La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky

Vladimir Lenin (1918)

 


Scritto nell'ottobre-novembre 1918 e pubblicato a Mosca nello stesso anno
Trascritto da mishu, settembre 2004


 

Prefazione
Come Kautsky trasformò Marx in un volgare liberale
Democrazia borghese e democrazia proletaria
Vi può essere eguaglianza tra sfruttatori e sfruttati?
I Soviet non hanno diritto di trasformarsi in organizzazioni statali
L'Assemblea costituente e la Repubblica sovietica

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La Costituzione sovietica
Che cos'è l'internazionalismo?
Asservimento alla borghesia in veste di «analisi economica»

Prefazione

L'opuscolo di Kautsky La dittatura del proletariato (Vienna 1918, Ignaz Brand, pp. 63), uscito recentemente, è uno degli esempi più lampanti del completo e ignominioso fallimento della II Internazionale, di cui da molto tempo parlano tutti i socialisti onesti di tutti i paesi. La questione della rivoluzione proletaria si pone ora praticamente all'ordine del giorno in tutta una serie di Stati. E' quindi necessario analizzare i sofismi da rinnegato e la totale abiura del marxismo da parte di Kautsky.

Innanzitutto è necessario sottolineare come l'autore di queste pagine sin dall'inizio della guerra abbia dovuto richiamare più di una volta l'attenzione sul fatto che Kautsky ha rotto con il marxismo. A questo argomento ho dedicato una serie di articoli apparsi negli anni 1914-1916 nel Sozial-demokrat e nel Komniunist, pubblicati all'estero. Questi articoli furono poi raccolti e pubblicati dal Soviet di Pietrogrado con il titolo Contro corrente di G. Zinov’ev e N. Lenin, Pietrogrado 1918 (pp. 550). In un opuscolo [1] edito nel 1915 a Ginevra, che fu immediatamente tradotto in tedesco e in francese, così parlavo del «kautskismo»:

    "Kautsky, la massima autorità della II Internazionale, è l'esempio più tipico e più lampante del modo come il riconoscimento verbale del marxismo abbia in realtà portato alla sua trasformazione in «struvismo» o «brentanismo», in una dottrina cioè borghese liberale, che riconosce la lotta «di classe» non rivoluzionaria del proletariato, dottrina esposta con particolare chiarezza dallo scrittore russo Struve e dall'economista tedesco Brentano). Lo stesso fenomeno vediamo in Plekhanov. Con sofismi evidenti si svuota il marxismo del suo vivo spirito rivoluzionario; del marxismo si riconosce tutto, fuorché i mezzi rivoluzionari di lotta, la loro propaganda e la loro preparazione, l'educazione delle masse appunto in questa direzione. Kautsky «concilia», a dispetto dei principi, il pensiero fondamentale del socialsciovinismo - il riconoscimento della difesa della patria in questa guerra con una concessione diplomatica, fittizia, alla sinistra mediante l'astensione dal voto dei crediti di guerra, il riconoscimento verbale della propria opposizione, ecc. Kautsky, che nel 1909 scrisse un intiero libro sull'avvicinarsi dell'era delle rivoluzioni e sulla connessione esistente fra guerra e rivoluzione; Kautsky, che nel 1912 firmò il Manifesto di Basilea sull'utilizzazione rivoluzionaria della guerra imminente, giustifica e abbellisce ora in tutti i toni il socialsciovinismo e, sull'esempio di Plekhanov, si associa alla borghesia nel mettere in ridicolo ogni idea di rivoluzione, ogni passo verso l'immediata lotta rivoluzionaria.
    «La classe operaia non può conseguire il suo obiettivo rivoluzionario, d'importanza mondiale, senza condurre una lotta implacabile contro questo spirito da rinnegati, questa mancanza di carattere, questo servilismo verso l'opportunismo, questo inaudito svilimento teorico del marxismo. Il kautskismo non è dovuto al caso, ma è il prodotto sociale delle contraddizioni della II Internazionale, della combinazione della fedeltà al marxismo a parole e della sottomissione all'opportunismo nei fatti». (G.  Zinov'ev e N. Lenin, Il socialismo e la guerra, Ginevra 1915, pagine 13-14).

Inoltre nel mio libro L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, scritto nel 1916 (uscito a Pietrogrado nel 1917), ho analizzato ampiamente la falsità, dal punto di vista teorico, di tutti i ragionamenti di Kautsky sull'imperialismo. Ho citato la definizione dell'imperialismo data da Kautsky: «L'imperialismo è il prodotto del capitalismo industriale altamente sviluppato.   Esso consiste nella tendenza di ciascuna nazione industriale capitalistica ad assoggettarsi e ad annettersi un sempre più vasto territorio agrario [il corsivo è di Kautsky] senza preoccuparsi delle nazioni che lo abitano». Ho dimostrato che tale definizione era completamente erronea, che essa era «adattata» allo scopo di dissimulare le contraddizioni più profonde insite nell'imperialismo e di trovare in seguito un terreno per conciliarsi con l'opportunismo. E ho dato la mia definizione dell'imperialismo: «L'imperialismo è il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è incominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali ed è già compiuta la ripartizione dell'intiera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici». Ho dimostrato che in Kautsky la critica dell'imperialismo è inferiore persino alla critica borghese e piccolo-borghese.

Infine, nell'agosto e nel settembre 1917, prima cioè della rivoluzione proletaria in Russia (25 ottobre-7 novembre 1917), ho scritto l'opuscolo Stato e rivoluzione. La dottrina del marxismo sullo Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione, uscito a Pietrogrado agli inizi del 1918. Ivi nel capitolo VI, Il marxismo degradato dagli opportunisti, ho dedicato un'attenzione particolare a Kautsky, dimostrando come egli abbia completamente deformato la dottrina di Marx, l'abbia adattata all'opportunismo e «abbia di fatto rinnegato la rivoluzione riconoscendola a parole».

In fondo, l'errore teorico fondamentale di Kautsky nel suo opuscolo sulla dittatura del proletariato consiste appunto nel travisamento opportunistico della dottrina di Marx sullo Stato, travisamento ampiamente smascherato nel mio opuscolo Stato e rivoluzione.

Era necessario fare queste osservazioni preliminari per dimostrare come, già molto tempo prima che i bolscevichi prendessero il potere statale e fossero per questo condannati da Kautsky, io avevo accusato apertamente costui di essere un rinnegato.

Come Kautsky trasformò Marx in un volgare liberale

La questione principale trattata da Kautsky nel suo opuscolo è quella del contenuto fondamentale della rivoluzione proletaria, cioè della dittatura del proletariato. E' una questione della massima importanza in tutti i paesi, particolarmente per i più progrediti, particolarmente per quelli belligeranti, e particolarmente nel momento attuale. Si può dire senza tema di esagerare che è la questione più importante di tutta la lotta di classe proletaria. E' quindi necessario soffermarvisi attentamente.

Kautsky così presenta la questione: «Il contrasto tra le due tendenze socialiste» (cioè tra i bolscevichi e i non bolscevichi) è «Il contrasto fra due metodi radicalmente diversi: il metodo democratico e il metodo dittatoriale» (p. 3).

Notiamo di sfuggita che Kautsky, chiamando socialisti i non bolscevichi russi, cioè i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, si basa sulla denominazione, cioè sulla parola, e non sul posto che in realtà costoro occupano nella lotta del proletariato contro la borghesia. Modo magnifico di concepire e di applicare il marxismo! Ma ne parleremo più ampiamente in seguito.

Dobbiamo ora soffermarci sul punto principale, la grande scoperta fatta da Kautsky: il «contrasto fondamentale» tra «il metodo democratico e il metodo dittatoriale». Questo è il nocciolo della questione. Questa è la sostanza dell'opuscolo di Kautsky. Ed è una confusione così mostruosa, un'abiura così completa del marxismo, che si deve riconoscere che Kautsky ha di molto sorpassato Bernstein.

La questione della dittatura del proletariato è la questione dell'atteggiamento dello Stato proletario verso lo Stato borghese; della democrazia proletaria verso la democrazia borghese. La cosa dovrebbe essere chiara come la luce del sole. Ma Kautsky, proprio come un professore di ginnasio mummificato dall'eterna ripetizione dei manuali di storia, volge ostinatamente le spalle al secolo ventesimo e lo sguardo al decimottavo e per la centesima volta, in tutta una serie di paragrafi, mastica e rimastica in modo incredibilmente noioso l'antica solfa dell'atteggiamento della democrazia borghese verso l'assolutismo e il Medioevo!

Invero, è proprio come se egli, nel sonno, masticasse della stoppa!

Non significa forse questo non comprendere assolutamente nulla di nulla? Gli sforzi di Kautsky per far apparire che vi sono degli uomini i quali predicano il «disprezzo per la democrazia» (p. 11), ecc. non possono che far sorridere. Kautsky deve annebbiare e rendere intricata la questione con simili futilità, giacché egli la pone dal punto di vista di un liberale, cioè come una questione di democrazia in generale e non di democrazia borghese; egli evita persino questo concetto esatto, classista e cerca di parlare di democrazia «presocialista». Il nostro ciarlone ha riempito quasi un terzo del suo opuscolo, 20 pagine su 63, con una chiacchierata assai gradita alla borghesia perché equivale a voler abbellire la democrazia borghese e celare la questione della rivoluzione proletaria.

Ma il titolo dell'opuscolo di Kautsky è tuttavia La dittatura del proletariato. Che questa costituisca appunto la sostanza della dottrina di Marx, è cosa universalmente nota. E Kautsky, dopo tutta la sua chiacchierata non pertinente al tema, ha dovuto citare le parole di Marx sulla dittatura del proletariato.

Il modo con cui il «marxista» Kautsky ha fatto ciò è una vera commedia! Udite:

    «Questa concezione» (che Kautsky proclama: disprezzo per la democrazia) «si basa su una parola di Karl Marx»: così è detto, letteralmente, a p. 20. E a p. 60 Kautsky lo ripete persino in questa forma: essi (i bolscevichi) «si sono ricordati tempestivamente della parolina [des Wortchens, letteralmente!!!] sulla dittatura del proletariato, usata una volta da Marx, nel 1875, in una lettera».

Ecco questa «parolina» di Marx:

    Tra la società capitalista e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una e dell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico di transizione, in cui lo Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato. [2]

In primo luogo, chiamare «parola», anzi «parolina», questa celebre enunciazione di Marx, che costituisce la conclusione di tutta la sua dottrina rivoluzionaria, significa farsi beffe del marxismo, significa rinnegarlo completamente. Non si deve dimenticare che Kautsky conosce Marx quasi a memoria; che, a giudicare da tutte le sue pubblicazioni, egli ha sul suo scrittoio o nella sua testa una serie di schedari nei quali gli scritti di Marx sono accuratamente classificati nel modo più comodo per citarli. Kautsky non può non sapere che tanto Marx quanto Engels hanno ripetutamene parlato della dittatura del proletariato sia in lettere che in pubblicazioni, particolarmente prima e dopo la Comune [3]. Kautsky non può non sapere che la formula «dittatura del proletariato» è soltanto la definizione storicamente più concreta e scientificamente più esatta del compito del proletariato di «spezzare» la macchina statale borghese, del quale (compito) sia Marx che Engels, tenendo conto delle rivoluzioni del 1848 e particolarmente di quella del 1871, parlarono dal 1852 al 1891, per ben quaranta anni.

Come si può spiegare questa mostruosa deformazione del marxismo da parte di un marxista «erudito» qual è Kautsky? Se si guarda alle basi filosofiche di questo fatto, si tratta unicamente della sostituzione dell'eclettismo e della sofistica alla dialettica. Kautsky è un gran maestro nell'arte di tali sostituzioni. Dal punto di vista della politica pratica si tratta unicamente di un atteggiamento servile verso gli opportunisti, cioè, in ultima analisi, verso la borghesia. Dall'inizio della guerra in poi, Kautsky, a passi da gigante, è diventato maestro nell'arte di essere marxista a parole e lacchè della borghesia nei fatti.

Sempre più ci si convince quando si consideri in qual modo Kautsky «spiega» la «parolina» di Marx sulla dittatura del proletariato. Udite:

    Disgraziatamente Marx ha trascurato di indicare più ampiamente come si rappresenta questa dittatura... (Frase di rinnegato, falsa da cima a fondo, perché Marx ed Engels hanno dato precisamente molte indicazioni assai particolareggiate, che Kautsky, pur essendo un marxista «erudito», evita di proposito)... Presa alla lettera, la parola dittatura significa soppressione della democrazia. Ma, s'intende, presa alla lettera, questa parola significa anche potere assoluto di un singolo individuo, potere non vincolato da nessuna legge. Potere assoluto, che differisce dal dispotismo perché è concepito non come un ordinamento statale permanente, ma come una misura transitoria d'emergenza.
    L'espressione «dittatura del proletariato», quindi non dittatura di un singolo individuo ma di una classe, esclude di per sé che Marx abbia pensato a una dittatura nel senso letterale della parola.
    Egli non parlava di una forma di governo, ma di uno stato di cose, il cui avvento era necessario ovunque il proletariato avesse conquistato il potere politico. Che egli qui non pensasse a una forma di governo, è provato dal fatto che, secondo lui, in Inghilterra e in America il passaggio dall'una all'altra forma potrebbe effettuarsi pacificamente, cioè per via democratica (p. 20).

Abbiamo di proposito citato in extenso queste considerazioni affinché il lettore possa vedere chiaramente a quali mezzi ricorre il «teorico» Kautsky.

Kautsky ha voluto affrontare la questione dando la definizione della «parola» dittatura.

Benissimo. Trattare una questione nel modo che più piace è diritto sacrosanto di ognuno. Bisogna soltanto distinguere tra il modo serio ed onesto di affrontare una questione e il modo disonesto. Chi voglia prendere le cose sul serio, per affrontare la questione in modo serio deve dare la propria definizione della «parola». La questione allora viene posta chiaramente e direttamente. Kautsky non lo fa. «Presa alla lettera — egli scrive — la parola dittatura significa soppressione della democrazia».

Anzitutto, questa non è una definizione. Se Kautsky voleva evitare di dare una definizione del concetto di dittatura, perché ha scelto questo modo di affrontare la questione?

In secondo luogo, quanto dice Kautsky è manifestamente falso. È naturale che un liberale parli di «democrazia» in generale. Ma un marxista non deve mai dimenticare di porre la domanda: «per quale classe?». Tutti sanno, per esempio — e lo sa anche lo «storico» Kautsky — che le rivolte e anche il forte fermento tra gli schiavi nell'antichità rivelarono il fatto che in sostanza lo Stato antico era la dittatura dei proprietari di schiavi. Forse che la dittatura distruggeva la democrazia tra i proprietari di schiavi, per i proprietari di schiavi? Tutti sanno che non era così.

Il «marxista» Kautsky ha detto una cosa assolutamente assurda e una menzogna, perché «ha dimenticato» la lotta di classe.

Per trasformare l'affermazione liberale e menzognera di Kautsky in un'affermazione marxista e veritiera, bisogna dire: dittatura non significa obbligatoriamente la soppressione della democrazia per la classe che esercita questa dittatura contro altre classi, ma significa obbligatoriamente soppressione (o forte limitazione, che è anche un aspetto della soppressione) della democrazia per quella classe contro cui la dittatura è esercitata.

Ma per quanto questa affermazione sia esatta, essa non dà ancora la definizione della dittatura.

Esaminiamo la seguente frase di Kautsky:

    ...Ma, s'intende, presa alla lettera, questa parola significa anche potere assoluto di un singolo individuo, potere non vincolato da nessuna legge...

Come un cucciolo cieco che annusando nel buio urta il muso or qua or là, Kautsky si è qui inavvertitamente imbattuto in un'idea giusta (cioè che la dittatura è un potere non vincolato da nessuna legge), ma tuttavia non ha dato una definizione della dittatura, e ha detto inoltre un'evidente menzogna storica, asserendo che dittatura significa potere di un solo individuo. Ciò è inesatto anche grammaticalmente, perché anche un pugno di uomini, un'oligarchia, una classe, e così via, possono esercitare la dittatura.

Kautsky indica poi ciò che distingue la dittatura dal dispotismo; ma, nonostante la manifesta inesattezza di quanto dice, non ci soffermeremo su questo punto perché ciò non ha niente a che vedere con la questione che ci interessa. È notoria la propensione di Kautsky a voltare le spalle al ventesimo secolo per guardare al diciottesimo, e da questo alla storia antica, e noi speriamo che il proletariato tedesco, conquistata la dittatura, terrà conto di questa propensione di Kautsky e gli assegnerà un posto di professore di storia antica in un liceo. Evitare, mediante divagazioni sul dispotismo, di dare la definizione di dittatura del proletariato è o stupidità estrema o trucco inabilissimo.

In fin dei conti vediamo che Kautsky, accintosi a parlare della dittatura, ha detto molte patenti falsità, ma non ha dato nessuna definizione. Pur senza fare affidamento sulle sue capacità intellettuali, avrebbe potuto chiamare in soccorso la sua memoria e tirar fuori dai suoi «schedari» tutti i casi in cui Marx parla della dittatura. Sarebbe allora probabilmente giunto alla seguente definizione, o ad un'altra che sostanzialmente coincidesse con questa:

La dittatura è un potere che poggia direttamente sulla violenza e non è vincolato da nessuna legge.

La dittatura rivoluzionaria del proletariato è un potere conquistato e sostenuto dalla violenza del proletariato contro la borghesia, un potere non vincolato da nessuna legge.

È questa semplice verità, verità chiara come la luce del sole per ogni operaio cosciente (per il rappresentante delle masse e non dello strato superiore della canaglia piccolo-borghese venduta ai capitalisti, quali sono i socialimperialisti di tutti i paesi), questa verità evidente per ogni rappresentante degli sfruttati, i quali combattono per la loro emancipazione, questa verità inoppugnabile per ogni marxista, deve essere «strappata di viva forza» all'eruditissimo signor Kautsky. Come spiegare ciò? Con lo spirito servile di cui sono permeati i capi della II Internazionale, divenuti spregevoli sicofanti al servizio della borghesia.

In primo luogo Kautsky commette un falso affermando una assurdità evidente, cioè che la parola dittatura letteralmente significherebbe dittatura di un solo individuo, e poi, sulla base di un tale falso, dichiara che in Marx «quindi» le parole sulla dittatura di una classe non vanno prese nel loro significato letterale (ma nel senso in cui dittatura non significhi violenza rivoluzionaria, bensì conquista «pacifica» della maggioranza — notate questo! — in regime di «democrazia» borghese).

Ma, vedete, si deve fare una distinzione tra «stato di cose» e «forma di governo». Distinzione mirabilmente profonda, come se si facesse una distinzione tra lo «stato» di stupidità di un uomo che ragioni senza costrutto, e la «forma» della sua stupidità!

A Kautsky occorre interpretare la dittatura come «stato di dominio» (è questa letteralmente l'espressione da lui usata nella pagina successiva, la p. 21), perché così scompare la violenza rivoluzionaria, scompare la rivoluzione violenta. Lo «stato di dominio» è uno stato nel quale si ha una qualsiasi maggioranza in regime di... «democrazia»! Con simile trucco truffaldino la rivoluzione scompare felicemente.

Ma la truffa è troppo grossolana e non salva Kautsky. Che la dittatura presupponga e significhi uno «stato» di violenza rivoluzionaria, sgradevole per i rinnegati, di una classe contro l'altra, è cosa che non si può nascondere. L'assurdità della distinzione tra «stato di cose» e «forma di governo» viene alla luce. Parlare qui di forma di governo è cosa tre volte sciocca, giacché ogni ragazzo sa che monarchia e repubblica sono forme di governo diverse. Occorre dimostrare al signor Kautsky che ambedue le forme di governo, come tutte le «forme di governo» transitorie sotto il capitalismo, non sono in fondo che varianti dello Stato borghese, cioè della dittatura della borghesia.

Infine, parlare di forme di governo è una falsificazione, non solo sciocca ma anche grossolana, di Marx, il quale parla qui con chiarezza lampante della forma o tipo di Stato e non della forma di governo.

La rivoluzione proletaria è impossibile senza la distruzione violenta della macchina statale borghese e la sua sostituzione con una nuova, che secondo Engels «non è più uno Stato nel senso proprio della parola» [4].

Kautsky deve sminuire e falsificare tutto ciò; lo esige la sua posizione da rinnegato.

Si veda a quali deplorevoli scappatoie egli ricorre.

Prima scappatoia: ...«Che Marx qui non pensasse a una forma di governo è dimostrato già dal fatto ch'egli riteneva che in Inghilterra e in America il passaggio si potesse effettuare pacificamente, e quindi per via democratica»...

La forma di governo non ha assolutamente a che vedere con la questione, poiché vi sono monarchie che non sono tipiche dello Stato borghese, quelle in cui, per esempio, non esiste militarismo, e vi sono repubbliche veramente tipiche, con militarismo e burocrazia. Questo è un fatto storico e politico a tutti noto, e Kautsky non riuscirà a falsarlo.

Se Kautsky avesse voluto ragionare seriamente e onestamente, avrebbe dovuto chiedersi: le rivoluzioni sono governate da leggi storiche che non conoscono eccezioni? La risposta sarebbe stata: no, non vi sono leggi simili. Marx ha definito l'«ideale», alludendo a un capitalismo medio, normale, tipico.

E ancora. Esisteva, negli anni settanta qualcosa che, sotto questo rapporto, facesse dell'Inghilterra e dell'America delle eccezioni? È evidente per chiunque abbia una conoscenza più o meno vasta delle esigenze scientifiche nel campo delle questioni storiche che tale questione va posta. Non porla significa falsar la scienza, significa giocare ai sofismi. Ma una volta posta la questione, la risposta non può essere dubbia. La dittatura rivoluzionaria del proletariato è violenza contro la borghesia; e la necessità di questa violenza è particolarmente dovuta all'esistenza del militarismo e della burocrazia, come è stato ripetutamente e in modo molto ampio esposto da Marx e da Engels (specialmente nella Guerra civile in Francia e nella relativa prefazione). Ma nell'epoca in cui Marx faceva questa osservazione, in Inghilterra e in America, e appunto negli anni settanta, questi istituti non esistevano. (Oggi invece esistono tanto in Inghilterra quanto in America).

Kautsky a ogni passo è costretto a ricorrere a trucchi, nel vero sènso della parola, per mascherare la sua abiura!

E osservate come egli inavvedutamente lasci scorgere il piede forcuto. Egli scrive: «pacificamente, e quindi per via democratica »!!

Nel definire la dittatura Kautsky fa ogni sforzo per nascondere il tratto caratteristico essenziale di questo concetto, la violenza rivoluzionaria. Ora però la verità è venuta a galla: si tratta del contrasto tra rivolgimento pacifico e rivolgimento violento.

Qui è il nocciolo della questione. Kautsky ha bisogno di tutte le scappatoie, di tutti i sofismi, di tutte le falsificazioni truffaldine appunto per scansare la rivoluzione violenta, per mascherare il fatto ch'egli la rinnega ed è passato dalla parte della politica operaia liberale, cioè dalla parte della borghesia. Qui è il nocciolo della questione.

Lo «storico» Kautsky falsifica in modo così spudorato la storia da dimenticare l'essenziale: che il capitalismo premonopolistico — che raggiunse il suo apogeo appunto negli anni settanta — si distingueva nei suoi tratti economici essenziali, manifestatisi in modo particolarmente tipico in Inghilterra e in America, per un amore della pace e della libertà relativamente grande. L'imperialismo invece, cioè il capitalismo monopolistico maturato definitivamente solo nel ventesimo secolo, si distingue nei suoi tratti economici essenziali per il suo minimo amore per la pace e la libertà e per il massimo e universale sviluppo del militarismo. «Non notare» questo nell'esaminare fino a che punto sia verosimile o tipico un rivolgimento pacifico o un rivolgimento violento, vuoi dire scendere al livello del più volgare lacchè della borghesia.

Seconda scappatoia. La Comune di Parigi fu una dittatura del proletariato, ma essa fu eletta a suffragio universale, cioè senza che la borghesia venisse privata del diritto di voto, cioè «democraticamente». E Kautsky proclama trionfalmente: ...«La dittatura del proletariato era per Marx» (o secondo Marx) «uno stato di cose che scaturisce necessariamente dalla democrazia pura, se il proletariato costituisce la maggioranza» (bei iibenviegendem Proletariat, p. 21).

Questo argomento di Kautsky è così spassoso che si prova veramente un embarras de richesses (imbarazzo di fronte all'abbondanza... delle obiezioni). Innanzitutto è notorio che il fiore, lo stato maggiore, i capi della borghesia erano scappati da Parigi a Versailles. A Versailles c'era il «socialista» Louis Blanc, ciò che fra l'altro dimostra la falsità dell'affermazione di Kautsky, secondo cui «tutte le correnti» del socialismo avrebbero partecipato alla Comune. Non è ridicolo rappresentare come «democrazia pura» con «suffragio universale» la divisione degli abitanti di Parigi in due campi nemici, nell'uno dei quali era concentrata tutta la borghesia combattiva, politicamente attiva? In secondo luogo, la Comune combatteva contro Versailles in quanto governo operaio della Francia contro un governo borghese. Che c'entrano qui la «democrazia pura» e il «suffragio universale» quando Parigi decideva delle sorti della Francia? Allorché Marx riteneva che la Comune avesse commesso un errore perché non si era impadronita della Banca appartenente a tutta la Francia, partiva forse dai principi e dalla prassi della «democrazia pura»? [5]

Si vede veramente che Kautsky scrive in un paese in cui la polizia proibisce di ridere «in coro», altrimenti il riso lo avrebbe ucciso.

In terzo luogo. Mi permetto di ricordare umilmente al signor Kautsky, che conosce a memoria gli scritti di Marx e di Engels, il seguente apprezzamento di Engels sulla Comune, formulato dal punto di vista della... «democrazia pura»:

    Non hanno mai veduto una rivoluzione questi signori [antiautoritari]? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che vi sia; è l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all'altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuoi avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi inspirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente? [6]

Eccovela la «democrazia pura»! Come Engels avrebbe deriso il volgare filisteo, il «socialdemocratico» (nel senso che questa parola ebbe in Francia negli anni quaranta e nel senso che ha avuto in tutta l'Europa negli anni 1914-1918) al quale, in generale, fosse venuto in mente di parlare di «democrazia pura» in una società divisa in classi!

Ma basta! È impossibile enumerare tutte le assurdità che Kautsky si lascia sfuggire, perché ogni sua frase è un abisso senza fondo di abiura.

Marx ed Engels hanno dato un'analisi estremamente particolareggiata della Comune di Parigi, dimostrando che il suo merito fu quello di aver tentato di spezzare, di distruggere la «macchina statale già pronta». Essi ritenevano così importante tale conclusione, che nel 1872 introdussero questa sola modificazione nel programma «invecchiato» (in qualche sua parte) del Manifesto del Partito comunista [7]. Essi dimostrarono che la Comune aveva distrutto l'esercito e la burocrazia, aveva distrutto il parlamentarismo, aveva eliminato «l'escrescenza parassitaria: lo Stato», ecc, ma il saggissimo Kautsky, copertosi il capo con il berretto da notte, ripete le favole sulla «democrazia pura», raccontate già mille volte dai professori liberali.

Non per nulla Rosa Luxemburg il 4 agosto 1914 dichiarò che la socialdemocrazia tedesca era un fetido cadavere.

La terza scappatoia è questa: «Se si parla della dittatura come forma di governo, non possiamo parlare della dittatura di una classe. Poiché, come già abbiamo osservato, una classe può soltanto dominare, ma non governare»... Governare possono soltanto «organizzazioni» o «partiti ».

Voi imbrogliate, imbrogliate impudentemente le cose, signor «consigliere dell'imbroglio»! La dittatura non è una «forma di governo»: tale affermazione è un ridicolo nonsenso. E Marx parla non della «forma di governo», ma della forma o tipo di Stato. È qualcosa di diverso, di totalmente diverso. Inoltre è assolutamente inesatto che una classe non possa governare. Solo un «cretino parlamentare» che non vede nulla all'infuori del parlamento borghese, che non vede nulla all'infuori dei «partiti al governo», poteva dire una tale assurdità. Qualsiasi paese europeo può fornire a Kautsky esempi di governo di una classe dominante, come era, per esempio, nonostante la sua deficiente organizzazione, la classe dei proprietari fondiari nobili nel Medioevo.

Risultato: Kautsky ha deformato in modo inaudito il concetto di dittatura del proletariato, trasformando Marx in un liberale qualunque; è cioè caduto egli stesso al livello di un liberale che pronuncia frasi banali sulla «democrazia pura», abbellendo e velando il contenuto di classe della democrazia borghese, e paventa soprattutto la violenza rivoluzionaria esercitata dalla classe oppressa. Quando Kautsky «interpreta» il concetto di «dittatura rivoluzionaria del proletariato» in modo tale da far scomparire la violenza rivoluzionaria della classe sfruttata contro gli sfruttatori, egli raggiunge il primato mondiale nel campo delle deformazioni liberali del pensiero di Marx. A quanto pare, il rinnegato Bernstein non è che un cucciolo in confronto al rinnegato Kautsky

Democrazia borghese e democrazia proletaria

La questione, imbrogliata da Kautsky in modo inaudito, si presenta in realtà come segue.

Se non si vuole prendere in giro e il buon senso e la storia, è chiaro che è impossibile parlare di «democrazia pura» finché esistono differenti classi; si può parlare unicamente di democrazia di classe. (Sia detto tra parentesi: «democrazia pura» è non solo una frase da ignoranti, che rivela l'incomprensione sia della lotta di classe che dell'essenza dello Stato, ma è anche tre volte vuota di senso; perché nella società comunista la democrazia, rigenerandosi, trasformandosi in un abito, si estinguerà, ma non sarà mai democrazia «pura»).

«Democrazia pura» è la frase menzognera del liberale che vuol trarre in inganno gli operai. La storia conosce la democrazia borghese che prese il posto del feudalismo, e la democrazia proletaria che prende il posto di quella borghese.

Kautsky dedica decine di pagine alla «dimostrazione» di una verità: che la democrazia borghese è progressiva in confronto al Medioevo, e che il proletariato la deve necessariamente utilizzare nella sua lotta contro la borghesia; ma si tratta appunto di una chiacchiera liberale, destinata ad abbindolare gli operai. Non solo nella colta Germania, ma anche nell'incolta Russia questo è un truismo. Kautsky non fa altro che gettare polvere «erudita» negli occhi degli operai parlando con aria d'importanza di Weitling e dei gesuiti del Paraguay e di molte altre cose per non parlare della sostanza borghese della democrazia odierna, cioè capitalistica.

Kautsky prende del marxismo ciò che è accettabile per i liberali, per la borghesia (la critica del Medioevo, la funzione storica progressiva del capitalismo in generale e della democrazia capitalistica in particolare), e getta a mare, tace e nasconde tutto ciò che del marxismo è inaccettabile per la borghesia (la violenza rivoluzionaria del proletariato contro la borghesia per l'annientamento di quest'ultima). Ecco perché, per la sua posizione oggettiva, qualunque possa essere la sua convinzione soggettiva, Kautsky è inevitabilmente un lacchè della borghesia.

La democrazia borghese, benché sia stata un grande progresso storico in confronto al Medioevo, rimane sempre — e sotto il capitalismo non può non rimanere — limitata, monca, falsa, ipocrita, un paradiso per i ricchi, una trappola e un inganno per gli sfruttati, i poveri. Questa verità, che costituisce la parte essenziale della dottrina di Marx, non è stata capita dal «marxista» Kautsky. E, trattando questa questione fondamentale, Kautsky dice cose che fanno «piacere» alla borghesia, invece di fare una critica scientifica delle condizioni che di ogni democrazia borghese fanno una democrazia per i ricchi.

Ricordiamo anzitutto al dottissimo signor Kautsky le enunciazioni teoriche di Marx e di Engels, che il nostro erudito (per far piacere alla borghesia) ha vergognosamente «dimenticato», e poi illustreremo la questione in modo molto elementare.

Non solo lo Stato antico e lo Stato feudale, ma anche «lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale» (Engels nel suo scritto sullo Stato [8]). «Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per tener soggiogati con la forza i propri nemici, parlare di uno "Stato popolare libero" è pura assurdità: finché il proletariato ha bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'interesse dell'assoggettamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere» (lettera di Engels a Bebel del 28 marzo 1875). «Lo Stato non è in realtà che una macchina per l'oppressione di una classe da parte di un'altra, nella repubblica democratica non meno che nella monarchia» (Engels nella prefazione della Guerra civile in Francia di Marx). Il suffragio universale è «l'indice della maturità della classe operaia. Non può essere e non sarà mai nulla di più nello Stato attuale» [9]. (Engels nel suo scritto sullo Stato. Il signor Kautsky rimastica in modo straordinariamente noioso la prima parte di questa tesi accettabile per la borghesia. Sulla seconda parte, che è stata da noi sottolineata e che è inaccettabile per la borghesia, serba il silenzio!).

    La Comune non doveva essere un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo... Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della classe dominante doveva mal rappresentare (ver und zertreten) il popolo nel parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni, così come il suffragio individuale serve a ogni altro imprenditore privato per cercare gli operai e gli organizzatori della sua azienda (Marx nella sua opera sulla Comune di Parigi: La guerra civile in Francia, capitolo terzo).

Ognuna di queste tesi, tutte ben note al dottissimo signor Kautsky, è per lui uno schiaffo in pieno viso, smaschera in pieno la sua abiura. In tutto il suo opuscolo non si trova un briciolo di comprensione di queste verità. L'intiero contenuto del suo libro è una caricatura del marxismo!

Prendete le leggi fondamentali degli Stati moderni, i loro apparati governativi, prendete la libertà di riunione o di stampa, la «eguaglianza dei cittadini davanti alla legge», e troverete ad ogni passo l'ipocrisia della democrazia borghese, ben nota ad ogni operaio onesto e cosciente. Non vi è un solo Stato, anche il più democratico, nella cui Costituzione non esistano scappatoie o clausole che assicurano alla borghesia la possibilità di procedere manu militari contro gli operai, di dichiarare lo stato di assedio, ecc. «in caso di perturbazione dell'ordine pubblico», in realtà nel caso in cui la classe sfruttata «turbi» il proprio stato di schiavitù o tenti di agire come una classe non schiava. Kautsky inorpella spudoratamente la democrazia borghese, tacendo, per esempio, quanto la più democratica e più repubblicana borghesia dell'America e della Svizzera fa contro gli operai in sciopero.

Oh! il saggio e dotto Kautsky tace tutto ciò! Questo dotto uomo politico non comprende che tale silenzio è un'infamia e preferisce raccontare agli operai delle favolette come quella che democrazia significa «tutela della minoranza». È incredibile, ma vero! Nell'anno di grazia 1918, nel quinto anno della carneficina imperialista mondiale e della repressione delle minoranze internazionalistiche (che non hanno cioè commesso il vergognoso tradimento contro il socialismo perpetrato dai Renaudel, dai Longuet, dagli Scheidemann, dai Kautsky, dagli Henderson e dai Webb, ecc.) in tutti «i paesi democratici» del mondo, il dotto signor Kautsky decanta con voce melliflua la «tutela della minoranza». Chi lo desidera, può leggerlo a p. 15 dell'opuscolo di Kautsky. E a p. 16 questo dotto individuo vi parlerà dei whigs e dei tories nell'Inghilterra del diciottesimo secolo!

O erudizione! O raffinato servilismo di fronte alla borghesia! O maniera civile di strisciare sul ventre davanti ai capitalisti e di leccar loro i piedi! Se io fossi Krupp o Scheidemann o Clemenceau o Renaudel, pagherei dei milioni al signor Kautsky, lo coprirei di baci di Giuda, ne vanterei i meriti davanti agli operai, raccomanderei l'«unità del socialismo» con uomini così «degni di stima» come Kautsky. Scrivere degli opuscoli contro la dittatura del proletariato, parlare dei whigs o dei tories nell'Inghilterra del diciottesimo secolo, affermare che democrazia vuol dire «tutela della minoranza» e tacere i pogrom contro gli internazionalisti nella «democratica» repubblica d'America, non sono forse questi servizi da lacchè resi alla borghesia?

Il dotto signor Kautsky ha con tutta probabilità «dimenticato», casualmente dimenticato, questa «inezia»: che in una democrazia borghese il partito dominante estende la tutela della minoranza unicamente a un altro partito borghese; al proletariato invece, in ogni questione seria, profonda, fondamentale, in luogo della «tutela della minoranza» si regalano lo stato d'assedio o i pogrom. Quanto più sviluppata è la democrazia, tanto più essa, in ogni profondo contrasto politico che minacci la borghesia, si avvicina ai pogrom o alla guerra civile. Il dotto signor Kautsky avrebbe potuto studiare questa «legge» della democrazia borghese durante l'affare Dreyfus nella Francia repubblicana, nel linciaggio di negri e di internazionalisti nella repubblica democratica d'America, negli esempi dell'Irlanda e dell'Ulster nella democratica Inghilterra, nella caccia ai bolscevichi e nell'organizzazione di pogrom contro di essi nell'aprile del 1917 nella repubblica democratica russa. Scelgo appositamente esempi non solo del periodo della guerra, ma anche dell'anteguerra, del periodo di pace. Al mellifluo signor Kautsky fa comodo chiudere gli occhi su questi fatti del ventesimo secolo, e raccontare invece agli operai cose sorprendentemente nuove, estremamente interessanti, straordinariamente ricche d'insegnamenti, incredibilmente importanti sui whigs e i tories del diciottesimo secolo.

Si prenda il parlamento borghese. Si può ammettere che l'erudito Kautsky non abbia mai sentito dire che la Borsa e i banchieri tanto più controllano i parlamenti borghesi quanto più fortemente è sviluppata la democrazia? Da ciò non si deve dedurre che non si debba utilizzare il parlamentarismo borghese (i bolscevichi l'hanno utilizzato con successo come forse nessun altro partito al mondo, giacché negli anni 1912-1914 hanno conquistato tutta la curia operaia della IV Duma). Ma ciò significa tuttavia che soltanto un liberale può dimenticare, come fa Kautsky, la limitatezza storica e il carattere contingente del parlamentarismo borghese. Nello Stato borghese più democratico le masse oppresse urtano ad ogni passo contro la più stridente contraddizione tra l'uguaglianza formale, proclamata dalla «democrazia» dei capitalisti, e le infinite restrizioni e complicazioni reali, che fanno dei proletari degli schiavi salariati. Appunto questa contraddizione apre gli occhi alle masse sulla putrescenza, la menzogna e l'ipocrisia del capitalismo. È appunto questa la contraddizione che gli agitatori e i propagandisti del socialismo rivelano alle masse, per prepararle alla rivoluzione. Ma quando l'era delle rivoluzioni è incominciata, Kautsky le ha voltato le spalle e si è messo a decantare le delizie della morente democrazia borghese.

La democrazia proletaria, di cui il potere dei Soviet è una delle forme, ha dato appunto alla stragrande maggioranza della popolazione, agli sfruttati e ai lavoratori, uno sviluppo e una estensione della democrazia finora mai visti nel mondo. Scrivere un intiero libro sulla democrazia, come ha fatto Kautsky, (che dedica due pagine alla dittatura e decine alla «democrazia pura») e non rilevare questo fatto, significa travisare completamente le cose da liberale.

Si prenda la politica estera. In nessun paese, neanche nel più democratico, essa è condotta pubblicamente. In tutti i paesi democratici, in Francia, in Svizzera, in America, in Inghilterra, le masse vengono ingannate in modo cento volte più esteso e raffinato che negli altri paesi. Il potere dei Soviet ha strappato rivoluzionariamente alla politica estera il manto del segreto. Kautsky non se n'è accorto, non ne fa parola, sebbene nell'epoca delle guerre di rapina e dei trattati segreti per la «ripartizione delle sfere d'influenza» (cioè per la ripartizione del mondo tra i briganti capitalisti) ciò abbia un'importanza fondamentale, poiché è quel che decide la questione della pace, la vita e la morte di decine di milioni di uomini.

Si prenda la struttura dello Stato. Kautsky si aggrappa alle «inezie», sino a rilevare che le elezioni (secondo la Costituzione sovietica) sono «indirette», ma non vede la sostanza della questione. Non vede l'essenza di classe dell'apparato statale, della macchina statale. Nella democrazia borghese, i capitalisti con mille raggiri, tanto più abili ed efficaci quanto più la democrazia «pura» è sviluppata, precludono alle masse la partecipazione al governo dello Stato, la libertà di riunione e di stampa, ecc. Il potere dei Soviet, primo nel mondo (il secondo, a rigor di termine, perché la Comune di Parigi diede il primo avvio), chiama le masse, e proprio le masse sfruttate, a partecipare al governo dello Stato. L'accesso al parlamento borghese (che mai nella democrazia borghese decide le questioni più importanti, che vengono decise dalla Borsa, dalle banche) è sbarrato alle masse lavoratrici da mille ostacoli, e i lavoratori sanno e sentono, vedono e intuiscono perfettamente che il parlamento borghese è un istituto a loro estraneo, un'arme di cui si serve la borghesia per opprimere i proletari, un istituto della classe nemica, della minoranza sfruttatrice.

I Soviet sono l'organizzazione diretta delle stesse masse lavoratrici sfruttate, alle quali la possibilità di organizzare lo Stato e di governarlo in tutti i modi possibili. È precisamente l'avanguardia dei lavoratori e degli sfruttati, il proletariato urbano, che in questo sistema gode del vantaggio, essendo meglio organizzato dalla grande impresa, di eleggere e controllare le elezioni. L'organizzazione sovietica facilita automaticamente l'unione di tutti i lavoratori e di tutti gli sfruttati intorno alla loro avanguardia, il proletariato. L'antico apparato borghese: la burocrazia, i privilegi della ricchezza, della cultura borghese, delle aderenze e così via (e questi privilegi reali assumono aspetti tanto più vari quanto più è sviluppata la democrazia borghese), tutto ciò scompare nell'organizzazione sovietica. La libertà di stampa cessa di essere un'ipocrisia, una volta che le tipografie e la carta sono tolte alla borghesia. Lo stesso avviene dei migliori edifici, palazzi, ville, dimore dei proprietari fondiari. Il potere dei Soviet ha tolto decisamente agli sfruttatori migliaia di questi edifici ed ha in tal modo «democratizzato» mille volte il diritto di riunione per le masse, quel diritto di riunione senza il quale la democrazia è un inganno. Le elezioni indirette ai Soviet non locali facilitano la convocazione dei congressi dei Soviet, rendono l'intiero apparato meno costoso, più agile e accessibile agli operai e ai contadini in un periodo in cui la vita pulsa ed è particolarmente viva la necessità di poter richiamare rapidamente un deputato o di poterlo inviare al Congresso generale dei Soviet.

La democrazia proletaria è mille volte più democratica di qualsiasi democrazia borghese; il potere dei Soviet è mille volte più democratico della più democratica repubblica borghese.

Soltanto un uomo che si sia posto deliberatamente al servizio della borghesia o sia morto politicamente, un uomo cui le pagine polverose dei libri borghesi impediscono di vedere la vita che pulsa, un uomo imbevuto dei pregiudizi borghesi e quindi oggettivamente trasformatosi in lacchè della borghesia, poteva non vedere tutto questo.

Soltanto un uomo incapace di porre la questione dal punto di vista delle classi sfruttate poteva non vedere tutto questo.

Vi è forse al mondo, tra i paesi borghesi più democratici, anche un solo paese in cui l'operaio medio, comune, il salariato agricolo medio, comune, o il semiproletario delle campagne in generale (cioè i rappresentanti delle masse sfruttate, la stragrande maggioranza della popolazione) godano anche solo approssimativamente della libertà di organizzare assemblee negli edifici più belli, della libertà di servirsi, per esprimere le loro idee e per difendere i loro interessi, delle più grandi tipografie e dei migliori depositi di carta, della libertà di affidare il governo e l'«organizzazione» dello Stato precisamente ai rappresentanti della loro classe, come nella Russia dei Soviet?

Sarebbe ridicolo anche solo pensare che, in qualsiasi paese, tra mille operai e salariati agricoli che sappiano come stanno le cose, il signor Kautsky ne trovi sia pure uno che abbia dei dubbi circa la risposta da dare a questa domanda.

Gli operai di tutto il mondo, che apprendono sprazzi di verità dai giornali borghesi, simpatizzano istintivamente con la Repubblica dei Soviet appunto perché vedono in essa una democrazia proletaria, una democrazia per i poveri, e non una democrazia per i ricchi, come è in realtà ogni democrazia borghese, anche la migliore.

Noi siamo governati (e il nostro Stato è «governato») da funzionari borghesi, da parlamentari borghesi, da giudici borghesi: questa è la semplice verità, ovvia, inconfutabile che decine e centinaia di milioni di uomini appartenenti alle classi sfruttate in tutti i paesi borghesi, compresi i più democratici, conoscono per esperienza personale, sentono e costatano ogni giorno.

In Russia invece tutto l'apparato burocratico è stato spezzato, non ne è stato lasciato pietra su pietra. Tutti i vecchi giudici sono stati rimossi, il parlamento borghese è stato sciolto e appunto agli operai e ai contadini è stata data una rappresentanza molto più accessibile; i loro Soviet hanno sostituito la burocrazia o i loro Soviet sono stati messi al di sopra dei funzionari, ai loro Soviet è stata data la facoltà di eleggere i giudici. Questo solo fatto è bastato perché tutte le classi sfruttate riconoscessero il potere dei Soviet, cioè quella forma della dittatura del proletariato mille volte più democratica della più democratica repubblica borghese.

Kautsky non capisce questa verità che è chiara e intelligibile ad ogni operaio, perché «ha dimenticato», «disimparato» a porre la domanda: democrazia per quale classe? Egli ragiona dal punto di vista della democrazia «pura» (cioè senza classi? o al di fuori delle classi). Egli ragiona come Shylock [10]: «una libbra di carne», e niente più. Uguaglianza per tutti i cittadini, altrimenti non vi è democrazia.

Bisognerà rivolgere al dotto Kautsky, al «marxista» e «socialista» Kautsky la domanda seguente:
Vi può essere eguaglianza tra sfruttati e sfruttatori?

È mostruoso, è incredibile che occorra formulare una simile domanda discutendo un libro scritto dal capo ideologico della II Internazionale. Ma una volta accintisi a un compito, lo si deve condurre a termine. Ti sei messo a scrivere su Kautsky? Spiega dunque a questo dotto perché non vi può essere uguaglianza tra sfruttatori e sfruttati.

Vi può essere eguaglianza tra sfruttatori e sfruttati?

Kautsky dice:

1) «Gli sfruttatori hanno sempre costituito soltanto una piccola minoranza della popolazione» (p. 14 del suo opuscolo).

Questa è una verità incontestabile. Come si deve ragionare partendo da questa verità? Si può ragionare da marxista, da socialista, e allora si devono prendere come base i rapporti tra sfruttati e sfruttatori. Si può ragionare da liberale, da democratico borghese, e allora si devono prendere come base i rapporti tra maggioranza e minoranza.

Se si ragiona da marxisti, si deve dire: gli sfruttatori trasformano inevitabilmente lo Stato (parliamo della democrazia, cioè di una delle forme dello Stato) in uno strumento di dominio della loro classe — la classe degli sfruttatori — sugli sfruttati. Anche lo Stato democratico quindi, finché ci sono sfruttatori che esercitano il loro dominio sulla maggioranza degli sfruttati, sarà inevitabilmente una democrazia per gli sfruttatori. Lo Stato degli sfruttati deve distinguersi fondamentalmente da un simile Stato, deve essere democrazia per gli sfruttati e repressione per gli sfruttatori. Ma la repressione di una classe significa l'ineguaglianza per questa classe, la sua esclusione dalla «democrazia».

Se si ragiona da liberale, si è costretti a dire: la maggioranza decide, la minoranza ubbidisce. Chi non ubbidisce è punito. Ed è tutto. Inutile dissertare sul carattere di classe dello Stato in generale e sulla «democrazia pura» in particolare; ciò non ha a che fare con l'argomento, perché la maggioranza è maggioranza e la minoranza è minoranza. Una libbra di carne è una libbra di carne, e basta.

Kautsky ragiona precisamente così. Egli dice:
2) «Per quali ragioni il dominio del proletariato dovrebbe prendere e prenderebbe necessariamente una forma inconciliabile con la democrazia?» (p. 21). Segue quindi la spiegazione, una spiegazione molto circostanziata e prolissa, completata con una citazione di Marx e con i risultati elettorali della Comune di Parigi: il proletariato ha dalla sua parte la maggioranza. Conclusione: «Un regime che ha così profonde radici nelle masse non ha alcun motivo di violare la democrazia. Non può non ricorrere alla violenza nei casi in cui si usi la violenza per sopprimere la democrazia. Alla violenza si può rispondere unicamente con la violenza. Ma un regime che sa di avere l'appoggio delle masse, farà uso della violenza unicamente per salvaguardare la democrazia, e non per sopprimerla. Commetterebbe un vero suicidio se volesse sopprimere la sua base più sicura, il suffragio universale, sorgente profonda di una potente autorità morale» (p. 22).

Vedete quindi che il rapporto tra sfruttati e sfruttatori è scomparso nell'argomentazione di Kautsky. È rimasta unicamente la maggioranza in generale, la minoranza in generale, la «democrazia pura» che noi già conosciamo.

E notate che ciò è detto a proposito della Comune di Parigi! Vediamo dunque, per rendere chiare le cose, in qual modo Marx ed Engels affrontano la questione della dittatura a proposito della Comune:

    Marx: ...Se gli operai sostituiscono la loro dittatura rivoluzionaria alla dittatura della classe borghese... per schiacciare la resistenza della classe borghese... essi gli danno [allo Stato] una forma rivoluzionaria... [11]
    Engels: ... E il partito vittorioso [nella rivoluzione] se non vuol avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi inspirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente? [12]
    Lo stesso: ...Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per tener soggiogati con la forza i propri nemici, parlare di uno «Stato popolare libero» è pura assurdità; finché il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'interesse dell'assoggettamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere... [13]

Kautsky è lontano da Marx e da Engels come il cielo dalla terra, come un liberale da un rivoluzionario proletario. La democrazia pura, la «democrazia» senza aggettivi, di cui parla Kautsky, altro non è che una perifrasi di quello stesso «Stato popolare libero», è cioè una pura assurdità. Kautsky, con l'erudizione di un dottissimo imbecille da tavolino, o con il candore di una ragazzina decenne, domanda: perché ci vuole la dittatura dal momento che si ha la maggioranza? E Marx ed Engels spiegano:

per spezzare la resistenza della borghesia,
per ispirare terrore ai reazionari,
per assicurare l'autorità del popolo armato di fronte alla borghesia,
perché il proletariato possa schiacciare con la forza i propri nemici.

Queste spiegazioni, Kautsky non le comprende. Infatuatosi della «purezza» della democrazia, di cui non vede il carattere borghese, egli sostiene «in modo conseguente» che la maggioranza, dal momento che è maggioranza, non ha bisogno di «spezzare la resistenza» della minoranza, non ha bisogno di «schiacciarla con la forza», e che basta reprimere singoli casi di violazione della democrazia. Kautsky, infatuatosi della «purezza» della democrazia, incorre inavvertitamente nel piccolo errore che sempre commettono tutti i democratici borghesi: prende l'eguaglianza formale (profondamente menzognera e ipocrita in regime capitalista) per eguaglianza effettiva! Un'inezia!

Lo sfruttatore non può essere eguale allo sfruttato.

Questa verità, per quanto sgradita possa essere a Kautsky, è la quintessenza del socialismo.

Altra verità: non vi può essere reale ed effettiva eguaglianza finché non è eliminata qualsiasi possibilità che una classe sia sfruttata da un'altra.

Gli sfruttatori possono essere battuti di colpo, con una insurrezione riuscita al centro o un ammutinamento delle truppe. Ma, fatta eccezione di casi rarissimi ed eccezionali, non possono essere annientati di colpo. Non si possono espropriare di colpo tutti i grandi proprietari fondiari e i capitalisti di un paese più o meno grande. Inoltre l'espropriazione da sola, come semplice atto giuridico o politico, è ben lontana dal risolvere il problema, giacché è necessario destituire di fatto i grandi proprietari fondiari e i capitalisti, e sostituirli effettivamente con un'altra gestione delle fabbriche e dei fondi agrari, con una gestione operaia. Non ci può essere eguaglianza tra gli sfruttatori che per molte generazioni si sono distinti per la loro cultura, le loro condizioni di vita agiata e le loro abitudini, e gli sfruttati, che nella loro massa, anche nelle repubbliche borghesi più progredite e più democratiche, sono oppressi, incolti, ignoranti, intimoriti, disuniti. Per lungo tempo dopo la rivoluzione gli sfruttatori conservano inevitabilmente una serie di grandi vantaggi pratici: rimangono loro il denaro (che non si può sopprimere immediatamente), una certa quantità di beni mobili, spesso considerevoli; rimangono loro le relazioni, la pratica organizzativa e amministrativa, la conoscenza di tutti i «segreti» dell'amministrazione (consuetudini, procedimenti, mezzi, possibilità), rimangono loro una istruzione più elevata, strette relazioni con lo strato superiore del personale tecnico (che vive e pensa da borghese), rimane loro una conoscenza infinitamente superiore dell'arte militare (il che è molto importante), ecc. ecc.

Se gli sfruttatori sono battuti soltanto in un paese — questa è naturalmente la regola, poiché una rivoluzione simultanea in parecchi paesi è una rara eccezione — essi restano tuttavia più forti degli sfruttati, perché i legami internazionali degli sfruttatori sono immensi. Tutte le rivoluzioni, la Comune compresa, hanno finora mostrato che una parte degli sfruttati, delle masse dei contadini medi, degli artigiani, ecc. meno evoluti, segue e può seguire gli sfruttatori (infatti tra le truppe versagliesi vi erano anche dei proletari, cosa che il dottissimo Kautsky «ha dimenticato»).

In una simile situazione, pensare che in una rivoluzione più o meno seria e profonda il fattore decisivo sia semplicemente il rapporto tra maggioranza e minoranza è il massimo dell'ottusità, vuol dire ingannare le masse, nascondere loro una verità storica stabilita. Questa verità storica dice che in ogni rivoluzione profonda una resistenza lunga, tenace, disperata degli sfruttatori — che per decine di anni mantengono ancora grandi vantaggi reali sugli sfruttati — è la regola. Mai, se non nelle sentimentali fantasie di uno sciocco sentimentale quale è Kautsky, gli sfruttatori si sottometteranno alle decisioni della maggioranza degli sfruttati senza prima aver fatto uso dei loro vantaggi, in un'ultima disperata battaglia o in una serie di battaglie.

Il passaggio dal capitalismo al comunismo abbraccia un'intiera epoca storica. Finché quest'epoca non è chiusa, gli sfruttatori conservano inevitabilmente la speranza in una restaurazione, e questa speranza si traduce in tentativi di restaurazione. Anche dopo la prima disfatta seria, gli sfruttatori rovesciati, che non si aspettavano di esserlo, che non ci credevano, che non ne ammettevano neanche l'idea, si scagliano nella battaglia con energia decuplicata, con furiosa passione, con odio cento volte più intenso, per riconquistare il «paradiso» perduto alle loro famiglie, che vivevano una vita così dolce e che la «canaglia popolare» condanna ora alla rovina e alla miseria (o ad un lavoro «ordinario»...). E a rimorchio dei capitalisti sfruttatori si trascina la grande massa della piccola borghesia, la quale, come attestano decenni di esperienza storica in tutti i paesi, oscilla ed esita, oggi marcia al seguito del proletariato, domani si spaventa delle difficoltà della rivoluzione, è presa dal panico alla prima sconfitta o al primo scacco degli operai, cade in preda al nervosismo, non sa dove batter la testa, piagnucola, passa da un campo all'altro... come fanno i nostri menscevichi e i nostri socialisti-rivoluzionari.

In questa situazione, in un'epoca di guerra disperata, accanita, nella quale la storia pone all'ordine del giorno la questione di vita o di morte di privilegi secolari, parlare di maggioranza e di minoranza, di democrazia pura, dell'inutilità della dittatura, di eguaglianza tra sfruttatori e sfruttati! Quale abisso di stoltezza, quale voragine di filisteismo sono necessari per giungere a ciò!

Ma in decenni di capitalismo relativamente «pacifico», dal 1871 al 1914, si sono accumulate nei partiti socialisti, che cercano di adattarsi all'opportunismo, delle vere stalle di Augia di filisteismo, di grettezza, di apostasia.

* * *

II lettore avrà probabilmente notato che Kautsky, nel passo succitato del suo libro, parla di attentato al suffragio universale (che — sia detto tra parentesi — egli esalta come fonte profonda di una potente autorità morale, mentre Engels, a proposito della stessa Comune di Parigi e della stessa questione della dittatura, parla dell'autorità del popolo armato contro la borghesia; caratteristica la differenza tra il punto di vista del filisteo e quello del rivoluzionario circa l’ «autorità»...)

Occorre notare che la privazione del diritto di voto per gli sfruttatori è un problema puramente russo, e non già della dittatura del proletariato in generale. Se Kautsky avesse, senza ipocrisia, intitolato il suo opuscolo: «Contro i bolscevichi», questo titolo avrebbe corrisposto al contenuto del suo scritto, e Kautsky avrebbe allora potuto parlare esplicitamente del diritto di voto. Invece Kautsky ha voluto innanzitutto presentarsi come «teorico». Egli ha intitolato genericamente il suo opuscolo La dittatura del proletariato. E parla particolarmente dei Soviet e della Russia solo nella seconda parte dell'opuscolo, a partire dal paragrafo 5. Nella prima parte (da cui ho preso il passo citato) si parla di democrazia e di dittatura in generale. Trattando del diritto di voto, Kautsky si rivela un oppositore dei bolscevichi, rivela di aver messo la teoria sotto i piedi. Giacché la teoria, cioè lo studio delle basi classiste generali (e non nazionali e particolari) della democrazia e della dittatura, non deve occuparsi di una questione particolare, come il diritto di voto, ma del problema generale, e cioè: nel periodo storico in cui gli sfruttatori vengono rovesciati e il loro Stato viene sostituito da uno Stato degli sfruttati, può la democrazia essere mantenuta anche per i ricchi, per gli sfruttatori?

Così e soltanto così un teorico può porre la questione.

Noi conosciamo l'esempio della Comune, conosciamo tutto quel che hanno detto i fondatori del marxismo sulla Comune. Prendendo come base questa documentazione, nel mio opuscolo Stato e rivoluzione, scritto prima della rivoluzione d'Ottobre, ho analizzato per esempio il problema della democrazia e della dittatura. Sulla restrizione del diritto di voto non ho detto una sola parola. Ed oggi si deve dire che la restrizione del diritto di voto è una questione specificamente nazionale, e non già un problema generale della dittatura. La questione della restrizione del diritto di voto deve essere affrontata esaminando le condizioni particolari della rivoluzione russa, il corso particolare del suo sviluppo. È ciò che faremo nel seguito della nostra esposizione. Ma sarebbe un errore voler affermare in anticipo che le imminenti rivoluzioni proletarie d'Europa — tutte o la maggior parte di esse — apporteranno necessariamente una restrizione del diritto di voto per la borghesia. Può darsi che così avvenga. Dopo la guerra e dopo le esperienze della rivoluzione russa, è anzi probabile che sia così, ma ciò non è obbligatorio per l'attuazione della dittatura, non è un indizio necessario del concetto logico della dittatura, non costituisce una condizione essenziale del concetto storico e classista di dittatura.

L'indizio necessario, la condizione necessaria della dittatura è la repressione violenta degli sfruttatori come classe, e quindi la violazione della «democrazia pura», cioè dell'eguaglianza e della libertà nei riguardi di questa classe.

Così e soltanto così si deve porre la questione dal punto di vista teorico. Non avendo Kautsky posto la questione in questo modo, egli ha dimostrato di attaccare i bolscevichi non da teorico, ma da sicofante al servizio della borghesia e degli opportunisti.

In quali paesi, in quali condizioni nazionali particolari di questo o quel capitalismo verrà limitata o violata la democrazia nei confronti degli sfruttatori? Ciò dipenderà dalle particolarità nazionali di questo o quel capitalismo, di questa o quella rivoluzione. Teoricamente, la questione si pone altrimenti, e cioè: è possibile la dittatura del proletariato senza violare la democrazia nei riguardi della classe degli sfruttatori?

Kautsky ha evitato precisamente questa questione, che teoricamente è la sola importante ed essenziale. Egli ha citato tutti i passi possibili di Marx e di Engels, ad eccezione di quelli che si riferiscono a questa questione e che io ho citato sopra.

Kautsky ha parlato di tutto, di tutto ciò che è accettabile ai liberali, ai democratici borghesi, e che non esce dalla cerchia delle loro idee, ma non dice nulla della cosa principale, che il proletariato cioè non può vincere senza spezzare la resistenza della borghesia, senza reprimere con la violenza i propri avversari, e che dove vi è «repressione violenta», dove non vi è «libertà», naturalmente non vi è democrazia.

Kautsky non l'ha capito.

Passiamo ora alle esperienze della rivoluzione russa e alla divergenza tra i Soviet e l'Assemblea costituente, la quale (divergenza) portò allo scioglimento di quest'Assemblea e alla privazione del diritto di voto della borghesia.

I Soviet non hanno diritto di trasformarsi in organizzazioni statali

I Soviet sono la forma russa della dittatura proletaria. Se un teorico marxista, accintosi a scrivere sulla dittatura del proletariato, avesse realmente studiato questo fenomeno (invece di ripetere, come fa Kautsky, le querimonie piccolo-borghesi contro la dittatura ricantando le melodie mensceviche), questo teorico avrebbe dato innanzitutto la definizione generale di dittatura, ne avrebbe quindi esaminato la forma particolare, nazionale, i Soviet; avrebbe sottoposto a critica questi ultimi, come una delle forme della dittatura del proletariato.

È chiaro che non c'era da aspettarsi nulla di serio da Kautsky dopo che egli aveva «rimaneggiato» in senso liberale la dottrina di Marx sulla dittatura. Ma è sommamente caratteristico vedere come egli affronti la questione di ciò che sono i Soviet e come se la cavi.

I Soviet — egli scrive —, risalendo alla loro nascita nel 1905, hanno creato «la forma di organizzazione proletaria la più universale [umfassendste] fra tutte, poiché abbraccia tutti gli operai salariati» (p. 31). Nel 1905 essi non erano che corporazioni locali; nel 1917 sono diventati un'organizzazione di tutta la Russia.

    Già ora — continua Kautsky — l'organizzazione dei Soviet ha dietro a sé una storia grande e gloriosa. Ad essa è riservata una storia più grandiosa, e non solo in Russia. Dappertutto appare come, di fronte alle forze gigantesche di cui dispone il capitale finanziario nel campo economico e politico, gli antichi metodi di lotta economica e politica del proletariato siano insufficienti [versagen, la parola tedesca è un po' più forte di «insufficienti», e un po' meno di «impotenti»]. Ma non si deve rinunciare ad essi; in tempi normali rimangono necessari, ma di quando in quando si trovano di fronte a compiti che non possono adempiere, compiti che possono essere adempiuti soltanto con l'unione di tutti i mezzi di forza politici ed economici della classe operaia (p. 32).

Seguono ragionamenti sullo sciopero di massa e sul fatto che la «burocrazia sindacale», altrettanto indispensabile quanto i sindacati stessi, «è incapace di guidare le imponenti battaglie di massa che diventano sempre più un segno dei tempi»...

    ...Pertanto — conclude Kautsky — l'organizzazione sovietica è uno dei fenomeni più importanti della nostra epoca. Essa promette di acquistare una importanza decisiva nelle grandi battaglie decisive tra capitale e lavoro che si prospettano.

    Ma abbiamo il diritto di esigere di più dai Soviet? I bolscevichi che, dopo la rivoluzione del novembre 1919 [ossia dell'ottobre, secondo il nostro calendario], insieme coi socialisti-rivoluzionari di sinistra, ottennero la maggioranza nei Soviet dei deputati operai in Russia, si accinsero, dopo aver sciolto la Costituente, a fare del Soviet, che era stato sino allora l'organizzazione di combattimento di una sola classe, un 'organizzazione statale. Essi soppressero la democrazia che il popolo russo aveva conquistato nella rivoluzione di marzo [ossia febbraio secondo il nostro calendario]. In relazione a questo fatto, i bolscevichi cessarono di chiamarsi socialdemocratici, e presero il nome di comunisti (p. 33; il corsivo è di Kautsky).

Chi conosce la letteratura menscevica russa vede subito come Kautsky abbia copiato servilmente Martov, Axelrod, Stein e C. «Servilmente» appunto, giacché Kautsky, per far piacere ai pregiudizi menscevichi, snatura in modo grottesco i fatti. Kautsky, per esempio, non si è preso la pena di chiedere ai suoi informatori — Stein, che è a Berlino, o Axelrod, che è a Stoccolma — quando furono sollevate le questioni del cambiamento del nome bolscevichi in comunisti e della funzione dei Soviet come organizzazioni statali. Se Kautsky avesse chiesto questa semplice informazione non avrebbe scritto quelle righe che suscitano il riso, giacché entrambe le questioni furono sollevate dai bolscevichi nell'aprile del 1917, nelle mie Tesi, per esempio, del 4 aprile 1917, vale a dire molto tempo prima della rivoluzione d'Ottobre (per non parlare poi dello scioglimento dell'Assemblea costituente avvenuto il 5 gennaio 1918).

I ragionamenti di Kautsky, da me riportati integralmente, sono il fulcro di tutto il problema dei Soviet. Precisamente perché si tratta di sapere se i Soviet devono tendere le loro forze per diventare organizzazioni statali (nell'aprile 1917 i bolscevichi avevano lanciato la parola d'ordine: «Tutto il potere ai Soviet», e nella Conferenza del Partito bolscevico, sempre nell'aprile 1917, avevano dichiarato che la repubblica parlamentare borghese non li poteva soddisfare e che reclamavano una repubblica operaia e contadina del tipo della Comune o dei Soviet); oppure se i Soviet non devono tendere a questo scopo, non devono prendere nelle loro mani il potere e non devono diventare organizzazioni statali, ma rimanere «organizzazioni di lotta» di una sola «classe» (come disse Martov, mascherando in modo plausibile col suo pio desiderio il fatto che i Soviet sotto la direzione menscevica erano uno strumento di sottomissione degli operai alla borghesia).

Kautsky ripete servilmente le parole di Martov; prende frammenti del dibattito teorico tra bolscevichi e menscevichi e li trapianta senza critica e indiscriminatamente nel terreno teorico generale europeo. Ne vien fuori un pasticcio tale che muoverebbe al riso ogni operaio russo cosciente che venisse a conoscenza di questi ragionamenti di Kautsky.

Tutti gli operai europei (ad eccezione di un pugno di social-imperialisti incalliti) quando spiegheremo loro di che si tratta accoglieranno Kautsky con una eguale risata.

Spingendo sino all'assurdo, in maniera straordinariamente evidente, l'errore di Martov, Kautsky gli ha reso un cattivo servizio. Si veda, infatti, che cosa risulta in Kautsky.

I Soviet abbracciano tutti gli operai salariati. Contro il capitale finanziario i vecchi metodi di lotta economica e politica del proletariato sono insufficienti. I Soviet sono destinati ad avere un'immensa funzione, e non soltanto in Russia. Essi avranno una funzione decisiva nelle grandi battaglie decisive tra capitale e lavoro in Europa. Cosi dice Kautsky.

Benissimo. Le «battaglie decisive tra capitale e lavoro» risolveranno forse il problema: quale di queste due classi si impadronirà del potere statale?

Niente affatto. Dio ce ne scampi e liberi!

Nelle battaglie «decisive» i Soviet, che abbracciano tutti gli operai salariati, non devono diventare un'organizzazione statale!

E che cos'è lo Stato?

Lo Stato non è che una macchina per l'oppressione di una classe da parte di un'altra.

Sicché, la classe oppressa, avanguardia di tutti i lavoratori e sfruttati nell'odierna società, deve tendere alle «battaglie decisive tra capitale e lavoro», ma non deve toccare la macchina mediante la quale il capitale opprime il lavoro! Non deve spezzare questa macchina! Non deve servirsi dell'organizzazione che abbraccia tutti i suoi componenti per reprimere gli sfruttatori!

Benissimo, signor Kautsky, ottimamente! «Noi» riconosciamo la lotta di classe come la riconoscono tutti i liberali, cioè senza il rovesciamento della borghesia!

È qui che la rottura completa di Kautsky con il marxismo e con il socialismo diventa evidente. Ciò significa di fatto passare nel campo della borghesia, la quale è disposta a concedere tutto quel che si vuole, fuorché la trasformazione delle organizzazioni della classe ad essa oppressa in organizzazioni statali. Qui Kautsky non potrà ormai salvare la sua posizione, che è la posizione di chi tutto concilia e cerca di eludere con le frasi tutte le profonde contraddizioni.

O Kautsky nega categoricamente che il potere politico debba passare alla classe operaia, o egli ammette che questa prenda nelle sue mani la vecchia macchina statale, ma non ammette in nessun caso che essa la spezzi, la distrugga, la sostituisca con una macchina statale nuova, proletaria. Che i ragionamenti di Kautsky siano «interpretati» o «spiegati» nell'uno o nell'altro senso, in entrambi i casi la sua rottura con il marxismo e il suo passaggio dalla parte della borghesia sono evidenti.

Già nel Manifesto del Partito comunista [cap. 2], indicando quale Stato occorre alla classe operaia vittoriosa, Marx scriveva: lo «Stato, vale a dire il proletariato organizzato come classe dominante». Ed ora ecco un uomo che — pur pretendendo di continuare ad essere un marxista — dichiara che il proletariato, organizzato nella sua totalità e impegnato nella «lotta decisiva» contro il capitale, non deve fare della sua organizzazione di classe un'organizzazione statale. Kautsky qui rivela quella «fede superstiziosa nello Stato», della quale Engels nel 1891 scriveva che «in Germania... si è trasportata... nella coscienza generale della borghesia e perfino di molti operai» [14]. Lottate, operai! — «ammette» il nostro filisteo (anche il borghese lo «ammette», dal momento che gli operai lottano egualmente e non v'è che da pensare al modo di spezzare la punta della loro spada) — lottate, ma non osate vincere! Non distruggete la macchina statale della borghesia, non mettete al posto dell'«organizzazione statale» borghese un'«organizzazione statale» proletaria.

Chiunque condivida seriamente il concetto marxista secondo cui lo Stato altro non è se non una macchina per l'oppressione di una classe da parte di un'altra, chiunque rifletta più o meno profondamente su questa verità non giungerà mai a un simile assurdo, ad affermare cioè che le organizzazioni proletarie capaci di vincere il capitale finanziario non debbono trasformarsi in organizzazioni statali. Questo è il punto, precisamente, che rivela il piccolo borghese, per il quale lo Stato è «nonostante tutto» qualche cosa al di fuori delle classi o al di sopra delle classi. Perché infatti dovrebbe essere permesso al proletariato, a «una sola classe», di condurre una guerra decisiva contro il capitale — il quale esercita il suo dominio non solo sul proletariato, ma su tutto il popolo, su tutta la piccola borghesia, su tutti i contadini — ma non sarebbe permesso al proletariato, a «questa sola classe», di trasformare la sua organizzazione in una organizzazione statale? Perché il piccolo borghese ha paura della lotta di classe e non la conduce sino alla sua logica conclusione, sino all'obiettivo principale, sino al punto principale!

Kautsky è caduto in un garbuglio inestricabile e si è smascherato in pieno. Egli stesso riconosce, notatelo, che l'Europa va incontro a battaglie decisive tra capitale e lavoro, e che i vecchi metodi di lotta economica e politica del proletariato sono insufficienti. Ma questi metodi consistevano appunto nella utilizzazione della democrazia borghese. E allora?...

Kautsky non ha osato trarre la conclusione logica.

...Quindi, soltanto un reazionario, un nemico della classe operaia, un lacchè della borghesia può ora descrivere le delizie della democrazia borghese, chiacchierare di democrazia pura, rivolto a un passato che ha fatto il suo tempo. La democrazia borghese era progressiva in confronto al regime medioevale, e bisognava utilizzarla. Ma oggi è insufficiente per la classe operaia. Oggi non si deve guardare indietro, ma avanti, verso la sostituzione della democrazia borghese con la democrazia proletaria. E sebbene il lavoro preparatorio per la rivoluzione proletaria, l'istruzione e la formazione dell'esercito proletario, sia stato possibile (e necessario) nel quadro dello Stato democratico borghese, poiché siamo giunti alle «battaglie decisive», rinchiudere il proletariato entro questi confini significa tradire la causa del proletariato, significa essere un rinnegato.

Kautsky è caduto in una situazione particolarmente ridicola ripetendo un argomento di Martov, senza accorgersi che in Martov questo argomento si appoggia su un altro, che in Kautsky manca! Martov dice (e Kautsky ripete) che la Russia non è ancora matura per il socialismo, dal che naturalmente consegue che è ancora troppo presto per trasformare i Soviet da organi di lotta in organizzazioni statali (leggi: è opportuno, con l'aiuto dei capi menscevichi, trasformare i Soviet in strumenti per sottomettere i lavoratori alla borghesia imperialista). Kautsky infatti non può dire esplicitamente che l'Europa non è matura per il socialismo. Nel 1909, quando non era ancora un rinnegato, scrisse che ormai non si doveva più temere una rivoluzione prematura, e che sarebbe stato un traditore colui che, per paura della sconfitta, avesse rinunciato alla rivoluzione. Kautsky non osa smentire apertamente ciò che diceva allora. E ne risulta un'assurdità che smaschera sino in fondo tutta la sua stoltezza e la sua viltà di piccolo borghese: da un lato l'Europa è matura per il socialismo e s'avvia verso le battaglie decisive del lavoro contro il capitale, e dall'altro lato non si deve trasformare una organizzazione di lotta (che cioè si forma, si sviluppa, si rafforza nella lotta), l'organizzazione del proletariato — avanguardia, organizzatore e capo degli oppressi — in una organizzazione statale!

*     *     *

Dal punto di vista della politica pratica, l'idea che i Soviet siano necessari come organizzazioni di lotta, ma non debbano trasformarsi in organizzazioni statali, è infinitamente più assurda che dal punto di vista teorico. Perfino in tempo di pace, quando non vi è una situazione rivoluzionaria, la lotta di massa degli operai contro i capitalisti, per esempio lo sciopero di massa, suscita una terribile esasperazione da ambo le parti, una lotta estremamente appassionata; la borghesia non cessa di ripetere che essa è e vuol rimanere «padrona in casa propria», ecc.

Orbene, durante la rivoluzione, quando la vita politica diventa impetuosa, un'organizzazione quale sono i Soviet, che abbracciano tutti gli operai di tutte le branche industriali, e inoltre tutti i soldati e l'intiera popolazione lavoratrice e povera delle campagne, è necessariamente portata dal corso della lotta, dalla semplice «logica» dell'attacco e della resistenza, a porre la questione in pieno. Tentare di prendere una posizione intermedia, di «conciliare» il proletariato con la borghesia, è cosa stolta e destinata a fallire miseramente. Ciò accadde in Russia alle prediche di Martov e degli altri menscevichi, così accadrà inevitabilmente in Germania e negli altri paesi, se i Soviet avranno uno sviluppo più o meno largo e avranno il tempo di unirsi e di rafforzarsi. Dire ai Soviet: lottate, ma non prendete nelle vostre mani tutto il potere statale, non diventate delle organizzazioni statali, vuol dire predicare la collaborazione delle classi e la «pace sociale» tra proletariato e borghesia, È ridicolo anche solo pensare che, nel parossismo della lotta, una simile posizione possa condurre ad altro che a un fallimento vergognoso. Sedere tra due sedie è l'eterna sorte di Kautsky. Egli finge di non essere d'accordo su nessun punto della teoria con gli opportunisti, ma in realtà, nella pratica, è d'accordo con loro in tutto ciò che è essenziale (vale a dire in tutto ciò che concerne la rivoluzione).

L'Assemblea costituente e la Repubblica sovietica

La questione dell'Assemblea costituente e del suo scioglimento ad opera dei bolscevichi, ecco il punto centrale dell'opuscolo su cui Kautsky ritorna continuamente. Tutto lo scritto del capo ideologico della II Internazionale abbonda di accenni al fatto che i bolscevichi «hanno soppresso la democrazia» (si veda una delle citazioni riportate sopra). La questione è realmente interessante e importante poiché il problema del rapporto tra democrazia borghese e democrazia proletaria si pone qui praticamente di fronte alla rivoluzione. Vediamo quindi come il nostro «teorico marxista» tratta la questione.

Egli cita le Tesi sull'Assemblea costituente da me scritte, e pubblicate nella Pravda del 26 dicembre 1917. Parrebbe questa la prova migliore del modo serio con cui Kautsky, documenti alla mano, affronta la questione. Si osservi tuttavia in qual modo procede Kautsky nelle citazioni. Egli non dice che le tesi erano 19, né dice che in esse era posto il problema sia del rapporto tra un'ordinaria repubblica borghese — con la sua Assemblea costituente — e la Repubblica dei Soviet, sia della storia del disaccordo manifestatosi nella nostra rivoluzione tra l'Assemblea costituente e la dittatura del proletariato. Kautsky elude tutto ciò, e dichiara semplicemente al lettore che «due di esse [di queste tesi] sono particolarmente importanti»: l'una afferma che ci fu una scissione fra i socialisti-rivoluzionari dopo le elezioni all'Assemblea costituente, ma prima della convocazione di quest'ultima (Kautsky non dice che questa è la quinta tesi); l'altra, che la Repubblica dei Soviet è in generale una forma di democrazia superiore all'Assemblea costituente (Kautsky non dice che questa è la terza tesi).

E di questa terza tesi Kautsky cita integralmente soltanto il seguente passo:

«La Repubblica dei Soviet non soltanto è una forma di istituto democratico di tipo più elevato (in confronto a una comune repubblica borghese che abbia un'Assemblea costituente come coronamento), ma anche l'unica forma capace di assicurare il passaggio al socialismo nel modo meno doloroso» [1*]. (Kautsky omette la parola «comune» e le parole d'introduzione della tesi: «Per il passaggio dal regime borghese a quello socialista, per la dittatura del proletariato»).

Citate queste parole, Kautsky esclama con brillante ironia:

    Peccato che si sia venuti a questa conclusione soltanto dopo esser rimasti in minoranza nell'Assemblea costituente! Prima nessuno l'aveva reclamata più clamorosamente di Lenin.

Cosi è detto testualmente a p. 31 del libro di Kautsky!

Ed è veramente una perla! Solo un sicofante al servizio della borghesia poteva presentare le cose sotto una luce così falsa per dare al lettore l'impressione che tutti i discorsi dei bolscevichi sul tipo superiore di Stato fossero stati inventati soltanto dopo che essi si erano trovati in minoranza nell'Assemblea costituente!! Una menzogna così ignobile poteva uscire soltanto dalla bocca.di un miserabile venduto alla borghesia o, il che è assolutamente lo stesso, di qualcuno che ha fiducia in P. Axelrod e nasconde la fonte delle sue informazioni.

Infatti tutti sanno che fin dal primo giorno del mio arrivo in Russia, il 4 aprile 1917, lessi pubblicamente le tesi nelle quali proclamavo la superiorità di uno Stato del tipo della Comune sulla repubblica parlamentare borghese. Lo dichiarai più tardi ripetutamente per iscritto, per esempio nel mio opuscolo sui partiti politici, tradotto in inglese e pubblicato in America nel gennaio 1918 sull'Evening Post di New York. Né ciò basta. La Conferenza del Partito bolscevico tenutasi alla fine dell'aprile 1917 costatava in una risoluzione [15] che la repubblica proletaria e contadina è superiore alla repubblica parlamentare borghese, che quest'ultima non poteva soddisfare il nostro partito, e che il programma del partito doveva essere conformemente modificato.

Come qualificare, dopo questo, il gesto di Kautsky, il quale assicura ai lettori tedeschi che io avrei chiesto clamorosamente la convocazione dell'Assemblea costituente, e solo dopo che i bolscevichi vi erano rimasti in minoranza avrei cominciato a «sminuirne» l'onore e la dignità? Come giustificare un tale gesto? [2*] Col fatto che Kautsky non sarebbe stato al corrente delle cose? E allora perché mettersi a parlarne? o perché non dichiarare onestamente: io, Kautsky, scrivo sulla base delle informazioni fornitemi dai menscevichi Stein, P. Axelrod e C.? Ma Kautsky, con la sua pretesa di obiettività, vuol nascondere la sua funzione di lacchè dei menscevichi, esasperati dalla disfatta.

Ma questi non sono che i fiori, i frutti verranno poi.

Ammettiamo che Kautsky non abbia voluto o non abbia potuto ( ? ? ) avere dai suoi informatori la traduzione delle risoluzioni e delle dichiarazioni bolsceviche sulla questione se i bolscevichi si accontentavano o no della repubblica democratica parlamentare borghese. Ammettiamolo pure, benché la cosa sia inverosimile. Ma le mie tesi del 26 dicembre 1917, Kautsky le menziona espressamente a p. 30 del suo libro.

Conosce Kautsky il testo integrale di queste tesi o conosce soltanto ciò che gli è stato tradotto dagli Stein, dagli Axelrod e C.? Kautsky cita la terza tesi sulla questione fondamentale; prima delle elezioni all'Assemblea costituente i bolscevichi si rendevano conto del fatto che la Repubblica dei Soviet è superiore alla repubblica borghese e l'avevano detto al popolo? Ma Kautsky non fa parola della seconda tesi.

E la seconda tesi dice:

    La socialdemocrazia rivoluzionaria, ponendo la rivendicazione della convocazione dell'Assemblea costituente, ha sottolineato a più riprese, sin dall'inizio della rivoluzione del 1917, che la Repubblica dei Soviet è una forma di democrazia più elevata di una comune repubblica borghese con una Assemblea costituente (il corsivo è mio).

Per rappresentare i bolscevichi come uomini senza principi, come «opportunisti rivoluzionari» (Kautsky usa questa espressione, non ricordo a quale proposito, in qualche parte del suo libro), il signor Kautsky ha nascosto ai lettori tedeschi che le tesi si richiamano direttamente a «ripetute » dichiarazioni precedenti!

Sono questi i piccoli, meschini e spregevoli espedienti di cui si serve il signor Kautsky. E così egli elude la questione teorica.

È vero o non è vero che la repubblica democratica parlamentare borghese è inferiore a una repubblica del tipo della Comune o del tipo dei Soviet? Il nodo della questione è questo, e Kautsky l'ha lasciato da parte. Egli «ha dimenticato» tutto ciò che Marx ha detto nella sua analisi della Comune di Parigi, «ha dimenticato» anche la lettera di Engels a Bebel del 28 marzo 1875, nella quale è espresso in modo particolarmente chiaro ed esplicito lo stesso pensiero di Marx: «La Comune non era più uno Stato nel senso proprio della parola».

Ed ecco: il più eminente teorico della II Internazionale, in un opuscolo dedicato alla Dittatura del proletariato e che tratta particolarmente della Russia, dove è stata posta direttamente e ripetutamente la questione di una forma di Stato superiore alla repubblica democratica borghese, tace su questa questione. In che cosa ciò differisce di fatto dal passaggio nel campo della borghesia?

(Notiamo tra parentesi che anche qui Kautsky si trascina a rimorchio dei menscevichi russi. Fra questi ultimi, di uomini che conoscono «tutti i testi» di Marx e di Engels ne troverete a profusione, ma non vi è un solo menscevico che nel periodo dall'aprile 1917 all'ottobre 1917, e dall'ottobre 1917 all'ottobre 1918 abbia provato una sola volta ad analizzare la questione di uno Stato del tipo della Comune. Anche Plekhanov ha eluso la questione. Ha preferito tacere, evidentemente).

È ovvio che parlare dello scioglimento dell'Assemblea costituente con uomini i quali si dicono socialisti e marxisti, ma che di fatto nella questione essenziale, la questione di uno Stato del tipo della Comune, passano dalla parte della borghesia, sarebbe gettare perle ai porci. Basterà pubblicare integralmente in appendice al presente opuscolo le mie tesi sull'Assemblea costituente. Il lettore vedrà che la questione fu posta il 26 dicembre 1917 dal punto di vista teorico, storico e politico-pratico.

Se Kautsky come teorico ha rinnegato interamente il marxismo, avrebbe potuto come storico studiare la questione della lotta tra i Soviet e l'Assemblea costituente. Molte opere di Kautsky attestano che egli sa essere uno storico marxista; questi suoi lavori sono un patrimonio duraturo del proletariato, nonostante la posteriore apostasia del loro autore. Ma in questa questione Kautsky, anche come storico, volta le spalle alla verità, ignora fatti universalmente noti, si comporta da sicofante. Egli vorrebbe rappresentare i bolscevichi come uomini senza princìpi, e racconta come essi tentarono di mitigare il conflitto con l'Assemblea costituente prima di scioglierla. Non vi è qui assolutamente nulla di male; non abbiamo nulla da smentire; io pubblico integralmente le mie tesi nelle quali è detto, chiaro come il sole: signori piccoli borghesi esitanti che vi siete insediati nell'Assemblea costituente, o vi rassegnate alla dittatura del proletariato, o vi vinceremo «con mezzi rivoluzionari» (tesi 18 e 19).

Così ha sempre agito e sempre agirà verso la piccola borghesia esitante il proletariato veramente rivoluzionario.

Nella questione dell'Assemblea costituente Kautsky si attiene al punto di vista formale. Nelle mie tesi ho detto chiaramente e a più riprese che gli interessi della rivoluzione stanno al di sopra dei diritti formali dell'Assemblea costituente (si vedano le tesi 16 e 17). Il punto di vista democratico formale è precisamente il punto di vista del democratico borghese, il quale non ammette che gli interessi del proletariato e della lotta di classe proletaria siano al di sopra di tutti. Come storico, Kautsky non avrebbe potuto non ammettere che i parlamenti borghesi sono organi di questa o quella classe. Ma in questo caso ha dovuto (per il sordido proposito di rinnegare la rivoluzione) dimenticare il marxismo, e non pone la domanda: di quale classe l'Assemblea costituente in Russia era l'organo? Kautsky non analizza la situazione concreta, non vuole considerare i fatti; tace ai lettori tedeschi che nelle tesi non solo è lumeggiata teoricamente la questione del carattere ristretto della democrazia borghese (tesi 1-3), non solo sono esaminate le condizioni concrete che fecero si che le liste dei partiti compilate alla metà di ottobre 1917 non corrispondessero alla realtà del dicembre 1917 (tesi 4-6), ma è esaminata anche la storia della lotta di classe e della guerra civile nel periodo ottobre-dicembre 1917 (tesi 7-15). Da questa storia concreta noi avevamo tratto la conclusione (tesi 14) che la parola d'ordine «Tutto il potere all'Assemblea costituente» era divenuta di fatto la parola d'ordine dei cadetti, dei seguaci di Kaledin e dei loro complici.

Lo storico Kautsky non nota tutto ciò. Lo storico Kautsky non ha mai sentito dire che il suffragio universale dà origine a parlamenti talvolta piccolo-borghesi, talvolta reazionari e controrivoluzionari. Lo storico marxista Kautsky non ha mai sentito dire che una cosa è la forma delle elezioni, la forma di una democrazia, e un'altra è il contenuto di classe di un dato istituto. La questione del contenuto di classe dell'Assemblea costituente è posta nettamente e risolta nelle mie tesi. Può darsi che la mia soluzione sia sbagliata. Nulla sarebbe a noi più gradito di una critica marxista alla nostra analisi mossa dal di fuori. Invece di scrivere sciocche frasi (che in Kautsky abbondano) circa la pretesa di qualcuno di impedire che il bolscevismo sia criticato, Kautsky avrebbe dovuto accingersi a fare questa critica. Ma il fatto è che in lui non c'è critica. Egli non pone nemmeno la questione di fare un'analisi classista dei Soviet da una parte e dell'Assemblea costituente dall'altra. È impossibile quindi discutere, polemizzare con lui, e non rimane altro che dimostrare al lettore perché Kautsky non può essere chiamato altrimenti che rinnegato.

Il disaccordo tra i Soviet e l'Assemblea costituente ha una sua storia, che non può essere ignorata nemmeno da uno storico che guardi ai fatti non dal punto di vista della lotta di classe. Kautsky non ha voluto sfiorare nemmeno questi fatti storici. Egli ha nascosto ai lettori tedeschi il fatto universalmente noto (che oggi celano soltanto i peggiori menscevichi) che i Soviet, anche durante il dominio dei menscevichi, cioè dalla fine di febbraio all'ottobre 1917, erano in disaccordo con gli istituti «statali» (cioè borghesi). Kautsky è in fondo per la conciliazione, l'accordo, la collaborazione del proletariato con la borghesia. Ha un bel negarlo: che questa sia la sua opinione è un fatto confermato da tutto il suo opuscolo. Non si doveva sciogliere l'Assemblea costituente: ciò vuol dire che non si doveva condurre sino in fondo la lotta contro la borghesia, non si doveva rovesciarla, il proletariato doveva mettersi d'accordo con la borghesia.

Ma perché dunque Kautsky non dice parola del fatto che i menscevichi dal febbraio all'ottobre 1917 si accinsero a questo inglorioso lavoro e non approdarono a nulla? Se era possibile conciliare la borghesia con il proletariato, perché dunque i menscevichi non ci riuscirono? perché la borghesia si teneva in disparte dai Soviet? perché i Soviet venivano chiamati (dai menscevichi) «democrazia rivoluzionaria» e la borghesia «elementi censitari»?

Kautsky ha nascosto ai lettori tedeschi che precisamente i menscevichi, nell'«epoca» del loro predominio (febbraio-ottobre 1917), chiamarono i Soviet democrazia rivoluzionaria, riconoscendo la loro superiorità su tutti gli altri istituti. Soltanto nascondendo questo fatto lo storico Kautsky è riuscito a rappresentare le cose come se il disaccordo tra i Soviet e la borghesia non avesse una sua storia, fosse sopravvenuto subitamente, all'improvviso, senza motivi, in seguito alla cattiva condotta dei bolscevichi. In realtà appunto l'esperienza di più di sei mesi (periodo molto lungo per una rivoluzione) di attività conciliatrice menscevica, di tentativi per mettere d'accordo il proletariato con la borghesia, convinse il popolo della sterilità di tali tentativi e allontanò il proletariato dai menscevichi.

I Soviet, riconosce Kautsky, sono un'ottima organizzazione di lotta del proletariato, la quale ha davanti a sé un grande avvenire. Ma se è così, tutta la posizione di Kautsky precipita come un castello di carte o come il sogno di un piccolo borghese che crede si possa evitare un'aspra lotta del proletariato contro la borghesia. Infatti la rivoluzione è una lotta continua e per di più accanita, e il proletariato è la classe d'avanguardia di tutti gli oppressi, il fulcro e il centro di tutte le aspirazioni di emancipazione di tutti gli oppressi., Naturalmente i Soviet — organi di lotta delle masse oppresse — riflettevano ed esprimevano lo stato d'animo e i cambiamenti di idee di queste masse in modo infinitamente più rapido, più completo, più fedele che non qualsiasi altro organismo (è questa del resto una delle ragioni per cui la democrazia sovietica è il tipo più elevato di democrazia).

Dal 28 febbraio al 25 ottobre (vecchio calendario) 1917, i Soviet poterono convocare due congressi nazionali di rappresentanti dell'immensa maggioranza della popolazione della Russia, di tutti gli operai e soldati, dei sette od otto decimi dei contadini, senza contare la gran quantità di congressi locali, distrettuali, di città, di governatorato e regionali. Durante questo periodo la borghesia non riuscì a convocare un solo organismo che rappresentasse la maggioranza (all'infuori della «Conferenza democratica» [16] manifestamente contraffatta, vero insulto al proletariato, del quale suscitò la collera). L'Assemblea costituente rispecchiava lo stesso stato d'animo delle masse, gli stessi raggruppamenti politici manifestatisi nel I Congresso dei Soviet (in giugno). Nel momento della convocazione dell'Assemblea costituente (gennaio 1918) si tennero il II (ottobre 1917) e il III (gennaio 1918) Congresso dei Soviet, che dimostrarono entrambi nel modo più lampante che le masse erano andate a sinistra, avevano acquistato una coscienza rivoluzionaria, si erano allontanate dai menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari, erano passate dalla parte dei bolscevichi; avevano cioè voltato le spalle ai dirigenti piccolo-borghesi, alle illusioni di un accordo con la borghesia ed erano passate dalla parte della lotta rivoluzionaria proletaria per il rovesciamento della borghesia.

Anche la sola storia esterna dei Soviet dimostra quindi l'inevitabilità dello scioglimento dell'Assemblea costituente e il carattere reazionario di quest'ultima. Tuttavia Kautsky si attiene fermamente alla sua «parola d'ordine»: perisca la rivoluzione, trionfi la borghesia sul proletariato, purché prosperi la «democrazia pura»! Fiat justitia, pereat mundus!

Ecco alcune cifre che illustrano la composizione dei congressi panrussi dei Soviet nel corso della rivoluzione russa:

Congressi panrussi dei Soviet

Numero dei delegati

Numero dei bolscevichi

% dei bolscevichi

Primo (3 VI 1917)

790

103

13

Secondo (25 X 1917)

675

343

51

Terzo (10 I 1918)

710

434

61

Quarto (14 III 1918)

1232

795

64

Quinto (4 VII 1918)

1164

773

66

Basta dare uno sguardo a queste cifre per capire perché gli argomenti in favore dell'Assemblea costituente o i discorsi di coloro che (come Kautsky) affermano che i bolscevichi non hanno con loro la maggioranza della popolazione sono da noi accolti unicamente con una risata.

Note

1. L'opuscolo Il socialismo e la guerra, pubblicato in tedesco nel settembre 1915 e distribuito ai delegati della conferenza di Zimmerwald; esso uscì poi in francese nel 1916.

2. Cfr. Critica del programma di Gotha, K. Marx, 1975.

3. Riferimento alla Comune di Parigi del 1871.

4. Lettera ad A. Bebel, 18-28 marzo 1875.

5. Si veda in proposito l'introduzione di Engels a K. Marx, La guerra civile in Francia.

6. F. Engels, Dell'autorità.

7. «Di fronte alle esperienze pratiche, prima della rivoluzione di febbraio e poi, a maggior ragione, della Comune di Parigi, nella quale, per la prima volta, il proletariato tenne per due mesi il potere politico, questo programma è oggi qua e là invecchiato. La Comune, specialmente, ha fornito la prova che 'la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini'.» Prefazione all'edizione tedesca del 1872 del Manifesto del Partito comunista.

8. F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Roma, Editori Riuniti, 1963, p. 202.

9. L'origine della famiglia ecc, cit., p. 203.

10. Personaggio del Mercante di Venezia di Shakespeare.

11. K. Marx, L'indifferenza in materia politica.

12. F. Engels, Dell’autorità.

13. Lettera citata ad A. Bebel.

14. La guerra civile in Francia, p. 23.

1* Incidentalmente, l'espressione, il passaggio «meno doloroso», è citata ripetutamente da Kautsky, il quale si sforza visibilmente di ironizzarvi su. Ma non raggiunge il suo scopo: tant'è che alcune pagine dopo Kautsky si permette un falso scrivendo: passaggio «non doloroso»! Con tali mezzi naturalmente non è difficile fare dire delle assurdità al proprio avversario, il falso permette inoltre di eludere la sostanza dell'argomento: il passaggio nel modo meno doloroso al socialismo è possibile unicamente se esiste una organizzazione generale della popolazione povera (i Soviet) e se il potere statale centrale (del proletariato) sostiene questa organizzazione.

15. La risoluzione Su una revisione del programma del partito, approvata alla VII Conferenza panrussa del partito (Conferenza d'aprile) che si riunì a Pietrogrado il 24-29 aprile (7-12 maggio) 1917.

*2 Incidentalmente: nell'opuscolo di Kautsky abbondano simili menzogne mensceviche. È il libello di un menscevico esasperato!

16. La Conferenza democratica panrussa dei rappresentanti dei partiti socialisti, dei Soviet, dei sindacati e di altre organizzazioni, convocata dai menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari nel settembre 1917. Alla conferenza fu nominato il cosiddetto «Preparlamento» (Consiglio provvisorio della repubblica). La convocazione di questa conferenza fu un tentativo di trasferire il paese dal cammino della rivoluzione sovietica sul cammino del parlamentarismo borghese.

 


Ultima modifica 12.09.2004