanti. E siccome per la maggior parte eran felicissimi di affidare ad altri l'educazione dei figli i genitori accettarono con indifferenza questi espedienti e compromessi. Molti di essi, compresi anche alcuni convinti anticlericali, mandavano le loro figlie nei collegi di monache perché queste eran le sole maestre che insegnassero le buone maniere, sebbene non insegnassero quasi niente altro. Quanto agli Stati capitalisti, essi lasciano che la gente che vive in case in cui si paga al massimo trenta sterline all'anno allevi i propri figli come meglio le pare, e si occupano dell'educazione dei bambini solo perché imparino a leggere ordini scritti e stampati, avvisi, orari e cose del genere, e a far di conto; tutti requisiti necessari nell'industria moderna. Però non ci si sogna neanche di farne cittadini di cultura completa.

Ora, negli Stati maggiormente socializzati dell'avvenire queste sciocchezzuole verran messe da parte. Lo Stato insisterà su quella che noi chiamiamo la formazione del carattere del bimbo come cittadino e, se i genitori gli inculcheranno dottrine sovversive, lo toglierà alla tutela dei genitori con la stessa risolutezza che venne usata nei riguardi dei bambini di Shelley e di Annie Besant. Il conflitto fra le due autorità sarebbe serio se fossero molti i genitori che conoscono o si curano abbastanza del modo di guadagnare i figli alle proprie idee; ma alla maggior parte dei genitori basta che i bambini frequentino la più vicina chiesa o cappella vestiti dei loro abiti migliori come membri rappresentanti della setta familiare. Questo semplifica la questione per i genitori, e anche per lo Stato, finché l'educazione elementare non significa altro che insegnare ai bambini a leggere, scrivere e far di conto. Ma quando si dovrà insegnare la convivenza coi propri simili, come l'intendiamo noi se la civiltà deve esser reale e non un'organizzazione a delinquere come è per la massima parte adesso, le nostre scuole dovranno inculcare principi politici, buone maniere, morale e religione. La necessità della religione è indipendente dal credere nel dio della tribù, che Blake chiama vecchio papà-nessuno, o in qualsiasi altro dio. In Russia la Lega dei Senzadio è un ordine religioso. In India i Jains (3) hanno costruito templi di una magnificenza straordinaria per una fede da cui Dio è espressamente escluso quale forza superiore all'umana comprensione che noi non dobbiamo permetterci di nominare. Ci sono sette inglesi in cui la fede in Dio è così logica e assoluta che i genitori non devono discutere di religione coi figli: devono affidarli ciecamente a Dio. Un mio amico, persona molto nota, che era ateo convinto e libero pensatore militante, era figlio di devoti genitori glasisti (in Inghilterra, sandemaniani), e nipote di un capo di quella piccola setta. Ma il suo tentativo di allevare il figlio ateo e anticlericale venne completamente frustrato quando il ragazzo cominciò a frequentare una scuola pubblica, dove si distinse riportando un brillante successo secondo le norme più convenzionali. Questo perché il ragazzo aveva una "luce interiore" sua propria, diversa tanto dalla luce interiore di suo padre ateo quanto da quella dei suoi nonni glasisti. Suo padre fu deluso così come era stato deluso suo nonno. Bisogna tener conto della luce interiore; perché noi procreiamo molti brutti anatroccoli, che non diventeranno tutti cigni.

Ora, che cos'è questa luce interiore?

Scientificamente è ancora un mistero; ma per quel che può interessare un ministro della Pubblica Istruzione è il punto di vista personale che il cittadino o la cittadina si fanno della realtà loro nota. Perciò è di capitale importanza che il cittadino conosca quanto più può la realtà conosciuta o conoscibile. Mi pare che da ciò si deduca come si dovrebbe impedire a ogni costo ai genitori, ai parroci, agli insegnanti e ai propagandisti d'ogni genere di raccontare menzogne ai bambini invece d'insegnar loro verità scientifiche.

Tuttavia queste persone raccontano fole ai bambini sotto l'aspetto delle più sacre verità. Quando mio padre, dopo aver coscienziosamente compiuto il suo dovere paterno dilungandosi sulla suprema autorità ed eccellenza della Bibbia quale fonte di illuminazione e istruzione, fu tentato dal suo spirito di contraddizione ad aggiungere che essa è «il più dannato sacco di bugie che sian mai state inventate», non pronunciò un'empia menzogna: esagerava solo la verità per far dello spirito. Infatti la Bibbia contiene molte bugie che non dovrebbero mai venir dette ai bambini, e che tuttavia sono loro inculcate come verità divine da tutte le Chiese cristiane. Chi può impedire che si insegni ai bambini, e anche agli adulti, che ci sono esseri chiamati streghe e che noi dobbiamo ucciderli? Oppure che l'universo fu creato e vien governato da una divinità di tribù che fu così disgustata dalla cattiveria dell'umanità, da lei stessa creata, da mandare un diluvio per affogarla, salvando però una famiglia perché il suo patriarca aveva messo la divinità di buonumore arrostendole un pezzo di bue sotto il naso? O che una divinità più tarda, parimenti disgustata della propria creazione, mandò il suo figliolo innocente nel mondo perché vi fosse orribilmente torturato e ucciso per espiare i nostri peccati, e che quelli che credono a queste cose vanno in paradiso qualsiasi peccato abbian commesso, mentre quelli che non ci credono saranno condannati in eterno anche se hanno condotto vita virtuosa? Che civiltà può costruire uno Stato su queste superstizioni selvagge di teismo vendicativo e sacrifici umani? Di certo il Governo russo, il Governo tedesco e il Governo voltairiano francese hanno ragione nel decretare che i bambini sotto la loro giurisdizione devono esser protetti contro tale istruzione e informati meglio. Nella crisi attuale, il Governo britannico non dovrebbe far presente alla Chiesa d'Inghilterra che verrà sciolta e privata di tutti i beni se non la smette subito di dichiarare nel diciottesimo dei suoi trentanove articoli che la maggior parte dell'umanità, compresi i nostri alleati russi, deve essere scomunicata?

E allora cosa diremo ai bambini cattivi? Tutti i bambini sono cattivi, qualche volta, o per una crisi di nervi o, più razionalmente, perché non capiscono il motivo per cui non dovrebbero fare i cattivi. E' facile, per un ministro della Pubblica Istruzione, decretare che i genitori o l'insegnante o la bambinaia non devono raccontare bugie al bambino, né batterlo o avvelenarlo. Ma supponiamo che una madre dica: «Trovo che l'unico mezzo per far cessare una crisi di nervi è una bella sculacciata. Potete suggerirmi qualcosa di meglio?». Immaginiamo che un insegnante dica: «Quando un bambino mi chiede perché non deve fare quel che gli piace non posso dirgli di leggere il "Leviathan" di Hobbes o i "Principi di Etica" di Spencer: devo dirgli che c'è un posto che si chiama inferno e che lui ci andrà se non fa quel che gli si dice. E' una menzogna, ma il bambino ci crede, la capisce e si comporta in conseguenza. Se non mi è permesso dire questa bugia, che bugia devo dire, considerando che la verità è al disopra della comprensione infantile?». La mia bambinaia mi faceva star buono minacciando che, se continuavo a disobbedirle, «sarebbe sceso il gallo giù dal camino». Ai miei occhi il gallo era una divinità vendicativa. E non credo che il più illuminato ministro della Pubblica Istruzione sarebbe riuscito a farmi rigare diritto meglio della mia bambinaia. Maometto, uno degli uomini più saggi che mai si trovarono ad affrontare questo problema, non riuscì a governare gli arabi, né a distoglierli dall'adorazione delle pietre sacre, senza inventare un inferno che non era solo terrificante ma anche disgustoso, e sostituendo alle pietre un Dio (Allah), che era sicuramente un gradino superiore a Geova, ma nella cui esistenza non possiamo più credere candidamente come fece Maometto. Dante dipinse tale quadro per le Chiese cristiane. Molta gente crede ancora con gran serietà nell'inferno; e sebbene un numero considerevole di persone influenti se ne rida, il risultato non è rassicurante: coloro i quali non temono nulla dopo la morte sono pericolosamente privi di scrupoli, prima di essa. Nel Medio Evo gli uomini commettevano delitti; ma facevano ogni sforzo possibile per espiarli. I nostri criminali non punibili a norma di legge sono lasciati alla loro coscienza (quando ne hanno una); e sebbene sottoscrivano alle opere di beneficenza per alleviare la povertà e i disagi creati dal loro egoismo, non ci lasciano né le cattedrali né le grandi istituzioni benefiche e le scuole che dobbiamo a Guglielmo il Conquistatore e ai suoi pari.

Sembra allora che lo Stato debba raccontare ai suoi sudditi bugie di ogni sorta perché si mantengano nell'ordine, e che queste bugie debbano variare a seconda dell'età, perché un ragazzino o una ragazzina di dieci anni non hanno più paura del gallo che vien giù dal camino.

Come la mia educazione venne effettuata a opera di una successione di rivelazioni, ciascuna delle quali implicava il ripudio di alcune convinzioni prima radicate profondamente, e in conseguenza quella dell'infallibilità di mio padre, per non parlare della mia, non capisco perché, quando la vita del bambino vien organizzata in gruppi diversi seconda le età, come è sempre avvenuto nelle nostre scuole con la prima inferiore e la sesta superiore e simili, la promozione di un bambino da un gruppo all'altro non debba esser contraddistinta da una cerimonia di disillusione in cui il novizio venga informato che ora può beffarsi della parte religiosa della sua educazione infantile considerandola una fandonia non adatta al crescer dei suoi anni. Come molto tempo fa, nel primo secolo dopo Cristo, Paolo scrisse di «metter da parte gli oggetti infantili» come di un avvenimento normale dovuto all'aumentar degli anni; e siccome questo accade più o meno a tutti i bambini, sarebbe meglio che lo si facesse sistematicamente e senza ambagi, così potremmo sbarazzarci di tutta quella gente su cui le superstizioni infantili continuano a influire nonostante le mature conclusioni dovute all'età, all'esperienza e all'osservazione. Quando raccontiamo deliberatamente una bugia al bambino per determinare nella sua mente infantile un riflesso di buona condotta, dovremmo avere il buon gusto di smascherare questa bugia quand'egli sarà grande abbastanza da capire di più il poco che sappiamo sulla verità delle cose. L'altra alternativa consiste nel regolare in ogni particolare il comportamento del bambino, e associare nella sua mente la disobbedienza alla tortura fisica; procedimento chiamato talvolta soffocamento del carattere. Questo metodo, sebbene ancora estesamente praticato nella vita privata e ufficialmente nelle scuole pubbliche, è riprovevole per varie ragioni. Con la punizione non bisogna né nuocere fisicamente al bambino né influire sul suo carattere. Quando questo metodo viene esplicato di proposito a sangue freddo è crudele e deleterio per i rapporti tra i bambini e i loro genitori e insegnanti. Esso vien troppo facilmente usato dalle persone dure, stupide, cattive e sadiche, nelle cui mani non si dovrebbe mai lasciare un bambino, mentre non vien mai adoperato dalle persone di buon cuore e intelligenti: e questo è proprio il contrario di ciò che ci vorrebbe. Questo metodo può solo obbligare all'obbedienza, che è totalmente diversa dalla moralità volontaria, e i suoi effetti cessano quando il ragazzo giunge ai vent'anni, e si trova superiore a suo padre, uomo di mezza età, se si tratta di farla a pugni, ed è pericoloso se maleducato moralmente. Essendo questo metodo puramente terrorizzante e intimidatorio, la sua efficacia dipende dalla certezza di riuscire infallibile, cosa questa impossibile. Fa del suo meglio per distruggere nella vittima il naturale senso di rispetto verso se stessi e il senso dell'onore, su cui, dopo tutto, si basa la vita civile; e sebbene tale distruzione non sia completamente possibile, tuttavia può giungere a tanto che la vittima si fa un punto di onore di eluderlo. Non è possibile raggiungere un alto grado di civiltà finché non verrà abolito questo metodo.

Più avanti vedremo che la rinuncia alla punizione e alla sua coefficiente espiazione metafisica non abolirà il diritto della società civile di controllare e reprimere i deficienti che non possono vivere che sotto tutela, e «ripulire il giardino» uccidendo le persone nocive con la stessa indifferenza con cui si uccidono i cobra e le tigri divoratrici d'uomini. I traditori politici e gli assassini non sono le sole persone che dovranno giustificare nel futuro la loro esistenza con la loro condotta sociale.

Scartando dunque il progetto di civilizzazione mediante imposizioni e punizioni corporali ci resta l'alternativa dell'educazione fatta a mezzo di favole e parabole basate sull'ipotesi che, per quanto scientifiche possiamo renderle, sono al massimo transitorie. E ciò riporta il ministro della Pubblica Istruzione al problema di quanto realismo possa sopportare un bambino, quanto un adolescente, quanto un adulto durante la gioventù, la media età e la vecchiaia, e quanto poco quando siamo in guerra e le notizie dal fronte sono allarmanti. Fino a qual punto si possono eliminare le tradizioni e le abitudini (riflessi condizionati)? Perché ciascun individuo, in una vita sola, deve passare attraverso quello che la civiltà occidentale ha provato durante cinquanta generazioni: un'età della fede, un'età dell'iconoclastia e della delusione. E iconoclastia e delusione producono disgusto e pessimismo a meno che le speranze frustrate e la fede distrutta non siano sostituite da una speranza migliore e più credibile e da una fede parimenti fiduciosa.

Proprio una bella gatta da pelare, per i nostri Ministeri. Ma ne hanno bisogno. C'è abbastanza speranza e fede nel socialismo per giustificarci dello scandalo di iconoclastia e dell'asserzione che Proudhon aveva ragione quando definiva la proprietà (la "proprietà reale") furto, e che Ruskin aveva ragione quando diceva che dobbiamo essere o lavoratori retribuiti o ladri o mendicanti. Il marxismo non è un Vangelo infallibile per le età a venire; ma si è rivelato efficace in Russia, ed è piuttosto adatto per i tempi che corrono. Sebbene il darwinismo abbia «bandito la mente dall'universo» e il neodarwinismo ne abbia bandito la vita, e ora dichiari che non è altro se non un laboratorio predestinato di Robots (4) i quali cercano di capire il loro meccanismo tagliando a pezzi il cervello dei cani e contando le gocce della loro saliva, tuttavia l'evoluzione creativa procede irresistibilmente, con le sue infinite possibilità che danno speranze molto maggiori di quelle che possono ispirare le favole medievali sul paradiso.

Solamente, non dobbiamo dimenticare che, sebbene le vecchie fole sian morte per molti di noi, tuttavia non son morte per tutti. Mi ricordo di una cosa occorsami una sera in cui partecipai a una grande riunione dell'Esercito della Salvezza, nell'Albert Hall, per commemorare la signora Booth, moglie del fondatore dell'Esercito. Ero stato invitato perché avevo scritto una commedia con una ragazza dell'Esercito come eroina, e perché, in una lettura alla stampa, avevo rimproverato un ignorante prepotente che aveva diffamato con alcuni scritti le eccellenti bande della Salvezza. Mi avevano messo proprio al centro del grande anfiteatro. Non canto affatto male né stonato, e poiché non c'è divertimento maggiore che cantare in coro e poiché, anche, i motivi degli inni dell'Esercito mi eccitavano ed eran privi di quella monotonia che ha procurato una cattiva fama alla "musica sacra", io guidai con tremendo gusto il coro nel mio palco affollato. La mia esibizione suscitò l'entusiasmo di una ragazza dell'Esercito della Salvezza, la quale, con gli occhi bagnati di pianto, mi afferrò le mani gridando: «Ah! noi sappiamo, vero?».

Che cosa dovevo rispondere? Coloro che credono che si debba sempre dire la verità affermeranno senza ombra di dubbio che io avrei potuto e dovuto dire: "Cara la mia ragazza, vi sbagliate di grosso. Tutta questa faccenda di arrampicarsi sulle stelle d'oro per raggiungere il paradiso, che io ho cantato con tanto "élan", non è che una stupida superstizione. Le stelle d'oro e il paradiso non esistono. Mi permetto di consigliarvi la lettura delle opere del signor Charles Bradlaugh e del colonnello Ingersoll. Condivido il loro scetticismo. Buona sera".

Ma non potei dir queste cose, né avevo intenzione di dirle. Invece, per quanto non riuscissi a farmi venir le lacrime agli occhi, feci del mio meglio per renderli sfavillanti come i suoi, e col cuore apparentemente troppo commosso per parlare la lasciai nella convinzione che «noi sapevamo» e che io credevo a tutto ciò che credeva lei e speravo tutto ciò che sperava lei.

Chiunque mi biasimasse per questa comprensione ipocrita non è adatto a fare il ministro della Pubblica Istruzione. NOTE. NOTA 1: "Suttee": usanza indiana secondo cui la vedova si faceva cremare sul rogo del marito. NOTA 2: "Juggernaut": sacrifici umani a Visn£. NOTA 3: Setta buddista. NOTA 4: Uomini meccanici.

20. L'UOMO DI MEDIA ISTRUZIONE
Se noi definissimo istruiti tutti coloro che hanno un diploma universitario, dovremmo trovare un'altra definizione per coloro i cui genitori non possono permettersi simili lussi, e che sono stati costretti a lasciar la scuola poco dopo aver compiuto i dieci anni e a cominciare a guadagnarsi almeno in parte da vivere come impiegatelli, aiutocommessi, e qualsiasi altro genere d'impiego con giacca nera e colletto bianco, in cui sono necessarie non solo l'istruzione elementare ma l'educazione, le abitudini e l'apparenza borghesi. Chiamiamoli uomini di media istruzione. Costoro vengono incessantemente reclutati nel ceto medio fra i pronipoti dei figli cadetti dei nobili di campagna, e nel ceto basso fra gli esponenti migliori della classe operaia, le cui attitudini sono letterarie e aritmetiche più che manuali e le cui madri desiderano di vederli vestiti e rispettati (relativamente) come signore e gentiluomini. Cominciai anch'io dal poco, con pretese sociali che non ero in grado di sopportare, e per questo conosco profondamente lo snobismo e la scarsezza di mezzi di queste persone. Riuscii a liberarmi da quelle condizioni raggiungendo la celebrità professionale grazie al caso raro di aver il dono di un ingegno artistico redditizio. Anche quelli che provengono da una classe superiore riescono a evaderne se capita loro di possedere doti redditizie, come a esempio il genio per gli affari. Ma in generale gli uomini di media istruzione, non avendo doti abbastanza redditizie da arricchirli, devono restare quel che sono, poveri, pieni di pretese, e impossibili a venir organizzati perché non hanno rapporti né con gli operai né coi ricchi, e di conseguenza le loro opportunità matrimoniali sono così limitate che non solo sono istruiti ma anche educati a metà.

Tuttavia son loro che hanno in mano quasi tutti gli affari della nazione, e tra i loro figli si contano Shakespeare e Dickens, Bunyan e Blake, Hogarth e Turner, Purcell ed Elgar, e una dinastia di grandi attori da Burbage a Barry Sullivan, per non parlare di famosi mercanti, soldati, avvocati ed ecclesiastici. Guardando all'estero vediamo che Spinoza e Rousseau, piuttosto che soggiacere alla schiavitù di far gli impiegati, i maestri o gli scrittori su commissione, si guadagnarono il pane più assennatamente fabbricando lenti e copiando musica. Così, nel medio ceto istruito per metà, pare che la carriera sia aperta alle persone d'ingegno, sebbene sarebbe più giusto dire che il genio viene irresistibilmente alla luce in tutte le classi, per quanto l'ignoranza e la povertà possano abbatterlo o ritardarne l'affermazione. Un alunno proveniente dal ceto medio può sempre sognar di diventare, se non uno Shakespeare o il presidente dell'Accademia Reale, un cittadino stimato e noto come John Gilpin. E il fattorino di John Gilpin può diventare il suo portalettere o il suo commesso di negozio. I bambini del ceto medio, allevati in una casa abitata da non troppe persone, e fornita di libri, pianoforte e qualche quadro, possono apprendere tutto quel che riescono o che loro interessa dell'umano sapere, cosa che, poiché è sempre presente nella loro vita e non limitata alle ore di scuola (che sovente non fanno altro che interromperla), li rende molto più istruiti della media dei laureati in lettere. Se hanno i mezzi per pagarlo si prenderanno un istitutore privato e ne troveranno di bravi, e non maestri senza vocazione ed educazione.

Il rimedio non consiste nel mandare i ragazzi a Eton e Oxford, Harrow e Cambridge, e far di loro altrettante vecchie cravatte scolastiche, con le idee e le tradizioni di sir Leicester Dedlock al posto di quelle di John Gilpin. Perché sebbene il carattere commerciale di John stia a quello feudale di sir Leicester come i Guelfi stanno ai Ghibellini, le sue scuole scimmiottano i collegi del gentiluomo campagnolo.

Mi è permesso, quale illustre esemplare dell'uomo di media istruzione, di dir una parola sulla mia scuola?

La mia scuola si basava sulla supposizione che la conoscenza del latino sia tuttora il principio e la fine dell'istruzione. Era una cosa che andava da sé; né mi spiegarono perché avrei dovuto imparare il latino invece di una lingua viva. In realtà non v'era alcun motivo che me lo insegnassero, in quanto ci sono moltissime traduzioni dei classici che han meritato di sopravvivere. Il metodo d'insegnamento era barbaro: mi ordinavano di imparare le declinazioni e le congiunzioni e gli elenchi dei vocaboli come un pappagallo, sotto pena di esser picchiato e "trattenuto" dopo le ore di scuola se non sapevo recitare senza esitazioni i miei paradigmi. Quando fui in grado di farlo, il che fu facile per un bambino abituato a notare le parole nuove e a tenerle a mente, mi furono messi fra le mani i "Commentari" di Cesare e il famoso poema di Virgilio, e senza una parola di spiegazione, come se quegli antichi commentari avessero avuto a che fare con me; e senza dirmi perché dovessi occuparmi con tanta fatica di un antico troiano chiamato Enea, mi fu ordinato di mettermi in gara con Dryden nel tradurre a prima vista quelle opere, ché se non ci fossi riuscito sarei stato picchiato o trattenuto come prima. E sempre, anche quando non ero sotto punizione, soffrivo sentendomi prigioniero (che è la peggiore delle punizioni) per mezza giornata, condannato com'ero a starmene immobile, silenzioso e attento per tutto il tempo salvo che per la mezz'ora di ricreazione in cortile, durante la quale gridavo e correvo come un pazzo, per reazione a quella innaturale costrizione prolungata. E pareva che non ci fosse una fine; zoppicare fra le righe di Cesare e Virgilio non conduceva altro che ai paradigmi greci e all'ordine di tradurre l'"Iliade" di Omero, che io avevo già divorato per mio conto nel lapidario inglese di lord Derby, da me preferito ai graziosi versi di Pope.

Non mi spiegarono perché, se ero obbligato a imparare una lingua morta, non avevano cominciato col greco invece che col latino culturalmente inferiore, non me lo dissero forse perché il motivo era troppo sciocco, stando il fatto che le scuole non avevano ancora progredito dalla Conquista normanna al Rinascimento. Fuggii dalla mia scuola classica proprio quando Omero mi stava minacciando, ma non prima che fossi messo a confronto dell'algebra, senza una parola di spiegazione che me l'avrebbe resa interessante. Lasciai la scuola, come Shakespeare e Dickens, con un po' di latino, e meno ancora di greco, compreso quel poco che avevo imparato, prima di andare a scuola, da mio zio prete. Sarei stato meglio senza sapere quello che mi avevano insegnato a scuola, poiché era solo quel che un galeotto impara dai suoi compagni di prigionia e dalla paura e dalla sofferenza; sebbene sia esagerato dir questo, tuttavia paura e sofferenza erano abbastanza severe da comporci sopra una canzone.

Devo aggiungere che siccome fui sempre un allievo esterno e mai interno, e poiché nelle ore di libertà non soffrii mai il controllo dei miei amabili e molto indulgenti genitori, il che significava lunghi intervalli fra una giornata di scuola e la successiva, i miei rapporti con gli altri ragazzi furono rapporti da gangsters, ma forse peggio, poiché credo che i gangsters lavorino per far bottino, mentre noi facevamo il male, così, tanto per far bravate. Così come cospiravamo contro i maestri, allo stesso modo cospiravamo contro la polizia, nelle cui mani sarei probabilmente finito se me ne fossi stato per la strada invece che vagabondare solitario nell'affascinante reame della fantasia al cui incanto ero assai suscettibile. Tuttavia, quando nel 1931 visitai un Penitenziario russo e mi fu chiesto di rivolgere qualche frase edificante a un gruppo di giovani delinquenti (ladri, per la maggior parte), mi sentii in obbligo di dir loro che, sebbene fossi una persona molto distinta e "arrivata", tuttavia da bambino sarei finito nelle grinfie della polizia se non avessi avuto la fortuna di non venir preso.

Ero parimenti distinto, rispettabile, e perfino venerabile, quando un giorno, bighellonando lungo la riva del mare in Scozia, mi trovai fatto segno a un lancio di sassi abbastanza pesanti e aguzzi da ferirmi seriamente se avessero colto il bersaglio della mia testa. Ero entrato nel territorio di un villaggio di pescatori o minatori, dove i ragazzi stavano giocando. Il loro gioco consisteva nel tirar sassi a uno strano signore anziano e barbuto, schernendolo nel contempo con grida che lo descrivevano obbrobriosamente come un Castoro.

Essendo notevolmente spaventato e troppo vecchio per scappare abbastanza in fretta, senza contare il fatto che la fuga avrebbe incoraggiato i miei assalitori e aumentato molto il loro divertimento, conclusi che non c'era altro da fare se non spaventarli più di quanto loro spaventassero me. Tre eran le cose di cui dovevano aver paura: la polizia, le cinghie con cui i loro genitori punivano la loro condotta, e la possibilità che riuscissi ad acchiappare uno qualsiasi di loro. Così pensando avanzai alla loro volta sotto il fuoco, con aria risolutamente vendicativa. Si dispersero e fuggirono, lasciandomi fortunatamente incolume, ma pienamente convinto che se la civiltà deve sopravvivere bisogna trovare un'altra alternativa che non sia quella di imprigionarli in una scuola, se non si vogliono lasciar i bambini liberi di divertirsi a modo loro.

Si può dire che quei bambini eran poveri, rozzi e selvaggi. Ma pressappoco alla stessa epoca gli studenti in medicina di Londra, molto maggiori d'età, e istruiti al punto da esser capaci di scrivere le ricette in latino, e che stavano imparando una professione quant'altra mai benefica e scientifica, si eran divertiti assalendo nelle vie affollate un riformista temperante americano, accecandolo da un occhio e ledendogli la spina dorsale. Costui morì poco tempo dopo. L'istruzione superiore non aveva civilizzato gli studenti: li aveva imbarbariti.

Ora, se i ragazzetti scozzesi che mi lapidarono fossero stati organizzati come boy-scouts, non si sarebbero mai sognati di trattarmi come fu trattato Santo Stefano 2000 anni fa. I boy-scouts e le girl- guides sono il nostro primo tentativo di organizzare la vita infantile secondo natura; ed è da notare che le due organizzazioni non furono fondate da un educatore riformista, ma da un soldato. I filantropi che idoleggiano i bambini chiamandoli angioletti, e i pedagoghi che li demonizzano considerandoli piccoli demoni maligni la cui volontà va soggiogata e che van liberati con le percosse dal peccato originale, sono nocivi come i democratici che idoleggiano il suffragio degli adulti ritenendolo base di ogni saggio Governo.

Il problema di quanto abbian bisogno di esser guidati i bambini e gli adulti, e di quanto debban essere lasciati liberi di pensare e agire a modo loro, è sempre difficile. E' crudele lasciare che un bambino scopra da solo quello che deve o non deve fare, e quel che deve o non deve imparare per esser adatto alla vita civile Educando i ragazzi col sistema della forza, come i guardiaboschi, gli sportivi, i pastori e gli ammaestratori educano i propri cani, se ne fanno capaci agenti e bigotti difensori della civiltà così com'è (in breve, conservatori di prima classe), ma li si guasta come agenti e difensori dell'evoluzione. Il rispettabile cittadino a cui è stato imposto il credo COMUNQUE SIA E' GIUSTO, è dannoso come lo zingaro derelitto che è indotto ad affermare che COMUNQUE SIA E' SBAGLIATO. Non esiste regola aurea per cui si possa determinare un punto conveniente fra questi due estremi. Evoluzione significa cambiamento, e il cambiamento sconvolge ordine e leggi; le due cose devono essere equilibrate. Henrik Ibsen, quando gli si faceva pressione perché si iscrivesse a questo o a quel partito, rispondeva sempre: «Non appartengo a nessun partito. Ho entro di me tanto la destra che la sinistra. Ho piacere che i miei nuovi punti di vista influenzino i liberali, i conservatori, i socialisti, e specialmente i lavoratori, uomini e donne; ma non voglio mettermi l'etichetta di liberale, conservatore, o laburista o suffragista. Le regole dei partiti non sono auree: non esistono regole auree».

Io sono del parere di Ibsen. Le sue obiezioni all'opportunità di adottare l'etichetta di un partito vengono condivise da coloro che han per le mani più di un argomento politico, e che si prendono la briga di vedere come funzionerebbero in pratica le loro ipotesi. Il mio metodo nell'esame di ogni problema consiste nel prendere in considerazione i due estremi, entrambi inattuabili, e fare una graduazione tra i due cercando di determinare quale punto di essa è il più praticamente opportuno. Una madre che voglia stabilire la temperatura del bagno del suo bambino ha due limiti stabiliti entro i quali lavorare. Il bambino non dev'essere né bollito né congelato. Ella deve procedere per prove e sbagli entro questi limiti. Immerge il gomito nell'acqua, e scopre ben presto che al disotto dei 70 gradi Fahrenheit l'acqua è troppo fredda e al disopra dei 100 troppo bollente. Il bagno del bambino è possibile ed effettuabile entro questi limiti stabiliti. Uno statista che abbia da provvedere al bagno di milioni di bambini o soldati deve affrontare il medesimo problema.

Ma lo statista ha da risolvere problemi più complicati per esempio il problema cobdenita del libero scambio contro il protezionismo. Secondo il protezionismo portato all'eccesso una nazione dovrebbe far tutto da sé ed essere completamente autarchica e indipendente dal commercio internazionale, non importa quanto lavoro e quanta materia possa costare la produzione nazionale in confronto a quella estera. Secondo il libero commercio portato all'estremo noi non dovremmo produrre nulla di quanto può esser prodotto più a buon mercato all'estero, specializzandoci nella produzione dei beni che possono venir prodotti più a buon mercato in patria che in qualsiasi altro posto. Ambedue questi estremi sono impraticabili. Prendete il mio caso: perché posso parlare con una certa autorità. Sono capace di scriver commedie meglio di quanto sia capace di fare qualsiasi altra cosa. Secondo i principi di Cobden, dovrei passar la giornata scrivendo e dettando commedie. Le altre cose dovrebbero venir fatte da altre persone in mia vece; e ogni istante in cui fossi occupato a fare qualsiasi altra cosa sarebbe considerato come una non patriottica perdita del mio tempo. Tuttavia passo parte della mia giornata facendo il lavoro di giardiniere o di taglialegna per mantenermi in buona salute, così come un eminente uomo di Stato gioca a golf, taglia un albero, fabbrica mattoni o dipinge quadri. Io devo attendere tanto agli affari della mia professione, quanto alla pratica diretta; se mi specializzassi al punto da scrivere soltanto, le mie commedie peggiorerebbero, e io morirei prima della mia ora. I muratori e i carpentieri che hanno a portata di mano chiodi e altri arnesi accessori, in modo da non poter far altro che il lavoro loro richiesto e che implica la loro particolare attitudine, impazzirebbero se non potessero fare anche qualche altra cosa. Le operaie delle fabbriche dove il macchinario e il "metodo scientifico" (talvolta chiamato razionalizzazione) hanno ridotto il loro lavoro a un'unica operazione ripetuta di continuo e compiuta nella massima economia di tempo e di sforzo possibile, devono smettere di lavorare perché presto cominciano a sognarsi il loro lavoro e a esserne perseguitate finché la vita diventa loro insopportabile, e il miraggio di un guadagno relativamente alto non basta più per tentarle a essere automi che fanno sempre una sola cosa.

Sotto questo punto di vista le nazioni sono come gli individui. Per salvarsi dal cessar di essere creature umane e diventare automi dalla vita breve che cadono addormentati in meno di un minuto se cercano di leggere un libro, o che muoiono nei manicomi, gli individui devono fare tanto qualche cosa come pasticcioni dilettanti quanto qualche altra come abili professionisti. E i loro governanti non devono essere né scalmanati liberi-scambisti né accaniti protezionisti, né "isti" di qualsiasi sorta, ma quel che il signor Lancelot Hogben chiama umanisti scientifici, i quali sappiano qual commercio va protetto e quale invece lasciato libero. Le loro madri non devono né bollire né congelare il bambino, ma sapere entro il limite di una trentina di gradi e anche meno che cosa deve segnare il termometro immerso nel bagno. E i loro drammaturghi non devono soltanto scrivere commedie molto bene, ma anche suonare molto male il piano, come faccio io.

Quando l'istruzione scolastica, distinta da quella naturale, fu messa in pratica per la prima volta, si presunse che un bambino destinato a essere uno studioso non dovesse far altro che studiare e dedicarsi allo studio ininterrottamente, infliggendogli una spietata bastonatura come punizione se era ozioso o disattento. Si presunse anche che ogni bambino, senza curarsi delle sue tendenze, attitudini o capacità, sia un teologo, un filosofo, un poeta e oratore latino di prima categoria, in potenza. Più tardi, quando al latino si aggiunse il greco, e ancor più tardi quando con riluttanza si aggiunse la matematica, al bambino fu chiesto di esser tutto in una volta Omero, Platone, Pitagora, Aristotile, Cicerone, Virgilio, Newton, Leibniz ed Einstein.

Applicando queste idee a bambini vivi si scoprì ben presto la loro assurdità: si scoprì che lavorando tanto e non giocando niente Giannino diventava un ragazzetto scemo, e che non si può ricavare una borsa di seta da un orecchio di porco a meno che non lo si provi a fare in un istituto di plastica. In conseguenza dividemmo l'istruzione in elementare e secondaria, tecnica e liberale, e nel curriculum degli studi trovammo posto anche per inserire giochi ed esercizi fisici. Tuttavia nelle scuole preparatorie di lusso della plutocrazia e nelle loro imitazioni a uso del ceto medio, continuano a trattare gli allievi come tanti ammirevoli Critoni in potenza. Dickens, in "Dombey e Figlio", ci fa piangere sulla morte del povero piccolo Dombey sovraccarico di lavoro alla sua scuola preparatoria; ma non ci avrebbe fatto male pensare un po' più a fondo alla tragedia di Toots nella medesima scuola, tragedia che ci fa solo ridere. Toots era un disgraziato ragazzo che, essendo ricco, ebbe il cervello rovinato da un insensato tentativo di far di lui uno studioso dei classici e un poeta latino: destino infinitamente lontano dalle sue attitudini e capacità. Non ripeterò mai abbastanza spesso che insegnando ai ragazzi materie che non li interessano direttamente, o che almeno non servono di necessario preambolo al compimento dei loro desideri e delle loro speranze, non li si rende soltanto infelici ma li si danneggia sia fisicamente che mentalmente. Un ripetitore tedesco mi raccontava che tre su cinque dei ragazzi cui dava ripetizione non guarirono mai da tale operazione. Perciò, se l'allievo non ha da seguire alcuna tendenza naturale, dobbiamo servirci nell'insegnamento di motivi indiretti.

Per esempio, un bambino può provare una violenta repulsione per la tavola pitagorica, che pure gli deve venir inculcata a tutti i costi. Ma facciamo in modo che il bambino si convinca che non solo non gli verranno mai dati denari finché non imparerà la tavola, ma che imparandola diventerà padrone del suo primo scellino, e allora eseguirà immediatamente il suo compito senza riportarne danno. Un ragazzo avventuroso che abbia passione delle esplorazioni o del mare può non aver il bernoccolo della matematica; tuttavia ne imparerà abbastanza da poter essere in grado di fare il marinaio, così come i nostri nostromi imparano il codice Morse, che di per se stesso non è uno studio molto attraente.

Allora quanto dobbiamo insegnare ai nostri futuri cittadini? Che «Poca sapienza è pericolosa» è vero; ma che il rimedio proposto «Bevete molto, o altrimenti non gustate della fonte Pieria» non è consigliabile se non in una data percentuale di casi. Una monarchia in cui a tutti i cittadini venga insegnato di venerare il re, un esercito in cui ogni fante abbia qualifiche tali da potersi comportare come un feldmaresciallo, un osservatorio in cui si richieda ai portieri e al personale di fatica di aver nozioni di matematica celeste, ci convincerebbero ben presto che persone troppo intelligenti per il lavoro loro richiesto sono dannose e inefficienti come quelle troppo stupide per il lavoro che devono fare. Con tutti i mezzi mettete la scienza a disposizione di tutti, cosicché nessun ingegno o capacità vengano sprecati per mancanza di addestramento e di occasioni. Gli uomini di Stato dovrebbero conoscere l'importanza di ciò e provvedere a che chiunque possa e voglia abbia la strada aperta all'istruzione superiore.

Gli uomini di Stato non devono però soltanto procurare che l'istruzione sia accessibile a coloro che la desiderano, ma imporre un po' di sapere anche a coloro che fan di tutto per sottrarvisi. Il loro programma deve andare dalla completa ignoranza a tutta l'enciclopedia, e poi devono stabilire a che punto finisca l'istruzione obbligatoria e a quale cominci l'ignoranza volontaria. I popoli civili devono saper leggere e scrivere, non foss'altro che per leggere i pubblici avvisi, i rapporti scritti, le lettere, le istruzioni, gli assegni. Devono saper fare le quattro operazioni ed esser capaci di contare il denaro. Devono aver qualche cognizione dei calcoli e delle misure. Devono sapere perché i popoli civili devono sottoporsi a una disciplina, perché le leggi e l'etichetta sono necessarie, quel che devono e quel che non devono fare nella loro vita quotidiana. Devono capire le operazioni bancarie e saper usare correntemente le macchine calcolatrici, i quadranti, le carte geografiche, gli orari ferroviari, e i vocabolari. Per concedere loro un diploma in qualche specialità potranno esser costretti a usare le tavole dei logaritmi, i teoremi dei binomi, e il calcolo differenziale: ma per la vita comune la loro istruzione va dichiarata completa senza bisogno di queste cose. In realtà esiste un minimo irriducibile di istruzione senza il quale l'uomo non può vivere in una società civile; in conseguenza l'acquisto di tale istruzione deve avere la precedenza sulla libertà e sulle eccentricità degli uomini. Tutti noi desideriamo esser liberi da interferenze governative; ma scopriamo ben presto che senza di esse saremmo selvaggi o schiavi dei prepotenti. Invano reclamiamo, da liberi britanni, il diritto di ignoranza o di ozio illimitati. Tali libertà hanno ridotto molti di noi in una schiavitù cui sarebbe preferibile una tollerabile dipendenza materiale.

Tutto questo significa che l'istruzione superiore può esser volontaria, ma non significa che dovrebbe esser libera dal controllo governativo. Bisogna controllare le scuole secondarie anche se il frequentarle non è obbligatorio. Non si deve abbandonarle alle iniziative private: la scuola privata per borsaioli di Fagin non va tollerata: tutte le scuole devono giustificare la loro attività dal punto di vista dell'utilità comune. Se, come sostiene questo libro, i nostri governanti vanno scelti fra una graduatoria di persone qualificate, da liste di elettori qualificati, i certificati di tali qualifiche vanno emessi da una commissione di esaminatori che accetterà i diplomi scolastici per ovvie ragioni; ed è chiaro che se i diplomi delle scuole governative devono venir accettati senza discussione dai compilatori degli elenchi, quelli rilasciati da scuole private saranno tenuti validi solo quando una commissione governativa d'inchiesta avrà garantito che si può loro conceder questo privilegio. Tutto questo non vuol essere una novità sensazionale; vorrebbe soltanto esser un rinnovamento degli antichi e ben noti benefici del clero. Al giorno d'oggi i privati che cercano impieghi privati scoprono che i certificati di immatricolazione li aiutano a ottenere l'impiego come commessi in ditte importanti. I diplomi di laurea, privi di valore come sono (e talvolta son addirittura nocivi) agli effetti dell'abilità pratica o della cognizione degli affari, sono indispensabili in certi casi. Le direzioni dei pubblici servizi sono oggi accessibili solo dopo aver sostenuto un esame, salvo le cariche massime (i ministri di Gabinetto e i sovrani regnanti possono essere degli incolti ignoranti); e l'estensione del sistema di qualifica a tutte le attività politiche, compresa quella di elettore e di eleggibile, non è una novità ma uno sviluppo che ci è stato imposto dagli sbalorditivi risultati dei tentativi di raggiungere la democrazia concedendo il diritto di voto a chiunque sappia tracciare una croce su una scheda. Quel che accade quando le elezioni si fanno col sistema di partito inventato da Sunderland lo si può studiare nella storia della Repubblica spagnola dopo la rivoluzione del 1931, così come ce la racconta Salvador Madariaga, capace storico-filosofo dotato di moderna mentalità post-marxista, il quale trasse le sue informazioni dai contatti personali e dalla partecipazione agli eventi che descrive e giudica. La morale è quella di tutte le storie vere: cioè che sono gli uomini istruiti a metà, e non gli ignoranti e gli incapaci, quelli che, avendo in mano le redini di una nazione, non sanno far altro che uccidersi a vicenda finché non sanno più chi ammazzare e la popolazione si sottomette a qualsiasi tiranno che prometta pace.

La metà mancante alla loro istruzione è la metà politica.

21. L'UOMO TRAVIATO DALL'EDUCAZIONE
L'educazione soffre oggi di una corruzione politica quale mai si verificò nell'età della fede, quando in Europa esisteva un solo Dio e un solo credo, e coloro che dissentivano da esso erano bruciati vivi come eretici. Tutti erano educati come cristiani cattolici o come maomettani cattolici, e la Bibbia o il Corano venivano considerati la base immutabile e indiscutibile di ogni legge morale. Questo modo di pensare sussiste ancora. Mi ricordo molto bene di una riunione al Midland Hotel di Londra, dove capi della Chiesa e uomini politici di tutte le fedi e di tutti i partiti si erano riuniti allo scopo di conferire con i capi delle grandi compagnie commerciali per discutere, giungendo se possibile a un accordo, i loro principi morali e religiosi. Ruskin si era già appellato alla coscienza di questi magnati degli affari, chiamandoli capitani d'industria e definendo commercianti onesti sotto ogni punto di vista quelle persone che sarebbero disposte a morire piuttosto che ingannare i loro clienti: per lui era questo il criterio generale dell'onestà in ogni mestiere e professione.

Alla riunione non vi erano vescovi protestanti (a quel tempo qualche vescovo della Chiesa d'Inghilterra era capace di offendersi, se gli veniva chiesto d'incontrarsi con commercianti); vi era invece il cardinale cattolico, che parlò, e un pari del regno che rappresentava la Camera dei Lords. Io ero presente in veste di socialista influente e di pubblico oratore. Parlammo tutti, il cardinale, il pari, il sottoscritto e gli altri oratori presenti, predicando la nobiltà del commercio nella maniera che fu poi adottata dai membri del Rotary. I capitani d'industria se ne stavano invece muti finché il presidente non chiese loro esplicitamente di esporre le loro idee. Essi si alzarono, in verità non molto volentieri, e dissero che negli affari seguivano un solo principio, che era il principio del loro Signore e Salvatore Gesù Cristo: fai agli altri quello che tu vorresti fosse fatto a te.

Questa definizione tappò la bocca a noi tutti. La discussione fu riportata dai tempi del regno della regina Vittoria a quelli di Carlomagno. Io mi alzai e me ne andai via in silenzio; analogamente fecero gli altri. Gli imprenditori, per quanto possano essere filantropi, sono virtualmente obbligati a seguire nei loro affari privati la regola che ha, come fine, quello di trarre il massimo profitto, senza alcun riguardo al fatto che i concorrenti possono andare in rovina o il proletariato morire di fame; essi sono infatti obbligati ad attenersi a questa norma e a mettere da parte le loro regole religiose. In verità nessuno aveva mai pensato a questo problema, se non gli intellettuali seguaci di Ruskin. La devozione dei capitani d'industria era soltanto una vecchia abitudine, acquisita nell'età della fede, e sopravvivente in modo piuttosto originale come riflesso domenicale per tutto ciò che aveva il suono di una predica. Essa non aveva niente a che fare con i loro veri affari. Un documento economico del diciassettesimo secolo intitolato "Vita e morte del signor Badman", di John Bunyan, fa un'acuta descrizione del moderno uomo d'affari la cui religione consiste nel comperare sul mercato più economico e nel rivendere sul più caro. Commenta in proposito Bunyan: «Che cos'è questo, se non un commercio senza scrupoli?».

Ma il signor Badman non poteva fermarsi a questo. Accortosi che, se voleva preservare la sua rispettabilità, doveva commerciare in base a principi rispettabili e farsi una nuova coscienza che potesse approvare i suoi profitti, e gli avrebbe permesso di chiamarsi da allora il signor Goodman (1), trovò subito quello che desiderava negli insegnamenti dei fisiocratici francesi e nel famoso trattato di Adam Smith, che dimostra che il benessere delle nazioni dipende nella libertà del commercio dal controllo clericale e feudale. La stessa Chiesa d'Inghilterra venne in suo aiuto per opera del reverendo Thomas Malthus, che asserì che la causa della povertà del proletariato dipende dalla sovrapopolazione e non dal commerciare senza scrupoli. Così il commerciare senza scrupoli si travestì in libertà di coscienza; il libero commercio divenne pertanto il grido di battaglia del signor Badman e fu considerato, dal punto di vista educativo nelle università e dal punto politico al Parlamento, come fondamentale nella morale economica.

Questa rivoluzione della morale economica, inquadrandosi a meraviglia nella grande rivoluzione protestante chiamata Riforma e Rinascimento, culminò nel diciannovesimo secolo in una controrivoluzione contro la morale di tutti i Badman, avente Ibsen e Nietzsche come suoi profeti, La Rochefoucauld e Oscar Wilde come suoi umoristi, mentre Marx strappava via la maschera del signor Goodman e lo ribattezzava signor Borghese. Anch'io mi schierai fra i difensori della tesi di Ibsen e di Marx, concludendo che la via del signor Badman-Goodman-Borghese è la via della rovina e che l'unico sistema per evitarla è di prendere la strada del libero pensiero e dal punto di vista economico di sostituire alla proprietà privata quella pubblica; in breve di adottare il comunismo.

Nel frattempo, però, divenne sempre più chiaro che, se questi cambiamenti di opinione dovevano essere stabiliti sulle fondamenta sicure del consenso popolare e della sincera approvazione, essi dovevano essere inculcati nelle scuole come concetti basilari di educazione. Napoleone fallì nel suo scopo perché non poté fare di tutti i bambini d'Europa altrettanti bonapartisti. L'impero di Bismarck-Hohenzollern fallì perché, nonostante l'idolatria imposta nelle scuole e nelle università tedesche, non poté imporsi al resto del mondo. Hitler sorpassò gli Hohenzollern nel suo proposito di cambiare i ragazzi tedeschi in tanti hitleriani; ma la sua dottrina cercò di combinare il socialismo con l'anti-bolscevismo e ambedue con un grande sterminio di ebrei, con la sottomissione delle razze latine, quali razze inferiori, alla teutonica, e finalmente con la supremazia mondiale dei puri germanici, sebbene i puri germanici fossero razza altrettanto immaginaria quanto le fate.

Napoleone, Bismarck, il Kaiser e Hitler avevano perfettamente ragione nel ritenere che nessun sistema di Governo può durare a lungo, a meno che non si impadronisca dei ragazzi e pieghi l'arboscello nel modo in cui desidera che cresca. I Governi devono infatti non soltanto coltivare e curare la crescita dei fiori da loro scelti, ma anche spogliare il giardino dalle erbacce e distruggere senza pietà e con tutti i mezzi gli animali dannosi: dipende da loro stabilire quali siano i fiori, le erbacce e gli animali da curare o distruggere.

Non è possibile che vi sia un Governo onesto senza un'onesta educazione; le scuole oneste sono infatti anormali nei Governi disonesti. L'educazione onesta è dannosa alla tirannide e ai privilegi; sistemi come quello capitalista, mantenuto in voga dall'ignoranza popolare, come quello della Chiesa che dipende dall'autorità dei preti, come quello delle classi privilegiate che identificano la civiltà con il mantenimento dei loro privilegi, dei conquistatori ambiziosi e dei dittatori che devono inculcare l'idolatria per un uomo e il romantico culto dell'eroe, usano tutti sia l'educazione sia l'ignoranza per mantenere il loro prestigio di governanti. Tale corruzione è attualmente universale. L'educazione democratica non può essere tollerata sotto il capitalismo, perché porta inevitabilmente al comunismo, contro il quale il capitalismo deve difendersi con la sistematica propaganda della dottrina capitalistica e denigrando i maestri del comunismo, in modo da farci diventare tutti proseliti della Scuola di Manchester e inculcarci una fobia contro ogni specie di ingerenza statale nei riguardi del profitto privato o in tutto ciò che concerne il benessere nazionale. Non soltanto si considera ogni inclinazione verso il comunismo come un pericolo sociale da impedire a tutti i costi, ma si ritiene che il Governo stesso sia un male che deve essere ridotto al minimo possibile e che i suoi poteri devono essere non solo limitati costituzionalmente ma addirittura stroncati, anche a costo di una rivoluzione e di un regicidio, finché il potere reale sia passato al capitale e alla finanza privata, e i suoi rappresentanti ufficiali siano o inermi capri espiatori legati alla monarchia o difensori armati della proprietà privata. Tutta questa propaganda deve essere mascherata da educazione, dato che l'educazione e le scuole. che esistono per illuminare i poveri e incoraggiare l'istruzione, sono inaccessibili ai proletari a causa del loro costo e nello stesso tempo sono mantenute in una atmosfera di feudalismo che abolisce tutti i doveri e mantiene tutti i privilegi; in breve in atmosfera di pura e semplice plutocrazia. Per concludere, l'educazione finisce quindi per significare in pratica offuscamento mentale e morale.

Ora tutto questo va benissimo dal punto di vista del capitalismo; ma il capitalismo non può sviluppare le sue possibilità senza una vera educazione tecnica. Esso deve quindi limitare il suo offuscamento all'aspetto culturale. I suoi ragionieri possono essere politicamente degli idioti; ma devono sapere che due per due fa quattro e non cinque. I suoi falegnami devono sapere che dodici piedi sono più lunghi di dodici pollici; e i suoi capitani mercantili che il mondo non è piatto, anche quando fu insegnato loro che Gesù era onnisciente, allorché disse che nel giorno della sua venuta le stelle sarebbero cadute sulla terra come le macchie di fuliggine su una frittella.

Così ci troviamo di fronte a tecnici di prim'ordine i quali sono però dal punto di vista politico e religioso così offuscati che non dovrebbe esser permesso loro di prendere parte a nessun pubblico affare. Essi usano le parole comunismo e comunista per denotare qualsiasi individuo e qualsiasi cosa vile, e così considerano infame ogni proposta che valuti il benessere della società umana al disopra del lusso delle classi abbienti. Essi dipingono Lenin e Stalin come malfattori assetati di sangue così come i loro padri dipinsero Hegel, Tyndall e il vescovo Colenso come distruttori della religione. Gli onori, i privilegi e l'autorità sono accumulati sui ricchi e su persone "bene introdotte" che non hanno cervello, o abilità sufficienti a fare nemmeno la calza. Sebbene l'Inghilterra sia nel comunismo fino al collo poiché vi sono numerosissimi e necessari servizi pubblici che non potrebbero rendere nulla ai capitalisti, essi credono che il comunismo sia altrettanto impossibile quanto malvagio e mettono in giro parole come proletariato, bolscevico, dittatore, libertà, democrazia, legge e ordine senza collegarle con i fatti della vita umana che stanno sempre di fronte a esse; in breve senza sapere quello che si dicono.

Devo qui di nuovo ricordarvi che non tutti sono però ipocriti e truffatori che agiscono e mentiscono deliberatamente e abilmente per i loro fini esclusivi. In massima parte sono individui molto per bene i quali ripetono pappagallescamente le dicerie che hanno udite per tutta la loro vita e che vedono stampate sui nostri giornali ogni giorno. Benché si possa esaminare la corruzione politica dell'educazione e la maggior parte dei nostri mali sociali, senza con questo dover disperare della natura umana, dobbiamo ciò nondimeno cercar di capire il fenomeno e arrestarne lo sviluppo. La famosa frase di Gesù sulla croce: «perdonate loro perché non sanno quello che fanno» non portò alcun rimedio alla sua crocefissione. Capissero o meno gli ebrei ciò che stavano dicendo, essi lo fecero ugualmente; ed era compito del governatore romano il proibirlo, invece di piegarsi al volere del popolo e diventare complice del suo bigottismo.

Ma l'opera dei Governi non deve limitarsi soltanto alla proibizione. Essi devono stabilire e perpetuare il loro operato con l'educazione e la legislazione, ma specialmente con l'educazione. Dobbiamo di conseguenza affrontare il fatto che quando gli interessi privati, che realmente controllano ed esercitano attualmente il Governo, trovano che se si permette alla gente di capire il funzionamento della banca, della locazione e dell'assicurazione, essa chiederà la nazionalizzazione di tutti e tre gli istituti e più tardi quella della terra e del capitale e si rifiuterà di continuare a pagare gli affitti, i premi e gli interessi ai monopolisti privati o di lasciare i propri conti correnti in mani private senza una garanzia governativa, essi avranno cura che ogni insegnante che spieghi questi soggetti sia licenziato e rimpiazzato da uno che inculchi invece il sentimento della santità, della proprietà e del contratto privato e ripeta che il nostro più nobile diritto naturale è la libertà di fare nelle questioni di denaro ciò che ci piace con tutti gli altri dogmi e modi di dire dell'utopia capitalista e del teorico paradiso.

Cercar di alzare il vecchio grido di libertà dei "whigs" contro questo proselitismo di Stato significa perdere il proprio tempo. Nessun Governo può agire senza un credo e un insieme di comandamenti; esso dovrà quindi propagandare queste idee ai ragazzi e perseguitare l'eresia. La nostra teoria che soltanto i nazisti, i fascisti e i bolscevichi fanno questo e che gli inglesi non potrebbero mai tollerarlo è stupida; le nostre leggi sono e devono essere sempre basate sull'ortodossia; devono quindi venire imposte così come sono imposte quelle russe, italiane e tedesche. Sebbene l'ortodossia proletaria differisca dall'ortodossia capitalista, essa sarà inculcata nelle scuole e imposta nei tribunali così come lo è attualmente a Eton e nelle corti di giustizia l'ortodossia capitalista. Analogamente la sua legislazione non seguirà la teoria "whig" di una sempre minor interferenza governativa. In regime democratico quei cittadini che fanno affari che nel nostro regime plutocratico li portano a sedere in Parlamento e a ottenere titoli di nobiltà saranno spietatamente liquidati.

L'ortodossia non copre però l'intero campo della condotta umana. Vi è e vi sarà sempre una terra di nessuno nella quale le questioni morali possono essere discusse e mutate. Abbiamo accettato i dieci comandamenti come la legge di Dio; e in base alle nostre leggi ogni persona battezzata che abbandona quella fede dopo la cresima è soggetta a forti multe. Tuttavia i nostri quadri, le nostre statue, le nostre bambole, i nostri orsi e le nostre arche di Noè sono brecce aperte nel secondo comandamento. Consideriamo un dovere patriottico uccidere il prossimo quando siamo in guerra; e ci imponiamo tutte le conseguenze della proprietà "reale" nonostante l'irrefutabile dimostrazione di Proudhon che tale proprietà è un furto.

Possiamo praticamente concludere che, sebbene dobbiamo imparare e imporci un codice morale, e far sì che ogni bambino impari il suo catechismo così come impara la moltiplicazione e la tavola pitagorica, dobbiamo tuttavia permettere la discussione di tutte le nostre leggi morali. L'avvocato del diavolo deve sempre essere autorizzato a perorare la sua causa contro la saggezza e lo spirito delle nostre leggi, ma non a ostacolare la loro esecuzione, fintanto che non ci abbia persuaso ad abrogarle.

Questo è il corretto modo di agire accademico; ma poiché le opportunità di discutere le leggi sono limitate e il desiderio della loro abrogazione o modificazione è spesso del tutto irrazionale, può accadere che l'unico sistema per cambiare la legge sia quello di non osservarla, in modo che diventi lettera morta, nel qual caso essa si abroga da se stessa e dovrebbe venire pertanto formalmente abrogata dal Governo, nel timore che possa essere successivamente rimessa in uso per fini tirannici. Di fronte a queste sconcertanti situazioni, la miglior cosa da fare dal punto di vista dell'educazione è di far sapere ai ragazzi, appena siano capaci di comprenderlo, che le leggi e i credi sono mutevoli e non eterni, e che devono pertanto cambiare così come essi cambiano la nostra mente e il nostro spirito, ma che nello stesso tempo sono strumenti necessari di disciplina civile, e fattori indispensabili per quelli che noi chiamiamo "accordi tra gentiluomini", senza i quali è impossibile attuare una vita sociale.

Quando facciamo cambiamenti, bisogna stare attenti a non gettare il bambino fuori della finestra insieme con l'acqua del bagno. In Russia per esempio la reazione contro l'analfabetismo e la tirannia degli zar fu così intemperante che, quando fu messa in atto nella rivoluzione del 1917, andò troppo lontano. Fu decretata l'educazione gratis per tutti; ma l'autorità e la disciplina nelle scuole non erano efficienti. Una mentalità da bohémiens piccolo-borghesi, che fu creduta a torto una emancipazione proletaria, fu da principio all'ordine del giorno. Fu severamente vietato agli insegnanti, come lo è giustamente ancora adesso, di adottare metodi violenti come sistema di insegnamento; tuttavia l'urgente bisogno di una comune dottrina nell'educazione, e la cieca fede nell'onniscienza del suo profeta, furono tali che il Governo sovietico tentò di fare di ogni piccolo russo un perfetto filosofo marxista, così come stupidamente Eton tenta di fare di ogni ragazzo inglese un perfetto poeta latino, un teologo e un sommo matematico. Questo procedimento inumano, limitato a Eton a causa del suo costo alle classi plutocratiche, professioniste e baronali, fu imposto in Russia a tutta la popolazione. Non sorprende che negli ultimi anni sia stata ristabilita la disciplina nelle scuole russe e che, sebbene ciò che noi chiamiamo l'educazione secondaria sia fornita gratis a coloro che dimostrano di esservi adatti, l'educazione letteraria se la debbano pagare coloro che pensano ne valga la pena. Insegnare la dialettica marxista o il modo di comporre versi latini a ragazzi, che dovrebbero invece imparare un'arte e un mestiere, è dannoso e rovinoso così come l'insegnare l'arte del commercio o un altro mestiere a quegli scolari che hanno disposizione per la matematica, la storia o le lingue, ma che dal punto di vista manuale non vanno al di là del saper appuntare un lapis o allacciarsi le scarpe. Gli educatori che pensano si debba insegnare tutto a tutti sono cattivi educatori, così come lo sono ugualmente quei "praticoni" della parte opposta che pensano sia sufficiente insegnare alla gente la procedura tecnica dei commerci e delle professioni, che devono servire per vivere. Una simile educazione può produrre ottimi automi, ma non produrrà mai cittadini.

Vi è tuttavia qualcosa di giusto nella teoria che tutti dovrebbero imparare tutto. Noi dobbiamo considerare sia le inclinazioni sia le capacità; saremmo infatti selvaggi se sapessimo soltanto quelle cose che sappiamo fare bene. Molti hanno una forte inclinazione intellettuale e nessuna capacità creativa intellettuale; essi leggono tutti i trattati filosofici che capitano nelle loro mani, senza essere però capaci di produrre un solo sillogismo originale, mentre altri, che non sanno né leggere né scrivere, sono all'atto pratico abili dialettici. Migliaia di persone pagano per vedere incontri di football e campionati di pugilato senza aver mai tirato un calcio a una palla e avere calzato un guanto da pugilatore. Altri si dilettano di musica, senza saper suonare uno strumento e scrivere una nota. Essi sanno tutto sulle loro arti e sport favoriti, mentre i più famosi professionisti non sanno altro che esercitarli. Tenni una volta un discorso in una pubblica riunione, alla quale era presente, anche come oratore, uno dei più famosi compositori inglesi. Egli sorprese l'uditorio dicendo: «Shaw conosce molto meglio la musica di me». A un giovane musicista che gli aveva chiesto lezioni di armonia e di contrappunto, egli rispose che non sapeva niente di tutto ciò. Io, a esempio, mi guadagno da mangiare scrivendo commedie per gente che non saprebbe scrivere una riga di dialogo drammatico neppure se dovesse con questo salvarsi l'anima, sebbene molti tra costoro ne sappiano dieci volte più di me sulla letteratura drammatica mondiale. Dobbiamo quindi coltivare le inclinazioni di milioni di spettatori, ascoltatori, conoscitori, critici e dilettanti, ovverossia degli amatori, così come le capacità dei professionisti nati. Vi è allora un minimo irriducibile nell'educazione estetica come vi è nell'educazione elementare? Concesso che l'insegnare musica a un ragazzo sordo e pittura a uno cieco significhi perdere tempo, fino a che punto dobbiamo occuparci di ogni ragazzo che ha in potenza un orecchio come Handel, un modo di vedere come Raffaello, che sa parlare e scrivere come Omero e Shakespeare, in considerazione del fatto che tali prodigi capitano al mondo forse una volta in molte generazioni? Siamo tentati di rispondere «non occupiamocene affatto», ma ci fermiamo però di fronte alla considerazione che il valore dei geni, quando capitano, è tale e dura per tanti anni che a tutti dovrebbe essere data la possibilità di raggiungere i più elevati gradi della creazione. La povertà, l'ignoranza, il lavoro duro, la fame e lo squallore estingueranno infatti l'ingegno e impediranno la manifestazione del genio; una tale estinzione si verifica sempre, ovunque il novanta per cento della popolazione sia formata di proletari. Owen Meredith (il primo conte di Lytton) proclamò che «il genio è il padrone dell'uomo; il genio fa quello che deve; l'ingegno fa quello che può»; e certo, nonostante la schiavitù, il servaggio e il proletariato, l'antica Grecia produsse Fidia e Prassitele, Eschilo e Sofocle, Aristofane ed Euripide; l'Italia produsse Michelangelo e Raffaello, Tiziano e Tintoretto; l'Inghilterra Shakespeare; la Germania Goethe; la Norvegia Ibsen e l'Irlanda me stesso, per non parlare dei grandi compositori che hanno portato la musica a sommità celesti. Ma nessuno di essi provenne dai poveri analfabeti. Sbarazziamoci della maledizione della povertà, e la possibilità di avere geni fecondi sarà moltiplicata per dieci.

La teoria di educare ogni Jack e Jill in modo tale che diventino geni è quindi troppo stupida per essere discussa. Il genio troverà la sua strada, se parte bene; e una volta che la partenza sia per lui assicurata, egli non ha bisogno di mescolarsi con le autorità accademiche. Ma se l'educazione non si deve impicciare di Beethoven o Michelangelo o Shakespeare, ciò non significa che essa non debba occuparsi di musica, pittura e letteratura. Ci fu un'epoca in cui, se il reddito nazionale fosse stato equamente distribuito, ogni adulto abile al lavoro avrebbe dovuto dedicare tutta la vita a produrre di che sostenersi. Ma ora che abbiamo le macchine al posto del lavoro muscolare, e sappiamo come estrarre l'azoto dall'aria, l'ossigeno e l'idrogeno dall'acqua, e l'energia motrice dal vento, dalle onde e dalle maree, basterebbe un'organizzazione politica sensata per far sì che, fruendo di cinque mezze feste e due feste intere la settimana, noi si vivesse molto meglio di quanto si sia fatto finora, costretti come siamo a sfruttare ogni ritaglio di tempo libero per lavorare. Pure è da notare che tali risorse si possono distribuire in vari modi. Il novanta per cento della popolazione può fare il cento per cento del lavoro totale senza godere di alcun tempo libero, affinché il restante dieci per cento disponga al cento per cento del tempo libero disponibile. Ma il tempo libero senza un'adeguata educazione estetica è una vera rovina. Cosa facciamo infatti quando ci troviamo ad avere mucchi di denaro e la mente incolta e sprovveduta? Ci diamo esclusivamente ai piaceri del mangiare, del bere, dell'ebbrezza procurata mediante droghe, dei rapporti sessuali, del combattimento, della caccia, dell'uccidere, del gioco d'azzardo, del vestirci in maniera sfarzosa, e di esercitare l'autorità ed esigere deferenza e adorazione per se stesse. Il defunto Henry Salt, un famoso umanitario shelleyano che iniziò la sua carriera come insegnante a Eton, intitolò la sua autobiografia "Settant'anni fra i Selvaggi".

Naturalmente questa era una denuncia esagerata, come devono esserlo tutte le denunce se vogliono destare un'attenzione qualsiasi. Le persone che hanno tempo libero a disposizione sono veri fuchi nell'alveare; ma sono pur sempre esseri umani vivi, e come tali sono sospinte dai loro stimoli vitali a dominare la propria situazione e a conoscere la propria natura, anche se gli unici incentivi esterni che agiscano su di loro sono quelli del piacere. Per le migliori di queste persone la pura ricerca del piacere è tediosa, seccante e vana. Eppure anche qui lo statista deve tener conto del giudizio di Salt; perché, quand'anche sia impossibile trovare un singolo selvaggio fatto e finito tra i monopolizzatori dell'ozio, è pur vero che tale classe di persone vota sempre con una mentalità da selvaggi, e che le loro istituzioni sono barbare. In particolare i privilegiati dell'ozio hanno i loro gruppi musicali, compagnie drammatiche, gruppi letterari, sportivi e politici; ma nella massa odiano l'intelletto, disprezzano l'arte come raffinatezza invece di valutarla appunto per questo, e iniziano i loro figli ai misteri dello sport insudiciando le loro facce col sangue delle volpi ammazzate durante le cacce. Essi sono a favore dell'impero e non della repubblica, della guerra e non della pace, del sensazionale piuttosto che del quieto vivere, del privilegio e non dell'uguaglianza; in breve di tutto ciò che è selvaggio e contro la civiltà. A loro volta i lavoratori, nelle loro feste e mezze feste, li imitano ancor più selvaggiamente, poiché non soltanto sono senza educazione estetica, ma vivono brutte vite in brutti quartieri. Il sostantivo esteta, nella rara misura con cui è ora usato o anche conosciuto, è un termine di sarcastico disprezzo. La teoria che l'ozio distruggerà una nazione che non sia una nazione di esteti sembra troppo ridicola per essere discussa. Cionondimeno essa è una sentenza così saggia e importante che devo differirne l'esame al momento in cui tratterò della salute pubblica nel quadro della Scienza. Quando si è governati da persone sufficientemente traviate da credere che il massimo bene in terra o in cielo sia la vita del dolce far niente, non s'insegna alla gente ciò che i loro governanti non desiderano che essi sappiano e che loro stessi non sanno. Ma vi sono ignoranze che, essendo contro tutti gli interessi plutocratici e proletari, sono veramente stupide. Si insegna ai nostri bambini come devono indossare i loro vestiti e abbottonarseli, come si usano il coltello e la forchetta; ma non si insegna loro mai come devono nutrirsi. Le persone grandi, che hanno fatto tutte le scuole e hanno preso la loro laurea, credono di non poter vivere senza mangiare carne e bere alcool. Essi vanno in farmacia e comprano e inghiottono pasticche delle più velenose droghe senza alcun timore, come se comprassero e inghiottissero dolci dal pasticciere, come quando erano bambini. Essi apprendono l'esistenza di queste droghe dai dottori che le prescrivono loro con la stessa indifferenza con cui potrebbero prescrivere pesce, carne, pollo, vino e champagne. Sono passati circa 50 anni da quando un consulto di dottori assicurò che se non mangiavo carne sarei morto di fame; e i dottori continuano a seguire ancora lo stesso metodo, come se tutti i vegetariani, compreso me, fossero morti nel frattempo di fame. Mi ricordo di un simposio di eminenti fisici che decisero, con grande serietà, che l'alcool sotto la forma di bevanda distillata e fermentata è un indispensabile fattore della dieta umana.

L'istruzione sulle questioni sessuali è altrettanto importante dell'istruzione sui cibi da mangiare, tuttavia non soltanto non si insegna ai nostri adolescenti la fisiologia del sesso, ma non li si avverte neppure che può esistere la più forte attrazione sessuale tra persone che sono invece così incompatibili nei gusti e nei caratteri, che non potrebbero vivere insieme più di una settimana e che quindi non dovrebbero sposarsi, anche se i loro discendenti, che sono il fine a cui mira la natura, potessero essere dal punto di vista eugenetico di prima qualità e quindi la loro unione sotto questo punto di vista fosse altamente desiderabile. Non li si mette neppure in guardia contro le malattie veneree, e quando ne restano contagiati l'unica cosa che possono dire è «perché non mi è stato detto?». Tutti questi fatti vengono soppressi per la paura delle immorali conclusioni che se ne potrebbero trarre. Quand'anche si dimentichi il motivo della soppressione, questa sussiste sempre come abitudine e come "tabù". I "tabù" sono spietatamente rafforzati senza essere capiti e provocano finalmente una rivolta contro di sé, sebbene sia scientificamente dimostrato che alcuni dei primitivi impulsi, che esistevano prima dell'invenzione della parola, rimangono ancora innominabili, e dovrebbero pertanto essere soddisfatti in silenzio. L'"Epipsychidion" di Shelley è un meraviglioso sforzo fatto da un gran maestro della parola per dire ciò che non deve essere nominato; ma il risultato è una rapsodia di sciocchezze, che non ha alcun riferimento con la storia naturale.

L'uomo di Stato, trovandosi alle prese con gente di testa dura che chiede che ai propri figli debbano essere insegnati fatti e non favole, e con altri che chiedono che ai loro figli debbano essere raccontate soltanto favole, mentre tutti i fatti devono essere loro accuratamente nascosti, s'accorge subito (se è capace di imparare dall'esperienza) che le verità devono essere riservate alla gente capace di digerirle, e che questa capacità varia non soltanto da individuo a individuo, ma anche da età a età. Si accorge inoltre che, quando si sostituiscono alle favolose cicogne e ai cavoli i fatti reali, quanto più stupide sono le favole tanto più facilmente saranno messe da parte, quando la verità viene discussa senza portare il bambino al di là della sua capacità di comprensione.

Ho già scritto molte altre cose nei riguardi della scuola, specialmente nelle prefazioni alle mie commedie "Misalliance" e "Heartbreak House", e non c'è bisogno che le ripeta qui. Le scuole ai miei tempi erano prigioni, e lo sono tuttora, con strumenti di tortura e relativi esecutori. Le prigioni e le torture dovrebbero essere completamente abolite nella normale vita dei ragazzi così come lo sono nella normale vita degli adulti. La vita del bambino dovrebbe essere organizzata in vari gruppi di età, così da creare fra i bambini una forte convinzione collettiva che vi siano cose che ognuno deve imparare e conoscere. L'opinione pubblica, ben lungi dal non esistere tra i ragazzi, è così tirannica che bisogna contenerla piuttosto che lasciarle sfogo. L'insegnamento dovrebbe portare non libri di premio e medaglie, ma privilegi e libertà, posizioni e guadagni; soltanto in questo modo infatti possiamo educare i bambini come cittadini. Gli esami con graduatoria finale dovrebbero essere aboliti, poiché danno ai competitori un interesse all'ignoranza e alle deficienze reciproche e collegano il successo all'idea di sopraffare il compagno. La competizione dovrebbe svolgersi tra squadre, poiché in questo modo si incitano i loro membri a dividere la loro istruzione e ad aiutarsi reciprocamente.

Ho incluso fra gli incentivi il guadagno; bisognerebbe infatti cominciare ad abituare presto i ragazzi a guadagnare e a provvedere ai loro bisogni coi loro guadagni. I ragazzi dovrebbero avere regolarmente del denaro spicciolo e non dovrebbero essere gettati nel mondo senza nessuna pratica nel trovare da loro stessi un modo di guadagnarsi la vita. Tutto ciò significa che i ragazzi dovrebbero vivere in una società organizzata con diritti e doveri, ed essere allevati non come beniamini di casa e neanche come schiavi. Quando sono grandi, devono essere sorvegliati. Alcuni di essi dovrebbero essere eliminati come idioti congeniti e incurabili o come criminali, e tutti dovrebbero rispettare la polizia e imparare che, se non si adattano a vivere in una società civile, non sarà loro permesso di vivere; essi non dovrebbero però considerare i genitori e i maestri come ufficiali di polizia, giudici ed esecutori. Le case, le famiglie e le scuole non dovrebbero essere case di lavoro e prigioni. I ragazzi dovrebbero essere educati a vivere con maggior larghezza e non alienati in una servitù penale a vita.

L'educazione non riguarda soltanto la giovinezza. Io ho 88 anni e ho ancora molte cose da imparare, sebbene la mia capacità sia ormai molto limitata. NOTE. NOTA 1: Gioco di parole: "Badman" = uomo cattivo; "Goodman" = uomo buono.

22. L'ESTETA
Almroth Wright, anzi sir Almroth Wright, K. B. E., fondatore della teoria estetica dell'igiene, molto noto come batteriologo, fisico e filologo, disse del tutto casualmente nel corso di una discussione che fece seguito a un mio discorso: «Io credo che l'effetto dell'igiene sia estetico», e, dopo aver così aperto una nuova epoca nella teoria dell'igiene, si mise di nuovo a sedere e non ci pensò più sopra. Ma io ci pensai a lungo. Non riuscii comunque a persuaderlo dell'importanza della sua scoperta più di quanto Halley poté persuadere Newton che la sua invenzione del calcolo infinitesimale tornava a suo grande onore e che sarebbe stata di enorme valore per i matematici. Non vi era quindi altro da fare che rubargli l'idea, e non sarebbe stata la prima volta che capitava un fatto del genere. E' senza dubbio vantaggioso conoscere un uomo che ha scoperto la pietra filosofale e che non conosce il valore dell'oro.

Trecentosessant'anni fa o circa, Shakespeare ci mise in guardia contro le persone che non hanno nel loro animo un po' di sentimento musicale. «Non fidatevi di un uomo del genere» egli disse enfaticamente, e definì un individuo siffatto capace soltanto di tradimenti, di inganni e di ladrocini. Questa dichiarazione audace, ma profondamente scientifica, è a prima vista allarmante. Un vecchio giudice di Tribunale di carattere molto duro, avendo preso in mano un libretto d'opera nel corso di un processo in cui ero interessato, lo mise da parte osservando che esso non significava nulla per lui. Il dottor Inge, il più grande decano di San Paolo, è così "antimusicale" che, riferendosi alla musica che veniva suonata nella cattedrale, espresse i suoi dubbi sul fatto che l'Onnipossente potesse godere di tale «continua serenata». Uomini di primo piano sono rimasti insensibili di fronte alla musica e alla pittura. Ma i loro casi non provano niente se non che non piacevano loro alcuni particolari tipi di musica. William Morris, uno dei più grandi e competenti musicisti del diciannovesimo secolo, odiava il moderno pianoforte a coda e non ne voleva nella sua casa. Mozart odiava il flauto. Il cattivo jazz, suonato con buoni strumenti deliberatamente diminuiti nella loro funzione da ridicole contrazioni meccaniche, spinge le persone amanti di musica a chiudere gli apparecchi radio. Il più snervante frastuono musicale che abbia mai sentito fu quello di un ottimo organo in un cinema di Cape Town, suonato in continuazione con tutte le canne aperte. Questi esempi non contraddicono quanto ha dichiarato Shakespeare. Il dottor Inge è particolarmente suscettibile al Vangelo di san Giovanni, la cui traduzione inglese lo lascia incantato per la musicalità delle sue parole. Morris, mentre stava lì lì per morire, si commosse al suono di una vecchia musica che non era suonata da un grande organo da concerti, ma era eseguita nel modo come lui voleva. Posso testimoniare che egli sapeva cantare in maniera perfettamente intonata. Samuel Butler non apprezzava Beethoven (così come Chopin), ma andava pazzo per Handel. D'altronde, l'arte non è così a buon mercato da poter ottenere che sia amata in tutte le sue forme senza una educazione estetica. Dopo l'insegnamento ricevuto nelle scuole medie e nelle università gli uomini restano ancora così ignoranti che, appena scoppia la guerra, si affannano subito dappertutto a chiudere le gallerie d'arte e i musei, a cominciare dal British Museum, per usarli come magazzini e uffici militari. Tuttavia anche questi filistei sono spesso molto sensibili alla poesia della natura e ai colori e suoni che sono con essa collegati; anche la più infelice scuola, prigione e morte dell'arte, sebbene non possa appendere quadri e permettere strumenti musicali, non può infatti precludere il cielo, le messi che maturano nei campi, gli alberi che cambiano di colore in autunno, il profumo dei fiori e la musica eolia dei venti. Né possono farlo le sporche scuole che imprigionano i bambini per 9 anni e li restituiscono alla vita senza che sappiano parlare correttamente l'inglese e sappiano leggere o scrivere se non per dovere, pur non riuscendo a privarli della gioia delle bande musicali, degli organi di strada, delle armoniche e delle canzoni. Anch'io dovrei classificare le persone insensibili a tutte queste impressioni estetiche deficienti pericolosi, così come già fece Shakespeare.

Aveva ragione Shakespeare di fare una così straordinaria dichiarazione? Aveva ragione Platone quando, usando la parola musica nel più ampio senso estetico senza limitazioni tecniche, considerò la musica una branca essenziale dell'educazione repubblicana? Vi è certamente una notevole differenza. Prendiamo il caso di John Ruskin. Egli era un laureato della università di Oxford e fu professore di estetica nella stessa università finché se ne andò sbattendo la porta quando essa permise la vivisezione come metodo di ricerca. Perché egli era così differente dai tipici laureati di Oxford e dai professori del suo tempo? Perché la sua capacità letteraria era tanto migliore della loro? Come mai egli riuscì a vederci chiaro nell'impostura pseudoscientifica che pur aveva convinto tutti così facilmente e nell'impostura economica che pur portò Gladstone a dichiarare che il sistema sociale del proprietario terriero, del contadino e del lavoratore agricolo era la base naturale, sana ed eterna della società, mentre Ruskin la denunciava con invettive al cui confronto le geremiadi di Karl Marx sembrano velati rimproveri da maestro di scuola elementare? La spiegazione è che i suoi genitori, invece di mandarlo alla scuola preparatoria e dopo a Eton o a Harrow, a Rugby o a Winchester per sbarazzarsi di lui, lo tennero a casa; gli fecero imparare la traduzione autorizzata della Bibbia verso per verso; e lo iniziarono alle glorie dell'arte europea invece che alle tradizioni delle "scuole pubbliche".

Io ho senza dubbio dei pregiudizi in questa materia; attribuisco infatti la mia eminenza intellettuale al fatto che sono stato molto meglio educato di coloro che sono usciti dalle scuole pubbliche e dalle università, per i quali invece sono un ignorante assoluto. Voglio dire con questo che, sebbene cominciassi col farmi una vasta cultura in fatto di musica sia inglese, sia tedesca e italiana, dal sedicesimo al diciannovesimo secolo, non leggendo libri ma ascoltandola e cantandola; sebbene conoscessi le nove sinfonie di Beethoven e le tre più grandi di Mozart così bene come conoscevo le ninne-nanne infantili; sebbene avessi guardato quadri e riproduzioni di quadri fino al punto che sapevo riconoscere con un solo sguardo lo stile dei più grandi pittori, non sapevo tuttavia leggere le "Satire" di Giovenale in latino, poiché, nonostante la mia prigionia di vari anni in una scuola, dove nulla era considerato istruttivo se non il latino e il greco, non ero capace di leggere il più banale epitaffio latino senza dovermi inventare qualcosa, né scrivere una sola frase con lo stile di Cicerone. Posseggo la traduzione delle "Satire" a cura di Dryden e le ho esaminate sufficientemente a lungo per rendermi conto che non è possibile leggere più di una pagina di una simile massa di ignoranza, volgarità, cattive maniere e sudiciume; e sebbene, grazie soprattutto a Gilbert Murray, io conosca quanto basta del vecchio dramma greco e abbia imparato tutto quello che deve essere imparato di Omero e Virgilio da Lord Derby, Morris, Dryden e Salt, mi considero tuttavia fortunato che la mia mente in giovinezza sia stata colpita subito da Michelangelo e Handel, da Beethoven e Mozart, da Shakespeare e Dickens e loro simili, e non da compositori di versi latini e da giocatori di cricket.

Prendete il caso della storia, che ha una parte indispensabile nell'educazione del cittadino. Avete mai riflettuto sull'impossibilità di imparare la storia da una sequela di fatti nudi e crudi, esposti nell'ordine in cui sono avvenuti? Sarebbe come cercare di farsi un'idea di Londra dalle pagine di un elenco telefonico. La storia francese non era tra le materie della mia scuola; ma leggendo con grande mio divertimento i romanzi storici di Dumas padre mi feci un vivo prospetto della Francia dal sedicesimo al diciottesimo secolo, da Chicot a Cagliostro, dalla sottomissione della nobiltà da parte della monarchia sotto Richelieu alla Rivoluzione francese. Come Marlborough, avevo già imparato tutto quello che c'era da sapere sulla storia d'Inghilterra (da re Giovanni al suicidio finale dell'aristocrazia feudale inglese e alla sua soppressione da parte dei capitalisti sui campi di battaglia di Bosworth) dalle commedie storiche di Shakespeare. Aggiungendo a questi autori i romanzi di Walter Scott, riuscii a farmi un gusto per la storia e una conoscenza dei suoi personaggi e dei fatti relativi che mi resero reale e consistente la filosofia della storia, quando diventai grande. Macaulay non mi respinse affatto come storico, né Hegel o Marx mi annoiarono e mi disorientarono. Alla fine diventai anch'io uno storico. E scrissi una commedia intitolata "In good King Charles's golden days". Non posso dimostrare la verità dei fatti che vi avvengono, essendo assolutamente convinto che non avvennero mai; tuttavia chiunque legge o assiste a una rappresentazione della commedia non soltanto si divertirà, ma si farà anche una idea e una conoscenza della dinamica del regno di Charles; ovverossia delle forze politiche e personali che vi ebbero parte; e questo in maniera molto più efficace che se avesse studiato i nudi fatti al British Museum o nell'Archivio di Stato. Mentre per la maggior parte noi lasciamo la scuola risoluti a non aprire mai più un testo e a non pensare mai più a quegli strumenti di tortura, preferirei morire se mi accorgessi che l'effetto dei miei libri e delle mie commedie non spinge le persone per le quali essi furono scritti a comperarne un altro e poi ancora un altro, fintantoché li abbiano letti tutti.

Devo al fatto di essermi fin da bambino imbevuto della Bibbia, del "Pilgrim's Progress" e di Shakespeare nell'edizione illustrata di Cassel, se posso ora scrivere senza dover pensare al mio stile. Quando ero ragazzo, mi insegnarono a tenere la Bibbia in tale considerazione che quando un giorno, mentre stavo comperando un soldo di dolci in un piccolo negozio di Dublino, il negoziante strappò una pagina d'una Bibbia sgualcita per avvolgermeli, rimasi terrificato e mi aspettai di vederlo colpito dalla folgore. Ciò non toglie che presi ugualmente i dolci e me li mangiai; nella mia mente protestante infatti il commerciante, quale cattolico romano, prescindendo dall'episodio della Bibbia, sarebbe andato all'inferno ugualmente, e comunque non era affatto un gentiluomo. D'altra parte i dolci mi piacevano molto. Ero troppo bambino per giungere alla maturata conclusione che la ragione per cui potevo leggere e ricordare le storie della Bibbia e non leggere i libri di scuola era che le storie della Bibbia furono tradotte quando la letteratura inglese era al sommo della sua arte, in quanto i traduttori avevano creduto di anglicizzare le parole stesse di Dio.

Anche i poveri bambini diseredati che non possono leggere romanzi e poemi possono leggere Bunyan e la Bibbia come un pio dovere. Se non fosse ora per questa sacra eccezione, si potrebbe giudicare forse necessario di sterminarli. L'uomo di Stato deve perciò aver cura di liberarsi del comune pregiudizio di classificare l'educazione in religiosa e secolare. L'educazione che risalta, finita la scuola, è l'educazione estetica. Definizioni come educazione scientifica ed educazione secolare sono insulse stupidaggini; la scienza trascende queste piccole differenziazioni; educazione secolare significa poi insegnamento con la bacchetta invece che con un credo. Per gli uomini di Stato l'esatta classifica comprende l'educazione estetica e quella tecnica; ma per evitare il pericolo di diventare schiavi di queste definizioni, gli uomini di Stato farebbero forse meglio a dare un'occhiata alle opere del filosofo italiano Benedetto Croce, che aborre ogni classificazione.

Per essere introdotti nell'educazione estetica, che deve essere volontaria, è necessario cominciare con l'educazione tecnica, che deve essere obbligatoria. I libri che mi insegnarono qualcosa erano per me inaccessibili prima che imparassi a leggere e che potessi comperarne, privo com'ero di denaro e non sapendo come maneggiarlo. In qualche settore dell'educazione si può fare a meno dell'organizzazione. Uno può farsi una cultura nella pittura senza sapere cosa siano il cobalto e la gomma lacca e apprezzare Wagner senza conoscere la differenza che corre tra un bemolle e il piede di un bue; ma per occuparsi di letteratura bisogna sapere l'alfabeto e per far compere è necessario conoscere la moltiplicazione e la tavola pitagorica. La matematica, che costituisce anch'essa un regno di incantesimo, deve cominciare con la semplice aritmetica e si dovrebbe continuare a insegnarla fino al punto di mettere lo studente nelle condizioni di usare una macchina calcolatrice e le tavole dei logaritmi. Tutto questo non richiede necessariamente che si abbia una certa abilità nel risolvere le equazioni, ma soltanto una minima conoscenza di che cosa sia l'algebra. A scuola fui messo nelle condizioni di risolvere alcune operazioni algebriche, ma fui lasciato talmente ignorante circa la loro essenza che immaginai che a + b fosse un'abbreviazione per dire uova e prosciutto. Di conseguenza nei successivi venti o trenta anni gettai da parte le equazioni come inutili stupidaggini (lo possono testimoniare gli eminenti matematici Bertrand Russell e Karl Pearson) fintanto che un giorno J. L. Joynes, meravigliato della mia ignoranza, mi disse che a e b non significavano né uova e prosciutto, né cognac e Bibbia. Ma poiché era figlio di un famoso maestro di Eton e quindi istruito secondo quei sistemi, non mi disse che cosa significassero; e per me rimasero un mistero, fintantoché non lo scoprii da me stesso, quando nel corso del mio lavoro letterario presi il problema in seria considerazione.

E' evidente che la mia istruzione fu un completo fallimento e che quello che mi salvò fu l'educazione estetica che ricevetti fuori dalla scuola. La ragione per cui ne parlo qui come di una questione di importanza pubblica è che questo fenomeno è tipico della classe economica alla quale appartenevo, che può essere definita brevemente come quella costituita dai rampolli dei cadetti senza un soldo, e cioè da gentiluomini che non hanno i redditi dei gentiluomini. Essi non possono permettersi il lusso di mandare i loro figli alle "scuole pubbliche" e alle università, e perderebbero di tono se li mandassero a economiche scuole diurne private, dove non viene loro insegnato nulla, ma dove esistono doveri scolastici chiamati lezioni e di conseguenza si pretende di accertarsi se essi le hanno imparate a memoria; in caso negativo essi sono puniti, benché raramente in modo severo (ciò sarebbe troppo faticoso per gli esecutori e ripugnante a tutti eccetto che ai sadici nati) da far loro preferire di fare qualcosa di più confacente ai loro gusti e desideri. Gli insegnanti sono poco abili e mal preparati; le scolaresche troppo numerose. Mi ricordo che durante la lezione di storia sedevo in una fila di circa 50 ragazzi disposti in ordine alfabetico. Ogni giorno dovevamo studiare un capitolo. L'insegnante seguiva fino in fondo il capitolo e l'alfabeto, facendo domande sui fatti e sulle date che vi eran menzionati. Poiché il mio nome cominciava con la lettera S, potevo calcolare, con un errore al massimo di dieci righe, quale sarebbe stata la mia domanda. Ricordo ancora che, nel capitolo sulla guerra peninsulare, la risposta alla domanda che mi veniva sempre fatta era «la ritirata da Burgos». Sfruttando le dieci righe che avevo frettolosamente lette durante la lezione potevo anche permettermi di dare suggerimenti al mio vicino, nel caso in cui egli non fosse stato ugualmente diligente.

Sebbene ora io non possa negare che così facendo davo al mio nemico maestro una scusa per credere che avessi non solo sviscerato tutta la storia della guerra peninsulare, ma anche imparato che vi era stata una ritirata da Burgos, si può difficilmente affermare che stessi allora imparando la storia, mentre quando ero a casa e leggevo "Quentin Durward", "A tale of two cities", o "I tre moschettieri", la imparavo molto piacevolmente. E in quanto la presenza a scuola mi teneva lontano da questi libri per metà giornata, devo affermare che l'istruzione che ricevetti non soltanto non mi insegnò ciò che si era proposta di insegnarmi, ma mi permise di evitare di essere educato in un modo che mi fa ora andare in bestia, se penso a tutto quello che avrei potuto imparare a casa da me solo.

L'uomo di Stato, io ritengo, dovrebbe classificare le belle arti come una forza politica al pari, se non al disopra, della religione, della scienza, dell'educazione e del potere combattivo. Non abbiamo tuttavia ancora un ministro delle Belle Arti; e la nostra promiscua democrazia si trova di fronte a governanti che sono stati eletti dai voti di un corpo elettorale educato a considerare le belle arti come una materia così peccaminosa da consigliare di non insegnarne nulla. La situazione è salvata soltanto dall'impossibilità di realizzare una vita senza arte. Fortunatamente, coloro che non hanno mai guardato un quadro hanno però guardato un tramonto e un paesaggio e li hanno visti come li videro Turner e Constable. Anche i fanatici calvinisti, che cercano di eliminare ogni gioia dalla vita eccetto quella di fare denaro, non possono rinunziare alla musica, all'oratoria e alla letteratura nelle loro celebrazioni domenicali. Tali fanatici sono una minoranza. Le persone che possono occuparsi liberamente di belle arti, avendo i denari per farlo, indulgono a esse più che è possibile. I pianoforti a coda sono "di rigore" anche nei salotti dove non sono mai aperti: le madri cantano o dipingono ad acquerello, e romanzi sono sparsi in giro per tutta la casa. Anche nelle case di campagna dove gli unici divertimenti sono quelli di uccidere uccelli, animali e pesci, secondo un ordine fissato mese per mese, e dove si sporca la faccia dei ragazzi con il sangue della prima volpe uccisa durante una caccia, vi è la bellezza naturale e la gioia di cavalcare per la campagna, che è molto più estetica della gioia di ballare. Anche nel cacciare, il piacere non è nell'uccidere gli animali, ma nell'abilità artistica dell'operazione.

Ma sebbene non esista (neppure tra la gente che passa la maggior parte della sua vita nelle case da gioco, a tavola e a letto) una classe composta di tutti filistei, tuttavia è molto diffusa l'impressione che le belle arti siano narcisistiche, inutili, effeminate, impolitiche, non scientifiche e molto sospette dal punto di vista morale. Per la gente della classe agricola le belle arti sono una forma di dissolutezza e niente altro; sebbene, infatti, grazie alla radio, i lavoratori agricoli e i giardinieri non credano più, come facevano una volta, che le canzoni e le ballate siano segreti vergognosi a cui si adattano molto bene gesti osceni, e sebbene l'abilità nel cantare "Gently", "Johnny", "My Jingalo" o "The Seeds of love" non debba più essere celata come un illecito affare di amore, tuttavia, penso, questo cambiamento è piuttosto considerato come una maggior tolleranza dell'immoralità, che come un riconoscimento della santità della musica. La causa di questa errata concezione è abbastanza chiara. L'appropriazione della terra da parte di proprietari privati ha creato un proletariato e lo ha obbligato a lavorare per una infelice esistenza senza dargli mai un momento di riposo, una cultura, denaro, o vestiti che possano essere indossati senza vergogna nelle rappresentazioni artistiche o nelle gallerie di pittura. In queste condizioni, sebbene possano esserci persone a cui piacerebbe interessarsi di questo genere di arti per rendere la vita più sopportabile, queste non possono fare altro che intossicarsi di alcool e di tabacco (in misura tale da produrre una anestesia sufficiente per riuscire ad annegare la tristezza della povertà), scommettere alle corse dei cavalli e dei cani nella speranza di facili ricchezze, e soprattutto darsi ai rapporti sessuali, la quale cosa si è loro insegnato a nascondere come peccato originale. Così stando le cose, l'associare il piacere soltanto all'ubriachezza, al gioco e alla fornicazione, produce come effetto che i poveri proletari identificano il divertimento con il vizio e il peccato, e l'arte con ciò che è sporco e immorale. Inevitabilmente il povero proletario educa suo figlio come il suo cane, ossia con la frusta, e punisce le manifestazioni estetiche come manifestazioni di corruzione, rendendo in tal modo impossibile la realizzazione di una educazione estetica. Il rimedio è, senza dubbio, la disponibilità di tempo e il denaro. Quel soldato che, quando gli fui mostrato come esempio di temperanza, disse che ero un bugiardo, perché nessuno che avesse uno scellino in tasca poteva passare davanti a un'osteria senza entrarvi e bervi un liquore, era un prodotto della povertà e del continuo lavoro snervante, così come John Ruskin era il prodotto del comodo e del denaro. Una legge sui poveri che si preoccupi soltanto del vitto, dell'alloggio e del vestiario, senza pensare al divertimento e al denaro per i minuti piaceri, è dal punto di vista sociale imperfetta. Il francese che disse che poteva fare a meno delle necessità della vita purché gli restassero i suoi lussi era più saggio dei legislatori degli statuti dei poveri.

Una volta che l'uomo di Stato si sia reso conto che l'educazione liberale è estetica e l'educazione estetica è propaganda, egli non deve dimenticare che l'arte può fare del bene come del male. Nietzsche definì la nazione come un popolo che legge lo stesso giornale. Egli sarebbe potuto andare anche oltre i confini e definire i cattolici romani come la gente che guarda gli stessi quadri e le stesse immagini. Non posso figurarmi quello che avrebbe detto dell'invenzione del cinema, che porta per tutto il mondo gli stessi drammi e discorsi, e che ha fatto di Hollywood una città internazionale, che diffonde esteticamente la sua dottrina così come non poté mai fare nessuna Chiesa, e rendendo il cattolicesimo musulmano e tutto il resto una ben piccola cosa di fronte al vero cattolicesimo dei film.

La leggerezza politica, che lascia questa gigantesca macchina propagandistica e i suoi enormi profitti nelle mani di bande di speculatori americani, si trova ora di fronte a una nuova pericolosa forma di moralità popolare, quella dell'anarchia individualista temperata da cazzotti amministrati a furfanti armati di pistole automatiche da giovani uomini dall'aspetto per bene occupati a corteggiare giovani donne, che hanno creduto di rendersi più belle strappandosi le sopracciglia e rimpiazzandole con altre artificiali disegnate e situate in maniera più artistica. E' qualcosa di più di una coincidenza che, quando si dà il diritto di voto a persone che hanno la testa piena di siffatte stupidaggini, le vecchie guerre come si facevano tra tribù, nazioni, chiese e dinastie si trasformino rapidamente in guerre mondiali nelle quali i cazzotti sulla mascella sono rappresentati dallo scoppio di granate piene di alto esplosivo e le pistole automatiche da grossi carri armati.

Tutto questo significa che l'uomo di Stato si trova ad avere a che fare non soltanto coi semplici fatti di questo mondo, dei quali né lui né il popolo che egli governa possono mai avere una conoscenza vasta e aggiornata, ma con una terra fantasiosa creata e nutrita dalle finzioni di poeti e di romanzieri, illustrata e decorata da schizzettisti e disegnatori, resa viva e parlante da pittori, musicisti e oratori, e simulata nei teatri e nei cinema fino al punto che le sue fantastiche leggi di onore e disonore, di amore e odio, di lode e biasimo, di patriottismo e tradimento, di virilità e femminilità e di comportamento in genere, prendono il posto dell'osservazione e del ragionamento e fanno della democrazia una fantasia per la gente che sogna. E' questo che rende possibili pazzie come le guerre mondiali e crudeltà come i codici penali. E' questo che permette agli avventurieri politici e militari di essere venerati come messia e di portare milioni di uomini a rischiare inedia, ferite e morte nel tentativo di fare del loro paese il regno di Dio sulla terra, mettendo sul trono un piccolo mortale qualsiasi come se fosse Cristo sceso nuovamente sulla terra.

Stando così le cose, l'artista professionista non viene rispettato come tale, sebbene egli possa essere adulato e privilegiato; col chiamarsi artista egli si rovina infatti da se stesso. Lo scienziato che professa l'irresistibile onniscienza è invece preso sul serio a onta dell'evidente follia di tali pretese; ma l'artista che cerca di dar vita alle illusioni con la sua penna, il suo pennello, il suo spartito, sebbene possa raggiungere una fama duratura, non è mai posto sul trono, né viene obbedito e seguito fino alla morte da tutte le nazioni come accade invece agli avventurieri che mantengono le illusioni e le sfruttano. Paragonate la carriera di Fidia e di Pisistrato a quelle di Richard Wagner e di Adolf Hitler e vi accorgerete della differenza. L'artista onesto non pretende che le sue finzioni siano fatti; ma afferma, come faccio io, che è soltanto attraverso la finzione che i fatti possono essere resi istruttivi e anche intelligibili. Ma questo non è lo stesso che pretendere che essi non siano finzioni. Lavorare deliberatamente sulle credenze popolari che esse generano è uno dei trucchi della disonestà politica; ma è anche un'arte necessaria all'onestà politica; i pazzi devono essere infatti governati secondo la loro follia e non secondo una saggezza che non posseggono. Per praticare quest'arte, però, bisogna essere abbastanza realisti da saper vedere attraverso le illusioni romantiche e da conoscere i fatti nudi e crudi in misura maggiore di quanto non li conosca il signor Ognuno. Questa è la ragione per cui i Napoleoni sono poco numerosi quanto i Washington e gli Stalin.

Quando mi trovai per la prima volta con Anatole France, egli chiese chi fossi. Rispondendo da me stesso dissi: «Sono, come voi, un uomo di genio». Questa era una risposta, secondo le abitudini francesi, così immodesta che lo spinse a replicare: «Ah, bene; una cortigiana ha il diritto di chiamarsi mercante di piacere». Non ne restai offeso; infatti è vero che tutti gli artisti vivono come mercanti di piacere e non come profeti e filosofi; la somiglianza del caso della cortigiana non era nuovo all'autore della "Professione della signora Warren". Ma perché egli non disse «un pasticciere ha il diritto di chiamarsi mercante di piacere», il che sarebbe stato ugualmente vero? O un gioielliere? O un commerciante di uno delle centinaia di articoli che si trovano nei negozi e che non sono necessari alla vita e hanno soltanto un valore estetico? Questi paragoni sarebbero stati anche più giusti: la cortigiana, infatti, che abbia abbastanza cervello per sostenere questa teoria, non ricorre certamente alla giustificazione di Anatole France; la sua difesa davanti alla signora Grundy (nella commedia sopra citata) è infatti «Dovete a me e alle mie simili la purezza delle vostre figlie non ancora sposate». Essa sostiene che la soddisfazione sessuale non è una lussuria ma una necessità, che disdegna le condizioni restrittive a cui si attacca la signora Grundy. Da parte mia non posso sopportare di ammettere che sono un semplice mercante di piacere. Io uso il piacere datomi dalla mia arte facendo il commediografo per spingere la gente a leggere le mie commedie o a vederle rappresentare e permettermi con ciò di vivere; mi sono comunque accorto con molto disagio che vi sono scrittori bisognosi e superficiali che sfruttano i più vili piaceri dati dall'indecenza e dalla scurrilità, dalla profanità, dalla immoralità e dalla falsità per fare quattrini. Anche la migliore commedia deve avere quel tanto di eccitante per attirare il pubblico, anche se piccolo e scelto. Il nostro più grande autore drammatico, Shakespeare, dovette esercitare la sua arte «come piace a voi» per poter finire la sua carriera da signore di campagna dotato di un proprio stemma. Analogamente persone nate con la vocazione di fare l'attore non possono farne a meno, anche se la paga è minore di quella di un operaio e la pena comprende l'ignominia e la proscrizione come se si trattasse di furfanti o di vagabondi.

L'uomo di Stato si trova così di nuovo di fronte al problema: «Che cosa devo farne di questi mercanti di piacere?». La decisione di Cromwell fu di classificare i teatri come la porta dell'inferno e di rifiutarsi di tollerare in qualsiasi modo commedie e attori; ma poiché lui e i suoi amici puritani amavano la musica e cantavano gli inni, tollerò momentaneamente l'opera e il canto, non prevedendo che un giorno si sarebbe detto «che un tenore di opera non è un uomo, è un'afflizione» e che i castelli che egli stava distruggendo sarebbero stati ricostruiti dalle prime donne. I suoi soldati distrussero statue e bruciarono organi, soltanto per affrettare la nascita dell'orchestra di Wagner. I musulmani imbiancarono gli affreschi di Santa Sofia in obbedienza al secondo comandamento, e attualmente rimangono incantati davanti alle magiche vetrate della moschea del sultano Suleiman. Napoleone, per diventare un imperatore presentabile, dovette andare da un attore per imparare il modo di comportarsi. Un decano di San Paolo non permise che si dipingesse nella sua cattedrale l'asino sul quale Cristo entrò a Gerusalemme; ma in quel tempio vi è ora la statua di un cavallo con un cavaliere molto meno venerabile. Non è infatti possibile sopprimere le belle arti e interdire o sterminare coloro che le professano; lo si è provato e riprovato in tutti i modi possibili, ma non ci si è mai riusciti. Gli statisti sono obbligati a riconoscere che la fame di arte è inevitabile come la fame di pane. Sarebbe del tutto logico arguire che, poiché la fame porta a rubare e ad assassinare, bisognerebbe reprimere l'abitudine di mangiare, o almeno autorizzarla soltanto in condizioni molto miserevoli come si fece con la legge sui poveri nel 1832; ma i pronipoti della scuola di Manchester devono ammettere che il cibo deve essere distribuito a tutti, oziosi o industriosi, onesti o disonesti; anche i più sporchi filistei si stanno accorgendo che gli uomini privati di arte devono darsi all'alcool per rendersi la vita sopportabile.

L'arte, tuttavia, è al giorno d'oggi qualcosa di più di un semplice desiderio che l'umanità civile erediti dalle nostre primitive condizioni di selvaggi e a cui si possa essere costretti a rinunciare come altre simili eredità. Essa è diventata uno strumento di cultura, un metodo di insegnamento, una forma di scienza e una indispensabile aggiunta alla religione. Il commediografo, a esempio, non è soltanto uno che «castiga il costume mediante il ridicolo» e che «purifica l'animo mediante la pietà e il terrore» (queste sono le definizioni classiche) ma anche un biologo, un filosofo e un profeta. In particolare è stato sempre permesso agli autori di essere dei profeti e dei filosofi, quando le loro aspirazioni li portarono al di là del semplice commercio di piacere. Gli autori della Bibbia goderono di una suprema autorità scientifica e storica, fintantoché non si aprì una crepa tra i preti e gli scienziati seguaci di Bacone, crepa che si allargò di secolo in secolo fino a che l'arte e la scienza li schierarono in campi opposti e li portarono a una reciproca guerra di parole. Fu una guerra civile (condotta in modo molto poco civile); arte, scienza e religione sono infatti realmente identiche e inseparabili nelle loro fondamenta; e io, che nella mia giovinezza non volevo credere a niente di quello che insegnavano i preti e credevo invece a tutto quello che insegnavano gli scienziati professionisti, mi accorsi subito che la scienza professionale era giunta alla morte con il materialismo e il razionalismo e che, fintanto che questi non fossero stati messi da parte, era possibile progredire soltanto passando sui loro cadaveri. Io cominciai, come dovrebbero fare tutti gli artisti seri, a scrivere dei romanzi (il teatro era allora per me del tutto oscuro) e produssi cinque fiacchi esempi di questo genere d'arte. Scrissi i primi due, seguendo la dottrina scientifica di quel tempo, avendo impersonificato nell'eroe del secondo un completo razionalista di professione ingegnere elettrotecnico. Essendomi accorto che questa via non permetteva ulteriori sviluppi, la abbandonai del tutto deliberatamente e coscientemente e creai eroe del mio successivo romanzo un compositore musicale completamente stravagante, come Beethoven. Tutto questo deve essere rilevato non tanto come un personale incidente di Shaw, ma perché stava accadendo o stava per accadere in tutto il mondo.

Questo mutamento comportò non un abbandono della scienza, ma una sua estensione. Esso trovò che la selezione naturale di Darwin era interpretata dappertutto in maniera erronea come evoluzione, come lo è ancora adesso per coloro che non comprendono né la selezione naturale né l'evoluzione. Salvò così l'evoluzione dal neo-darwinismo (il darwinismo impazzito) e risuscitò l'evoluzione come una viva forza creativa.

Non seguii in un primo momento il cambiamento della linea di condotta, che avvenne nel 1881, perché la mia attenzione era presa dalla scienza economica di Henry George e perché nei successivi dieci anni mi ero buttato nel marxismo militante. Quando non scrissi più romanzi e, dopo un periodo di tempo in cui mi ero occupato di propaganda marxista e di critica giornalistica, intrapresi la risurrezione del dramma, i vecchi problemi biologici aspettavano ancora una nuova soluzione. In una complessa conferenza su Darwin esaminai il problema del male, problema che turbava sant'Agostino e soddisfaceva invece i darwinisti, perché era un'arma per attaccare Dio. Mi sbarazzai di tutta la massa di abitudini acquisite ed ereditate dal darwinismo col far rilevare che, poiché per un evoluzionista tutte le abitudini erano acquisite, la controversia non aveva ragione di esistere e che tutto ciò che era necessario chiarire era un più profondo studio della ereditarietà alla luce dell'embriologia. Questo avveniva trentasette anni fa; gli scienziati professionisti non sono ancora oggi arrivati al punto che io, professionista artista, avevo raggiunto nel 1906, sebbene il materiale scientifico che io avevo usato fosse stato scoperto da loro e non da me.

Quando la follia bambinesca dei nostri statisti culminò nell'orgia di uccisioni e di distruzioni, di morte e di dannazione, che si chiamò la guerra per finire le guerre, ma che è ora chiamata, nel fragore di un'altra guerra, la guerra dei Quattro Anni, scrissi non soltanto una commedia ma un ciclo di cinque commedie intitolate "Back to Methuselah". In questo ciclo, sei anni prima che fosse tradotto in inglese il trattato di Pavlov sui "Riflessi condizionati", affrontai il soggetto dei riflessi e lo portai fino al punto di prevedere gente altamente evoluta che si divertiva nella sua fanciullezza a fabbricare e a giocare con bambole che potevano declamare poesie e formulare credi atanasiani, e che sembravano vive come lo sono i nostri statisti, poeti, uomini politici e teologi, mentre in realtà stavano «passando attraverso una serie di riflessi». Questo significava andare oltre Weismann, che era il maniaco dei riflessi, e oltre quello che avrebbe osato Pavlov; ma poiché usai le comuni parole del linguaggio corrente e posi questa mia idea in una intelaiatura di evoluzione creativa aggressivamente vitale, essa non raggiunse l'effetto voluto nei laboratori. Io, che sono un artista filosofo, diffido dei metodi di laboratorio perché ciò che accade in laboratorio è combinato e prescritto. Le prove vengono combinate in precedenza, se poi i risultati non sono quelli previsti e calcolati, si modifica l'esperimento, fintanto che non provi quello che lo sperimentatore vuole che provi. Ma l'officina dell'artista è l'intero universo fino dove egli riesce a capirlo; qui egli non può né organizzare né prescrivere ciò che vi accade; può soltanto osservare e interpretare gli eventi che sono sotto il suo controllo. Un laboratorio può essere il paradiso di un pazzo o l'inferno di un pessimista; in ambedue i casi è fatto per dare ordini. La sua porta può chiudersi di fronte alla metafisica, che comprende la coscienza, il fine, la mente, l'evoluzione, la creazione, la scelta (libero arbitrio) e qualsiasi altra cosa che ci si pone di fronte nel mondo reale. Si può così pretendere che, poiché non vi è alcuna differenza chimica tra un corpo vivo e un morto, ma soltanto una differenza di comportamento, non vi è nessuna differenza. Nello stesso modo si possono spiegare tutti i fatti che sono incompatibili con il determinismo fisico come illusioni metafisiche. In breve il laboratorio può ridursi all'assurdità nel nome della scienza, laddove all'arte simili licenze non sono permesse.

Ma lo statista e l'elettore non debbono credere che un artista non possa essere un pazzo pericoloso quanto un ricercatore di laboratorio. L'arte di comporre quadri, statue, sinfonie, favole, sia narrative sia drammatiche, è del tutto controllata, selezionata, scelta e prescritta dall'artista nello stesso modo come lo è l'esperimento da laboratorio da parte dello scienziato. Essa è ugualmente soggetta ai suoi pregiudizi, alle sue ignoranze, alle sue sciocchezze e ancor più alla sua corruzione da parte del gusto del pubblico in base al fatto che «Quelli che vivono per piacere devono piacere per vivere». L'idolatria per gli artisti è altrettanto pericolosa che l'idolatria per gli scienziati. La loro istruzione è limitata, le loro ipotesi hanno del provvisorio, la loro ignoranza è senza limiti, e la loro intelligenza molto deficiente. Shakespeare sollevò un problema biologico quando dichiarò che «una divinità plasma i nostri fini, per quanto noi ci affanniamo a sbozzarli». Questo problema non fu certamente risolto da Darwin ma neppure da Shakespeare. Goethe seguì la soluzione evoluzionistica, ma non arrivò oltre la congettura. I progressi scientifici cominciano nella maggior parte dei casi come congetture, scherzi, paradossi, finzioni, superstizioni, imposture, incidenti e fattori irrilevanti di tutti i generi. Nessuno di questi è al disotto della percezione dello statista o al disopra del suo senso critico. Sebbene egli debba consultare molti specialisti egli deve tener presente che sono tutti fallibili. Molière si fece un'idea dell'efficacia delle sue commedie; ma era l'opinione del suo cuoco, non quella dell'Accademia francese. Egli era troppo avveduto per classificare il cuoco come analfabeta e l'Accademia come un letterato infallibile. Ogni classificazione, come Croce giustamente insiste nel dire, può fuorviare chiunque non abbia scrupolosamente meditato sui suoi limiti. Cartesio, proclamato ora padre della scuola fisica deterministica in base alle dottrine di Darwin, Weismann e Pavlov, potrebbe essere giustamente classificato come l'arcimetafisico in base al suo famoso detto «Penso, dunque sono».

Qualunque statista abbastanza ingenuo da fare assegnamento su queste caselle classificatorie può tenere in ordine le sue carte; ma la sua mente sarà quanto prima in grande disordine. E' conveniente allineare i pensatori in diverse file a seconda che sono scienziati, religiosi, artisti, filosofi, sociologi, uomini politici e così via, nello stesso modo come è conveniente allinearli quali pittori, scultori, falegnami, muratori, stagnini, ritualisti, quaccheri, conservatori, liberali, dottrinari, scienziati cristiani, medici allopatici, omeopatici o imbroglioni. In queste classificazioni Cartesio apparirebbe molto distante dalla signora Baker Eddy; tuttavia il «penso di essere malata, quindi sono malata» della signora Eddy è così prossimo a Cartesio come la lettera E è vicina alla lettera D. Gli uomini possono essere classificati dal punto di vista morale e intellettuale come stupidi e bugiardi; ma le persone che concludono che gli stupidi non fanno altro che sbagliare e i bugiardi altro che mentire sono vere calamità politiche. Newton fece talvolta errori ridicoli; Colombo prese l'America per la Cina; Titus Oates deve aver detto molte volte la verità, altrimenti non avrebbe potuto vivere. I cataloghi e gli archivi dello statista devono avere più riferimenti che numeri di protocollo; e se anche le sue conclusioni e le sue persuasioni arrivano del tutto improvvise, egli non deve essere portato ad aver pregiudizi contro di esse. Anche un maestro profondo come Gesù avvertì i suoi fedeli che la salvezza sarebbe potuta giungere a loro come un ladro nella notte.

Si ammette in genere che anche gli uomini buoni hanno le loro debolezze; ciò che invece si riconosce meno è che i furfanti possano avere i loro punti di onore. Artisti disposti a morire di fame piuttosto che violare la loro coscienza artistica, eretici che si fanno bruciar vivi o gettare ai leoni piuttosto di chiamare altare una tavola da comunione o di bruciare un granello di incenso davanti all'immagine della dèa Diana, possono essere individui poco scrupolosi nelle questioni di denaro e nei loro rapporti con le donne. Un'assoluta integrità intellettuale è impossibile al pari di un'assoluta integrità morale. Il più rigido razionalista, nei riguardi di un argomento, può ricorrere in altri campi a grezze congetture: i più esatti matematici tengono i loro conti in banca in grande disordine. I dottori che prescrivono diete scientifiche fumano, bevono e mangiano in misura che soltanto l'autoindulgenza può giustificare. Io curo molto l'ordine della mia stanza da letto, ma il mio studio è invece così disordinato che sebbene abbia disposto sistemi di cataloghi perdo sempre ore intere per cercare le mie carte. Quanto a me stesso, potete classificarmi secondo l'età, l'altezza, la lingua natia, il colore degli occhi, la lunghezza e la larghezza della testa, poiché questi fatti sono accertabili e misurabili; ma quando i critici e i biografi tentano di classificarmi come autore, allora mi viene da ridere. Io non mi adatto in nessuna casella di classificazione.

Tuttavia né noi né tanto meno gli statisti possiamo fare a meno di caselle classificatorie; gli statisti infatti devono legiferare, organizzare il lavoro della nazione e scegliere le persone adatte a preparare leggi e piani. Sebbene ogni individuo sia unico e differente dagli altri, le leggi non possono esser fatte per ogni individuo; perciò l'individuo deve adattarsi alla legge invece di avere una legge adattata a lui. Tuttavia se l'organizzazione nazionale deve essere efficiente, bisogna che non sia condotta da persone inadatte come pioli quadri in buchi tondi; per evitare questo inconveniente bisogna classificare pioli e buchi. Per fini privati è perfettamente inutile fare una classificazione degli esseri umani in donne e uomini: una donna che si sceglie un marito o un uomo che si sceglie una moglie debbono distinguere tra i più svariati temperamenti come gli egoisti e gli altruisti, gli autoritari e i docili, i turbolenti e i remissivi, gli avari e i prodighi, gli attenti e gli spensierati, i pacifici e i vendicativi, i chiusi di temperamento e i comunicativi, i buoni e i noiosi compagni e altri estremi che rendono i matrimoni così differenti; ma l'uomo di Stato non può fare tutto questo: egli deve regolare la vita delle persone col presupposto che per taluni fini, e fino a un certo punto per tutti i fini, uomini e donne siano tutti uguali, sebbene in realtà nessuno di essi sia uguale all'altro. Egli deve tirare una linea in queste classificazioni e perseguire o uccidere le persone che sono da una parte della linea, e incoraggiare e appoggiare quelle che sono dall'altra parte. Quando arriva poi a classificare gli artisti, accorgendosi che gli artisti sono i più efficaci propagandisti, deve decidere quali dottrine proibire e quali tollerare.

Se per esempio la Chiesa d'Inghilterra deve rimanere organizzata come lo è adesso, gli statisti possono dover rivedere il libro di preghiere che è pieno delle dottrine sull'espiazione mediante il sacrificio di sangue, sulla nascita partenogenetica, sulla divinità soprannaturale di Gesù e sulla sua identificazione con il vecchio idolo Jehovah, sulla vita eterna di tutti gli esseri umani in un paradiso o inferno materiale così come è stato descritto da Maometto e Dante, sull'accettazione della Bibbia come una enciclopedia moderna e infallibile e altre dottrine che i migliori elementi nel clero e tra i parrocchiani trovano incredibili o irragionevoli o socialmente dannose e talvolta tutte e tre le cose insieme.

Questo mette anche il più bravo sacerdote di fronte a una difficoltà che gli statisti devono egualmente affrontare. Ambedue devono non soltanto accertarsi della verità della scienza, ma anche governare e dirigere milioni di persone che non sono né a conoscenza delle più acute e recondite di queste verità né capaci di comprenderle quando vengono loro spiegate. Prendiamo il caso di Galileo. Si è detto di lui che, essendo un grande osservatore e un impavido ragionatore, fosse perseguitato da un gruppo di preti superstiziosi, ignoranti e di corte vedute. Questa è una volgarità protestante; Copernico aveva convinto il Vaticano e i più intelligenti preti italiani del fatto che, come Leonardo aveva immaginato, la terra è la luna del sole e non il centro dell'universo. Ma essi dovevano governare i loro greggi semplici e analfabeti non con le idee incomprensibili e apparentemente paradossali di Copernico e Galileo, bensì inculcando loro le storie infantili della Bibbia come se fossero infallibili verità, che venivano dalla mano stessa di Dio. Tra queste storie vi era quella di Giosuè che fermò il sole finché non ebbe vinta una delle sue battaglie. Se Galileo avesse detto alla gente che Giosuè avrebbe dovuto fermare la terra invece del sole e che quella storia era certo stata inventata da qualcuno che non doveva essere affatto simile a Dio data la sua grande ignoranza in astronomia, la loro fede sarebbe stata scossa; e il cristianesimo sarebbe finito in un'orgia di egoistica illegalità. Perciò essi dissero a Galileo: sappiamo bene come te che la terra si muove intorno al sole e non il sole intorno alla terra; ma non bisogna dirlo e non devi dirlo; Galileo, che era un uomo sensato, condivise il loro punto di vista e assicurò la gente di aver fatto un infelice sbaglio e che la Chiesa aveva sempre ragione. La gente, che sapeva che il sole si muoveva perché lo vedevano muoversi ogni giorno da oriente a occidente e sapeva che la terra era piatta perché quando si lasciava cadere un'arancia essa restava dove era caduta invece di rotolare come fa un pisello dal coperchio d'una pentola, si ritenne soddisfatta e si sarebbe radunata in folla per vedere bruciar vivo Galileo, se egli avesse insistito nel sostenere quello che si riteneva fosse una stupidaggine e una bestemmia.

Quando la verità si fece strada, avvenne ciò che i preti temevano. La ricerca della grazia dette adito alla ricerca dei profitti commerciali e Manchester soppiantò Roma come quartier generale della civiltà. Ma la gente sa ancora così poco delle teorie di Adam Smith e di David Ricardo quanto il popolo italiano sa di Tommaso d'Aquino e di Aristotele; e gli statisti che devono governare i popoli di ambedue i paesi, sebbene non abbiano più bisogno di finger di credere che la terra sia piatta e che il sole si muova intorno a essa, sono tuttavia ancora obbligati a dar credito a romantici spropositi resi popolari dalle opere d'arte prodotte da poeti, commediografi, romanzieri e storici. «La storia» disse Henry Ford «è vanità.» In parte è vero; tuttavia i nostri oratori politici quando parlano devono tenerla presente e quando sono al potere devono perseguitare i realisti (a esempio i marxisti) come se fossero eretici perché dicono la verità, così come fecero i preti e i papi nei riguardi di Copernico. Ma gli artisti marxisti sono ispirati a creare le utopie comuniste, a dipingere quadri che esaltano il lavoro e a comporre sinfonie che esprimono l'entusiasmo rivoluzionario. Tutte queste opere a loro volta produrranno una pubblica opinione che sarà appoggiata dagli uomini politici di carriera e che i governanti devono sfruttare, se vogliono tenere il popolo nelle loro mani. In quanto ai veri capi, che possono mantenersi al potere soltanto cambiando l'opinione pubblica, devono anche usare le belle arti per far sì che la gente li ascolti e si lasci persuadere da loro.

Vediamo quindi che è dovere dell'uomo di Stato andar contro ogni atteggiamento antisociale e che l'atteggiamento dell'artista è il più infettivo di tutti e può essere pericolosamente antisociale. Cosa deve fare l'uomo di Stato per adempiere a questo dovere? In che modo deve mettere al bando l'arte dannosa e incoraggiare quella sana? Nell'industria egli sconfigge l'imprenditore antisociale con le leggi sulle fabbriche, mandando nelle fabbriche e nelle officine degli ispettori che ordinino agli imprenditori di fare alcune cose e di non farne altre. Ogni imprenditore che non sappia sottostare a queste condizioni, deve trovarsi qualche altra occupazione più adatta alla sua incapacità. In breve, l'imprenditore è moralmente regolato da una legge del Parlamento. Possiamo fare analogamente per l'artista?

I nostri elettori, ignoranti e senza esperienza, e i loro rappresentanti credono che sia molto facile risolvere questo arduo compito. Basta controllare le opere d'arte e se queste sono sconvenienti mandarle alla polizia. Il magistrato può farle bruciare. Molti libri e quadri pornografici sono stati distrutti in questo modo; e anche qualche classico ha fatto la stessa fine. Qualche volta anche gli scrittori di libri sono stati bruciati. Ora questo metodo rapido e violento, che ha fatto tanto per rendere più umane le nostre fabbriche e per eliminare la sozzura dalle arti, e che è abbastanza semplice allorché si tratta soltanto di semplice sozzura, fallisce assai meschinamente quando si trova di fronte a quelle più alte opere d'arte, che sono le più importanti di tutte, che, come strumenti di evoluzione, osano criticare l'opinione pubblica e le istituzioni esistenti. Io stesso fui per molti anni considerato un pericoloso ricattatore e danneggiato nella reputazione e nella tasca, perché ho utilizzato la mia arte per esporre le vere origini della prostituzione e più tardi mostrai come una prostituta e un ladro, ambedue professati nemici della moralità e schernitori della religione, furono presi e convertiti dalla propria coscienza - parlando in termini teologici dallo Spirito Santo - e «salvati».

Io non fui l'unica vittima. Shelley, Ibsen, Tolstòi, Maeterlinck e Brieux divisero la mia sorte, mentre scrittori le cui commedie non arrivavano al livello di quello che sono i rapporti di istruttorie nelle corti di polizia e nei tribunali dei divorzi, furono solidamente protetti da certificati di correttezza rilasciati dai censori al costo di due ghinee per commedia. Questa assurdità fu causata dal fatto che, quando sorge il problema di rendere morale l'arte, il primo espediente che si trova - resisto alla tentazione di dire: il primo pensiero che viene in testa a un imbecille - è di nominare un censore per esaminare tutte le opere d'arte e decidere se debbano essere rese pubbliche e perfino se sia permesso loro di esistere. La censura si basa in genere unicamente su fatti: è facile per la gente sciocca dire che tutto ciò che si deve fare è di trovare un censore che combini in sé la saggezza, l'istruzione e la sollecitudine per il benessere umano del Vaticano, del Comitato giudiziale della Camera dei Lords, degli Episcopati di tutte le Chiese con l'onniscienza della Santa Trinità, e di mettere le belle arti sotto il suo pollice. L'uomo di Stato, incapace di trovare una simile persona, e abituato per educazione a classificare gli artisti come indesiderabili "bohémiens", soddisfa alla richiesta affidando questo lavoro a un impiegato di seconda categoria con un salario annuo di due o trecento sterline o meno. Questo impiegato, riconoscendo che le sue doti mentali non sono adatte ai suoi doveri di giudice, fa una nota delle parole che non devono essere usate e dei soggetti che, essendo controversi, non devono essere trattati da persone frivole quali si ritiene siano gli artisti. I soggetti sono evidentemente la religione, il sesso e la politica. Così avvenne che un censore americano di religione cattolica romana, molto temuto a Hollywood, esaminando una mia commedia intitolata "St. Joan", trovò che vi era in essa la parola «aureola» e la fece censurare, essendo religiosa. E siccome l'eroina di quel dramma a un certo punto osserva che i soldati sono spesso amanti dei bambini, anche questo passo dovette essere purgato, perché i bambini in fin dei conti hanno a che fare col sesso (1). E così via, fintantoché non restò nulla di intelligibile della commedia che, sebbene non tocchi argomenti sessuali, è piena di religione e di politica. Poiché questa censura clericale negli Stati Uniti non può fare nulla per sostenere il suo giudizio se non esortare tutti i cattolici americani (venti milioni) a starsene lontani dai divertimenti che essa disapprova, e poiché i cattolici romani nei vari Stati sono meno di un settimo della popolazione e commettono come i protestanti gli stessi peccati che la loro Chiesa proibisce, io posso permettermi di non farci caso; ma nelle isole britanniche le commedie possono essere soppresse dai commissari locali di polizia e per tutta la nazione dal Lord Ciambellano su parere dei "lettori del re", che hanno modesti salari. Per colpa loro ho dovuto subire notevoli danni, come ho già detto, per commedie che ora sono state autorizzate da alcuni intelligenti Lords Ciambellani che hanno superato le follie dei loro lettori. Il loro predecessore, per causa del quale dovetti soffrire quel danno, è ricordato per due sue espressioni «Io non sono un lavoratore agricolo» e «Chi è Tolstòi?».

La prima commedia che mi mise nei pasticci richiamò l'attenzione per il fatto che la prostituzione, che si credeva derivasse dalle tendenze viziose delle donne sessualmente prive di controllo e dei loro clienti maschili, era invece un fenomeno economico prodotto dalle paghe eccessivamente basse delle donne oneste e dalle paghe molto elevate delle prostitute, così che una povera donna che avesse qualche lato attraente doveva vendersi nelle strade piuttosto che fare un faticoso e miserabile lavoro di 16 ore al giorno a due pence l'ora in una sartoria, o rischiare l'avvelenamento per fosforo in una fabbrica di fiammiferi a 5 scellini la settimana. Quanto fosse necessaria questa rivelazione si trovò alcuni anni dopo, allorché l'organizzazione internazionale della prostituzione, fatta da sfruttatori capitalisti, conosciuta come tratta delle bianche, divenne una tale tirannia che il Governo fu obbligato a prendere provvedimenti. E tutto quello che poté fare fu di emettere una legge che prescrive la fustigazione dei tenutari di bordelli, con il risultato che questo lucrativo monopolio passò nelle mani delle mezzane, come accadde alla signora Warren. Se la mia commedia non fosse stata soppressa dalla censura, il problema sarebbe stato capito meglio e il rimedio non sarebbe stato così meschinamente stupido.

Poiché so molto bene che è inutile denunciare un rimedio sbagliato senza trovarne uno giusto, e che l'unico rimedio contro la calunnia privilegiata è di smantellarla coi fatti, non urlai inutilmente sulle mie personali sventure. Feci rilevare che i music halls di Londra, che erano stati i ricettacoli di ogni genere di sporcizia, erano stati ripuliti e trasformati in decenti teatri di varietà, costringendo i proprietari a ottenere di anno in anno una licenza dal Consiglio di Contea di Londra e lasciandoli nello stesso tempo liberi di rappresentare tutto ciò che a loro piaceva per 12 mesi col rischio di perdere il diritto di esercizio alla fine dell'anno, se le loro rappresentazioni erano state abbastanza scandalose da convincere la maggioranza di una numerosa e sufficientemente rappresentativa autorità pubblica che essi non erano adatti al loro lavoro. Come al solito, avrei potuto risparmiare il mio fiato.

L'unico risultato fu l'abituale richiesta che impiegati a poche centinaia di sterline l'anno esercitassero una professione, che va al di là delle pretese dei più grandi santi e profeti, e munita di poteri che sono stati tolti ai re solo con due rivoluzioni. In Irlanda attualmente questi poteri sono amministrati da un signore ben intenzionato e patriottico, la cui idea è che, siccome l'80 per cento degli spettatori dei cinema irlandesi sono ragazzi, dovrebbero essere rappresentati soltanto spettacoli adatti a ragazzi. Poiché in Irlanda è stato abolito il divorzio, gli scrittori di commedie devono farne cenno soltanto per condannarlo e devono considerare i matrimoni come indissolubili, senza menzionare che ciò nondimeno essi devono essere frequentemente annullati. Questo è soltanto un esempio della lista ufficiale delle restrizioni che rendono impossibile la rappresentazione in Irlanda di commedie serie, salvo quelle meno intelligenti. Il censore locale suggerisce ufficiosamente di rappresentare drammi storici che trattino della vecchia storia d'Irlanda (secondo il suo punto di vista egli fu uno degli eroi della sollevazione del 1916). Poiché questa storia, sebbene romanticamente piacevole e capace di produrre buoni effetti nelle menti dei ragazzi, è, io calcolo, almeno per il 99 per cento falsa, essa non riesce a fornire quell'elemento di realismo e di rilievo critico comico, senza i quali la storia romanzata finisce nella delusione e nel cinismo. Don Chisciotte senza Sancio Panza ci avrebbe fatti diventare pazzi, come diventò lui stesso.

Coloro che soffrono di democrazia acuta sono fiancheggiati da una sinistra anarchica, che si oppone a ogni controllo governativo dell'arte, e da una destra che sostiene che tutto dovrebbe essere controllato dalle autorità che sono state elette dai voti di tutti. La destra è d'accordo nel riconoscere che i teatri dovrebbero essere controllati dai municipi. Ma questa sua idea è già realizzata nella presente censura con la sua assurdità complicata dalla impossibilità. Ho conosciuto gente abbastanza pazza da proporre che tutti i libri e le commedie, prima di essere licenziati per la pubblicazione e la rappresentazione, dovrebbero essere letti da tutti i membri del municipio, e la concessione della licenza dovrebbe essere data con sistema di voto in assemblea plenaria. Non è venuto loro in mente che la lettura delle commedie e dei libri avrebbe occupato tutto il tempo dei membri del municipio, fino al punto da far loro trascurare tutti gli altri pubblici affari e, anche così, ciò avrebbe provocato un tale ritardo che avrebbe significato la morte di ogni pubblicazione e di ogni rappresentazione. Senza contare che le menti dei consiglieri municipali sarebbero rovinate dall'eccessiva lettura; specialmente per tutta la robaccia che verrebbe loro sottoposta.

Non bisogna d'altronde supporre che l'abbandono di tutti questi espedienti potrebbe lasciare il dramma libero di esercitarsi come meglio crede. Lo metterebbe soltanto nelle mani della polizia. Negli Stati Uniti, dove non esiste censura statale, la polizia arresta talvolta l'intera compagnia per la rappresentazione di commedie che sono considerate discutibili da qualche pio commissario conservatore e contro le quali si sono levate proteste nella stampa, come nel caso degli "Spettri" di Ibsen. Questa è la ragione per cui tutti i nostri amministratori teatrali appoggiano unanimemente la censura del Lord Ciambellano. La sua licenza, che costa soltanto due ghinee, li assicura contro l'intervento della polizia: o almeno essi credono che sia così. In tutti i modi essa dà loro il parere ufficiale di un esperto in una materia che non sono spesso in condizioni di giudicare. Essi possono cadere nel codice penale per oscenità, turpiloquio, sedizioni o per tenere una casa da tè. Poiché le conseguenze possono essere più serie del rifiuto di una licenza, essi, molto giustamente, preferiscono il rischio minore.

Ora, l'autore condivide questi stessi rischi eccetto quello di tenere una casa da tè. Non vi è censura per i libri; ma chiunque scrive e pubblica un libro fuori del normale rischia di farselo bruciare per ordine di un funzionario di polizia. Chiunque lo vende rischia la prigione e una fine rovinosa. Soltanto per il fatto di comprare il libro, possederlo, leggerlo o sentirlo leggere si può andare incontro a una pena di durata illimitata. La gente era abituata a essere deportata per leggere "L'età della ragione" di Paine e il "Queen Mab", di Shelley. Per aver approvato il libro di Charles Darwin sulla selezione naturale, un insegnante degli Stati Uniti fu perseguitato in base al fatto che il libro, essendo contrario alla Sacra Scrittura, è da condannarsi; in Inghilterra non vi è nulla che possa evitare una simile procedura da un momento all'altro. Durante la guerra dei Quattro Anni fu sollevata molto logicamente la questione se il Nuovo Testamento, inopportunamente citato da un vescovo, non fosse un libro sedizioso. Fintantoché questi provvedimenti sono legalmente possibili nulla può garantire un autore contro la loro applicazione, se ha qualcosa di nuovo da dire. Di conseguenza non soltanto gli amministratori teatrali, quali uomini di affari, sono molto favorevoli alla censura, ma gli stessi autori, anche quando hanno qualcosa di nuovo da dire, hanno meno paura del censore che del commissario di polizia, del pubblico accusatore e del delatore. Sarei anch'io favorevole alla censura se credessi, come fanno molti miei colleghi, che il suo certificato di correttezza costituisca una valida difesa contro i provvedimenti giudiziari.

Così il problema di mantenere le belle arti sane e pulite, ben lungi dall'essere risolto col pagare qualcuno con un modesto salario perché si occupi di esso, è veramente insolubile; il problema supera infatti la capacità umana. La buona volontà di qualcuno di interessarsi della questione - e vi sono sempre dozzine di persone che se ne occupano - è una prova conclusiva della grande incapacità per quel qualcuno di risolvere quella parte che realmente interessa. Per l'indecenza e la volgarità il rimedio fondamentale è la cultura degli spettatori e dei lettori assieme alle proteste della critica. Jeremy Collier si interessò della profanità e dell'immoralità del dramma durante la Restaurazione senza avere alcuna autorità ufficiale. Ma la censura, organizzata non per ripulire il palcoscenico ma per mettere la museruola a Henry Fielding, uno dei più grandi scrittori britannici, fece del teatro la più stagnante istituzione culturale del paese.

Dobbiamo mettere allora gli amministratori teatrali in una posizione privilegiata, «al di là del bene e del male» come fece Nietzsche, così che possano violare la moralità sociale con l'impunità? Tanto le professioni scientifiche quanto le mercantili elevano le stesse pretese in maniera ancora più impudente (naturalmente sempre in nome della libertà), ed hanno anche avuto la soddisfazione di vedersele riconoscere per un certo periodo di tempo; ma nessun Governo britannico arriverà mai a fidarsi fino a tal punto degli sfruttatori delle belle arti. Arrivare all'estremo opposto e mettere il loro controllo nelle mani di un impiegato di seconda categoria significa peccare contro lo Spirito Santo. In apparenza non vi è niente da fare, se non lasciare questo controllo alla polizia, come avviene in America e in Francia, fintantoché gli spettatori e gli scrittori non si saranno coltivati al punto da poter fare da sé la censura in base alla propria cultura.

Vi è tuttavia un'alternativa che funziona in pratica molto bene. I teatri ricevono le licenze di esercizio dalle autorità del municipio locale di anno in anno, in base alla condizione che siano igienici, protetti dal fuoco e provvisti di porte sufficienti a permettere la rapida evacuazione del locale in caso di panico, e isolati se si tratta di teatri nuovi. Ma un teatro può essere del tutto soddisfacente sotto questi riguardi ed essere tuttavia diretto in modo molto immorale. Anche quando le commedie rappresentate sono della più desolante innocenza, esse possono essere divise in atti con lunghi intervalli per permettere agli spettatori di bere al bar e di andare nei ridotti, così affollati di prostitute elegantemente vestite che il posto finisce per non essere più un tempio di arte drammatica, ma piuttosto un mercato di tratta delle bianche e un negozio di bibite; dal punto di vista tecnico, una casa da tè.

Contro questa cattiva usanza nulla possono né i regolamenti delle autorità sanitarie né i poteri del Lord Ciambellano. Non è il fabbricato che non funziona, ma la sua direzione. L'imprenditore è colpevole di quello che il Consiglio generale dei medici chiama infame condotta professionale. Naturalmente il problema di dare la licenza a un impresario è altrettanto difficile che quello di dare la licenza a un innocente fabbricato. Per ottenere questa licenza non deve essere necessario fare un esame, come lo è per ottenere il diploma di dottore o la licenza di avvocato. Ogni persona rispettabile può ottenere il permesso, pagando una piccola tassa annuale, di tenere un fucile o un apparecchio radio, un cane, una taverna o di fare il venditore ambulante. Non vi è nessuna ragione perché egli (o essa) non possa, alle stesse condizioni, ottenere una licenza per aprire un teatro, sotto pena di venirne privato in caso di abuso o venir punito se sprovvisto del permesso. Una simile autorizzazione costituisce uno stratagemma familiare. La sua sostituzione all'attuale censura permetterebbe di liberare il Lord Ciambellano da un odioso compito, che non dovrebbe avere nulla a che fare con la casa del re (dato che Enrico ottavo è morto da lungo tempo) e renderebbe impossibile la soppressione di opere d'arte col proibirne la rappresentazione, la pubblicazione o la mostra, mentre farebbe qualcuno responsabile del loro carattere e della decenza generale della sua condotta in quanto provveditore di un divertimento artistico. Resterebbe la possibilità di persecuzione contro l'aspetto osceno, blasfemo e sedizioso di ogni singola opera; ma tali provvedimenti dovrebbero essere soltanto nel potere del pubblico ministero, e non dell'informatore di mestiere e neppure del commissario di polizia, con tutto che egli potrebbe fare in proposito rapporti e raccomandazioni, così come l'informatore potrebbe fare le sue lagnanze.

Spero di essere stato abbastanza chiaro da far capire che non ci troviamo di fronte al dilemma di istituire il controllo di singoli censori o di abolire qualsiasi controllo. La scelta è tra un controllo ben ponderato e un controllo sconsiderato, che distrugge i suoi fini più vitali.

NOTE. NOTA 1: Il senso di questa frase risalta meglio in inglese, dove la parola "baby" (neonato) di adopera anche per il feto.

23. LO SCIENZIATO
La biologia, ovverossia la scienza della vita, è quella parte della scienza che maggiormente interessa i Governi. Essa comprende la fisiologia e la psicologia ed è la base della legislazione della salute pubblica e della professione di medico. Essa ha oltrepassato tutte le Chiese nella violazione della libertà e dell'integrità individuale. La Chiesa cristiana prende un infante dalle braccia della madre, gli spruzza addosso alcune gocce d'acqua e lo nomina soldato e servitore di Dio; cerimonia questa che non ha mai danneggiato alcun infante e ha beneficamente edificato molti padrini e madrine. Lo Stato, secondo il consiglio dei biologi, prende l'infante dalle braccia della madre e gli avvelena il sangue, per esercitare il suo potere naturale di resistere vittoriosamente al veleno. Mette le mani sui soldati, sulle balie e su altri adulti, che egli suppone siano specialmente soggetti a prendere infezioni, e ripete l'operazione con vari tipi di veleni garantiti nel produrre specifiche immunità. Un mio amico soldato mi disse di aver dovuto subire quaranta di queste inoculazioni, che purtuttavia non gli avevano fatto male. Il suo sangue era così sano da non risentire gli effetti di tutti quei veleni.

Non tutti sono così fortunati. Ogni inoculazione provoca effetti che variano dal malessere di poche ore, con uno o due svenimenti, o da disturbi di circa una settimana, alla temporanea paralisi che segue l'inoculazione contro la difterite, alla cattiva salute permanente e alla terribile morte provocata da quella orribile e deturpante malattia, detta vaccinia generalizzata, che consegue all'inoculazione contro il vaiolo.

C'è ora qui il pericolo di una tirannia, che non fu considerato dagli autori della Magna Charta, dell'Habeas Corpus, della Petizione dei Diritti, e della Dichiarazione Americana di Indipendenza e Costituzione. Donerei molto volentieri al Governo tutti i miei diritti derivanti da quei famosi documenti, piuttosto che essere costretto a permettere, da bambino o da adulto, che la mia persona e il mio sangue siano violati e avvelenati su consiglio di un'assemblea di dottori, che trovano nell'operazione un interesse pecuniario, o in base a una serie di dati compilati da pseudoscienziati forniti di idee infantili sulla statistica e sulla evidenza critica. Alcuni uomini si sono sottoposti alla castrazione per assicurarsi un lucroso impiego, quali sopraintendenti di harem o cantanti nei teatri d'opera e nelle chiese; in Cina i genitori legano e storpiano i piedi delle loro figlie, perché questa era la moda sotto la dinastia mancese; ma il costringere tutti all'inoculazione di pericolosi veleni, ogniqualvolta viene scoperto un nuovo bacillo dal microscopio elettronico, alla sterilizzazione, alla estirpazione dell'ugola e delle tonsille, al parto col taglio cesareo, all'asportazione di varie parti dell'intestino e dell'intera appendice, alla cura della sifilide e della malaria con dosi di mercurio e di arsenico, iodio e chinino, procedimenti questi che sono stati tutti sostenuti da eminenti dottori e chirurghi, e alcuni di essi resi oggi anche obbligatori, e ciò senza che i più grandi campioni della libertà individuale di pensiero, di discorso, di culto e di commercio (specialmente di commercio) abbiano protestato o ne abbiano fatto menzione, segna il sorgere di un'aberrata adorazione per tutto ciò che si chiama scienza, che supera ogni nota tirannia delle religioni di Roma, del Messico e dei Druidi britannici. Ho spesso dichiarato che vi è nella natura una legge della conservazione della credulità umana (simile alla legge di Joule sulla conservazione dell'energia), così inesorabile da essere impossibile scacciare una illusione senza crearne un'altra equivalente; ma quando osservo le atrocità e le stupidaggini della scienza professionale, e il fatto che essa arriva fino al punto di reclamare l'esenzione da ogni obbligo morale nella sua opera di ricerca, e ciò le viene concesso dal Governo, sono tentato di gettar via la legge di Joule e considerare la credulità e l'idolatria come delle calamità, nelle quali l'azione e la reazione non sono uguali, e di concludere che i domini della vera scienza sono illimitati come quelli dell'illusione. L'onniscienza, l'infallibilità e l'incorruttibile veridicità, che erano una volta riservati a un ideale chiamato in vario modo, Dio, Allah, Brahma eccetera sono stati trasferiti a ogni Tom, Dick, o Harriet che abbia sezionato un cane o un porcellino d'India in un laboratorio e scritto un libro o un articolo sulle reazioni dello sventurato animale.

Lasciatemi descrivere un lampante e famoso esempio di questa infatuazione. In questo momento il Sommo Pontefice della scienza biologica è Ivàn Petròvic Pàvlov, da poco morto, alla cui memoria ho sentito poco tempo fa alla radio un'apologia, che sarebbe stata eccessiva anche se Pavlov avesse immedesimato nella sua persona tutti i più grandi benefattori dell'umanità, insieme a tutti gli dèi, profeti, inventori e filosofi conosciuti. Egli era in realtà il principe dei semplicioni pseudo-scientifici. Che cosa fece per imporsi in maniera tanto energica?

Dedicò 25 anni della sua vita allo studio dei riflessi condizionati e ne dette il risultato al mondo in 23 conferenze tradotte in inglese dal suo collega dottor Anrep e pubblicate nel 1927. Questo libro è intitolato: "I riflessi condizionati: una ricerca sull'attività fisiologica della corteccia cerebrale". Questo è un titolo molto imponente; ma esso significa in realtà soltanto: «Le nostre abitudini; come le contraiamo e come i nostri cervelli le mettono in opera". Vi sono state alcune lamentele a causa della difficoltà dello stile del libro. Questo non è giusto; non vi è alcuna espressione ambigua; sia le cose sensate sia le insensate sono molto chiaramente espresse in una lingua che è, come quella del dottor Johnson, pretenziosa e ricercata, ma mai oscura. Il suo traduttore non deve abbassarsi a scrivere che sulla strada di Dover vi sono pietre miliari; il dire che un canale di comunicazione tra la metropoli e il porto è indicato da una serie di pietre equidistanti è però ugualmente chiaro, se voi conoscete la lingua, e appare anche molto più dignitoso e istruito.

Che cos'è esattamente un riflesso condizionato? Lo imparai una cinquantina di anni fa quando fu aperta a Chelsea una Esposizione Navale. Questa conteneva alcune riproduzioni dell'ultima nave ammiraglia di Nelson e i locali di prima classe di un piroscafo passeggeri della Peninsular and Oriental Liner. Guardai senza scompormi l'infermeria dove Nelson baciò Hardy e morì. Ma nel passaggio tra le file di cabine P. and O. ebbi improvvisamente l'impressione del mal di mare e dovetti scapparmene di tutta fretta in giardino.

Era questo un perfetto esempio di riflesso condizionato. Io avevo spesse volte sofferto il mal di mare per il beccheggio e il rollio della nave. Il beccheggio e il rollio erano stati accompagnati dalla vista dei saloni dei passeggeri e dall'odore di pittura e di stoppa. Si era stabilita in me una così perfetta connessione tra queste sensazioni, che anche quando stavo sulla terra ferma quella vista e quegli odori mi disgustavano. A tutta prima questa mia esperienza sembra molto ridicola. Ma considerandola successivamente, diventa non soltanto scientificamente interessante ma anche spaventosa. Se un riflesso può sussistere quando è stato completamente staccato dalla sua causa originale, esso stesso può produrre un nuovo riflesso che si stacca analogamente e produce un altro nuovo riflesso e così via all'infinito. Che cosa accadrebbe se l'attività umana non fosse altro che il risultato di innumerevoli riflessi razionalmente collegati tra loro, e se i fatti originali fossero andati definitivamente perduti? Non può questo fatto spiegare perché la razza umana concentra attualmente (1943) tutte le sue energie nel distruggere se stessa? Non è questa possibilità abbastanza spaventosa perché si facciano subito ricerche sui riflessi condizionati?

Il grande merito di Pavlov è di avere afferrato il senso di questa importanza; egli dedicò infatti la vita alla sua ricerca. Sfortunatamente fu pregiudicato da due potenti riflessi, che non riconobbe come tali. Uno fu la reazione del diciannovesimo secolo contro un vecchio idolo da tribù, chiamato Jehovah, che vuole sacrifici di sangue e domina la Bibbia da Noè a Samuele e cede poi il passo ad altri dèi più civili chiamati Kohelet (Ecclesiaste) e Micah, finalmente placati da Gesù nel «Padre nostro che sei nei cieli». Sfortunatamente i discepoli di Gesù ritornarono a Micah, facendo della crocefissione un sacrificio di sangue, e risuscitando così Jehovah come l'ultima autorità infallibile sulle questioni scientifiche (cioè a dire su tutte le questioni), che deve essere venerato come tale, sotto pena di gravi punizioni in terra e del tormento eterno dopo la morte. La rivolta del buon senso moderno contro questa atavistica idolatria è chiamata Iconoclastia (movimento dell'ottavo secolo), scetticismo, ateismo, materialismo, agnosticismo, razionalismo, secolarismo e molti altri nomi ancora. Questa rivolta è ora così forte, che essa nega non soltanto l'esistenza e l'autorità di Jehovah, ma anche quelle di ogni altro fattore metafisico in qualsiasi vita, compresi il fine, l'intuizione, l'ispirazione, e tutti gli impulsi religiosi e artistici. Essa boicotta la volontà, la coscienza, e perfino la consapevolezza in quanto non spiegata dalla scienza. In breve, essa cerca di abolire la vita e la mente, sostituendo loro la concezione che ogni movimento e azione, mentale e fisica, è un'occasionale e accidentale agitazione di collisioni fisiche. Una simile astrazione dai fatti rende questa teoria non soltanto inutile all'uomo di Stato, ma anche estremamente dannosa.

Nel caso di Pavlov, si arrivò a ridurre la scienza all'assurdità non col ragionamento, ma con una associazione di idee completamente irragionevole, cioè con una serie di "riflessi condizionati" della stessa natura di quelli che portarono il mio stomaco a immaginare che la terra ferma del giardino botanico di Chelsea fosse la baia di Biscaglia durante una tempesta. Nella lettura della sua opera bisogna tener presente che il suo uso della parola «perciò», così come l'espressione «ovvii rapporti» tra questo e quello, non indica una logica conseguenza ma soltanto un'associazione di idee o, come egli direbbe, un riflesso condizionato. Non dimentichiamoci però che un riflesso può essere una buona congettura, così come un perfetto sillogismo verbale può essere soltanto un assurdo gioco di parole. Bisogna andarci cauti con Pavlov. Quando egli cerca di creare una teoria dei riflessi, vale la pena di leggere il suo libro. Ma quando cerca di adattare la sua teoria ai suoi esperimenti, egli si imbroglia in tali sciocchezze, che siete tentati di gettare il libro dall'altra parte della stanza e di mettervi a leggere un romanzo giallo.

Nella sua ultima conferenza, mentre cerca di difendere disperatamente i suoi esperimenti e spinge i suoi successori a continuarli come l'unico metodo genuinamente scientifico di ricerche, egli ammette tutto eccetto che questo. Siamo ora arrivati al secondo specifico riflesso, che lo condanna quale ricercatore. Studiamo per un momento la sua storia.

Quelli che hanno studiato l'orientamento dei monoliti di Stonehenge sanno che i primi scienziati erano preti che impressionarono le loro congregazioni con la loro apparentemente profetica conoscenza dei solstizi, delle stelle e del tempo adatto per seminare e raccogliere. Ma per impressionare la gente, incapace di afferrare dei risultati scientifici, i preti dovettero propiziarsi i loro terribili dèi con sacrifici umani (per esempio, la figlia di Jephtha e Ifigenia) e più tardi, con maggior profitto per loro stessi, con l'uccisione di uccelli e di animali. Per queste delicate operazioni di macelleria essi inventarono gli altari; e per rendere l'altare augusto e terribile inventarono i templi, con il loro «santo dei santi». Per dare ai loro precetti e alle leggi l'autorità della rivelazione divina inventarono l'oracolo e le scritture sacre. Così come facevano gli Auguri, essi usavano la crudele magia di sventrare gli uccelli e di leggere il futuro nei loro intestini. Essendo così nello stesso tempo scienziati, preti, maghi, astrologi, e governanti politici, mischiarono in tal modo la scienza con la religione, le superstizioni popolari e la politica, che il compito di separare la scienza da questo polpettone frustra ogni nostro più sottile potere analitico.

I riflessi condizionati prodotti da questi miscugli sono innumerevoli e difficilmente reperibili. Molti di essi si cancellano a vicenda; alcuni sono infatti troppo crudeli per essere tollerati dalla gente civile, e poiché sono, come dice Pavlov, eccitanti, sono diventati proibiti. Ma alcuni dei peggiori e dei più ridicoli ancora sopravvivono. Nel laboratorio di Pavlov essi avevano un'autorità maggiore che se fossero stati nella capanna di quel contadino che alla vigilia di Natale versò del piombo fuso nell'acqua fredda e giocava a indovinare il futuro, secondo le forme fantastiche nelle quali si solidificavano i trucioli di piombo. La moderna tavola della comunione, come l'altare pagano, commemora ancora un sacrificio di sangue; ma invece di sacrificare la carne e il sangue umano, li simbolizziamo con pane e vino mangiato e bevuto dal celebrante o dai fedeli o da entrambi.

Così il vecchio dio, che Noè corruppe per un piatto di arrosto, si mescolò con il dio dei cannibali che i suoi adoratori mangiavano per acquistare le sue qualità, nello stesso modo in cui mangiavano i loro nemici vinti per acquistarne la forza, l'abilità e il coraggio. Sir James Frazer, che è morto poco tempo fa, dedicò la sua vita a descrivere questi riti da analfabeti e i loro riflessi in un libro monumentale chiamato "The Golden Bough". Io ne lessi il primo capitolo circa quarant'anni fa, quando uscì il primo volume, ma rimasi subito oppresso dalla similarità dei suoi esempi di illusione umana e non l'ho più aperto da allora. Per timore di rendere questo mio libro illeggibile, mi limiterò a esaminare i riflessi che collegano la scienza con il sacrificio degli animali vivi.

Il più rimarchevole e recente esempio è la reazione che ebbero i medici britannici, quando furono scossi dalla teoria americana dell'osteopatia. Un dottore americano di nome Still aveva scoperto che certi mali erano collegati con spostamenti della spina dorsale e che egli poteva curarli correggendo questi spostamenti. Egli si chiamò un osteopatico e fondò una tecnica manuale che, come il massaggio Kellgren e altri sistemi di massaggio a mano, abbisognava di due anni di istruzione, per impararla. In Inghilterra, dove i più alti incarichi di chirurgo possono essere raggiunti da gente che non ha mai fatto un'operazione, l'aggiunta del sistema di Still alle cose che un dottore doveva già sapere per poter esercitare non fu bene accolta, specialmente perché il periodo di istruzione durava cinque anni e costava molto denaro. Ma l'opposizione al sistema non fu soltanto una opposizione di tutta la categoria; fu anche una opposizione scientifica. Nonostante una stragrande quantità di esempi a suo favore, si sostenne che il sistema non poteva essere scientificamente dimostrato e provato, finché non si trovasse in laboratorio un cane a cui si spostasse la spina dorsale con gli usuali risultati, guarendolo poi mediante il metodo di Still, che consisteva nel correggere lo spostamento. In conseguenza di ciò gli specialisti di osteopatia si disposero solennemente a compiere questo rito, e con ciò si ammise con riluttanza che l'osteopatia era diventata una dottrina scientifica.

Ovviamente questo inutile sacrificio di un cane sull'altare di un laboratorio non aveva nulla a che fare con la scienza; era soltanto una semplice obbedienza a un riflesso condizionato acquisito prima che le Piramidi fossero costruite, e "rinforzato" (sono parole di Pavlov) sempre di più in tanti secoli, fino a diventare inveterato. Non vi è altra spiegazione della scelta che Pavlov fece di un ridicolo e crudele sistema di ricerca, quando gli erano aperti tanti metodi umani e sensati, e della sua insistenza nel continuarlo, dopo che egli confessa in molte sincere pagine che fu un fallimento.

Ciò che egli fece fu di dedicare venticinque anni della vita a fare esperimenti su cani per trovare, come conferma della sua teoria biologica, se le loro bocche sbavavano e, se questo avveniva, in che misura (egli contava le gocce di saliva) quando i cani erano sottoposti ad alcune sensazioni, quali la vista o l'odore del cibo o la vista di certune persone o oggetti. Egli adoperò dei metronomi, dei sibilatori, il suono di note musicali e il calore. Li solleticava in alcuni determinati punti del corpo, poi dava loro da mangiare, con il risultato che essi finivano per associare queste sensazioni così invariabilmente con l'idea del cibo, che le loro bocche sbavavano subito anche quando, senza al cuna offerta di cibo, erano soltanto sottoposti a stimoli quali il sibilo, la punzecchiatura, il gioco, il calore o il solletico. Egli chiamava riflesso non condizionato il naturale sbavamento alla vista o all'odore del cibo; chiamava invece riflesso condizionato lo sbavamento provocato da qualche sensazione, che era collegata nell'esperienza del cane con il cibo, così come avvenne per la mia nausea alla mostra di Chelsea.

Tutti gli esperimenti portavano a far uscire la saliva col forare la guancia del cane e stabilirvi una fistola permanente, poiché il delicato apparecchio per misurare la saliva non poteva essere fissato alla lingua del cane, che era il naturale canale di quella secrezione. Da queste osservazioni Pavlov trasse deduzioni cui attribuì carattere del tutto scientifico. Egli si era sottoposto alla condizione che le serie di salivazione e di insalivazione osservate da lui dovessero essere costanti, inevitabili, invariabili e necessarie, se dovevano essere accettate come prova scientifica. Esse non soddisfecero a questa condizione. Le serie, che si verificavano saltuariamente - il più delle volte con esito negativo contraddissero la sua teoria. Qualche volta l'ordine teorico del processo fu completamente capovolto. Ben lungi dall'essere costanti, inevitabili, invariabili e necessarie, esse furono spesso incostanti e contraddittorie. Pavlov fu abbastanza onesto da ammettere di aver fallito la prova, nella sua conferenza finale, sebbene egli arrivasse alla conclusione che ci doveva essere qualcosa che non andava o negli apparecchi del laboratorio o nel temperamento dei cani; spinge infatti i suoi successori a continuare nel suo metodo finché non trovino apparecchi migliori e scoprano una razza di cani che abbia abbastanza considerazione per la sua teoria da reagire nella maniera desiderata.

Poiché può sembrare incredibile che un così bravo scienziato potesse essere così assurdo, mi affretto ad aggiungere che la sua acuta intelligenza non raggiunse l'imbecillità in un solo salto. Egli si autoingannò a passo a passo con un metodo che considerava ogni insuccesso come una nuova scoperta e un'aggiunta alla sua teoria. Così, quando stimolava il cane e il cane non sbavava, egli non concludeva che o la sua teoria o il suo metodo dovevano essere sbagliati. Pensava invece di aver scoperto che i riflessi hanno fasi positive e negative e che potevano pertanto essere classificati come Eccitatorii o Inibitorii. Questa osservazione, per quanto non fosse una scoperta originale, era appoggiata da alcuni fatti comuni; sebbene infatti il nominare la marmellata faccia salivare la bocca del bambino, tanto che egli dapprima mangerà la marmellata volentieri, tuttavia, se diamo al bambino un vasetto pieno di marmellata e un cucchiaio e lo invitiamo a mangiarselo tutto, egli non riuscirà a finirlo tutto e si rifiuterà di inghiottirne dell'altra. Il suo riflesso incondizionato per la marmellata è diventato negativo e inibitorio. Pavlov poteva imparare questo fatto dalla più vicina bambinaia, senza dover affrontare la spesa e la fatica di comperare un cane e di fargli un buco nella guancia; ma il suo riflesso druidico lo obbligò a respingere la testimonianza della bambinaia, fintantoché non fosse stato consacrato dal rituale sacrificio del cane.

Quando le serie si verificarono in ordine inverso dell'atteso, Pavlov annunciò la scoperta di un nuovo fenomeno: la fase paradossale. Anche in questo caso egli si sentì rafforzato dal fatto che, quando un uomo si alza per andare a lavorare, indossa i suoi vestiti secondo un ordine stabilito e abitudinario e quando è stanco di lavorare e desidera andare a letto a dormire (fase negativa) si toglie i vestiti nell'ordine inverso (fase paradossale).

Pavlov cercò allora di produrre sui cani la fase paradossale secondo il suo volere. Ma non ci riuscì. Egli annunciò immediatamente l'insuccesso, come la scoperta di una fase ultraparadossale.

E' ora chiaro che uno sperimentatore che può interpretare i risultati positivamente o negativamente, logicamente o illogicamente, paradossalmente o ultraparadossalmente, può far dimostrare loro tutto ciò che vuole. Datemi questa grande libertà d'azione e posso provarvi, con l'analisi dello spettro, che la luna è fatta di formaggio verde. Può darsi così che, un giorno o l'altro, io sia proclamato dalla radio britannica come il più grande scienziato del tempo.

Pavlov non limitò le sue ricerche ai riflessi. Egli voleva anche scoprire e localizzare i diversi punti del cervello che causavano i riflessi quando il cane veniva stimolato in vari modi o su differenti punti della pelle.

Per fare questo, il metodo più ovvio era quello di asportare porzioni di cervello del cane, e vedere come questo si comportava senza di esse. Nel diciannovesimo secolo alcuni sperimentatori, che si erano proposti lo stesso fine, cauterizzarono alcune parti di cervelli di scimmie; ma Pavlov preferì il suo metodo della salivazione, perché più esattamente misurabile. Esso era abbastanza esatto fintantoché si potevano contare le gocce di saliva; ma anche in questo caso i risultati non furono costanti, invariabili e inevitabili. Quando attribuì a un particolare punto del cervello un riflesso, egli annunziò una nuova scoperta: l'Irradiazione. Evidentemente non sapeva che, se lasciamo cadere una goccia d'inchiostro su un pezzo di carta asciugante, essa non si concentra sul punto ove è caduta, ma si sparge tutto intorno. L'evidente insuccesso dell'esperimento fu perciò spiegato con le due parole: concentrazione e irradiazione.

Qualche volta però, mentre cercava di provare l'esistenza di un rapporto tra un punto del cervello del cane e la sua corrispondente zampa anteriore, trovava che lo stesso punto aveva rispondenze uguali con la zampa posteriore, e, reciprocamente, che la zampa davanti aveva anche un altro punto di corrispondenza nel cervello. Un altro insuccesso? Niente affatto! Egli sapeva che un filo carico di elettricità può indurre una corrente in un filo vicino. Evidentemente, il messaggio dalla pelle del cane al suo cervello aveva la stessa proprietà: vi sono messaggi indotti così come messaggi originali. Nessun altro insuccesso: soltanto un'altra scoperta.

Le conclusioni di Pavlov non erano contestabili. Ogni osservazione sperimentale si adattava loro come un guanto. Nessun esperimento di controllo poté contestarle: nessuna contraddizione poté non essere conciliata, nessuna casa di carta o castello in aria poteva essere messo meglio insieme. Tutto appare così scientificamente e fisicamente genuino e obiettivo, che le persone che non ragionano meglio di Pavlov, e vogliono credergli, non si accorgono che la storia dei suoi cani e il suo libro sono una girandola di sciocchezze dall'inizio alla fine.

La sua teoria comunque s'impose e ancora s'impone a gente di prima qualità. Quando essa apparve, il mio amico e saggio compagno H. G. Wells ne rimase così impressionato che, se avesse visto Pavlov e me in procinto di affogare e avesse avuto a disposizione soltanto un salvagente, lo avrebbe gettato a Pavlov e mi avrebbe lasciato affogare. Egli aveva conosciuto Pavlov in Russia e ne era rimasto incantato, fino al punto di sostenere che era umanitario nei suoi metodi, amava i suoi cani e ne era amato, mentre io, che non l'avevo mai conosciuto di persona, in base all'evidenza dei suoi esperimenti ero giunto al punto di chiamarlo un furfante, ossia una persona che ripudia la morale comune per il perseguimento dei suoi interessi personali o professionali. Infatti chiunque non fosse stato come Pavlov uno scienziato professionista e avesse fatto simili cose ai suoi cani (comperati per questo scopo), sarebbe stato non soltanto perseguito per crudeltà verso gli animali, ma anche rinviato a giudizio quale mostro. Ecco la relazione di Pavlov nella sua diciannovesima conferenza.

«L'unico metodo utile per tale studio consiste nell'osservare gli effetti della distruzione parziale o della completa estirpazione di differenti parti della corteccia cerebrale. Questo metodo soffre naturalmente di fondamentali svantaggi, in quanto comporta le più dure forme di interferenza meccanica e lo smembramento di un organo di squisitissima struttura e funzione. Immaginate di dover osservare il funzionamento di una macchina molto più semplice costruita da mani umane, e che per questo scopo, non conoscendo le sue varie parti, invece di smontare accuratamente la macchina voi tagliate parti di essa sperando di farvi una nozione esatta di come funziona. Il metodo comunemente applicato allo studio del cervello e di altre parti del sistema centrale nervoso è altrettanto primitivo. Martello e scalpello, sega e trapano; questi sono gli strumenti che devono essere usati per aprire la ben protetta scatola cranica. Così facendo, laceriamo diverse parti delle membrane protettive, rompendo molti vasi sanguigni, e danneggiamo o distruggiamo infine tutta la massa del delicato tessuto nervoso con vari sistemi meccanici, quali la concussione, la pressione e l'incisione. Ma così meravigliosa è la resistenza funzionale e la particolare vitalità della sostanza che, nonostante queste grandi manipolazioni, entro il lasso di un solo giorno è qualche volta impossibile, senza ricerche speciali ed esatte, di osservare qualcosa di anormale negli animali sottoposti a operazioni del cervello. Di conseguenza, anche con questi sistemi primitivi si può arrivare a capire qualcuna delle funzioni della corteccia. Ma l'ovvia utilità di questi mezzi crudeli non dovrebbe soddisfare affatto il fisiologo. Egli dovrebbe ingegnarsi ad applicare i nuovi progressi della scienza tecnica e a cercare nuovi e più appropriati metodi per lo studio del delicato meccanismo del cervello. Naturalmente i metodi utili per la ricerca sulla corteccia, ottenuti con la estirpazione di differenti parti, possono portare soltanto a confusi stati patologici, e anche le più caute deduzioni, nei riguardi della costituzione della corteccia, non possono perciò essere garantite contro una forte probabilità di errore. In verità, poiché la speciale funzione della corteccia è di stabilire nuovi collegamenti nervosi e di assicurare così una perfetta correlazione funzionale tra l'organismo e i suoi dintorni, ogni disturbo di qualsiasi sua parte si rifletterà sopra l'intero meccanismo. Oltre questa diretta influenza della procedura operativa, che si può ragionevolmente credere diminuisca spontaneamente col tempo, vi è un'altra molto seria complicazione dell'operazione che appare più tardi, ovverossia lo sviluppo di una cicatrice al posto della lesione cerebrale, che diventa ora fonte di irritazione e porta a ulteriori distruzioni delle parti vicine. Da una parte la cicatrice, a causa della sua irritazione meccanica sulle circostanti parti del cervello, provoca ricorrenti scoppi di eccitamento nervoso; dall'altra, a causa della pressione, della distorsione e della rottura, essa disintegra progressivamente il cervello. Non sono stato fortunato nel tentare di perfezionare la tecnica operativa, avendo fatto, come ora penso, un grosso errore. Per ovviare all'emorragia durante l'operazione, prima di cominciare l'operazione sul cervello, ero solito levare i muscoli che coprono il cranio del cane; ciò portava a una parziale atrofizzazione degli ossi del cranio, così che questi potevano essere aperti, spesso senza la perdita di una sola goccia di sangue. Ma in questi casi si provoca anche una considerevole atrofizzazione della meninge, che diventa asciutta e fragile, così che è impossibile, nella maggior parte dei casi, di usarla per far rimarginare completamente la ferita cerebrale. Di conseguenza, dopo l'operazione, la ferita era lasciata in diretta comunicazione con i tessuti più esterni, ciò che portava alla formazione di una dura cicatrice che penetrava e cresceva nel tessuto cerebrale. Quasi tutti gli animali che furono operati soffrirono di attacchi di convulsioni, che in talune occasioni avvenivano anche da cinque a sei settimane dopo l'operazione. Alcuni animali morirono durante il primo attacco, ma più comunemente le convulsioni non erano gravi all'inizio e avvenivano a intervalli non frequenti. Dopo diversi mesi si verificavano più frequentemente e aumentavano di forza, provocando infine la morte o qualcosa che portava a un nuovo e molto profondo disturbo dell'attività corticale. I metodi terapeutici sotto la forma di ripetute anestesie o di estirpazione della cicatrice furono trovati di scarso affidamento, sebbene talvolta fossero senza dubbio efficaci.»

A pagina 353 impariamo che «i cani vivevano da una a sei settimane dopo l'operazione; la morte sopravveniva sempre per causa di gravi attacchi di convulsioni». In altre pagine leggiamo di cani che vivono tre o quattro anni, nonostante le mutilazioni dei loro cervelli. A pagina 284, «la stessa nociva influenza causa gravi e prolungati disordini in alcuni cani; in altri i disordini sono soltanto lievi e saltuari; mentre altri cani rimangono praticamente immuni».

Bisogna riconoscere che il problema degli esperimenti è stato esaminato con la massima chiarezza e con straordinario candore dallo stesso Pavlov. Egli ammette non soltanto la loro crudeltà e durezza, ma anche la loro inutilità. Tuttavia il riflesso condizionato che ha associato la scienza col sacrificio di sangue è in lui così forte, che il suo appello finale ai suoi successori non è soltanto di spingerli alla ricerca, ma di continuare nello stesso futile e disgustante metodo.

Notiamo che Pavlov non fa mai menzione della pietà. Egli la esclude sulla base che essa è psicologica e quindi sconosciuta alla fisiologia; ossia che è soggettiva e non oggettiva; che è metafisica e non fisica; e poiché egli non vuole ammettere che la psicologia sia scienza o che considerazioni soggettive o metafisiche siano scientifiche, tali riflessi condizionati (sensazioni naturali) come la pietà, la misericordia, la compassione, la gentilezza sono fuori di discussione e dovrebbero essere scartati dai legislatori come robaccia sentimentale. Ma poiché il tentativo di auto-accecarsi è contrario alla sua natura e al di là dei suoi poteri come essere umano, egli non lo ha più sollecitato come una condizione della sua integrità quale fisiologo, e lo cogliamo quindi in flagrante a descrivere certi riflessi (i sentimenti naturali) come autoconservativi, investigativi e in cerca di libertà («è chiaro che il libero riflesso è uno dei più importanti») cioè come psicologici, soggettivi e metafisici. Egli non si avvede di questo. La sua attenzione è occupata altrove. Non vede che ogni riflesso alimentare, che serve di modello in tutti i suoi esperimenti e nelle sue osservazioni, è un riflesso vitale e non soltanto meccanico. Soltanto una volta si permette di essere sentimentale. Parla «dei venticinque anni durante i quali numerosi compagni operai che ora ricordo con tenero affetto hanno unito in questo lavoro i loro cuori e le loro mani». Perché i suoi sfortunati cani non dovrebbero avere una parte in questo sorprendente passaggio dalla fisiologia oggettiva alla volgare emozione soggettiva?

L'amministratore politico non può avere nulla a che fare con il biasimevole modo di ragionare di Pavlov, con le sue contraffatte correlazioni e con i suoi corollari, con il suo modo di considerare come percentuali i rapporti di tre o quattro fatti osservati, poiché non vi è alcuna legge che punisca queste dannose aberrazioni, né che si ponga contro la sua pretesa che la vera scienza sia quella che viene fatta in laboratorio. Non ha nessuna importanza per il magistrato che lo sperimentatore confessi che i suoi metodi di laboratorio sono crudeli, futili, inadatti e nelle loro intenzioni impraticabili. Questo non li rende illegali. Ma la loro crudeltà nondimeno esiste. La legge vigente prescrive in termini chiari che se si tiene un cane non bisogna maltrattarlo; e poiché Pavlov non soltanto maltrattava orribilmente i cani, ma pretendeva, quale scienziato, di poterlo fare impunemente, egli portò la polizia di fronte alla imbarazzante questione, fino a qual punto essa dovesse tollerare e anche appoggiare procedimenti che la legge e il buon senso classificano come criminali e detestabili. Il caso dei seguaci di Pavlov non è affatto unico. L'uccisione di creature sensibili per farne cibo, la caccia di esse per sport e il loro avvelenamento quali animali dannosi, la loro cattura e uccisione per farne pellicce, olio, pelli e sego, comportano molta crudeltà, che ciò nondimeno nessuno si sogna di far perseguire. La guerra e la punizione dei criminali sono atrocemente crudeli; ma sono autorizzati come atti di giustizia e di patriottismo. Il vivisezionista seguace di Pavlov, quando è rimproverato per la sua crudeltà, risponde sempre che non devono essere gli uomini di piacere, che cacciano e uccidono crudelmente senza anestesia volpi e cervi soltanto per il divertimento di farlo, a rimproverare gli scienziati per le crudeltà che essi impongono ai cani a scopo di istruzione.

Io non sono uno sportivo, comunque, se potessi, direi al cacciatore di cervi: «La vostra crudeltà non è né necessaria né indispensabile; dovete cercare qualche altro sistema per divertirvi». Vi sono infatti numerosi altri sistemi. Il vivisezionista, se facessi anche a lui lo stesso discorso, obietterebbe che per lui non vi sono altri sistemi. Risponderei allora: «Dovete trovarli». Se egli chiedesse come, io direi: «Usate il vostro cervello e liberatevi dalle vostre superstizioni druidiche. Vi sono probabilmente una cinquantina di sistemi legali e decenti che possono essere scoperti dai pensatori umani. Voi non siete un pensatore; voi siete soltanto mentalmente pigro, e fate quello che è stato fatto l'ultima volta, come tutti i pigri». Egli risponderebbe senza dubbio di non poter discutere con un esteta sentimentale la cui mente è disperatamente antiscientifica; e tutti i vivisezionisti sarebbero d'accordo con lui; ma lo statista non deve permettere che le questioni vengano sistemate da epiteti (benché qualche volta lo faccia, sono dispiacente di dirlo) e deve criticare la setta degli scienziati, così come ogni altra setta che porti una differente denominazione.

Lo scienziato può qui ricordarmi che questo sommario ripudio degli sport crudeli non tocca la crudeltà delle corti d'assise, il timore delle quali è un necessario fattore della nostra civiltà. E' vero che i Governi devono reprimere gli atteggiamenti antisociali attaccandone le spaventevoli conseguenze, e che queste conseguenze non saranno impedite finché non saranno abbastanza spiacevoli da essere temute. Ma la vittima del vivisezionista non si è resa colpevole di condotta antisociale, né la sua tortura può evitare agli altri animali lo stesso trattamento.

La paura del Governo può essere l'inizio della civiltà, così come il timore di Dio è l'inizio della saggezza. In pratica ambedue sono paure di conseguenze; ma vedremo più avanti che queste conseguenze non devono comportare la mutilazione e la tortura fisica. Per il momento però il mio soggetto è lo scienziato; non mi sono ancora interessato di coloro che praticano l'arte della guarigione, che sono molto più numerosi dei ricercatori di laboratorio, e godono di straordinari privilegi nonché di una diffusissima fede nella loro sapienza, in quanto uomini di scienza. I vivisezionisti non sono popolari e non lo saranno mai; ma «il dottore» è considerato ovunque un amico dell'uomo e il fondamento della scienza. Come tale, è giusto che abbia un capitolo a parte per lui solo.

24. L'UOMO MEDICO
I privilegi di un dottore, impiegato dello Stato o libero professionista, sono così straordinari e pericolosi che sollevano alcuni dei più spinosi problemi che l'uomo di Stato debba affrontare. Essi diventano ogni giorno più imbarazzanti, dato che i servizi medici passano sempre di più da irresponsabili associazioni di privati (che sono praticamente sindacati operai) a pubbliche mani responsabili. Nella maggior parte delle professioni l'incompetenza è seguita e svelata dall'insuccesso. Un artigiano che faccia male il suo lavoro si accorge subito che con questo non può vivere e che deve trovare qualche impiego che meglio si adatti alle sue capacità, se non vuole morire di fame. Ma il più sciagurato stupido che si mette a fare il dottore, iscritto o meno agli albi, si accorgerà che dei suoi primi venti clienti diciannove guariranno a dispetto delle sue cure; per la guarigione di quei diciannove malati, i clienti gli daranno credito e racconteranno ai loro amici quale meraviglioso dottore egli sia. Quanto al paziente che muore, be', dobbiamo tutti morire un giorno; e nessuno si aspetta che un dottore renda i suoi pazienti immortali.

Perché quei diciannove malati guariscono, se i dottori fanno loro più male che bene? Perché la forza vitale o il bisogno di vita o l'"élan vital" o il respiro della vita, o comunque vogliate chiamarlo, non soltanto ci mantiene in vita, ma possiede un'officina di riparazione che comincia a lavorare nel momento in cui una persona è attaccata da una infezione o è debilitata da una lesione di qualsiasi genere. Essa ripara le ossa rotte e gli organi malati, e risolve le più gravi infezioni, spesso a dispetto di quello che possono fare i più pazzi dottori e i meno scrupolosi mercanti di specifici. Quando, come nella maggior parte dei casi, il dottore non è pazzo e ha un sufficiente istinto clinico da aiutare questa forza vitale invece di soffocarla, i risultati sono ancora più soddisfacenti e convincenti; ma in ogni modo i dottori, le infermiere e i farmacisti riscuotono tutto il credito e nulla ne viene invece dato alla forza vitale. La forza vitale, invece di creare la fiducia verso se stessa, crea la fiducia nei dottori e nelle medicine, nel caso sia che questi la aiutino sia che la opprimano.

Chiunque dubiti di quello che ho detto non ha che da studiare la storia clinica della professione di dottore. Shakespeare scrisse una scottante commedia, ancora molto popolare, che chiamò apertamente "As you like it", nel timore si supponesse che essa rispecchiasse la natura. Egli prese l'argomento da una novella scritta da un dottore chiamato Thomas Lodge. Nei giorni in cui ero ancora disoccupato, dal punto di vista letterario, feci un indice delle opere di Lodge, comprese quelle mediche. Le sue teorie sull'igiene erano sorprendentemente acute e degne di nota; ma la sua "materia medica" e la medicina che egli fece inghiottire ai suoi sfortunati pazienti sfidano ogni decente descrizione. Egli considerava una malattia come un caso di ossessione diabolica, che poteva essere scacciata soltanto introducendo nel corpo le più disgustose sostanze. Credeva inoltre che, se si somministravano oro e metalli preziosi in forma di polvere, la loro preziosità sarebbe stata intollerabile a quei diavoli, che erano abbastanza cattivi da amare il sudiciume e disprezzare le cose belle. Non so se Shakespeare lesse i libri medici di Lodge e la sua novella "Rosalinda". Se li lesse, anticipò la più moderna scienza medica, facendo gridare a Macbeth «Gettate il medico ai cani» in base alla teoria che l'origine di ogni malattia deriva dalla mente. Ma il popolo britannico non era saggio come Shakespeare e credeva nell'arte medica di Thomas Lodge con la stessa devozione con cui adesso crede nell'Accademia di Medicina.

Passiamo ora al letto di morte di Carlo secondo, curato nel secolo successivo dai più eminenti dottori del tempo. Leggete nella descrizione di Macaulay l'elenco delle medicine che gli fecero inghiottire nella fiducia di curarlo, mentre invece lo aiutavano a morire. Ancora un altro secolo e siamo al capezzale di un mio bisavolo. Non so quello che i dottori gli mettessero in bocca; sono comunque arrivati fino a me le descrizioni dei ruggiti che faceva quando lo cauterizzavano e dei salassi e delle sanguisughe con cui gli toglievano il sangue. I suoi dottori erano i più eminenti della capitale d'Irlanda. E nulla poteva scuotere la loro autorità; infatti, qualsiasi cosa essi facessero ai loro clienti, era sempre la natura nella maggior parte dei casi che si incaricava di curarli, senza badare a quello che essi prescrivevano. Essi erano comunque abbastanza onesti, perché uomini timorosi di Dio, da ammettere l'esistenza di una "vis medicatrix naturae" di cui la scienza non sapeva dar conto, e che secondo i dottori e i pazienti rappresentava il volere di Dio. In questo, essi erano molto più progrediti dei biologi del mio tempo, che nella loro reazione contro l'autorità della Chiesa e della Bibbia non vogliono ammettere che la natura possa avere qualche ingerenza nella questione, né che esista qualche forza del genere. Fino alla metà del diciannovesimo secolo essi permisero ai parenti dei loro malati di dire «Sia fatta la volontà di Dio», ma quando Darwin abolì Dio (in maniera del tutto preterintenzionale) essi reclamarono tutto il credito per se stessi, compresi alcuni attributi divini, quali l'onniscienza, l'onnipresenza clinica e l'infallibilità.

Col sorgere del vero sapere, dello scetticismo laico, del disdegno estetico, la parte disgustante della "materia medica" di Lodge e i vecchi procedimenti delle cauterizzazioni e dei salassi diventarono impossibili; ma i nuovi vaccini profilattici, che infettano il sangue di germi patogeni invece di estrarlo per nutrire le sanguisughe, l'immobilizzare gli esseri umani che hanno membra rotte, come se fossero tavoli e sedie con le gambe spaccate, e il degradare le operazioni chirurgiche a lavori meccanici di carpenteria e di impiombatura, sono forse più letali dei vecchi sistemi medici di Sydenham e Abernethy e della chirurgia di Ambroise Paré. Tuttavia, quando uno è malato, non vi è altro da fare che chiamare un dottore e seguire le prescrizioni; e quando la "vis medicatrix" fa quello che avrebbe dovuto far lui, le generazioni che non credono più in Dio passano tutta la loro credulità alla professione medica e continuano a farsi le stesse illusioni di prima. L'ostia consacrata della comunione può essere più sana della pillola del farmacista. La conversione del credente nei miracoli della Bibbia in un credente nei «miracoli della scienza» può essere spesso un mutamento per il peggio.

Il più sorprendente esempio politico di questo fatto avvenne nel diciannovesimo secolo, quando le nostre classi governanti cambiarono la loro fede nell'efficacia del battesimo in una ancor più fanatica fede nell'efficacia della vaccinazione e la resero obbligatoria per legge. Per la verità tale fede non raggiunse i suoi scopi e fu mortalmente compromessa da due epidemie di vaioio (1871 e 1881), quando la vaccinazione e la rivaccinazione erano obbligatorie, molto tempo dopo che i suoi egualmente temuti rivali, tifo e colera, erano stati aboliti dall'igiene estetica. Le statistiche addomesticate su cui quella fede si basava furono facilmente annientate dagli oppositori della vaccinazione; ma l'obbligatorietà non fu ritirata, finché una mostruosa persecuzione, spietatamente appoggiata da magistrati ingannati, provocò una ribellione contro di essa e il Parlamento si trovò costretto, con molta riluttanza, a farne oggetto di una coscienziosa discussione. Tuttavia editorialisti e radiocommentatori continuano a ripetere come tanti pappagalli che la vaccinazione ha abolito il vaiolo, sebbene ancora adesso la vaccinia stia uccidendo più bambini del vaiolo.

Mentre scrivo, i giornali stanno polemizzando pro e contro un nuovo regolamento, mirante a reprimere l'allarmante diffondersi delle malattie veneree, che seguono sempre le truppe durante la guerra. Il regolamento obbliga le persone contagiate a denunciare la loro condizione alle autorità e a presentarsi per la cura prescritta. Uno si aspetterebbe che i nostri legislatori si preoccupassero come prima cosa di controllare l'efficacia della cura. Invece no; essi si preoccupano soltanto della breccia che hanno fatto nella libertà individuale con questo obbligo. Accade ora che sorgano i più gravi dubbi se le prescritte cure non siano dannose invece che utili. All'inizio queste si ricollegarono all'arte degli alchimisti, che attribuivano proprietà magiche ai metalli e specialmente al mercurio. Il mercurio è un veleno lentamente mortale; ma esso sopprime i primi sintomi della sifilide e apparentemente la cura: diventò quindi il trattamento ufficiale per la cura della sifilide. Ma in taluni casi il paziente rimane contagiato e la malattia spunta di nuovo alcuni anni dopo, in forma più grave, chiamata sifilide secondaria e terziaria. Il mercurio diventò allora impopolare come la vaccinazione; vi fu un grande senso di sollievo quando fu annunziato che era stato trovato un infallibile sostituto nei sali di iodio. Ma anche questo veleno, che alcuni pazienti non tollerano in alcun modo, provocò una delusione; fu finalmente presentata una combinazione di medicine, chiamata Salvarsan, come il nuovo rimedio sovrano, garantito infallibile e innocuo. Tutti credettero che fosse un sostituto del mercurio; in realtà esso combinava il mercurio con l'arsenico, che è altro potentissimo veleno. Molte centinaia di esperimenti sono stati fatti per arrivare a una combinazione di questi veleni che curi veramente e sopprima la malattia; l'ultima combinazione è quella che è stata prescritta dal nuovo regolamento. Si dice che una nuova serie di preparati produca magiche guarigioni della gonorrea; ma essi lasciano i dottori perplessi, perché portano soltanto in apparenza alla completa guarigione, mentre lasciano il paziente ancora col contagio e i gonococchi (il caratteristico microbo) vivi e vegeti.

Non vi è nulla di nuovo in tutto questo. Una delle malattie più dannose è la malaria. I suoi sintomi sono soppressi dal chinino e questo è stato infatti il rimedio prescritto negli ultimi secoli; ma esso non guarisce la malaria, poiché gli attacchi ritornano di anno in anno. Sono sorti allora gravi dubbi se la soppressione dei sintomi non possa significare la soppressione della guarigione naturale. Quando, come nel caso della sifilide, l'agente soppressore è un veleno, si ritiene, in alcuni ambienti, che le tremende ricorrenze secondarie e terziarie dei sintomi peggiori non siano affatto la malattia in sé ma l'effetto specifico dei veleni che sono stati adoperati. I naturapatici, come sogliono chiamarsi, che sostengono questa teoria, dichiarano che nei loro ospedali, se i pazienti si attengono scrupolosamente alle loro prescrizioni, la sifilide «si cura da sola» e non si ripresenta, né lascia il paziente contagiato. Ma dall'altra parte si afferma con eguale convinzione che la sifilide non si cura da sola e deve essere trattata con medicine che, sebbene siano velenose nelle dosi allopatiche, nelle diluizioni omeopatiche permettono invece alla forza vitale di radunare le forze per respingere vittoriosamente l'attacco. Come può un uomo di Stato permettersi il lusso di farsi guidare dal consiglio dei medici, quando questi hanno idee tanto differenti?

Lo scetticismo sull'utilità delle medicine è condiviso dai chirurghi. Essi usano le medicine soltanto per produrre una temporanea insensibilità al dolore (anestesia), arte portata ora a tal punto di perfezione, che operazioni che prima dovevano essere fatte in pochi minuti possono durare ora un intero giorno, e chirurghi anestetizzati localmente si sono operati da se stessi. Operazioni che erano prima impossibili o disperatamente difficili, sono ora facili e sicure. Finché le operazioni sono necessarie e benefiche, questa è una benedetta misericordia; essa rende però la vivisezione degli esseri umani così facile a farsi che, quando un organo non funziona, il semplice rimedio chirurgico è di asportarlo e di lasciare che qualche altro organo prenda il suo posto. Il proverbio «se la tua mano destra ti offende, tagliala» sembra facile e comodo, quando possiamo cavarcela egualmente bene con la sinistra. Poiché le operazioni sono molto lucrative, dato che i ricchi le pagano da cinquanta a varie centinaia di ghinee, i chirurghi si sono fatti la convinzione che non esista nulla di paragonabile al bisturi, così come i ciabattini pensano che non vi sia nulla di paragonabile al cuoio. Non avevo mai capito bene fino a quali estremi fosse arrivata questa teoria, finché un giovane chirurgo dell'Impero britannico non mi assicurò che di qui a qualche anno tutti i bambini nasceranno col taglio cesareo, invece che con i normali sistemi dell'ostetricia. E molto più facile e rapido; naturalmente, per il chirurgo. Si afferma inoltre che questo sistema sia anche molto meno dannoso per il bambino, specialmente nel caso che esso debba essere estratto con il forcipe, e meno doloroso per la madre, che viene anestetizzata. In proposito nessuno fa mai menzione del fatto scandaloso che i chirurghi non ricevono alcuna istruzione pratica nell'uso dei loro strumenti e che devono ricorrere alla loro abilità, come meglio possono, nella sala operatoria. La mia esperienza di ostetricia fu fatta quando da studente in medicina andavo a visitare i capezzali dei poveri e ne conclusi che, sebbene la mortalità infantile sia scandalosamente più grande tra i poveri che tra i ricchi, la mortalità delle madri è talvolta più grande tra i ricchi, che sono assistiti dai dottori, che tra i poveri, i quali ricorrono soltanto alle levatrici. La regina Anna dette alla luce diciassette figli, nessuno dei quali sopravvisse. Essi sarebbero stati certamente sani e salvi, se fossero nati nelle fangose capanne di Connemara.

Che cosa deve fare l'uomo di Stato di fronte a tutti questi fatti? I chirurghi e i dottori lo tormentano perché vengano adottate misure obbligatorie per iniettare, drogare e vivisezionare, facendogli balenare il pericolo che, se non vengono adottate queste misure, la razza umana sarà sterminata dai microbi e dalle appendiciti. La gente di Chiesa lo esorta a fidarsi della preghiera, come è detto nella Bibbia, e i naturapatici a lasciar fare alla "vis medicatrix". Tra questi estremi vi sono innumerevoli cure e sistemi igienici che devono essere studiati, incoraggiati o proibiti. Si fa presto a dire che, se lo statista non sa quello che deve fare, è meglio che non faccia niente; egli non si trova affatto di fronte a questa disperante alternativa. Il clamore di chi esige che qualcosa sia fatto è troppo forte. Egli cede ora qui ora là alle professioni, alle agitazioni, alle sette, così come cede al grande capitalismo, ovunque le pressioni sono più forti e le grida più elevate; prova questo o quel rimedio raccomandato, positivo o negativo, e lascia che esso faccia tutto il male o tutto il bene che deve, finché non sia stato definitivamente collaudato dalla prova e dall'errore. Quando cerca di farsi una sua opinione sulla faccenda, si trova di fronte una massa di opinioni contrastanti, che lo lasciano ignorante come prima e gli confondono ancor più le idee. Una sana intelligenza e il buon senso possono portare ai migliori risultati.

Alcune conclusioni sembrano del tutto ovvie. Non vi è nulla di più stolto nel nostro sistema sociale che permettere che il guadagno di un dottore dipenda dalle malattie dei suoi pazienti. Questo fatto non è necessario. In Svezia il dottore di famiglia è pagato un tanto all'anno, sia la famiglia sana o malata. E' perciò interesse del dottore di mantenere tutti i suoi membri sani. Quando uno svedese senza cappotto incontra in una giornata fredda il suo dottore per via, questi lo manda subito a casa a indossarlo. Felice il dottore i cui pazienti non sono mai malati. E' senza dubbio nel suo interesse uccidere i malati eccessivamente noiosi e gli invalidi cronici, invece di considerarli come insperate fortune; ma sebbene sia meglio dal punto di vista politico che la gente eccessivamente noiosa e gli incurabili muoiano, non è previsto che i dottori li uccidano, eccetto quei casi molto dolorosi in cui anche la morfina non serve a niente. Gli svedesi che abitano a Londra non trovano difficoltà nel prendere un dottore privato a queste condizioni, che sono già accettate dai nostri dottori eleganti. Questo accordo non è privatamente attuabile nei casi che comportano operazione chirurgica o consulti con specialisti; ma questi non sono chiamati dal paziente, bensì dal dottore di famiglia, che non riceve per questo alcun profitto pecuniario, a meno che non abbia una segreta partecipazione agli utili del chirurgo o dello specialista; usanza questa che si è sviluppata negli Stati Uniti e ha determinato una legge contro di essa. Poiché qui non esiste una legge del genere, non è necessario che ce ne occupiamo; ma ciò non rimedia al male dell'interesse pecuniario del chirurgo nelle operazioni e dello specialista nelle malattie.

E' inutile dichiarare, in onore di una nobile professione, che siamo psicologicamente garantiti contro la corruzione medica. Ci troviamo nuovamente di fronte al fatto, che un migliaio di persone possono essere profondamente corrotte da un interesse comune, al quale ognuna singolarmente presa è personalmente superiore. I dottori, nel loro semplice e generoso slancio, fanno tanto lavoro caritatevole che sembra cinico l'assoggettarli a un codice penale. Ma l'uomo di Stato si accorge subito che gli impulsi generosi e i codici di onore professionale, per il fatto che sono senza prezzo, possono essere messi da parte a causa del continuo inesorabile bisogno di denaro. I generosi impulsi occasionali agiscono saltuariamente in tutte le direzioni: l'interesse pecuniario non varia mai. Se il delitto porta alla promozione di un ufficiale di polizia; se la lite è proficua per l'avvocato; se la guerra è l'unico mezzo per il soldato di distinguersi, un motivo sicuro del rialzo del prezzo del capitale, una causa di affari lucrosi per il commercio e di impiego costante a salari crescenti per il proletariato; allora, come il giorno segue la notte, i delitti saranno "provocati" dalla polizia; cause giudiziarie per ricatti saranno messe in piedi dalle grandi ditte legali; le nazioni si dovranno armare fino ai denti per paura reciproca dei rispettivi guerrafondai; e i codici di onore saranno invocati dalle associazioni professionali quali codici per la protezione di abusi lucrosi.

Di nuovo subentrano qui la natura e l'igiene a fare opera benefica, del cui credito si impadronisce il dottore anche quando le misure da lui prese sono state dannose. La natura punisce la sporcizia, il brutto, la guerra, la cattiva nutrizione, la superalimentazione e le altre offese contro di essa, non vendicandosi subito sulla singola persona che l'ha offesa, ma con periodiche epidemie che infettano e distruggono tutti coloro il cui sangue non è abbastanza sano da resistere al contagio di un attacco specialmente forte. La peste nera dà l'idea di un tentativo di sterminare la razza umana in un momento di disgusto contro il sudiciume delle città. Il nome comune di questi attacchi fu La Peste. Ne abbiamo letto le descrizioni in Tucidide e De Foe e pensiamo talvolta che quelli siano fatti del passato ma la descrizione del colera del diciannovesimo secolo fatta dal dottor Axel Munthe e ugualmente terribile; anche la spagnola, che superò in morti le battaglie della guerra dei Quattro Anni, ci è ancora ben presente alla memoria. Mio padre scampò un attacco di colera nell'ultima grande epidemia; anch'io me la cavai, quando fui contagiato nella seconda delle due grandi epidemie di vaiolo, che dimostrarono l'assurdità della vaccinazione nel 1871 e nel 1881. Noi siamo ancora soggetti alla peste e alla carestia: alla guerra, all'assassinio e alla morte improvvisa; le nostre preghiere per esser liberati da questi mali supernaturali non sono state ancora soddisfatte. Ma vi è sempre una grande maggioranza di persone, il cui sangue è abbastanza sano e potente da sfidare le infezioni e produrre eserciti di fagociti, anticorpi autogeni e altro per sconfiggere le moltitudini contagiose dei microbi patogeni, che sono le armi della malattia nelle più feroci concentrazioni epidemiche. Quando quasi tutti sono morti o ammalati, l'epidemia, invece di raddoppiare di forza e portare la sua guerra di sterminio alle estreme conseguenze, diminuisce d'intensità e cessa per miracolo come cominciò, apparentemente soddisfatta (per il momento) dell'amichevole consiglio che ci ha dato, di pulire le nostre città, cambiare le nostre abitudini, nutrire i nostri agnelli e sfuggire alla prossima sfuriata. Nessuno dà al dottore la colpa della peste, che viene considerata come un atto di Dio; ma appena essa diminuisce e i casi diventano ogni giorno meno fatali, egli si acquista il credito di tutte le guarigioni. Se egli ha inoculato i suoi pazienti contro la malattia, quelli che sfuggono all'infezione attribuiscono la loro immunità alla inoculazione e non alla resistenza del loro sangue; e poiché la massima parte dei morti sarà tra i poveri, gli analfabeti, gli ignoranti e tra quelli che non si sono curati di farsi inoculare, le statistiche potranno dimostrare che la inoculazione (o ogni altro tipo di profilassi) assicura l'immunità; il dottore, che prima era chiamato soltanto quando il paziente stava male, è ora chiamato per somministrare profilattici a bambini e adulti che sono in perfetta salute. Uno non rimpiange l'onorario che ha dovuto pagare; i guadagni dei medici sono infatti in genere molto precari; ma la sua speranza e la sua fiducia nei facili e lucrativi sistemi di profilassi lo gettano tutto dalla loro parte contro l'igiene, che ci ha sbarazzati del tifo, del colera, e della peste nera, mentre la vaccinazione ha lasciato il vaiolo e la difterite ancora ugualmente temibili.

Di tutte le tirannie legalizzate nessuna è più intollerabile di quella che mette le mani su di noi e sui nostri figli, e inietta veleni nelle nostre vene o ce li butta giù per la gola. Quando la vaccinazione obbligatoria era arrivata alle sue estreme conseguenze negative e i bambini morivano di vaccinia, i dottori negavano che la vaccinazione avesse a fare qualcosa con essa e diagnosticavano il caso come sifilide contratta e comunicata ai figli dai genitori. I poveri non potevano difendersi contro queste accuse; ma finalmente una coppia citò i suoi accusatori per calunnia. La difesa disse che la vaccinia nella sua forma acuta non è distinguibile dalla sifilide, e che lo sbaglio era perciò scusabile e inevitabile. Poiché la vaccinia uccideva un bambino alla settimana (essa uccide tuttora più bambini del vaiolo), ci si può immaginare l'effetto di questa testimonianza medica su coloro che ne vennero a conoscenza. Ma per far conoscere questo e altri casi, gli oppositori della vaccinazione dovettero pubblicare uno speciale giornale e limitarsi alla diffusione che esso poteva raggiungere. I giornali, in genere, non fanno altro che ripetere la menzogna che la vaccinazione ha abolito il vaiolo e sopprimono ogni prova contraria. Ora che la vaccinazione è stata sostituita dalla inoculazione contro difterite, ci troviamo di fronte alla stessa credulità, alla stessa soppressione di notizie che annunziano che essa è stata seguita da attacchi più o meno lunghi di paralisi infantile, e alla stessa esposizione di statistiche da dilettanti, all'ombra della minaccia che, se ogni bambino non sarà inoculato, morirà di difterite dopo avere infettato tutti gli altri bambini, finché la razza umana non sarà spazzata via da un bacillo, che è stato trovato nella gola di persone che stanno benissimo. Ma nessuno parla del fatto che i figli dei genitori, che hanno avuto cura di fare "immunizzare" i loro bambini, figurano nelle statistiche più dei bambini di quei genitori che non si sono presi la briga di farli vaccinare. Anche la povertà produce interessanti statistiche che possono essere volte a vantaggio degli sfruttatori di un qualsiasi specifico. Se i gioiellieri avessero l'idea di dire che il possesso di un orologio e di una catena d'oro è l'infallibile profilattico contro il vaiolo, le loro statistiche sarebbero altrettanto convincenti di quelle fatte dai fautori della vaccinazione.

L'uomo di Stato che si prenda la briga di spendere una mezza giornata per rendersi conto di tutte queste ciarlatanerie deciderà probabilmente in un primo momento che niente lo indurrà mai a imporre per legge delle cure specifiche. Egli può anzi essere tentato a dichiarare il loro uso passibile di pena. Questo fu fatto nel caso della diretta inoculazione del vaiolo, che era di moda prima che fosse sostituita dall'inoculazione del vaccino.

Un abile e fantasioso dottore, di nome Jenner, dal punto di vista professionale istruito dal famoso John Hunter, credeva in maniera così entusiastica nell'inoculazione del vaiolo, che scrisse un opuscolo in cui dichiarava che tutte le facce butterate, che egli prima incontrava, erano ora quasi scomparse. Uno dei miei nonni si vantava che, per quanto fosse stato inoculato e vaccinato, aveva dopo tutto preso il vaiolo. Un giorno Jenner ricevette la visita di una donna che accudiva al bestiame. Nel corso della conversazione essa disse: «Io non posso prendere il vaiolo, perché ho già avuto il vaiolo bovino». Jenner, afferrando la nuova idea vide nella sua immaginazione tutto il mondo redento dal vaiolo con una inoculazione di vaiolo bovino. La sua visione si diffuse come un incendio. Il Parlamento votò 30000 sterline per Jenner e nulla per la donna.

Quando un bambino di una nobile famiglia morì di vaiolo benché vaccinato, Jenner cambiò idea sul vaiolo bovino e lo sostituì con il vaiolo equino; ma il pubblico e il Parlamento preferivano la vacca al cavallo e continuarono con il vaiolo bovino, considerando le inoculazioni del vaiolo come un delitto. Poiché allora l'esame batteriologico non era ancora conosciuto e, quando fu conosciuto, non si trovò nessun bacillo caratteristico né di vaiolo né di vaiolo comune, il Parlamento poté soltanto prescrivere la vaccinazione senza sapere bene cosa fosse. Ogni specie di ulcera che si poteva provocare in un vitello era ufficialmente ritenuta vaiolo e veniva propagata da braccio a braccio dei bambini. Più tardi i batteriologi dichiararono che il metodo corretto è di inoculare la stessa malattia; e tutte le moderne antitossine sono, come i rimedi omeopatici, «un pelo del cane che ti ha morso». Ma la legge si appoggia ancora alla guardiana del bestiame e «alla linfa di vitello», prodotta dall'inoculazione del vaiolo, sebbene tutto ciò sia delittuoso. L'ultimo favorito di Jenner, il cavallo, è diventato di moda per l'inoculazione contro la difterite. Ma nessun estremo limite di superstizione, persecuzione, superficialità o professionalismo venale fermerà la marcia della scienza. Per quanto grande possa essere la congiura del silenzio intorno agli errori e agli insuccessi della medicina, i dottori e i biologi che sono veramente scienziati conoscono questi fatti e non potranno acquietarsi finché non avranno trovato cos'è che non va. Quando la tubercolina di Koch, che doveva abolire la tubercolosi, produsse saltuariamente delle ulcere che imputridivano le membra del paziente, Almroht Wright, allarmato come dottore da questi fatti, e possedendo l'ardimento dell'artista filosofo, si mise al lavoro per trovare perché questo avveniva, e scoprì subito il curioso ritorno di fasi in cui la resistenza del sangue all'infezione si alterna tra la vittoria e la sconfitta. Quando venne di moda la trasfusione del sangue non ci fu detto che, mentre qualche volta essa guariva, altre volte portava alla morte, senza che nessuno ne sapesse il perché. Karl Landsteiner esaminò il problema e trovò che vi sono almeno quattro tipi differenti di sangue. Se si fa la trasfusione con il tipo sbagliato il paziente muore; se si usa il tipo giusto, il paziente è salvato. E così, nel continuo susseguirsi di prove e di errori, gli sperimentatori che hanno buona facoltà ragionativa e di indagine eliminano gli errori a uno a uno. L'uomo di Stato deve interessarsi da vicino di tutte queste faccende, altrimenti la sua testa sarà piena di errori già scontati. Questo è attualmente il problema di fronte a cui si trovano i nostri Governi. Essi considerano Jenner e Lister come le ultime luci della scienza e non sanno nulla di Almroth Wright o di Joseph Needham (la cui madre, come la mia, gli riempì la testa di musica, invece che di neodarwinismo). Passare da Lister a Weismann a Scott Haldane e al suo più noto figlio il marxista J. B. S. Haldane, è come passare dalla morte e da un passato senza speranza a un futuro vivo e carico di promesse.

Posti di fronte a questo miscuglio di vera scienza sperimentale, di magia antica e di, una scienza moderna mal cucinata che cambia le sue: conclusioni di anno in anno (e che è espressa da naturalisti che conoscono i fatti fisici ma ragionano pazzamente su di essi, e da filosofi che ragionano esattamente ma che non conoscono i fatti) possiamo difficilmente criticare la legislazione igienica. Bisogna tuttavia fare delle leggi; non si può lasciare la questione al "laissez-faire". Il libero commercio del gin e della cocaina distruggerebbe un proletariato che è così miserabile da non poter affrontare la vita senza droghe. Bisogna far applicare le norme igieniche, altrimenti avremo di nuovo la peste, il colera e il vaiolo. Gli "slums" devono essere distrutti, perché sono brutti e sporchi, rimpiazzandoli con strade grandi e belle e con città giardino in base al concetto che l'igiene, come la cultura, è essenzialmente estetica. I pidocchiosi e le loro cose devono essere disinfettati, se necessario con la forza, appena hanno una nuova casa. Costruzioni belle ma mal situate devono essere rimosse, come fu fatto prima in America e come si fa ora in Russia, senza nemmeno disturbare i loro inquilini.

In ogni riforma sanitaria ed estetica del genere l'uomo di Stato è al sicuro. Non vi e pericolo che egli venga affrontato da un madre infuriata e piangente che gli dica: «Voi avete ucciso il mio primo bambino con le vostre inoculazioni; prima di prendervi il secondo passerete sul mio corpo». Se in una città i capi famiglia non pensano a collegare i loro lavatoi e gabinetti con la fognatura principale, la locale autorità sanitaria verrà nelle loro case e provvederà al collegamento a loro spese, piaccia o non piaccia loro, infischiandosi della tradizione secondo cui la casa di ogni inglese è un castello; non bisogna temere che vi siano «obbiettori di coscienza», in quanto il nostro istinto estetico è così forte che l'opinione pubblica, sebbene tolleri colui che si oppone al servizio militare perché può essere un santo, non tollererà a nessuno costo un individuo sporco.

Ora come l'impiegato municipale manda la sua Gestapo sanitaria in una malsana casa privata, e perseguisce l'inquilino per non aver chiamato lo stagnaro ad attrezzargli la fognatura, così egli perseguisce un genitore per non aver chiamato un dottore a curare il figlio malato o un fornaio a nutrire il figlio affamato. La gente è infatti perseguita e imprigionata per queste mancanze senza che si prendano in considerazione l'opposizione di coscienza o la libertà dell'individuo. La giustificazione di queste costrizioni e penalità è che l'uomo di Stato conosce la verità circa la nutrizione e l'igiene. In realtà egli sa molto poco sia dell'una che dell'altra, perché molto poco se ne sa ancora. Così quando i dottori annunciano di avere estirpato o grandemente ridotto la mortalità di una malattia, mentre le cifre dell'ufficio generale di statistica dimostrano che essa è mortale come mai era stata o che questa riduzione non è affatto più grande, anzi forse minore di prima, l'uomo di Stato deve valutare queste statistiche con molta diffidenza. Se si trova che una sensibile diminuzione nella mortalità e nella prevalenza di una malattia, proclamata come l'effetto di questa o quella medicina o di qualche inoculazione, fa seguito alla notificazione dei casi e all'isolamento dell'ammalato (questo accadde con il vaiolo del 1885, dopo l'insuccesso della vaccinazione), allora l'uomo di Stato può incoraggiare l'isolamento e la notificazione della malattia. Ma egli deve tenere sempre presenti le statistiche disinteressate e le loro abili ed ugualmente disinteressate interpretazioni. Egli deve corazzarsi contro le pretese dei dottori di avere il monopolio della scienza medica o una maggiore saggezza degli altri nell'esercitarla. Non deve valutare gli avvocati dal numero dei loro clienti che sono stati impiccati, i dottori dal numero di persone titolate o di casa reale che sono morte nelle loro mani, o i biologi dal numero di cani che hanno vivisezionati. Deve soprattutto opporsi alla pretesa che le ricerche mediche siano libere dagli ordinari obblighi morali verso l'umanità e che per esse si possano esercitare poteri e privilegi attualmente negati anche ai preti e ai monarchici. Deve dire inoltre ai ricercatori di laboratorio che giustificano la loro crudeltà dichiarando di sperare qualcosa da esse: «Vi sono alcune cose che non dovete sapere; se per esempio girate il rubinetto dell'acqua calda del bagno di vostra moglie per accertare quale temperatura possa sopportare il suo corpo prima di disintegrarsi, voi aggiungerete a quella conoscenza anche quella di provare ciò che si sente quando si è impiccati». Egli deve usare la legge per obbligare le ricerche scientifiche a seguire metodi umani così come il legislatore, che impose la legge sulle fabbriche, obbligò l'iniziativa industriale (o dovrei chiamarla l'arte di fare denaro?) a metodi che sono relativamente umani, e cacciò via gli oppressori che non erano capaci di prosperare se non usando quei metodi di lavoro. Pavlov avrebbe fatto un lavoro molto utile dal punto di vista scientifico se avesse trovato uno Stato abbastanza forte da assicurargli che quello che egli faceva ai suoi cani sarebbe stato fatto anche su di lui. Può essere difficile abolire l'attuale privilegio che ha un dottore di avvelenare e un chirurgo di mutilare, e, quando i risultati sono letali, di certificare che il paziente morì di morte naturale; è infatti difficile che il giudice istruttore faccia un'inchiesta per ogni morte; e la professione di medico se soggetta al rischio dell'impiccagione potrebbe finire per apparire troppo poco attraente per assicurarsi abbastanza reclute; ma potremmo rendere almeno pecuniariamente indipendenti i nostri chirurghi dalle operazioni inutili e i nostri dottori dalle malattie immaginarie, sostituendo a esse forti argomenti positivi per indurli a valutare il miglioramento delle nostre statistiche sanitarie più di ogni altra considerazione professionale. L'onore e la coscienza del dottore e il giuramento di Ippocrate salirebbero allora alla più alta dignità e sarebbero una sufficiente garanzia di buona fede e di patriottismo.

E' concepibile che gli Stati moderni, dominati dal signor e dalla signora Qualunque, eletti dal signore e dalla signora Ognuno, possano giocare con trucchi come quello della sterilizzazione della gente che non amano o temono, o del ringiovanimento obbligatorio mediante innesti scimmieschi di persone che vengono considerate come buoni riproduttori, fino al punto che i loro sudditi stiano molto peggio di come siano stati gli spagnoli o anche gli ebrei sotto Torquemada. Questi era un uomo dannosamente ignorante; ma una istruzione appena di poco superiore lo avrebbe reso peggiore invece che migliore; forse tanto dannoso quanto il Consiglio generale dei Medici finché rimarrà depositario di funzioni e di poteri che dovrebbero essere esercitati soltanto dal Ministero della Sanità Pubblica, autorità laica che si occupa soltanto di igiene ed è accessibile ai dottori professionisti solo nella loro veste di esperti e di consiglieri.

Ma noi abbisogniamo sempre di maggiore istruzione; e con questo intendiamo parlare dell'educazione critica e non della dogmatica. Le scuole insegnano soltanto un lato delle loro materie di studio; e sinché i loro allievi non conoscono ambedue i lati, farebbero meglio a non sapere niente e dovrebbero essere esclusi senza pietà dalle cariche pubbliche. Io mi sono conquistato la mia educazione attraverso le discussioni : questa è la ragione per cui sono molto meno sicuro di me dei dogmatici e perché trovo impossibile prendere sul serio le loro pretese, mentre invece presto un orecchio speranzoso ai dilettanti, agli artisti, agli atleti e ai naturapatici, che hanno scoperto tecniche di cura "yoghi" con esperimenti su se stessi, e in genere a tutti i terapeutici che sono boicottati e disprezzati dai professionisti patentati.

25. L'ARCHITETTURA: UNA FORZA MONDIALE
L'architettura è una tremenda arma nell'armeria estetica dell'uomo di Stato. Sei delle sette meraviglie del mondo sono opere di architettura, l'altra è una statua colossale. Una meraviglia non è però un'invenzione o una scoperta utile. La ruota, l'arco, la spilla di sicurezza, la macchina per cucire, il motore a scoppio, il telefono, la radio, il cinema, la televisione sono grandissime invenzioni, ma non meraviglie. Una meraviglia è invece un'opera dell'uomo che vi toglie il respiro quando la vedete. Io, a esempio, rimasi letteralmente senza respiro quando entrai per la prima volta nel gigantesco coro che costituisce tutto ciò che rimane della cattedrale di Beauvais. Venti anni più tardi, pur sapendo cosa mi attendeva, vi entrai di nuovo, e di nuovo sentii il mio respiro che se ne andava. Esso è decisamente una delle meraviglie del mondo. Ero molto più vecchio di quando vidi le rovine del tempio di Giove a Baalbek; ma ciò che qui mi scosse non fu soltanto il fatto apparentemente sovrannaturale che esso fosse stato costruito, ma il fatto che gli arabi avessero potuto pensare che valesse la pena di tentare l'ancor più impossibile impresa di distruggerlo, impresa che dovettero lasciare infatti a metà. Essi avrebbero potuto costruire una città col lavoro che costò loro quel tentativo; e non furono tuttavia capaci di portarlo a termine. Niente poteva armarli a quell'impresa se non il sapere di non poter uccidere Giove e mettere Allah al suo posto finché il possente tempio fosse rimasto lì a imporre la sua maestà su tutto il mondo civile. In Inghilterra i nostri puritani si intestarono similmente ad abbattere tutte le statue che capitavano loro sotto mano nelle nostre cattedrali. Le glorie dell'ispirazione estetica provocano una furia iconoclastica, quando le religioni e le istituzioni che esse celebrano finiscono per essere odiate invece che venerate.

Mosè e Maometto proibirono la riproduzione di immagini intagliate di qualsiasi cosa fosse in terra e nelle acque sotto di essa. Ma l'impulso estetico sfidò Mosè e Maometto. I cristiani, mentre accettarono gli altri comandamenti come parola di Dio, ignorarono volutamente e passarono sotto silenzio questo particolare comandamento. I musulmani, quando conquistarono Costantinopoli, imbiancarono i mosaici di Santa Sofia, ma tentarono di superare i cristiani col costruire una moschea più grande di Santa Sofia. Quando si accorsero che la grandezza non è il segreto di una bella costruzione, il sultano Suleiman fece loro costruire un'altra moschea, la quale prese il posto di quella grande che non aveva raggiunto lo scopo, e fu ed è una gemma artistica, pur senza violare il secondo comandamento.

Che relazione passa tra questa storia antica e l'arte di governo di domani? Il problema è esposto molto chiaramente in una lettera che scrissi in mare dal Golfo del Siam il 4 febbraio 1933 al defunto Ensor Walters. Egli era stato un mio buon collega nella parrocchia di San Pancrazio e aveva raggiunto un'elevata posizione come ministro metodista. Ecco la lettera:

«Caro Ensor - Walters,
«Vi scrivo questa mia dal Golfo del Siam, dopo aver esaminato un buon numero di religioni in Egitto e in India. La moltiplicazione apparente degli dèi produce in un primo momento delle confusioni; ma scoprite poi subito che si tratta sempre dello stesso dio esposto sotto varie forme, funzioni e anche sesso. Vi è sempre un ultimissimo dio che sfida la personificazione. Questo fa dell'induismo la religione più tollerante della terra, perché il suo dio trascendente comprende tutti gli dèi possibili, dagli dèi elefanti, uccelli e serpenti, alla grande trinità di Brahma, Vishnu e Shiva, che precorre la Vergine Maria e il moderno femminismo, facendo di Shiva un essere che è nello stesso tempo uomo e donna. Cristo appare laggiù come Krishna, che potrebbe essere anche Dioniso. Infatti l'induismo è così elastico e così acuto che anche i più profondi metodisti e i più crudi idolatri ci si troverebbero bene.
«L'Islam è molto differente, essendo decisamente intollerante. Quello che posso chiamare un monoteismo multiplo diventa nelle menti di gente semplice un'assurda idolatria politeista; lo stesso accade nei nostri contadini europei che non soltanto venerano i Santi e la Vergine come dèi, ma sono pronti a combattere fanaticamente per una brutta piccola bambola nera qual è la Vergine della loro chiesa contro un'altra bambola nera del vicino villaggio. Quando gli arabi portarono questa idolatria a tali estremi da venerare ogni pietra che apparisse buffa e strana, Maometto insorse, a rischio della vita, e denigrò le pietre, dichiarando che c'è un solo dio, Allah, il glorioso, il grande, attaccandosi al secondo comandamento secondo cui nessun uomo deve osar di rappresentare Allah o qualcuna delle sue creature.
«Questa intolleranza si manifestò in maniera molto seria. O voi accettavate Allah, o qualcuno che lo accettava e che andava in paradiso per avervi mandato all'inferno vi tagliava la testa. Maometto fu una grande forza religiosa protestante come George Fox o Wesley. La principale differenza nella lotta tra Islam e induismo e tra protestanti e cattolici è che cattolici e protestanti si perseguitano ferocemente a vicenda quando hanno la forza dalla loro parte. L'induismo non perseguita invece nessuno, perché tutti gli dèi, e quello che è più profondo, i non-dèi, si posson trovare nei suoi templi. Vi è attualmente una grande setta indù, i giainisti, con templi magnifici, i quali escludono Dio, non in base a considerazioni materiali atee, ma perché non se ne può parlare e non si conosce, in quanto trascende ogni comprensione umana.
«Tutto ciò è abbastanza semplice per chiunque abbia senso religioso. Quando voi vi trovate a faccia a faccia con i templi e con i suoi adoratori, trovate che già prima che Maometto e il fondatore dei giainisti fossero sepolti, le istituzioni e i riti che essi fondarono cominciarono a ritornare ai tipi più popolari e che tutti gli dèi e non dèi si mischiarono l'uno con l'altro, esattamente come gli apostoli persero la fede quando Gesù fu ucciso. Nel tempio dei giainisti ci sono altari, immagini e bagni dove dovete lavarvi completamente prima di poter entrare nel tempio e adorare l'immagine. Se riuscite a trovare un prete intelligente, che sia un vero teologo giainista, gli chiedete: "come va questo fatto? Un dio in un tempio giainista!". Egli vi spiega allora che quell'immagine non rappresenta dio, ma è il ritratto di uno dei loro grandi santi, e che l'uomo che dopo aver fatto il bagno si sta prostrando davanti ad essa non la sta adorando ma esprime il suo rispetto per la memoria del defunto Ensorarmji Waltershagpat. Ma è come quando il decano Inge tenta di interpretare san Paolo. E' naturalmente evidente che l'immagine è un Budda ultra raffinato e che il giainismo e il buddismo si sono irrimediabilmente mescolati tra di loro. Il Budda dei giainisti è accompagnato da elefanti scolpiti. Voi chiedete che cosa significano e vi rispondono che sono opere d'arte puramente ornamentali. Posate allora lo sguardo sull'immagine di Ganesh, il dio indù con la testa e il tronco di elefante. Mentre siete sul punto di esclamare: "Que diable fait-il dans cette galère?" vi ricordate che non dovete mettere il vostro cortese ospite con le spalle al muro e tenete pertanto la bocca chiusa pur continuando a pensarci seriamente.
«Accade sempre così. Se si escludono i pochi che hanno senso religioso e che stanno ugualmente bene dentro e fuori dei templi di tutte le fedi, vi sono moltitudini di uomini medi. Ciò che essi chiedono al fondatore della loro fede sono anzitutto i miracoli. Se voi come Maometto li riprendete e dite loro che non siete un negromante, o, come Gesù, dite seccamente: "Una generazione malvagia e adultera mi chiede dei segni", sprecherete inutilmente il fiato; infatti una volta che siate diventato famoso con la vostra predicazione e abbiate curato i malati guarendo le loro menti e con ciò curando i loro corpi, il vostro uomo medio inventerà che avete fatto tanti miracoli da eclissare sant'Antonio da Padova. Allora egli vi eleggerà suo dio, il che significa che vi farà delle richieste e, quando sarà giustamente atterrito di voi, farà dei sacrifici per propiziarvi, fino al punto di uccidere la propria figlia (Ifigenia o la signorina Jephtha) per compiacervi; ma subito dopo comincerà a ingannarvi sostituendo un ariete al proprio figlio (Isacco) e facendo poi il sacrificio in modo puramente simbolico e immaginario. Non è quindi attraverso gli autentici principi del fondatore della sua fede che dovete arrivare all'uomo medio, se volete farne un decente essere umano. Bisogna infatti governare i pazzi secondo la loro pazzia. In Giamaica e nella Rodesia tutti i buoni negri e i loro grandi capi e ministri sono fondamentalisti. Se gettate tra loro un Bradlaugh e un Ingersoll, probabilmente non soltanto li scandalizzerete, ma li demoralizzerete. La stessa cosa si verifica nei nostri villaggi di minatori. Il metodismo ha reso gli uomini religiosi senza bisogno di splendidi templi: le sue case di Dio sono molto povere. L'altro clero ne ha costruite invece di magnifiche, tanto che i poveri non ci si trovano bene. Ma l'efficacia delle grandi costruzioni nell'afferrare l'immaginazione popolare si impresse su di me in maniera molto potente a Baalbek, a Delfi, a Eleusi e a Karnak dove Giove, Apollo e gli dèi egiziani avevano templi colossali. La gente guarda queste rovine e si meraviglia del prodigioso lavoro compiuto da coloro che costruirono maneggiando blocchi di pietra che pesavano varie tonnellate come se fossero mattoni e sollevandoli a centinaia di piedi di altezza in cima a giganteschi pilastri, in modo da eclissare le nostre gru a vapore. Ma la cosa veramente impressionante non è tanto l'enorme lavoro e la fatica fatta nel costruire, quanto l'ancor più stupefacente lavoro e la fatica spesa nel distruggere questi templi. Ciò può provare l'influenza che essi esercitavano sopra l'immaginazione dei popoli. Gli arabi, questi protestanti dell'Oriente, avrebbero potuto costruire un centinaio di splendide moschee, una volta deciso che dell'imponente tempio di Giove a Baalbek non dovesse rimanere una pietra sull'altra e che Apollo dovesse rimanere senza casa a Delfi ed Eleusi. Ciò che fecero al confronto i nostri puritani nelle nostre cattedrali fu roba da ragazzi. La rabbia che si accumula nei cuori religiosi quando queste meraviglie di architettura diventano tane di ladri e sostituiscono riti sensuali alla ricerca di Dio deve esser cresciuta fino a farsi forza di terremoto il giorno in cui essa distrusse Delfo.»

26. L'UOMO TEOCRATICO
Appare chiaro dalla mia lettera a Ensor Walters che un libero pensatore occidentale può trovarsi molto più a suo agio nei templi dell'Estremo Oriente piuttosto che in una cattedrale britannica o straniera. Le dozzine di personificazioni con cui è rappresentata la natura della forza vitale non lo turbano più delle tre persone della Trinità, più della dea Vergine e Madre, per non parlare dello stuolo di dèi minori chiamati santi. E come potevano questi resistere al politeismo della vecchia Grecia quando Giove e Apollo, Giunone, Afrodite e Atena si presentavano al mondo in forme di bellezza più che umana, eternata dalle sculture di Fidia e Prassitele per impressionare la nostra immaginazione? Generazioni di pittori da Giotto e Cimabue (la cui colossale Vergine è veramente una dea) a Raffaello e Michelangelo dovettero rendere questa teocrazia comprensibile, visibile, suscettibile alle preghiere, alle candele, all'incenso per la moltitudine dei fedeli, con un tale successo che generazioni di papi, imperatori e primi ministri dovettero essere conniventi con tutti i miracoli di Lourdes. «Noi andiamo oltre Canossa» disse Bismarck; ma fu costretto ad andarci lo stesso. Lo stesso accadde a Mussolini.

Il sacerdote per cui gli dèi stranieri sono degli idoli e i loro fedeli degli idolatri pagani da convertire alla sua fede è un dannoso portatore di guai che si è dimenticato del monito rivolto da Gesù a coloro che distruggono il grano per strappare la zizzania. L'uomo di Stato, quando si occupa di religione, deve comportarsi come un libero pensatore. Egli deve occuparsi imparzialmente di tutte le drammatizzazioni estetiche della divinità.

Deve allora tollerarle tutte? Certamente no. Egli ha a che fare con l'educazione dei bambini e si accorge subito che l'attuale personificazione di Dio comprende abominevoli idoli così come rispettabili divinità. La Bibbia ci racconta di molti dèi: Jehovah, Dagon, Moloch, Baal, Chemosh, il nobile dio di Micah il Morastite, e il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo dei cristiani. Gesù, Maria e Maometto sono stati personalmente deificati. Gli ebrei scelsero Jehovah come loro dio; noi, con la nostra caratteristica faciloneria, abbiamo tenuto Jehovah mentre adottavamo la Trinità cristiana, stabilendo così una conveniente combinazione, in base alla quale possiamo perdonare o trucidare i nostri nemici a seconda che ci aggrada. Così sebbene nessun uomo di Stato osi tollerare una scuola elementare ove si insegni la venerazione di Moloch, l'adorazione di Jehovah non soltanto è tollerata, ma anche ritenuta tacitamente evidente anche quando la scuola è "secolare".

Ora, alla luce del moderno pensiero e sapere ogni confronto tra il Jehovah del Libro dei Numeri e Dagon o Baal è a svantaggio di Jehovah. Nel Libro di Micah egli appare completamente trasformato come un dio non soltanto di Israele ma dell'intera razza umana, che aborre i sacrifici di sangue della divinità del Libro dei Numeri e non vuole niente da noi se non misericordia, giustizia e l'umiltà che si conviene alla nostra profondissima ignoranza. Ma il vecchio Jehovah con i suoi sacrifici di sangue torna fuori nel Nuovo Testamento, dove per suo ordine il figlio è condannato a morte per espiare il malfatto del Padre che non ha creato una umanità migliore. A causa di questa confusione la fede in Dio è finita in un tal pietoso discredito che la scienza professionale è diventata rabbiosamente anticlericale e preferisce inghiottire le pazzie di Weismann e di Pavlov piuttosto che avere un qualsiasi altro dio a qualunque prezzo. Il fatto che il suo culto sia stato legalmente abolito in Russia e in Germania è fonte di credito per quei paesi, così come il non averlo abolito è per noi fonte di discredito.

Ma che cosa dovrebbe prendere il suo posto? La semplice abolizione ci lascia tra l'ateismo pragmatico, che non prevede una evoluzione, e la cristianità sentimentale che fa del suo profeta un universale capro espiatorio, e non è praticabile dagli uomini di Stato; per quanto infatti si possa procedere in questa direzione non punendo coloro che fanno del male, gli uomini di Stato devono tuttavia combatterli accanitamente, sopprimerli e qualche volta anche sterminarli. L'uomo di Stato non ha in realtà alcuna scelta: deve essere prammatico.

Ma prammatico significa tirare il miglior partito dai popoli così come essi sono; e quello che essi sono dipende da quello che credono. La decadenza di credi immutabili li lascia increduli, agnostici, e irriverentemente prammatici. I loro figli non hanno né la vecchia disciplina mosaica né una nuova fede, e l'anarchia morale comincia a crescere.

L'individualismo senza scrupoli, e al pari di questo il nazionalismo, il razionalismo, l'imperialismo, il coribantismo e l'anacreontismo culminano in mostruose guerre mondiali e in distruttive rivoluzioni per risolvere problemi che avrebbero potuto essere sistemati in modo ragionevole. La natura romantica, che aborre il vuoto, lo riempie in Germania con Wotan e con il pugnace Sigfrido invece che col compassionevole Parsifal. I russi tentarono di riempire questo vuoto con il marxismo, ma si accorsero che avrebbero dovuto avere una nazione di filosofi, e cantano ora i Te Deum nelle cattedrali che avevano sconsacrate e trasformate in musei antireligiosi. In questo momento il dio di tutti i continenti è Marte; saccheggi e tributi sono chiamati sanzioni. La necessità di creare un'assemblea supernazionale si fa ogni giorno più pressante; ma non se ne fa niente, poiché, non essendo capaci di concepire una suprema assemblea che dichiari la giustizia di Dio e si appoggi soltanto sulla sua forza morale, noi tutti obiettiamo che essa non servirebbe senza una polizia militare e aerea, capace di ammazzare tutti coloro che fanno la guerra e di radere al suolo qualsiasi città dove la sua autorità non sia riconosciuta e seguita.

Ci dimentichiamo (se mai lo abbiamo imparato) che fu proprio una simile militarizzazione della Chiesa cristiana, che infranse il suo potere spirituale e fece di questa un semplice Stato papale. La mia proposta, fatta nella commedia "Ginevra", di un'assemblea di semplice giustizia senza polizia, prigioni, punizioni e nessun altro potere se non quello della giustizia sopra l'intelligenza umana, non è stata presa in maggior considerazione del "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare.

Il futuro uomo di Stato deve trovare naturalmente un sostituto di Jehovah, se non si vuole che la civiltà perisca in un'oziosa negazione di tutto. Egli può chiamare il sostituto di Jehovah con una diecina di nomi differenti; ma deve abolire alcuni attributi di Jehovah e specialmente quello dell'infallibilità; infatti il Creatore, lo Spirito Santo, la parola (più propriamente il pensiero), l'energia cosmica, l'"élan vital", la scintilla divina, la forza vitale, la forza della giustizia (chiamatelo come volete) non è infallibile; anche lui va avanti provando e sbagliando e i suoi errori sono chiamati il problema del male. Esso non è onnipotente; in verità non ha alcun potere diretto, ma agisce soltanto attraverso le sue creazioni. A loro volta queste creazioni non sono onniscienti, ma procedono per congetture; il male sorge quando le congetture, pur con le migliori intenzioni, sono sbagliate. Esso non ha né corpo, né parti; ma ha, o piuttosto è ciò che noi chiamiamo un'anima o una passione, che ci spinge a ottenere un maggior dominio delle nostre situazioni e una più grande conoscenza e comprensione di quello che stiamo facendo. Ha anche un desiderio bramoso di verità (corrispondenza della fede ai fatti), bellezza, giustizia, misericordia, considerate dalla Chiesa come virtù salutari, contro le quali dobbiamo però porre alcuni desideri come l'orgoglio, la cupidigia, la lussuria, la golosità, l'ira, l'invidia e l'accidia che sono i sette peccati capitali, ma evidentemente considerandoli soltanto come eccessi e abusi degli istinti di autoconservazione. D'altronde la lista non è ancora completa; essa omette, a esempio, la crudeltà sadica che va dalla tortura fisica e dalla mutilazione (privazione di membra) al sarcasmo e alla provocazione, e che è specialmente repellente in quanto è la più terribile arma dei molti peccatori contro i pochi virtuosi.

Un'altra attribuzione da abolire è quella della onnipotenza o dell'illimitato potere fisico di interferire direttamente negli affari umani e di assicurare la vittoria alla ragione invece che alla malvagità umana. Una volta le controversie legali si soleva rimetterle alla giustizia di Dio obbligando querelante e convenuto a deciderle con un duello, armati di spada e scudo. Coloro che non erano in grado di combattere potevano stipendiare dei campioni che combattessero per loro. Ora si stipendiano degli avvocati, che discutono, interrogano i testimoni degli avversari e fanno discorsi, invece di combattere. Ma la vittoria va ancora al più abile avvocato e quindi a chi ha più quattrini, come accade in guerra ai battaglioni più numerosi e ai più capaci generali senza considerazione per la giustizia di Dio, a parte la confusione che lo Spirito Santo può gettare nella coscienza dell'una o dell'altra parte. Nella mia giovinezza ho sentito una pia madre irlandese che diceva a suo figlio, poiché questi l'avvertiva che correva il rischio di perdere il treno, che essa lo avrebbe preso «con l'aiuto di Dio». Allora egli rispose: «Va bene, ma anche tu devi far presto». Questo è ciò che l'uomo di Stato deve sempre dire all'uomo teocratico.

Ora tutto ciò significa che l'uomo di Stato deve fare il lavoro di Dio senz'altro aiuto che il suo potere, la sua abilità e la sua coscienza. E poiché le coscienze variano di intenzioni, di costanza e di qualità, e sono dannose quando non sono accompagnate dal sapere, soltanto le persone che sono passate attraverso le più minuziose prove dovrebbero poter essere elette quali supremi governanti.

Il nostro sistema di suffragio universale, in cui il candidato lungimirante è sconfitto dal candidato miope, colui che agisce da colui che parla, colui che sebben riluttante si offre volontario per un gravoso servizio dall'ambizioso arrivista che cerca di aggiungere l'autorità all'importanza che attribuisce a se stesso, è una invenzione che non funziona in pratica.

In queste condizioni anche l'individuo più saggio non ha possibilità, essendo mal compreso, aborrito, e temuto più che ammirato e obbedito. I demagoghi, il cui genio politico è irresistibile, imparano le arti con cui si può truffare il popolo e si mantengono al potere combinando quelle stesse arti con la mano forte e il timore che deriva dalla loro cospicua superiorità sui loro avversari. In tali circostanze non è possibile formare un Gabinetto composto delle persone più sagge; saremo così costretti al sistema dei quadri, per scegliere individui adatti al lavoro intellettuale della democrazia. Se questo sistema fallirà, rientreremo nel problema del male e saremo sterminati come i mammut e i mastodonti da nuove razze di maggior capacità politica. Non abbiamo infatti alcuna ragione per credere che noi siamo l'ultima parola del Creatore.

27. IL BIOLOGO DELLA COLLETTIVITA'
La biologia è senza dubbio la prima preoccupazione dello Stato. In verità è la prima preoccupazione di ogni cosa vivente; non mi occupo qui di quella parte di essa che può essere lasciata all'attuazione dei singoli individui. I singoli individui possono tenersi momentaneamente in vita; ma per tenere in vita in uno spazio limitato e per lungo tempo un milione di persone, è necessario adottare misure d'ordine pubblico che superano il potere del singolo individuo; e se queste misure devono essere qualcosa di più di semplici misure empiriche bisogna che dietro di esse ci siano una teoria generale, qualche riferimento e qualche lavoro intelligente. I nostri principali legislatori, dottori e poeti drammatici sono tutti biologi specializzati in quello che il papa ha chiamato l'esatto studio dell'umanità: cioè l'uomo. Essi devono essere assistiti da statisti di professione (i matematici della biologia); le statistiche sono infatti indispensabili e quelle addomesticate non servono.

Può sorgere ora il dubbio se la biologia possa essere classificata quale scienza; il suo compito principale consiste infatti nel definire la differenza tra un corpo vivo e un corpo morto; in questo settore i nostri fisiologi e biochimici hanno fallito così completamente lo scopo che alcuni di essi sono arrivati al punto di dichiarare che scientificamente non vi è alcuna differenza. E infatti nessuna dissezione né analisi ha scoperto in un corpo vivo qualcosa che non esista anche nel suo cadavere. Ciò nondimeno i due si comportano in modo così differente, che coloro che negano che vi siano differenze devono essere considerati pazzi.

I più antichi biologi scientifici, per quanto ne sappiamo, furono coloro che scrissero il Libro della Genesi. Essi non erano chimici analitici e non sapevano nulla di gas, cellule, ormoni, cromosomi, vitamine, geni e antigeni, gameti, clorofilla e altre fille, soma, eccetera, tutti nomi coi quali gli scienziati ci mettono a tacere. Ma essi li conoscevano nell'insieme come materia o, come essi la chiamavano, «la polvere della terra». I loro scultori sapevano farne una forma a immagine dell'uomo, ma non un corpo vivente; sapevano che quando questa diventava un essere pensante, con sensazione e movimento, qualcosa di strano doveva accadere in esso. Non sapendo cosa fosse, non essendo così pazzi da negare che esso esistesse e credendo che la creazione, essendo apparentemente miracolosa, dovesse essere opera di un Dio, descrissero il processo con le parole «Iddio formò l'uomo con la polvere della terra e soffiò nelle sue costole per dargli il soffio della vita; e l'uomo diventò così un essere vivente». Osservarono inoltre che dopo qualche tempo il corpo cessava di vivere e si decomponeva nella sua materia originale. Da questo dedussero che l'uomo aveva contristato Dio e lo aveva spinto a dichiarare e decretare «Tu sei polvere e polvere dovrai tornare».

Non fu questo un cattivo inizio della biologia come scienza. I suoi autori erano molto più scientifici dei loro moderni successori; infatti, sebbene essi drammatizzassero i fatti secondo il sistema della loro cosmogonia deistica, restavano però sempre aderenti ai fatti e non si rimbambivano a forza di tentar di misurare l'universo e far riuscire la saliva dalla bocca di un cane, o col tagliar le code di generazioni di topi bianchi. Ci troviamo ancora di fronte a questi fatti basilari che, sebbene siano stati sfrondati della loro favolosa drammatizzazione, sono ancora adesso i più miracolosi. Rousseau ci esortò a sbarazzarci dei nostri miracoli; ma tanto più ci sbarazziamo di vecchie storie favolose, tanto più miracolosa diventa la creazione. Da quali fatti miracolosi deve partire l'uomo di Stato? Una forza naturale, che egli deve accettare dogmaticamente perché vede buona parte di quello che essa fa, ma nulla di quello che essa sia e perché faccia questo qualcosa, comprende uno svariato mucchio di robaccia che egli può chiamare ugualmente polvere della terra o in qualsiasi altro modo. Essa si atteggia in varie forme tutte fantastiche e alcune ridicolmente grottesche; mette queste forme all'opera, provvedendole di una volontà, alcune per un istante, altre per momenti, altre ancora per anni e secoli. Alcune crescono senza muoversi; altre si fermano nella crescita e si muovono! Consumano la loro sostanza e altre ne acquistano per rimpiazzarla, costruendola entro se stesse, fintantoché non si stancano di vivere; la forza allora le abbandona e ritornano a essere polvere. La lunghezza della loro vite varia secondo le loro condizioni d'esistenza e la loro educazione, che sono entrambe controllate dallo Stato. Nei paesi mal governati un enorme numero di bambini muore nei primi anni di vita. Io sono ancora vivo (fino a un certo punto) a ottantotto anni.

Il problema non è comunque così semplice come può sembrare da questa esposizione schematica. La miracolosa forza creativa non crea una sola specie di creatura per fermarsi a essa. Le creature sono così varie, che appaiono strumenti piuttosto che mete finali. La creazione è come la bottega di un falegname con i suoi martelli, seghe, ceselli, pialle, viti, chiodi morse, torni e il resto, strumenti tutti che hanno lo scopo di aumentare il potere del falegname sui suoi materiali e che sono tutti inutili se il falegname non ne comprende l'uso e non li può maneggiare senza tagliarsi le dita. Ma questo paragone non calza bene in molti punti. Nell'officina dell'universo il falegname è onnipresente ma invisibile, silenzioso, intangibile e inscrutabile. Egli non ha niente da tagliarsi, né le dita, né le mani, né il cervello, né i muscoli. Secondo le parole della Chiesa d'Inghilterra egli è «senza corpo, membra e passioni». Egli deve costruire quindi certi utensili che agiranno senza che li maneggi, dotati di coscienza, di scopo, di volontà, di orgoglio quando sono in efficienza e di vergogna quando servono male il falegname. E poiché il falegname cerca sempre strumenti migliori e ne esperimenta di nuovi, i suoi utensili devono avere un'inclinazione al miglioramento che io chiamo inclinazione all'evoluzione. Poiché si consumano e devono rinnovarsi, gli utensili devono avere una inclinazione alla riproduzione. Poiché non possono soddisfare le loro inclinazioni senza istruzione, devono avere anche quella inclinazione per l'istruzione che noi chiamiamo curiosità. Poiché nello stesso tempo devono avere cura di se stessi, devono avere un'inclinazione all'autoconservazione. Essendo queste inclinazioni fatti primitivi, inconcepibili, irrazionali, miracolosi e mistici, l'uomo di Stato deve sfruttarli nel modo migliore e trovare loro un nome. Essi vengono chiamati istinti. La parte fastidiosa di tutta la questione è che gli istinti non vanno sempre d'accordo; possono anzi entrare in serissimo conflitto reciproco. Alcuni di essi producono coraggio, altri vigliaccheria. La curiosità ha portato certe persone molto intelligenti a esplorare i poli, affrontando rischi e difficoltà che Cherry-Garrard ha descritte molto vivamente nel suo libro intitolato "Il peggior viaggio del mondo". Il senso di autoconservazione ha indotto molti di noi a starsene a casa e a mandare i poli a quel paese. Il dottor Edward Wilson, che prese parte al "viaggio peggiore" con Cherry-Garrard, non si curava affatto dei poli, ma desiderava sezionare le uova del pinguino imperatore, e pagò la pena della sua curiosità, restando congelato. Vien fatto di chiedersi, come Amleto, che cosa fossero i pinguini per lui e lui per i pinguini, perché egli dovesse morire per loro. Colombo, per indurre gli uomini a partire con lui per l'Asia passando da ovest, dovette impiegare dei criminali, le cui sentenze erano abbastanza gravi perché il rischio valesse la pena, nella speranza del perdono che era stato loro promesso. I governanti devono intervenire dappertutto in questi conflitti, armati di tutti i poteri di elogio e di punizione che ha lo Stato, gettando il loro peso da una parte o dall'altra per incoraggiare e spingere, o per scoraggiare e prevenire.

Questa funzione richiede giudizio e capacità di decisione di primissimo ordine, non raggiungibili da alcun complesso di massime e di comandamenti aridi e schematici. E' facile dire «Non uccidere»; ma l'uomo di Stato deve rispondere: «Cosa! Non uccidere una pulce che mi trovo nel letto! non uccidere un milione di cavallette o di formiche bianche per salvare la campagna dalla devastazione e la razza umana dallo sterminio! non uccidere gli avvelenatori, i traditori e i sabotatori! non uccidere gli invasori e i conquistatori! Perché mai? l'ucciderli è una necessità giornaliera del mio lavoro».

Ma bisogna affrontare fatti ancora più spaventosi. Questa misteriosa forza creativa lavora su piani differenti e produce, come sua cosa migliore, una creatura che ci fa esclamare pieni di ammirazione «Che capolavoro è l'uomo!» e come sua cosa peggiore un virus mortale. Essa crea a ogni gradino della scala compreso tra questi estremi; e lo spaventoso effetto di questa variabilità è che a ogni momento può scivolare, come se avesse cambiato idea o stesse facendo uno scherzo crudele. L'uomo vivente, il suo capolavoro, non soltanto diventa un mucchio di vermi quando muore, e non sa e non si cura più di quello che gli accade, ma, mentre è ancora vivo, può avvenire che la sua carne si rinnovi non come carne umana, bensì come l'orribile e letale prolificazione di cellule inferiori che chiamiamo cancro. Essa può anche produrre ossa dove dovrebbe produrre muscoli; a Dublino vi è lo scheletro di una donna i cui muscoli divennero così simili alle ossa, che le sue braccia divennero immobili come quelle di una statua. I morbidi e fluenti tessuti e i liquidi dei normali organi umani possono essere sostituiti da pietre.

Nella terribile necessità di sapere perché la forza cosmica ci giochi di questi diabolici trucchi, noi sottoscriviamo o lasciamo in eredità centinaia di migliaia di sterline al Fondo per la Ricerca sul Cancro e simili organizzazioni, nella speranza che, se non si riesce a scoprire il perché, si possa fare almeno un po' di luce sul come.

Ma questi fondi sono sperperati dai vivisezionisti, che dopo innumerevoli sacrifici di rito chiamati esperimenti ci dicono che sono riusciti a produrre il cancro in un topo. Non è molto per il denaro che abbiamo dato. La forza cosmica, chiamata Spirito Santo nella Chiesa d'Inghilterra, crea dubbi inquietanti agendo occasionalmente in maniera non del tutto santa, come se non avesse una coscienza. La sua apparente crudeltà è usata da vivisezionisti per persuaderci che non esiste; che quello che vediamo è un seguito di accidenti, quello che stiamo dicendo un balbettio che sarebbe esattamente lo stesso, se non esistesse la coscienza, dato che l'unica forza che fa qualcosa è la selezione naturale che agisce senza fine e che tuttavia produce, a mezzo delle prodigiose probabilità matematiche, possibili in un tempo illimitato, i «riflessi condizionati» che simulano il comportamento intelligente e ingannano le persone non scientifiche.

Nessun uomo di Stato degno di questo nome dovrebbe lasciarsi influenzare da queste stupidaggini del diciannovesimo secolo. Egli ha a che fare con la vita e con la morte, con la salute e le malattie, con la coscienza e l'incoscienza; col volere e con il fine, con la creazione e l'evoluzione, considerati come fatti; e se i discepoli di Weismann e di Pavlov lo assicurano che i fatti sono illusioni, egli deve rispondere: «Molto bene; ma le illusioni sono fatti e sono i fatti con cui io devo fare i conti. In ogni modo, poiché un tessuto sano e un cancro sono fatti viventi e non illusioni, vogliate dirmi, se lo sapete o potete provarlo, come uno di questi fatti può evitare che ciò accada; è questo infatti ciò che interessa un ministro dell'Igiene pubblica. E per piacere, non venitemi a raccontare cosa accade a cani mutilati, a porcellini d'India, a topi morti, poiché devo avere a che fare con ciò che accade a cittadini non mutilati, che soffrono di questi cambiamenti, mentre altri che bevono e mangiano le stesse cose rimangono tali e quali. A me interessa ciò che accade naturalmente nel mondo, non ciò che voi escogitate in maniera non naturale nei vostri laboratori. Se non potete rispondere alla mia domanda, siate abbastanza buoni da non farmi perdere tempo e uscite».

Anche quando i dottori e i chimici trovano un rimedio, l'uomo di Stato deve considerare se è possibile dal punto di vista economico e umanamente attuabile. Ogni chimico può dire al Tesoro come si fa a fabbricare diamanti dalla cristallizzazione del carbone e come si può estrarre l'oro dalle acque del mare. Ma il costo del procedimento supera il relativo valore dei diamanti e dell'oro. Ogni individuo specializzato in sieri può raccomandare alle autorità sanitarie una serie di iniezioni profilattiche garantite nel prevenire la maggior parte delle più note malattie. Lawrence di Arabia mi disse che nel corso della sua carriera militare aveva subito oltre quaranta iniezioni. Senza dubbio il fatto che egli non morì di nessuna delle quaranta malattie contro le quali gli erano state fatte le iniezioni figurerà come prova statistica dell'efficacia della profilassi. Ma l'uomo di Stato non osa in base a questa prova, o meglio in base a questa non-prova, obbligare tutti i cittadini a fare quaranta iniezioni. Del resto le iniezioni possono fare anche del male. Ho già descritto come la vaccinazione e le iniezioni di tubercolina abbiano talvolta provocato più morti del vaiolo e della tisi e come sir Almroth Wright abbia inventato una tecnica che rendeva le iniezioni più sicure. Ma mentre lo scienziato nell'interno del suo laboratorio si preoccupava soltanto della efficacia delle precauzioni che egli prescrive, l'uomo di Stato deve pensare al loro costo, quando vengono praticate a milioni di persone. Una singola inoculazione, che abbisogni soltanto della punta di un bisturi o dell'ago di una siringa ipodermica, e che non comporta nessuna successiva invalidità, può essere resa obbligatoria se i suoi meriti sono riconosciuti; ma se un dottore di campagna può farlo solo spendendo sterline per trasformare il suo gabinetto chirurgico in un attrezzato laboratorio, e passando ore e ore a esaminare sangue al microscopio e a contare i microbi nelle sue provette per accertare l'indice fagocitico di ogni cliente, questa precauzione non deve essere accettata dall'uomo di Stato, perché economicamente impossibile. Accertare gli indici di quaranta milioni di persone in una volta (per non parlare delle quaranta volte di Lawrence) sarebbe troppo lungo e costoso anche se i dottori fossero già istruiti in questa tecnica. Tuttavia senza queste precauzioni l'iniezione può riuscire dannosa tanto spesso, da provocare una reazione nella quale l'obiezione a ogni genere di iniezione e di immunizzazione diventa un riflesso condizionato, rafforzato dalla paura di intervenire artificialmente nel sangue umano vivente, che è «un sugo molto speciale» come lo chiamò Mefistofele. Tutto è possibile in una faccenda che nessuno ancora capisce. I cristiani cantano che la Provvidenza si muove in modo misterioso per effettuare le sue meraviglie. Così anche lo scienziato più fanaticamente ateo non può dirci niente di più su questo argomento.

La situazione è per lo statista piena di difficoltà. Da una parte la scarsa "intellighentzia" proletaria grida «Via le mani dal nostro corpo e dal nostro sangue», mentre la numerosa "non-intellighentzia" corre dietro a incanti, fascini, battesimi, circoncisioni, vaccini e simili, come se fossero suggerimenti per vincere alle corse.

I dottori, la maggior parte dei quali sono in difficili condizioni poiché la loro vita dipende dalle malattie dei poveri, favoriscono ogni pratica che renda la salute lucrativa quanto le malattie. Quando facevo parte di un consiglio di igiene pubblica, pagavamo mezza corona per ogni rivaccinazione; e i bambini che aprivano la porta quando si suonava o si bussava, essendo i loro genitori fuori di casa, erano qualche volta presi e rivaccinati lì per lì, ciò che provocava poi aspre discussioni quando avveniva che i loro genitori fossero contrari alla vaccinazione. Non vi è dubbio che i dottori fossero onestamente convinti che la vaccinazione fosse innocua e prevenisse il vaiolo; ma con quella onesta convinzione c'entrava molto di più la mezza corona che un imparziale studio scientifico del soggetto. I dottori sono propensi come molte altre persone a credere ciò che desiderano e non si rendono conto che, siccome ogni pensiero nasce dal desiderio, esso non può avverarsi finché un desiderio non agisca come padre al pensiero. La maggior parte di noi crede ciò che desidera credere a dispetto di ogni evidenza. L'uomo di Stato è portato finalmente a considerare con profondo sospetto ogni testimonianza professionale che sia pecuniariamente interessata, e a far approvare o abrogare leggi dal Parlamento in aperta sfida contro di essa.

Ora, le malattie si propagano al di là della classe dove cominciano. Un monaco tedesco di nome Oken scoprì nel 1808-11 che i nostri corpi sono formati di cellule viventi, che egli fu abbastanza intelligente da chiamare trasmutazioni dello Spirito Santo, che è il nome cristiano della forza vitale. La più piccola di queste cellule, invisibile anche attraverso il microscopio elettronico, può abbondare nel sangue. Quando la forza vitale non funziona bene, come e perché nessuno lo sa, esse cambiano forma e si dividono in armate con uniformi distinte e combattono e si mangiano tra di loro, mentre il loro ospite umano soffre dolori e disordini delle funzioni normali e dei loro organi; per farla breve soffre di una malattia o di un malessere. Quando i polmoni sono malati, queste cellule si mettono un'uniforme speciale, un'altra se ne mettono quando sono gli intestini che non vanno bene, un'altra ancora quando non funziona bene il controllo muscolare della gola e si producono involontarie contrazioni che possono uccidere il paziente e così via. Queste cellule speciali chiamate germi, microbi, bacilli, spirocheti, leucociti, fagociti possono andarsene per l'aria col respiro, lo sputo, e diffondersi dal fazzoletto, dagli escrementi e dai vestiti, e possono attaccare la malattia a chiunque sia abbastanza sfortunato da venire in contatto con loro mentre si trova in una fase negativa di difesa e non può così evitare che si moltiplichino vari milioni di volte dividendosi in due.

Quando i fisiologi scoprirono questi strani agenti delle malattie, conclusero subito che i microbi non soltanto sono gli agenti e i diffusori delle malattie, ma che sono le malattie stesse e che se si riusciva a distruggerli si potevano abolire le malattie.

Come accade a tutte le prime immature conclusioni anche questa fu semplicemente e avidamente trangugiata, e divenne subito popolare, come lo è tuttora. Ma sebbene spiegasse abbastanza bene il manifestarsi della malattia e delle epidemie, essa fallì quando si trattò di spiegare il perché delle loro misteriose cessazioni. La peste a esempio si adattava abbastanza bene alla teoria; ma perché la peste non si propagava fino al punto che i suoi microbi moltiplicandosi ponessero fine alla razza umana, invece di cessare a un tratto come faceva? Durante la mia giovinezza negli ospedali di Dublino, i microbi erano chiamati "animalculae"; ma nulla si conosceva delle loro caratteristiche uniformi; e il sospetto che vi fosse una relazione tra loro e le malattie non andava al di là dell'aneddotica. Ricordo che mio padre mi raccontava di un uomo che, soffrendo di mal di denti, se ne stava con la bocca aperta sui fumi di un'erba velenosa, perché ne uscissero fuori molte "animalculae" soffocate e il mal di denti cessasse. I chirurghi operavano tenendosi indosso i normali vestiti e tenevano gli strumenti tra le labbra; dovevano infatti operare molto in fretta, prima che fossero scoperti gli anestetici. E nulla di molto speciale accadeva il più delle volte. Le operazioni riuscivano altrettanto bene di quelle che si fanno ora con tutte le precauzioni contro i microbi. Alcune di esse, specialmente l'estirpazione dei reni e delle ovaie, che ora sono del tutto sicure, erano allora considerate come operazioni disperate; ma il rinnovamento fu effettuato da chirurghi di vecchia scuola che usavano acqua non sterilizzata e le cui nuove precauzioni non andavano molto al di là del mantenere immutata la temperatura nella camera del malato finché il paziente non fosse fuori pericolo.

Le operazioni non andavano però sempre così bene. Di tanto in tanto le operazioni negli ospedali diventavano improvvisamente mortali. Se un'infermiera si pungeva un dito con una spilla, moriva di setticemia. Tutti i malati del reparto chirurgico morivano; un'operazione equivaleva a una esecuzione. Ma questo misterioso stato di cose non durò a lungo. La "cancrena di ospedale", come fu chiamata, diventò sempre più lieve finché non scomparve, cessando di visitare gli ospedali, così come la peste scomparve dalle nostre città, senza che sappiamo esattamente perché. Un chirurgo di nome Lister fu abbastanza intelligente da comprendere la teoria dei germi; e sebbene la sua capacità manuale di operatore fosse al disotto della media, le sue precauzioni contro le infezioni dei microbi comportarono un tale eccesso di igiene estetica, che la conseguente scomparsa della "cancrena di ospedale" lo rese famoso. Sfortunatamente la sua chirurgia battericida, che egli chiamò antisettica, uccideva tanto le cellule protettive e riproduttive quanto quelle aggressive e rese la sua chirurgia molto più dannosa di quella dei suoi concorrenti della vecchia scuola. Nel 1898 mi sottoposi a una operazione che mi lasciò un buco al piede sinistro, che le cellule riproduttive avrebbero dovuto riempire. Ma Lister era allora in gran voga; e mi riempiva giornalmente il buco di garza allo iodoformio per uccidere i microbi. Questi morirono realmente, ma il risultato fu che dovetti andare con le grucce per diciotto mesi. Un vecchio chirurgo pre-listeriano mi fece sospendere l'uso della garza e mi prescrisse una benda bagnata di acqua normale piena di microbi, mantenuta umida da un pezzetto di seta oliata. In una quindicina di giorni ero guarito.

Lister non si accontentò della garza allo iodoformio, Inventò una "macchina ausiliaria" che spargeva uno spruzzo di acido carbonico nella sala operatoria, e avvelenava i microbi, il paziente e il chirurgo nello stesso tempo. Egli pensò che quello che ci voleva per abolire le malattie e rendere permanentemente sana la razza umana era la messa in opera di una "macchina speciale" che spruzzasse acido carbonico a ogni angolo di strada. La "fin de siècle" puzzò così di acido carbonico.

Ma i chirurghi sollevarono qualche obiezione al fatto di dover essere avvelenati e soffocati e che le loro operazioni non dovessero portare alla guarigione dopo che costavano al paziente da cinquanta a varie centinaia di sterline.

Lister non fu pubblicamente discreditato; la sua macchina fu messa silenziosamente da parte e lui stesso fu sistemato nel Valhalla dei medici, simbolizzato da una statua nella Portland Place. Il suo metodo tramontò, eccezion fatta per l'igiene estetica, che entrava proprio incidentalmente nel suo metodo. I chirurghi e le infermiere indossarono così immacolati camici bianchi. Sir Almroth Wright dette il colpo di grazia alle teorie antisettiche, abbattendo polemicamente quanto ancora rimaneva della teoria di Lister. Come Lessing, egli non soltanto decapitò Lister, ma ne alzò in aria la testa per dimostrare che non vi era cervello. Dimostrò così che con acqua normale contenente il dieci per cento di sale s'otteneva lo stesso effetto di quello che aveva cercato di fare Lister con lo spruzzo di acido carbonico, mancando scandalosamente lo scopo.

Per me, con le mie grucce e le stigmate sul piede, questa è storia di cinquant'anni fa. Tuttavia essa sarà accolta da molti dei miei lettori con incredulo stupore e come se fosse blasfema. Le medicine e gli specifici che si comprano nelle farmacie portano scritto sull'etichetta che sono antisettici. Jenner e Lister sono venerati come gli autori di un miracolo terapeutico; la verità su di loro è tenuta nascosta con la stessa gelosia di un segreto di fabbrica. Ma se le autorità di salute pubblica non vengono messe a conoscenza di questi segreti, essi possono fare molto danno. Lo fecero infatti alla fine del secolo scorso quando nella campagna contro la tubercolosi ricoprirono le stazioni ferroviarie e gli altri luoghi pubblici di cartelli che esortavano la gente a non sputare per terra, ma a usare sempre il fazzoletto. Esse continuano a farlo ancora adesso. «La tosse e gli sternuti propagano le malattie; usate sempre il vostro fazzoletto» ci dicono gli avvisi pubblici: anche nei cinema i film ci esortano a catturare miliardi di germi dell'atmosfera e a metterli al riparo nel nostro fazzoletto.

Difficilmente si potrebbe dare un consiglio peggiore. I microbi, sebbene siano i prodotti e non le cause delle malattie, non sono per questo meno infetti; non sono tuttavia né immortali né invulnerabili. E' sufficiente una esposizione di una frazione di secondo al sole per ucciderne la maggior parte. Essi vegetano e si moltiplicano soltanto all'umido e al buio. Fu trovato che, dopo che grandi città come Londra e Parigi avevano scaricato i rifiuti delle fogne nei fiumi aperti, l'acqua che passava due miglia a valle della città era più pura di quella di venti miglia a monte. Villaggi che avevano adottato i loro fiumi come scarichi per i rifiuti, e che furono poi provvisti di sistemi di fognature che nascondevano i rifiuti nel buio umido, furono colpiti da epidemie di tifo. Evidentemente c'era qualcosa che non andava nella politica svizzera del "Tout a l'égout" che sollevò le speranze di Voltaire come la vaccinazione aveva sollevato quelle di Macaulay. C'era qualcosa che non andava nelle fogne e nei fazzoletti. Ora, quello che non funzionava bene nelle fogne era il buio umido; lo stesso accadeva per i fazzoletti. Quando soffiamo fuori dal nostro naso dei microbi patogeni e li facciamo cadere su un pezzo di terra illuminata dal sole, essi muoiono subito e non infettano nessuno. Quando invece li raduniamo in un umido fazzoletto e li spingiamo dentro una tasca buia essi si moltiplicano fintanto che finiscono nella biancheria, dove infettano i vestiti di dozzine dei loro proprietari. La maggior parte delle infezioni locali hanno la loro origine nella biancheria, ammesso che si possa trovare un'origine. Se io fossi stato incaricato di redigere gli avvisi pubblici della fine del secolo, avrei scritto così: «Se siete raffreddati e siete in campagna, non usate mai il fazzoletto. Adoperate le dita, quando nessuno vi sta a guardare. E cercate il posto più soleggiato che potete trovare. Quando siete sui selciati di una città o sull'impiantito di un locale chiuso, adoperate un fazzoletto di carta e poi bruciatelo».

Il fuoco e non l'acqua è il più sicuro e più sano disinfettante. Quando una persona infettata porta i suoi abiti all'autorità sanitaria perché vengano disinfettati, essi non vengono immersi nell'acido carbonico, ma sono messi in un forno riscaldato a una temperatura a cui non può resistere nessun essere vivente. Lord Samuel, nella sua suggestiva utopia intitolata "Una terra sconosciuta", fa adoperare ai suoi abitanti i forni elettrici, invece che gabinetti ad acqua. Per sterilizzare l'acqua, la facciamo bollire. Il latte lo "pastorizziamo". Ma qui cadiamo di nuovo nell'errore di Lister. Il latte pastorizzato è imbevibile per qualsiasi palato sano. Analogamente l'acqua bollita o distillata. Il fuoco distrugge senza distinzione le cellule attive e quelle patogene: dunque, sebbene possiamo bruciare un fazzoletto infetto, non possiamo bruciare un essere vivente infetto. I cadaveri possono essere bruciati. E tutti dovrebbero esserlo; la sepoltura infatti, orribile consuetudine, sarà un giorno proibita dalla legge non soltanto perché è antiestetica, ma anche perché i morti popoleranno tutte le terre, se si continua nella consuetudine di conservare i nostri corpi per la loro resurrezione nel giorno immaginario del giudizio (in realtà, ogni giorno è un giorno del giudizio). Ma un disinfettante che distrugga ciò che deve disinfettare, che bruci cioè la casa per arrostire il porco, non è applicabile nei casi in cui è nostro compito di conservare sia la casa sia il porco. Il casto piano di sbarazzarci della peste bovina uccidendo le sue vittime non è attuale nelle epidemie di rosolia, una malattia trascurabile, quando la ebbi da bambino, ma che ora è diventata mortale. I genitori farebbero obiezioni e gli assassini sarebbero linciati.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un disinfettante che distrugga le cellule patogene e risparmi quelle riproduttive. L'unico che conosciamo è il sangue sano vivente. Noi assorbiamo milioni di microbi ogni giorno e non ci ammaliamo perché il nostro sangue li stermina in maniera ancor più decisa di quanto Sansone non fece con i filistei. Il nuovo microscopio elettronico ha rivelato la struttura dei fagociti, che i normali microscopi usati da Metchnikoff e da sir Almroth Wright non avevano potuto scoprire. L'uomo di Stato, che può rendere il nostro corpo sano abolendo la cattiva nutrizione, la sporcizia e l'ignoranza, non deve preoccuparsi della fobia dei microbi che ha dominato e corrotto la scienza dell'igiene per tutto il secolo scorso.

28. LO STUDIOSO DI STATISTICA DELLA COLLETTIVITA'
Il primo compito dell'autorità sanitaria, quando essa si trovi di fronte a un morbo, è di accertarsi dell'entità del male, curandosi di stabilire la curva crescente e decrescente del contagio. Questa curva, tradotta in cifre, è unicamente ricavabile dai certificati mortuari redatti dai medici, i quali danno alla causa di morte dei loro pazienti il nome ricavato dalla diagnosi. Ora, non soltanto una diagnosi può essere errata, ma spesso dottori diversi non battezzano con lo stesso nome la medesima malattia. Feci parte un giorno di un comitato di salute pubblica e mi presi la briga (credo di essere stato il primo a prendermela) di esaminare le nostre statistiche ufficiali, le quali, a onta dell'ingente spesa sostenuta nel raccoglierle e stamparle, erano ignorate non solo dal pubblico, ma, ne sono certo, anche dai membri del comitato stesso. Stavamo occupandoci di un quartiere ultrapopolato dove tre grandi stazioni ferroviarie si erano divorate appezzamenti di ottima terra, costringendo migliaia di persone ad abbandonare le loro primitive dimore e a stiparsi in locali privi di ogni requisito d'igiene. La febbre tifoidea vi era endemica. Mentre scartabellavo le statistiche notai che i morti di tifo erano in numero inferiore a quanto avessi immaginato. Questa constatazione avrebbe potuto mettermi fuori strada se non mi fossi accorto, voltando la pagina, di altre cifre rispondenti alla voce: "febbre enterica". Sapevo, per caso, che il tifo e l'enterite sono nomi dati indifferentemente dai medici allo stesso morbo. Un eminente ufficiale medico della Sanità di Londra, oggi scomparso, mise per iscritto che chiunque fosse a conoscenza delle più elementari nozioni di medicina poteva tranquillamente commettere un assassinio, certo di ottenere poi un certificato di morte naturale. Questo documento non venne reso pubblico ma, oggi quanto allora, risponde a verità. Simili metodi rendono le nostre statistiche ufficiali alquanto incerte, atte tra l'altro a promuovere conclusioni del tutto errate. Il giudizio più ottimistico deve al massimo conceder loro il valore di un presupposto necessario a stabilire per i legislatori una base di partenza. Riuscito a chiarire l'ambiguità nel campo denominativo del tifo, m'imposi al comitato quale persona di profonda cultura; da allora i medici sono stati ufficialmente avvertiti di usare nei certificati di morte le stesse denominazioni per le stesse malattie e di astenersi nei casi letali dubbi dai termini vaghi quali "arresto del cuore" o "dispnea" (mancanza di respiro). E' purtroppo facilissimo mettere in voga nuovi appellativi creatori di confusione, cosicché, fino a quando le diagnosi non assumeranno un significato assai più scientifico, le statistiche sulla mortalità dovranno essere vagliate con estrema cura (e dagli esperti, non dai medici) affinché la legge si possa basare sicuramente su di esse.

Continuando le mie ricerche mi rallegrai nel constatare che non risultavano casi letali di vaiolo, morbo apparentemente estinto nel quartiere. I sostenitori di Jenner consideravano questo fatto un trionfo della vaccinazione, ma io, conoscendo la situazione meglio di loro, guardai alle voci "tifo" e "colera" che nella mia giovinezza erano epidemie temutissime. Parevano estinte anch'esse. Che cosa dedurne? O la vaccinazione preveniva sia il manifestarsi del tifo e del colera sia quello del vaiolo, o essa non aveva effetto alcuno, oppure ancora esisteva una causa comune a tutte e tre le malattie. A ogni modo, poco dopo queste mie ricerche scoppiò una nuova epidemia di vaiolo. Sebbene il morbo fosse leggero e la mortalità trascurabile, tanto più se confrontata al periodo in cui la vaccinazione era stata obbligatoria, pur tuttavia fu abbastanza seria da far ritener necessaria in tutto il quartiere una nuova offensiva vaccinatoria, con relative conseguenze di malattie e malessere. Ora il vaiolo come il tifo ha più di un nome. Lo si può identificare chiamandolo "eczema pustoloso" e se questo nome fosse troppo lungo "vaioloide". Di conseguenza, quando uno dei medici membri del nostro Comitato protestò perché un suo paziente, vaccinato da poco, era stato mandato all'Ospedale dei vaiolosi, la diagnosi venne riveduta e corretta in "eczema pustoloso" o "vaioloide", e il malato rapidamente trasferito all'ospedale comune. Le statistiche ufficiali dimostrarono poi che non una delle persone vaccinate aveva contratto il vaiolo durante l'epidemia, la quale scomparve com'era venuta, senza ragione alcuna. Mi resi conto allora del come la vaccinazione praticata nell'esercito tedesco poco prima della grande epidemia di vaiolo del 1871 fosse stata giudicata efficace. Nessun medico militare in Germania aveva osato diagnosticare il morbo col suo vero nome.

Le statistiche sanitarie non sono tanto viziate dal fatto che la diagnostica è lungi dall'essere una scienza esatta - non si diparte per lo più dalla semplice nomenclatura - quanto dall'essere essa il frutto del lavoro di dilettanti, i quali si credono autorizzati, dalle elementari nozioni di calcolo da essi possedute, a imporre i loro medicamenti empirici alle autorità sanitarie, affinché queste li rendano obbligatori mediante decreti-legge. Le vecchie statistiche sulle vaccinazioni, che cento anni fa parvero tanto convincenti, si basavano su un'epidemia di vaiolo in cui era stato constatato che il cento per cento dei malati non vaccinati era deceduto, mentre il cento per cento dei vaccinati si era rimesso. Questa dimostrazione impressionò il pubblico, convinto che il teatro della prova fosse una grande città con qualche centinaio di migliaia di abitanti. Si trattava invece di una piccola frazione rurale, dove due casi soli erano stati accertati. Né i medici né i magistrati conoscevano abbastanza i presupposti della matematica per dedurne che nessuno ha il diritto di parlare di percentuali se non quando si tratta di migliaia di casi, e che le percentuali sono di poco valore sperimentale se le migliaia sono scarse.

La mia conoscenza con Karl Pearson m'indusse tosto a convincermi della necessità di adottare il procedimento matematico, sia in biologia sia in tutti i rami delle scienze esatte. Pearson, sorridente e gentile, asseriva che soltanto un matematico possiede il diritto di riconoscersi una qualsiasi autorità scientifica. Fui un fedele abbonato del suo giornale "Biometrika", benché non mi riuscisse di capire alcuna delle sue equazioni e, al massimo, il 5 per cento delle sue dimostrazioni. Riscontrai pertanto che i biometrici, sebbene la loro abilità tecnica e la loro sottigliezza abbiano per me del meraviglioso, erano, al pari di Isacco Newton, creduloni leggeri e soggettivi, sia nel trattamento dei dati da loro presi in esame, sia nelle premesse dalle quali partivano. Anche dei loro calcoli non c'era molto da fidarsi; senza distinzione di sorta usavano frammischiare fatti ed opinioni e manipolare i risultati basandoli sui frutti delle loro congetture personali.

E' quindi necessario che i pubblici servizi abbiano un ufficio di statistica matematica a cui l'uomo di Stato possa rivolgersi quando voglia sottomettere a rigido esame il rapporto esistente fra progetto di legge e pratica amministrativa. I dati ufficiali non sono infallibili, in quanto raccolti da esseri fallibili; ma poiché riconosciamo gradi diversi di fallibilità, possiamo almeno tentar di scegliere il personale addetto alla statistica stabilendo i due estremi della curva sulla quale determinare un punto medio dove fissare la scelta. All'estremo superiore invece, coloro che, mossi dalla passione per l'esattezza e la veridicità astratte, sono i più atti a trovare impiego in un lavoro di raccolta e correlazione. Un ufficio di statistica così concepito dovrebbe attrarre uomini precisi, di tendenze pignolesche, invogliandoli a farsi funzionari del servizio civile.

Lo statista non dovrebbe accettare dai medici, avvocati, preti, banchieri, artisti, artigiani, operai, o altri individui specializzati, nessun dato che non fosse corredato, corretto e approvato da questo ufficio. Se nel diciannovesimo secolo una simile organizzazione avesse funzionato, l'errore grossolano da cui derivò la legge sulla vaccinazione obbligatoria non avrebbe potuto essere commesso. Il confronto fra i dati statistici del tifo e quelli del colera avrebbe dimostrato che la vaccinazione aveva servito unicamente a ritardare la vittoria dell'igiene sul vaiolo; difatti l'importanza dell'igiene fu soltanto messa in rilievo nel 1885, quando cioè la legge obbligò alla denuncia e all'isolamento dei casi infettivi.

Il trionfo dell'igiene fu, come sir Almroth Wright accertò per primo, un trionfo dell'estetica. Il vaiolo, il tifo, il colera, la tubercolosi e la peste sono le conseguenze del sudiciume, dello squallore e della miseria. Esse scompaiono all'avvento della nettezza e dell'aria pura. Ciò che offende e degrada lo spirito degrada anche il corpo. E' bensì vero che arrecando danno al corpo si può arrecare danno alla mente: ma un danno non è necessariamente una degradazione e la perdita di un arto o di un organo inabilita sì la sua vittima, ma non muta un più alto ordine in uno più basso, come avviene quando la sana vitalità di un organo degenera in proliferazione cancerosa. Beethoven perse l'udito, e compose da sordo la sua più rinomata sinfonia. La poesia di Milton non ebbe a soffrire causa la cecità del poeta. Un buon ministro della Salute pubblica deve sapere che la mente rende sano il corpo, e non viceversa. La versione greca del Vangelo di san Giovanni dice che all'inizio c'era il Verbo. Ciò vuol dire, tradotto in onesto inglese, che all'inizio esisteva il Pensiero di cui il Verbo non è che il nome.

A questo punto, il ministro della Salute pubblica diventa un ministro dell'Istruzione. Non abbiamo bisogno di pillole e pozioni e nemmeno di iniezioni profilattiche e altre scosse fisiche. Le più generose somministrazioni di calcio e di oppio non aboliranno il colera. Abbisogniamo di ambienti piacevoli e della possibilità di soddisfare alcune fra le nostre più urgenti necessità materiali affinché queste non debbano mutarsi in ossessioni.

La poesia, la musica, la pittura, i libri, ci sono necessari, come pure è necessario il tempo libero occorrente a goderne. All'infuori di questi piaceri non vi sono godimenti se non nell'avidità, nell'ubriachezza e nella lussuria, stimolo fastidioso degli anni in cui non è igienico soddisfarla, e istinto irresistibile se mancano del tutto le attrattive estetiche atte a sublimarla o, per lo meno, a disgustare dall'amore raccolto per strada.

Una massa umana ignara di arte, priva del denaro e del tempo necessari a chiunque desideri pensare o dedicarsi a qualsiasi esercizio fisico, è un vivaio non soltanto di sifilide ma anche di ogni altra malattia. L'affollamento è infatti più mortifero della fame e del freddo. I giornali annunciano oggi la costruzione da parte dello Stato di trentamila casette nelle quali a nessuno è dato poter fruire di una camera per sé solo. Il Primo Ministro, intanto, lancia un appello propagandistico per invogliare le famiglie a farsi più numerose! Quando cominceremo a capire che la parola d'ordine: «Ogni Cittadino, Una Stanza», è molto più urgente della parola d'ordine: «Ogni Uomo, Un voto»?


Ultima modifica 05.12.2003