Ritratto di Daniel de Leon

Grandizo Munis


Prefazione all'edizione spagnola di "Due pagine di storia romana" di Daniel de Leon, 1902. Pubblicato nel luglio 1979.
Trascritto per il MIA da Hectòr Ternàz


Daniel de Leon è uno dei teorici più preziosi del movimento rivoluzionario mondiale. Il suo pensiero è profondo, vasto, preciso. Esso si appoggia su una meticolosa conoscenza storica della lotta di classe della sua epoca. Arriva anche ad intravedere i nostri tempi. Il lettore lo scoprirà da solo in questo libro, che risale al 1902.

Nondimeno Daniel de Leon è stato un teorico misconosciuto e lo rimane ancora oggi, ed anche le sue qualità di militante sono in penombra.

Non abbiamo, in effetti, che poche informazioni strettamente biografiche. Forse egli ha mantenuto sulla propria vita una discrezione eccessiva. Figlio d'ispano-americani, nacque il 14 dicembre 1852 a Curaçao, piccola isola delle Antille sotto il dominio olandese, situata presso la costa venezuelana. All'età di 14 anni, i suoi genitori lo mandarono in Germania sia per motivi di salute che per studiare. Dopo una visita medica, fu inviato in un collegio in montagna, a Hildesheim, città dell'Hannover. Vi risiedette e studiò per quattro anni, fino allo scoppio della guerra franco-prussiana nel 1870. Egli allora partì per due anni, terminando i suoi studi in Olanda, all'università di Leyden.

Ritornò in America in una data imprecisata, non per installarsi a Curaçao, o in Venezuela, ma a New York. Per due anni insegnò latino, greco e matematica in un college di Westchester, nello stato di New York. Per conto proprio studiò il diritto romano, conoscenza che gli sarà utile, più tardi, per scoprire le truffe dei dirigenti "operai" moderni. Quanto alle sue inclinazioni ideologiche di allora, si può farsene un'idea dalla sua collaborazione giornalistica alle pubblicazioni dei rifugiati politici cubani, in rivolta contro la dominazione spagnola.

Studiò Diritto alla Columbia University e ottenne il primo premio per il miglior saggio in Storia e Diritto costituzionale, insieme ad un secondo premio per un altro saggio in Diritto internazionale. Professori e autorità accademiche gli predissero un brillante avvenire, con tutto lo splendore che aveva allora quest'espressione negli Stati Uniti. I diplomati della sua classe fecero effettivamente carriera e acquisirono grandi fortune. Daniel de Leon visse giorno per giorno, e morì povero.

Egli lavorò alla Columbia University come assistente alla cattedra di Diritto internazionale. Era sicuro di ottenere la cattedra e un reddito privilegiato. Ma, verso il 1886, la sua appartenenza al movimento socialista americano venne alla luce. Ciò gli valse l'ostilità del corpo insegnante particolarmente bigotto in cui si trovava ed in particolare l'ostilità delle autorità accademiche. Senza esitare, Daniel de Leon diede le sue dimissioni per consacrarsi interamente alla causa rivoluzionaria della classe lavoratrice.

Le condizioni in cui si trovava il Partito Socialista Operaio, al momento in cui vi entrò Daniel de Leon, ispiravano più sfiducia che attrattiva, benché per conoscerle occorresse agire al suo interno. A questa data, il Partito in questione, e buona parte del movimento operaio americano, erano dominati da emigrati politici tedeschi. Questi ultimi erano arrivati negli Stati Uniti nel periodo di grande dinamismo, di prosperità e di espansione che seguì la guerra tra il Nord e il Sud.

Il vortice degli affari facili e dell'imborghesimento assorbiva tutti coloro che non avevano fatto della rivoluzione qualcosa di indispensabile per la propria esistenza e dignità personale. Era noto allora che lavorare come operaio era spesso una tappa provvisoria prima dell'ingresso nella piccola borghesia o anche più su. I rifugiati politici tedeschi predominanti nel Partito Socialista Operaio iniziarono tranquillamente la loro metamorfosi in borghesi, utilizzando il Partito per la propria promozione sociale. Essi costituirono una cooperativa che pubblicò un giornale e un settimanale in tedesco così come un settimanale in inglese, The People. Si trattava, apparentemente, di organi d'espressione socialisti, ma nessuno apparteneva al Partito, in modo che questi signori erano in grado di imporre legalmente la propria volontà. In una lettera a Sorge, Engels espresse così il suo disprezzo al loro indirizzo: "Questi signori possono essere soddisfatti...i loro affari devono essere floridi".

Mentre questi emigrati si appiattivano sulla borghesia, Daniel de Leon andava controcorrente, consacrandosi anima e corpo alla rivoluzione sociale. Il caso volle che in occasione di una penuria di individui competenti egli fosse nominato vice-direttore del settimanale The People e che si facesse presto carico della direzione, abbandonata dal precedente direttore. Il contrasto tra lui e i proprietari della pubblicazione non doveva tardare ad esplodere, prendendo un carattere grossolano e ignobile quando questi ultimi non esitarono ad addossare su de Leon false accuse. Daniel de Leon si propose di dare al settimanale ed al Partito un'espressione rivoluzionaria netta che erano lungi dall'avere. Egli rivendicò quindi per il Partito la piena proprietà della pubblicazione, condizione previa dell'indipendenza politica del Partito stesso. I proprietari "socialisti" risolsero il problema puramente e semplicemente licenziando Daniel de Leon, come avrebbe fatto un qualsiasi padrone con un impiegato ribelle.

Fu con questa prima battaglia politica, un rude scontro coi leaders operai ufficiali, che sorse probabilmente l'idea, che sviluppò in seguito, di un paragone tra questa specie moderna e quella antica, quella dei Tribuni e dei capi della plebe romana. Comunque, malgrado la trasformazione degli emigrati tedeschi in bottegai, il risultato di questa lotta fu un successo importante per il Partito socialista e per de Leon. L'organizzazione arrivò a ottenere la proprietà di un organo di espressione e a sviluppare liberamente idee e temperamento rivoluzionari. De Leon diresse The Daily People fino alla fine dei suoi giorni.

La sua integrità personale, la sua fiamma rivoluzionaria e il suo talento teorico gli sono valsi insistenti campagne di calunnia, non solo da parte dei politicanti capitalisti, fatto mai sorprendente, ma anche da parte dei leaders cosiddetti socialisti. Mezzo secolo prima che Stalin, riprendendo quello che era stato scritto su un opuscolo dello Stato Maggiore zarista, accusasse Trotsky e molti altri rivoluzionari di spionaggio, di essersi venduti al capitalismo e di mille altre calunnie, dei leaders "operai" e dei pennivendoli borghesi si unirono per attaccare Daniel de Leon con frottole identiche, compresa l'accusa di spionaggio. I reazionari hanno in comune degli atteggiamenti difensivi simili, siano separati dal tempo o dagli interessi privati.

Senza lasciarsi impressionare né azzittire, di fronte ai colpi più perfidi, de Leon continuò il suo lavoro di formazione del Partito Socialista Operaio, al contempo studiava le condizioni del capitalismo e il ruolo svolto dai capi operai presso la classe lavoratrice.

La sua opera pratica d'organizzazione, anche se si dimostrò meno durevole della sua opera teorica, ebbe un raro merito considerando le circostanze della sua realizzazione. Nel cuore di un capitalismo prospero come nessun altro, quando molti lavoratori avevano ancora la possibilità di abbandonare la propria classe per rafforzare i ranghi della borghesia, speranza che molti di essi nutrivano, il Partito Socialista Operaio si rafforzò in gran parte grazie a de Leon acquisendo un profilo nettamente proletario. La migliore testimonianza ne fu il suo comportamento internazionalista di fronte alla Prima guerra mondiale, momento decisivo, poiché ogni partito che s'infiacchì davanti alle esche nazionali si escluse dalla rivoluzione.

Fu testimone di una industrializzazione accelerata, con grandi unità di produzione e su territori estesi degli Stati Uniti. Questo diede ai proletari una preponderanza demografica. Daniel de Leon aveva già compreso, dalla fine del XIX° secolo, che la celebre formula "l'emancipazione del proletariato da parte del proletariato stesso", trovava nell'insieme di queste cellule di produzione, e a partire da ciascuna di esse, il fondamento organico della sua realizzazione. Come? I lavoratori si approprierebbero di tutte le unità di produzione, inclusi i centri di distribuzione, e riorganizzerebbero la produzione adeguandola a criteri non mercantili di consumo per mezzo di rappresentanti eletti nelle unità di produzione stesse. De Leon chiamò questo "Repubblica Socialista". Così, ciò che Marx previde come "fase inferiore del comunismo" acquisì un punto d'appoggio funzionale e concreto talmente giusto che ancora oggi non si concepisce altro modo di affrontare la soppressione delle classi.

L'idea si deduce dalle opere economiche e rivoluzionarie di Marx. Ed è anche indirettamente espressa in queste ultime. De Leon trovò nella realtà di tutti i giorni lo strumento di trasformazione indicato della teoria. Ciò gli fu suggerito dal vertiginoso sviluppo industriale di cui fu testimone negli Stati Uniti, il Paese più capitalista del mondo perché esente dalle vestigia di formazioni sociali anteriori europee. D'altra parte, l'idea provenne manifestamente dal vigore potenziale di un proletariato in piena espansione numerica.

Questa e la generalizzazione della grande industria rappresentano per la rivoluzione un vantaggio oggettivo molto superiore a quelli che si presentavano allora ai Paesi d'Europa. Ma in America c'era un'importante contropartita, un ostacolo più grande da superare. De Leon lo indicò chiaramente, con lucidità e con forza eccezionali. Egli vide che tra il proletariato e l'appropriazione dei mezzi di lavoro, tra la classe rivoluzionaria e la rivoluzione, si ergeva il muro dei "leaders operai". Se non li si spazza via, non è possibile farla finita col capitalismo. Questa certezza maturò durante gli anni della riflessione teorica di de Leon in occasione delle furfanterie sindacali. La sua conoscenza della civiltà antica gli permise di stabilire un paragone tra i capi della plebe romana e i leaders politici e sindacali moderni.

Questo paragone costituisce, senza il minimo dubbio, un lavoro della più grande importanza, il cui merito va indiscutibilmente a Daniel de Leon. I capi e i tribuni della plebe non facevano realmente parte di questa plebe, se non per un atavismo giuridico frequente nell'evoluzione umana. Il diritto patrizio li classificava nella plebe, i loro possedimenti e il loro genere di vita li allontanavano da questa totalmente. Essi erano in realtà dei parvenus, senza la nobiltà giuridica della vecchia classe patrizia. Parlando a nome della plebe, trascinandola spesso in rivendicazioni futili, essi mettevano davanti a tutto i loro propri interessi economici e politici, senza che la plebe cessasse di essere espropriata e maltrattata. La vittoria dei leaders bloccò il cammino ad ogni trasformazione positiva della società, la civiltà antica s'inabissò nella corruzione decadente che dovette sboccare nelle invasioni barbariche, nel declino culturale, nello smembramento...e in un millennio di marasma, fino al rinnovamento su altre basi.

I leaders moderni sono falsi rappresentanti della classe operaia, quale che sia l'appellativo di cui si fregiano. Essi non hanno nulla di meglio da offrire che i loro omologhi di Roma. Daniel de Leon disse:

"I tribuni della plebe costituirono una base strategica di prima importanza per il patriziato. Essi furono particolarmente nocivi per il proletariato. I leaders operai attuali sono, per ragioni simili, un ridotto camuffato a partire dal quale la classe capitalista può affrontare ciò che senza di esso le sarebbe impossibile: l'opera di riduzione in schiavitù e di degradazione progressiva della classe operaia..."

Essere arrivati a questo punto di vista nel 1902, ancora oggi innegabilmente e mondialmente valido, rivela uno spirito analitico acuto e penetrante, una capacità di sintesi storica preziosa per il movimento rivoluzionario. Ancora più incredibile è il fatto che sembra sia stato quasi universalmente ignorato. È già tanto che qualche bolscevico abbia conosciuto, tardivamente, de Leon. La presente edizione, la prima in spagnolo che io sappia, mira non solo a rendere giustizia al teorico, morto prematuramente alla vigilia della rivoluzione russa, ma anche a mettere sull'avviso il proletariato e a sostenere la rinascita della teoria, in tempi di una tale carenza che ogni polemista è scambiato per un cervello innovatore, ogni pistolero per uno Spartaco.

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Ultima modifica 15/06/2013