Per il quarantesimo anniversario della

Rivoluzione d'Ottobre

Benjamin Peret

 


Pubblicato su "La Verité" il 19 novembre 1957
Tradotto dal francese da Hectòr Ternàz


 

Contro venti e maree, sono uno di quelli che ritrovano ancora, al ricordo della Rivoluzione d'ottobre, molto dello slancio incondizionato che mi spinse verso di essa quando ero giovane e che implicava il dono completo di sé stessi. Per me, niente di ciò che è successo dopo di allora ha completamente prevalso su questo movimento dello spirito e del cuore. Le mostruose iniquità inerenti alla struttura capitalista non ci scandalizzano oggi meno di quanto facessero ieri, perciò non abbiamo smesso di volere -o per meglio dire di esigere da noi stessi- che sia messa loro fine. Per ottenere questo, non dubitiamo più di allora che è necessario adoperare mezzi rivoluzionari.

Le giornate di ottobre, ai loro tempi, ci apparvero e ci appaiono ancora come il risultato ineluttabile di questi mezzi. Non ha importanza che non abbiano segnato il punto del passaggio dal piano delle aspirazioni a quello dell'esecuzione concreta. A questo riguardo, non importa che esse non siano rimaste esemplari e che sia diminuita l'esaltazione ch'esse portarono.

Questa esaltazione, senza giudicare da quello che ne è seguito, è ciò che importa sia sempre riconosciuto. Nella più nera delusione, derisione e amarezza -come all'epoca dei processi di Mosca o dello schiacciamento dell'insurrezione di Budapest- ciò che ci permise di riprendere forza e speranza affinché le giornate d'ottobre si mantenessero sempre
elettrizzanti furono: la presa di coscienza del loro potere da parte delle masse oppresse e la possibilità per esse di esercitare effettivamente questo potere, la "facilità" (l'espressione credo sia di Lenin) con cui si sgretolarono i vecchi poteri.

Da parte mia, ho sempre guardato come ad un talismano quella fotografia, che in molti hanno cercato di far sparire e che i giornali riproducono in occasione dell'attuale commemorazione, che mostra Lenin proteso sul suo immenso uditorio su una tribuna, ai piedi della quale si erge, nell'uniforme dell'Esercito Rosso, come per fargli da guardia d'onore, Leòn Trotsky. E quello stesso sguardo, quello di Leòn Trotsky, che io ritrovo fisso su di me nel corso dei nostri quotidiani incontri, venti anni fa in Messico, basterebbe a impegnarmi a mantenere ogni fedeltà alla causa più
sacra di tutte, quella dell'emancipazione dell'uomo, oltre ogni difficoltà che può attraversare e malgrado le peggiori smentite e battute d'arresto umane. Niente potrà estinguere un simile sguardo e la luce che emana, non più di quanto Termidoro abbia potuto alterare i tratti di Saint-Just. È quello sguardo che ci scruta e ci sostiene questa sera, in una prospettiva in cui la Rivoluzione d'ottobre cova in noi lo stesso inflessibile ardore che per la Rivoluzione spagnola, la Rivoluzione ungherese e la lotta del popolo algerino per la sua liberazione.

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Ultima modifica 04.11.2012